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14 marzo 2008

Una storia di lavoro debole

Una Soria di lavoro debole*

Dal 2002 esiste nella regione Campania un sistema informatizzato, l’osservatorio sul mercato del lavoro, che permette il monitoraggio degli eventi che riguardano i rapporti di lavoro subordinato e le persone in cerca di lavoro. L’osservatorio traccia le storie delle persone che cercano lavoro o che vengono assunte, e le storie delle imprese verso il lavoro.

Questa è la storia di un lavoratore presente nell’osservatorio, la storia di un operaio generico che siamo andati a cercare e abbiamo ritrovato nell’osservatorio dopo aver letto su un giornale che quell’operaio si era tolto la vita nella fabbrica in cui lavorava.

E’ la storia vera della morte per disperazione di un lavoratore interinale. Ricordiamo tutti i numerosi casi di suicidio dei cassintegrati negli anni 70. Ricordiamo bene come lo studio di quei casi evidenziasse quanto fosse dura la condizione dell’operaio della grande fabbrica privato di ogni possibile prospettiva di ricollocazione e, per questo, spesso disperatamente escluso. La storia di esclusione nel caso che qui raccontiamo riguarda anch’essa un operaio, un operaio comune, quarantenne. E sembra avere in comune con le storie dei suicidi dei cassintegrati proprio l’assenza di prospettive di soluzione. Ciò che colpisce in particolare, tuttavia, è il segno dell’assenza dei diritti, un segno che differenzia questa storia dalle vicende dei cassintegrati e che è reso ancor più marcato dalla visibilità nell’osservatorio dei passaggi attraverso il lavoro interinale compiuti da questo lavoratore: un’assenza visibile e legale.


Benito è’ nato nel 64, un anno dopo la riforma della scuola media unificata. Benito è segnalato nell’osservatorio con il titolo di licenza media inferiore e con la qualifica di OPERATORE GENERICO DI PRODUZIONE, uno degli svariati modi di definire l'operaio generico, il manovale comune.

Dal 2002, precisamente dal 16 settembre 2002, Benito risulta presente nell’Osservatorio. In quel giorno, stando a quanto registrato, egli si è recato al Centro per l’impiego e ha rilasciato l’obbligatoria dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. Il Centro per l’impiego, in base alle informazioni rilasciate e ai dati in suo possesso, lo ha identificato come un inoccupato di lunga durata accreditandogli 12 mesi di anzianità di disoccupazione.

Ufficialmente dunque Benito non ha precedenti esperienze di lavoro. E’ un uomo adulto senza curriculum e senza referenze. Probabilmente le sue esperienze passate sono state irregolari e dunque non danno referenze. Il mercato del lavoro tende ad attribuire un valore rilevante al curriculum e alla presenza di precedenti esperienze di lavoro. I giovani ne stanno assumendo la consapevolezza e tendono a tesaurizzare ogni tipo di esperienza formativa e di lavoro. Per un adulto che ha sempre lavorato in nero presentarsi così, senza esperienze è impossibile. Sarebbe sufficiente il riconoscimento di un semplice diritto di autocertificazione delle esperienze lavorative pregresse, per evitare una etichetta imbarazzante di “inoccupato di lunga durata” che certo non aiuta a competere sul mercato.

Benito resta per altri tre anni un inoccupato di lunga durata. Questa condizione si interrompe il 19 settembre 2005. Benito a 41 anni è diventato un occupato precario. Lavora in una impresa edile, con un contratto a termine, fino alla fine dell’anno. Il 31 dicembre il suo primo lavoro finisce. E’ durato meno di quattro mesi. Benito torna ad essere senza lavoro, la durata della disoccupazione resta superiore a 12 mesi perché con un lavoro precario di durata inferiore a quattro mesi è possibile non perdere l’anzianità di disoccupazione. Da inoccupato è finalmente diventato un disoccupato, perché ha ufficialmente avuto una prima esperienza di lavoro certificabile. Non ha tuttavia maturato il diritto a percepire alcun indennizzo di disoccupazione perché il suo periodo di lavoro ed il relativo pagamento dei sui primi contributi assicurativi e previdenziali sono troppo brevi.

Una delle regole fondamentali del mercato del lavoro italiano, sopravvissuta al ciclone della rimozione dei lacci e laccioli normativi, è infatti quella che vincola il diritto all’indennità di disoccupazione. Il lavoratore ha diritto all’indennità ordinaria di disoccupazione se può far valere almeno due anni di assicurazione contro la disoccupazione involontaria e almeno 52 contributi settimanali nei due anni precedenti la data di cessazione del rapporto di lavoro; ha diritto a un’indennità ridotta se ha lavorato almeno 78 giornate nell’anno precedente e possiede almeno un contributo settimanale versato prima del biennio precedente l’anno in cui viene chiesta l’indennità. Come si può notare è di difficile accesso anche la sola comprensione del meccanismo! Nel caso del lavoro a termine e soprattutto del lavoro interinale, come vedremo, questi vincoli sono molto penalizzanti e portano alla esclusione prolungata di gran parte dei lavoratori.

Benito resta disoccupato di lunga durata per quattro mesi e mezzo. Il 17 maggio 2006 Benito diventa un lavoratore interinale e inizia a vivere di “missioni” che fanno riferimento tutte alla stessa agenzia interinale e alla stessa impresa utilizzatrice. L’esperienza dura in tutto quattro mesi, ma si tratta di quattro mesi molto movimentati:Benito lavora in tutto per 99 giorni ma per ben cinque volte la sua missione è in scadenza e soggetta a proroga.

Mercoledì 17 maggio Benito inizia una missione di 3 giorni che terminerà il venerdì. Forse si tratta di un periodo di prova. Se è così l’esito forse è incerto perché la prima proroga, che fortunatamente arriva, è di soli 7 giorni, fino al venerdì successivo. Le prestazioni di Benito devono essere soddisfacenti, visto che alla scadenza ottiene un rinnovo di ben 14 giorni. Per due settimane può finalmente stare più tranquillo. Anche la successiva scadenza va a buon fine, con altre due settimane. Dopo ormai 5 settimane e mezzo di lavoro, con una proroga di transito della durata di tre giorni che probabilmente è solo un accorgimento amministrativo utile a completare il computo delle settimane, Benito ottiene un prolungamento dell’attività per ben due mesi, fino al 31 agosto. Gli altri vanno in ferie, e forse è per questo che per lui si apre una buona strada, o forse perché è questo il periodo di picco di produzione per l’azienda utilizzatrice di Benito lavoratore. Dal 31 agosto 2006 le proroghe cessanno.

La sconcertante sequenza di eventi che Benito ha vissuto per mettere insieme 3 mesi e mezzo di lavoro, non costituisce un caso isolato. L’osservatorio ci permette di analizzare tempi ed eventi di questi tipi di lavoro, così come è stato fatto nel caso specifico, anche per tutti i lavoratori di cui si registrano i movimenti. Osserviamo che in un’azienda del tipo di quella che ha “utilizzato” Benito sono almeno 80, di preciso 83, i lavoratori che si trovano in condizioni analoghe.

Nell’insieme della regione Campania il numero medio di giornate di lavoro ad interim nel periodo osservato (dal 2002 ad oggi) è stata pari a 55,5 per ogni lavoratore, e a 14 giorni per evento. Ogni lavoratore conta mediamente circa 4 eventi. Nei settori tradizionali di produzione, come l’agroalimentare o il tessile-abbigliamento, i valori sono ancora più bassi per durata delle attività e più alti per numero di eventi e dunque i lavoratori sono soggetti a ripetute proroghe per continuare le loro missioni se non a ripetute interruzioni. E’in questi settori che il lavoro interinale interessa soprattutto operai generici e personale non qualificato. Ed è su questi settori che l’osservazione dei dati disponibili mostra non esservi alcuna discontinuità da parte delle imprese nei periodi di ricorso complessivo al lavoro interinale durante l’anno, il che fa pensare che si possa escludere una causalità legata alla stagionalità delle produzioni o ai picchi di produzione. Le imprese, in altri termini, sembrano usare gli stessi sistemi e gli stessi ritmi di durata, scadenza e proroga, durante tutto l’anno e per tutti i dipendenti, salvo piccolissimi gruppi di uno o due addetti cui sono riservati trattamenti migliori. Questo insieme di informazioni, che certo meriterebbero analisi più approfondite, indurrebbe ad ipotizzare che il lavoro interinale nei settori tradizionali assuma in molti casi caratteristiche di flessibilità abbastanza rassomiglianti a quelle proprie del lavoro avventizio e a cottimo.

Dal 1 settembre 2006 Benito torna dunque ad essere un disoccupato di lunga durata. Non c’è un altro lavoro subito disponibile. Anche questa volta Benito non ha lavorato abbastanza a lungo: continua a conservare l’anzianità di disoccupazione; ma continua anche a non percepire nessun indennizzo a causa dei lacci e laccioli che puniscono i lavoratori precari.

Trascorre il mese di settembre e a metà ottobre, il 16 ottobre, Benito riesce a trovare un nuovo lavoro, non interinale, un contratto a termine, della durata prevista di 6 mesi. Il 5 febbraio questo lavoro finisce. L’osservatorio registra come motivo della cessazione che Benito si è dimesso.

Basta uno stupido incidente stradale che t’inchioda per un po’ alle stampelle e fa sparire, con lo stipendio, il tuo fragile equilibrio di precario” (Il Mattino 10 maggio 2007). Da quanto riportato sulla stampa Benito aveva avuto un incidente ed era rimasto per un po’ di tempo senza lavoro. Era poi tornato al precedente impiego interinale, che probabilmente comparirà registrato nell’osservatorio con gli aggiornamenti del prossimo mese. “Non ha timbrato il cartellino del turno che dalle 6 alle 14 l’avrebbe tenuto a confezionare imballaggi, sino a fine mese, scadenza da contratto” (ibidem). A detta dell’azienda utilizzatrice, si era in procinto di assicurargli una nuova proroga. Sorge spontanea la domanda: per quanti giorni e quante proroghe ancora ?

Si può vivere, si può resistere così ?Evidentemente no. Il 9 maggio 2007 Benito muore. Si impicca nella fabbrica. “Fuori, nel piazzale, l’hanno trovato altri operai impegnati ad ampliare l’area aziendale. Un fantoccio col cappio alla gola. Appeso a una corda, penzolante da una colonna di ferro”(ibidem).

Le cose per Benito avrebbero potuto cominciare ad andare un po’ meno male. Proprio in questo periodo avrebbe maturato finalmente i due anni dal suo primo versamento assicurativo contro la disoccupazione e avrebbe avuto diritto almeno all’indennità ridotta di disoccupazione: un inizio di accesso al welfare.

Benito lascia con la sua morte disperata una ferita profonda. Benito molto probabilmente quando ha incontrato il lavoro a tempo determinato ed il lavoro interinale si è messo alle spalle il lavoro nero. Forse per scelta, perché ha pensato che si sarebbe incanalato in un percorso di progressivo inserimento e di possibile stabilità. O forse per necessità, perché queste erano le uniche condizioni possibili per lavorare nelle imprese che nella zona fanno continuamente assunzioni, tante assunzioni, danno lavoro. O forse perché così gli ha consigliato o così poteva aiutarlo, raccomandarlo, un amico o un parente. Nella storia riportata dalla stampa si fa riferimento anche a questa possibilità. Il nero che emerge non sembra mandare bagliori di luce.


* di S.Veneziano, Pubblicato su Carta Mensile, n.5, 2007 “Napoli un posto al sole”

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