DUE O TRE COSE CHE SO DI LORO.
Capitolo III
I rifiuti prodotti dai termovalorizzatori
Federico Valerio
Nella pubblicità a favore degli inceneritori la termovalorizzazione dei rifiuti, è di solito contrapposta all’uso delle discariche, descritte come inquinanti, spesso gestite da mafia e camorra e, comunque, sempre prossime all’esaurimento.
A seguito di queste campagne mediatiche, la percezione pubblica è che gli inceneritori, “termodistruggendo” i rifiuti, eliminano il problema discariche e che le poche ceneri prodotte dall’inceneritore, grazie all’azione purificatrice del fuoco, siano inerti e quindi stoccabili senza problemi. Addirittura, la percezione dell’apparente innocuità delle ceneri porta a pensare che esse possano essere “riciclate” per fondi stradali, nella produzione di ceramiche e di cemento, come si è fatto in diversi paesi.
Se dalla pubblicità si passa alla realtà, la situazione è un po’ più complessa e meno tranquillizzante.
In sintesi, in base agli studi più recenti, si può affermare che gli inceneritori producono rifiuti in quantità tutt’altro che trascurabile e, in parte, con una tossicità maggiore di quella presente nei rifiuti termovalorizzati.
Gli inceneritori producono rifiuti solidi sotto forma di ceneri, classificabili, in base alla loro densità, in ceneri pesanti e leggere (in inglese si definiscono, rispettivamente, come bottom ash e fly ash).
Nelle ceneri pesanti si trova il residuo incombustibile dei rifiuti trattati (vetro, ceramiche, metalli, sali ed ossidi) che si accumula sul fondo della camera di combustione.
Le ceneri leggere sono formate dalle polveri presenti nei fumi e separate da questi con adeguati sistemi di depurazione, prima di essere immessi in atmosfera
La quantità di ceneri pesanti e leggere che produce un inceneritore dipende ovviamente dalla quantità e dal tipo di rifiuti “termovalorizzati” e dai sistemi di trattamento fumi. In quest’ultimo caso è ovvio che maggiore è l’efficienza dei sistemi di filtrazione e lavaggio fumi, maggiore è la quantità di ceneri leggere prodotte dall’inceneritore.
Per non rimanere nel vago riportiamo la quantità di ceneri pesanti e di ceneri leggere prodotte annualmente dall’inceneritore di Brescia, in base al rapporto della apposita Commissione istituita dal Comune di Brescia (1).
Nel 2003, l’inceneritore di Brescia, portato spesso a modello di moderna gestione integrata dei rifiuti, ha “termovalorizzato” 552.138 tonnellate di rifiuti urbani e ha “prodotto” 124.546 tonnellate di ceneri pesanti e 28.286 tonnellate di ceneri leggere.
Pertanto, il peso di tutte le ceneri prodotte (152.832 tonnellate: ceneri pesanti+leggere) corrisponde al 27,6 % del peso dei rifiuti trattati (22,5 % polveri pesanti; 5,1 % polveri leggere).
Nelle ceneri pesanti c’erano anche 5.730 tonnellate di ferro (non conteggiate nella produzione di ceneri in precedenza citata) che, dopo la combustione, è stato separato dalle ceneri con elettromagneti e riciclato.
Quello che segue è il testo sulla destinazione finale delle ceneri, o meglio dei prodotti residui, come riportato (alla lettera) dal rapporto dell’Osservatorio sul funzionamento del Termovalorizzatore di Brescia (1):
“Le scorie (ceneri di fondo caldaia) vengono riutilizzate in discarica, in sostitituzione della ghiaia di copertura.
Le polveri dai filtri di depurazione vengono conferite a ditte specializzate per il trattamento e lo smaltimento di rifiuti pericolosi, secondo le disposizioni di legge.”
Un commento a queste dichiarazioni ci sembra opportuno.
Le ceneri pesanti prodotte dall’inceneritore di Brescia (124.546 tonnellate nel 2003) sono inviate alla discarica di Montichiari che, nel 2003, ha ricevuto anche una quantità molto simile (115.765 tonnellate) di rifiuti urbani (2).
In base a questi dati, affermare che le ceneri sono state utilizzate come copertura dei rifiuti urbani è un chiaro espediente linguistico, per evitare di dire che, in realtà, anche le ceneri prodotte dall’inceneritore sono rifiuti da mettere a discarica in quanto la loro quantità è rilevante e contribuisce significativamente a ridurre le vita operativa della discarica stessa.
Nel 2004 l’inceneritore di Brescia ha attivato una terza linea di trattamento, dedicata alle cosidette biomasse (circa 200.000 tonnellate anno). Con questa scelta, ogni anno nello stesso impianto sono inceneriti complessivamente circa 750.000 tonnellate di rifiuti che portano la produzione annua di rifiuti solidi da incenerimento a 168.750 tonnellate di ceneri pesanti e 38.250 tonnellate di ceneri leggere.
Pertanto la produzione annua di ceneri pesanti prodotte dall’inceneritore di Brescia e messe a discarica, equivale alla totale produzione di rifiuti di 339.537 abitanti della Lombardia (produzione media procapite di rifiuti nel 2003, in Lombardia: 497 chili).
Per quanto riguarda le polveri dai filtri di depurazione (ceneri leggere) il documento della Commissione bresciana giustamente li classifica come rifiuti pericolosi, ma volutamente ignora il luogo dove queste ceneri sono trattate, il tipo di trattamento ed, in particolare, il nome della località dove queste ceneri sono stoccate in modo definitivo e…quali sono i costi di questa operazione.
Costi certamente non trascurabili, in quanto siamo in grado di affermare con certezza che gran parte delle ceneri volanti dell’inceneritore di Brescia, con le dovute cautele, è inviato in una vecchia miniera di salgemma in Germania, dove le favorevoli condizioni geologiche garantiscono uno stoccaggio “ad aeternum” sufficientemente sicuro per rifiuti che, come ora vedremo, sono dei veri e propri rifiuti tossici prodotti dal termovalorizzatore
Ceneri pesanti
Si potrebbe credere che i nostri rifiuti trattati da un inceneritore, dopo essere stati per un’ora ad una temperatura compresa tra 850 e 1200 gradi centigradi, lascino solo ceneri inerti, senza problemi ambientali e sanitari.
Questo era quello che si credeva fino agli anni ’70, ma gli studi sulle discariche di ceneri effettuati negli anni ‘90 smentivano clamorosamente queste credenze.
Questi studi, effettuati in Germania, hanno verificato che le ceneri, durante il loro stoccaggio, sviluppano calore che porta la temperatura delle ceneri stesse fino a 90 gradi (3).
Questo fenomeno avviene anche con le ceneri pesanti di moderni termovalorizzatori, con temperature fino a 70 gradi, raggiunte dopo sette mesi della loro messa a dimora (4-5).
A queste temperature non può essere garantita la tenuta meccanica delle membrane polimeriche e degli strati di argilla, posti sul fondo della discarica con lo scopo di bloccare la diffusione nel terreno circostante di eventuali eluati prodotti dalla discarica.
E gli eluati delle ceneri pesanti sono tutt’altro che inerti.
Uno studio condotto sugli effetti tossici di lisciviati di ceneri pesanti prodotti da inceneritori operanti in Belgio, Francia, Germania, Italia, e Regno Unito (6) ha classificati tutti i loro lisciviati come eco-tossici per gli effetti indotti su batteri, alghe, crostacei e vegetali. E uno studio più recente (7) ha anche evidenziato un effetto genotossico di soluzioni di acqua messa a contatto con ceneri pesanti.
Nelle ceneri pesanti possono essere ancora presenti Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) cancerogeni, a concentrazioni comprese tra 89 e 438 microgrammi per chilo di ceneri(8), valori che, alle concentrazioni più elevate, superano i valori guida stabiliti dal governo svedese per l’uso di terreni sensibili (parchi pubblici, parchi gioco…) e le comuni concentrazioni di IPA nei terreni svedesi.
Misure di IPA nei rifiuti, nelle ceneri pesanti e nelle ceneri leggere di un impianto di incenerimento cinese a letto fluido (9) hanno permesso di verificare che le ceneri leggere avevano una quantità di IPA cancerogeni maggiore di quella che si trova nei rifiuti; in particolare, nelle ceneri più contaminate, la concentrazione di queste sostanze tossiche era circa 8 volte maggiore di quella presente nei rifiuti.
Come vedremo meglio nel prossimo capitolo questa è una caratteristica molto frequente nelle ceneri leggere.
Ceneri leggere
Metalli
Il trattamento termico a cui sono sottoposti i rifiuti “termovalorizzati” non può eliminare i metalli presenti nei rifiuti stessi ma l’incenerimento, a causa delle complesse reazioni che avvengono durante la combustione dei rifiuti, può trasformarli in forma chimica più tossica o più facilmente biodisponibile per organismi viventi che ne venissero a contatto.
Un esempio è quello del cadmio che nei rifiuti può essere presente sotto forma di solfuro, ossido o metallo. In queste forme la tossicità del cadmio è molto ridotta, in quanto il cadmio metallico, il solfuro e l’ossido di cadmio sono poco solubili in acqua e quindi, se inalati o ingeriti non sono assorbiti dall’organismo ospite e quindi non provocano effetti tossici.
Tuttavia, nei fumi di un inceneritore sono presenti elevate quantità di acido cloridrico, ad esempio dai camini dell’inceneritore di Brescia ogni anno escono 21 tonnellate di acido cloridrico (1).
L’acido cloridrico, reagendo con ossido o solfuro di cadmio trasforma questi due composti in cloruro di cadmio, un sale molto volatile e molto solubile in acqua e quindi molto tossico, anche perché soggetto a fenomeni di bio accumulo lungo la catena alimentare.
Uno studio sulla concentrazione di cadmio nell’aria, realizzato tra il 1986 e il 1990 a Genova e a La Spezia (10) in diverse zone delle due città e, a campione, nei centri urbani di altre 16 città italiane, evidenziava la maggiore concentrazione di cadmio (8 nanogrammi per metro cubo) a Genova, nella zona di impatto del termovalorizzatore allora in funzione, il quartiere di Staglieno. La conferma del ruolo dell’inceneritore nell’inquinamento di questa zona della città si ottenne con misure effettuate nella stessa zona, dopo la chiusura dell’inceneritore, che permisero di verificare la drastica diminuzione, solo in questa parte della città, della concentrazione del cadmio (più del 90%).
Oggi, i più efficaci sistemi di trattamento fumi riducono la quantità di metalli e di composti tossici che un inceneritore emette in atmosfera ma, inevitabilmente, aumentano la loro quantità presente nelle ceneri leggere trattenuti dai sistemi di filtrazione.
Ad esempio, nei fumi dell’inceneritore di Brescia nel 2003, in ogni metro cubo di fumi emessi in atmosfera erano presenti da 10 a 120 nanogrammi di cadmio, a seconda del tipo di rifiuto bruciato durante i 60 minuti di campionamento, una concentrazione ampiamente in regola con i limiti di legge (50.000 ng come somma di cadmio e tallio).
Non sappiamo quanto cadmio sia presente nelle ceneri leggere prodotte dall’inceneritore di Brescia e spedite in Germania, ma possiamo riportare le concentrazioni di metalli pesanti (milligrammi per chilo) trovate con maggiore frequenza nelle ceneri leggere prodotte dagli inceneritori inglesi (11) e (in parentesi) il loro fattore di arricchimento, rispetto alle concentrazioni tipiche di questi metalli nel suolo inglese: Cadmio: 271 mg/kg (378); Piombo: 4.337 mg/kg (108).
Come si può vedere, la concentrazione di cadmio e piombo nelle ceneri è molto maggiore di quella che si trova naturalmente nei terreni inglesi, è pertanto evidente che l’immissione di queste ceneri nell’ambiente non può essere effettuata con leggerezza.
Lo stesso studio stimava che l’incenerimento dei rifiuti inglesi mandava ogni anno nelle discariche, sottoforma di ceneri leggere, 15 tonnellate di cadmio e 241 tonnellate di piombo, una situazione da non sottovalutare per il potenziale rischio per l’ambiente e la salute umana in quanto questi metalli, come abbiamo visto, dopo l’incenerimento sono molto più disponibili ad andarsene in giro per terreni, piante commestibili, animali di allevamento, esseri umani.
E se le concentrazioni sulle ceneri degli inceneritori inglesi sono datate (inizio anni ’90), quelle di seguito riportati fanno riferimento a moderni inceneritori operanti in Giappone e Corea (12). Nel 2003, nelle ceneri leggere prodotte dagli inceneritori giapponesi, la concentrazione di cadmio risultava compresa tra 20 a 90 mg/kg; molto più inquinate da cadmio risultavano essere le ceneri coreane, con una concentrazione compresa tra 220 e 410 mg/kg. In generale, molto piombo si è trovato nelle ceneri prodotte dagli inceneritori operanti in entrambi i paesi: da 340 a 3.600 mg/kg.
Le brutte sorprese sono venute con lo studio della bio disponibilità di questi metalli, infatti si è dimostrato che sono entrambi facilmente lisciviabili. Questo significa che se acqua entra nella discarica dove queste ceneri sono stoccate, quest’acqua assorbe dalle ceneri i metalli tossici e uscita dalla discarica può contaminare terreni, corsi d’acqua, coltivazioni.
E il problema di possibili rischi sanitari è reale, in quanto le prove di lisciviazione delle ceneri hanno potuto verificare che le concentrazioni di piombo nell’acqua di lisciviazione sono superiori ai limiti fissati in Corea e Giappone. Invece, solo le ceneri coreane hanno dimostrato di poter liberare per lisciviazione una quantità di cadmio superiore a quella prevista dall’attuale normativa.
Per valutare serenamente questi fatti occorre ricordare che la concentrazione massima di piombo e cadmio nei rifiuti urbani è rispettivamente di circa 100 mg/kg e 30 mg/kg, nettamente inferiore alla concentrazione media di cadmio e piombo nelle ceneri prodotte con il loro incenerimento.
E anche questi dati confermano come con l’incenerimento dei rifiuti urbani si trasformano materiali, nella maggior parte dei casi inerti e non pericolosi, in rifiuti tossici
Diossine
Prima di trattare questo argomento è necessario precisare che, con la denominazione “diossine”, usato nel testo, si fa riferimento alla somma di tutte le policlorodiossine e tutti i policlorofurani presenti nelle diverse matrici considerate (fumi, ceneri, suolo, alimenti). Inoltre le quantità riportate sono state corrette per la diversa tossicità di ciascuno dei componenti di queste due numerose famiglie chimiche.
Si tratta di una procedura standard studiata appositamente per confrontare la tossicità di miscele di questi composti che possono avere composizioni anche molto diverse.
Pertanto tutte le quantità di “diossine” riportate in questo testo, in termini di tossicità, sono confrontabili ad una pari quantità di 2,3,7,8 tetra cloro diossina, quella più tossica; quella di Seveso, tanto per capirci.
Fatta questa premessa è opportuno farne un’altra: tutti gli inceneritori emettono “diossine” in atmosfera.
Nel 2003, in ogni metro cubo di fumi emesso dall’inceneritore di Brescia (1) si sono trovati “diossine” da 1,6 a 7 picogrammi, ampiamente al disotto dei limiti di legge (100 picogrammi).
Detta così sembrerebbe tutto a posto, ma come già sappiamo (Due o tre cose che so di loro. I Capitolo), per dire qualche cosa di serio sui rischi di chi coltiva insalata o alleva polli sottovento ad un impianto di incenerimento occorre calcolare quanta diossina è emessa complessivamente in un determinato tempo, ad esempio, dopo una giornata ininterrotta di funzionamento.
In base alle stime ufficiali dei gestori dell’inceneritore di Brescia (1), nel 2003, prima dell’ulteriore ampiamento, ogni giorno dai suoi camini sono usciti in media 32.870.000 picogrammi di diossine, equivalenti alla dose tollerabile giornaliera di 234.785 persone adulte.
Questa equivalenza vuol dire poco dal punto di vista della valutazione dei rischi, ma senz’altro suggerisce di non liquidare la questione “diossine” con troppa superficialità.
E per avere il quadro completo dell’impatto da “diossine” di un inceneritore, occorre andare a vedere anche quante “diossine” ci sono nelle sue ceneri.
Non siamo riusciti ad avere nessun dato di questo tipo, con riferimento all’inceneritore di Brescia, ma in letteratura esistono numerosi studi che forniscono questa informazione.
Ci è sembrato utile citare i risultati di uno studio (13) realizzato su un moderno impianto di termovalorizzazione dei rifiuti operante in Italia.
L’impianto tratta 400 tonnellate di rifiuti al giorno su due linee e il trattamento dei suoi fumi è molto sofisticato: filtri a manica, lavaggio in contro corrente ed un catalizzatore finale per abbattere ossidi di azoto e “diossine”.
Le campagne di misura, finalizzate a pesare le “diossine” presenti in diversi punti dell’impianto ha potuto verificare che la concentrazione di “diossine” nei fumi, all’uscita del camino, è compresa tra 34 e 5 picogrammi per metro cubo, prestazioni confrontabili con l’inceneritore di Brescia, ampiamente all’interno degli attuali limiti di legge (100 picogrammi per metro cubo).
Come abbiamo già visto per i metalli, se i fumi di un inceneritore sono relativamente puliti, tutto quello che viene tolto dai fumi si ritrova inevitabilmente, sotto forma di rifiuto, in un’altra fase del ciclo produttivo.
In questo particolare studio, “diossine” sono state cercate e trovate anche nelle ceneri e nei fanghi prodotti da questo impianto.
E questi sono i risultati: in ogni chilo di ceneri pesanti c’erano 34.100 picogrammi di “diossine”, in ogni chilo di ceneri leggere della caldaia i picogrammi di “diossine” erano 116.900, in ogni chilo di ceneri leggere trattenute dai filtri (filtri a maniche) si sono trovati 193.800 picogrammi di “diossine” e in ogni chilo di fango prodotto dai trattamenti ad umido dei fumi i picogrammi di diossine trovate sono stati 604.000.
In questo studio è stata stimata la quantità di diossine prodotta per ogni chilo di rifiuto termovalorizzato e che si accumula nei diversi “rifiuti” prodotti dall’inceneritore; il corrispondente valore, espresso in picogrammi, è riportato in parentesi: ceneri pesanti (7.590 pg); ceneri leggere della caldaia (580 pg); ceneri leggere da filtri a manica (1940 pg); fanghi (160 pg); fumi camino (170 pg).
Pertanto, questo termovalorizzatore produce complessivamente, 10.440 picogrammi di “diossine” per ogni chilo di rifiuti incenerito e la maggior parte (70,4%) si trova nelle sue ceneri pesanti.
Ovviamente, correttezza vuole che la quantità di “diossine” prodotto dall’incenerimento si confronti con quella in origine presente nei rifiuti termovalorizzati.
Lo studio di Giugliano et al. (13) non ha misurato la quantità di diossine presenti nel rifiuti inceneriti durante l’esperimento e si è limitato a fare un confronto con la quantità di diossine presenti nei rifiuti riportata in altri studi.
Gli autori affermano che, poiché in numerosi studi la concentrazione media di “diossine” presente nei rifiuti è stata valutata variare da 10.000 a 250.000 picogrammi per chilo, l’inceneritore da loro studiato, che per ogni chilo di rifiuto trattato “produce” da 1.600 a 10.000 picogrammi di “diossine” è, a tutti gli effetti, un impianto di depurazione in quanto le “diossine” nelle sue emissioni sono presenti in quantità inferiore a quella che si trova nei rifiuti.
Affermazioni di questo tipo sono alla base di un nuovo filone nelle campagne di promozione degli inceneritori: gli inceneritori depurano l’ambiente dalle diossine.
Sostenere che gli inceneritori depurano l’ambiente poteva essere vero negli anni ’80, quando la quantità di diossine nei rifiuti era molto maggiore di quella attuale, oggi questa affermazione è, nella maggior parte dei casi, una falsità, l’ennesima Leggenda Metropolitana sorta intorno agli inceneritori, senza fondamento scientifico.
Per nostra fortuna, la quantità di “diossine” nei nostri rifiuti, ed in particolare nei nostri scarti alimentari, sta progressivamente diminuendo a seguito delle drastiche misure che tutto il Mondo ha adottato per ridurre le emissioni di diossine da fonti industriali, a cominciare dagli inceneritori.
E’ grazie a queste misure preventive se nella dieta giornaliera di un inglese nel 1987 si trovavano 125 picogrammi di “diossine”, nettamente inferiori a quelle che si trovavano nella stessa dieta nel 1982: 240 picogrammi di “diossine”.
E nel 1992 la situazione mostrava ulteriori segni di miglioramento, in quanto ogni cittadino britannico trovava mediamente nei propri piatti solo 70 picogrammi di “diossine”.
E le stime europee valutano che mentre nel 1970 l’Europa produceva 25 chili di diossine, nel 2000 la produzione di diossine si riduceva a 5 kg, grazie alla chiusura degli inceneritori più inquinanti, all’incentivazione al riciclaggio dei rifiuti, all’introduzione della marmitta catalittica, alla riduzione delle emissioni nei processi produttivi, in particolare nella produzione dell’acciaio.
Progressive diminuzioni della presenza di diossine negli ultimi venti anni sono confermate anche nei fanghi dei depuratori, nel compost, nei vegetali e per fortuna anche nel latte materno.
Uno studio simile a quello italiano è stato effettuato in Spagna, sull’inceneritore di Tarragona. Anche in questo caso si sono misurate le diossine nei fumi e nelle ceneri, ma, in modo corretto, si è pensato di misurare le “diossine” anche nei rifiuti utilizzati per alimentare questo impianto (14).
Da questo studio, effettuato nel corso del 1999, risulta che in quell’anno, la quantità di “diossine” presente in un normale chilo di rifiuti urbani variava da 2.200 a 7.000 picogrammi, con il valore più frequente pari a 2.700 picogrammi, quindi quantità nettamente più basse di quelle usate nello studio italiano (13) per “assolvere” l’inceneritore dalla accusa di inquinamento da “diossine”.
E’ interessante osservare che lo studio sull’inceneritore spagnolo, con sistemi di abbattimento fumi confrontabili con quello italiano, ha una conclusione diametralmente opposta: se, come oggi è normalmente vero, i rifiuti hanno un contenuto di “diossine” compreso tra 2.300 e 2.700 picogrammi per chilo, il loro incenerimento comportava una significativa produzione netta di nuove “diossine” stimata, per l’inceneritore di Tarragona, in 2,28 grammi all’anno (6,24 miliardi di picogrammi al giorno).
Se si confermasse anche per i rifiuti italiani il contenuto di “diossine” trovato nei rifiuti spagnoli, anche l’inceneritore testato da Giugliano et al. sarebbe un impianto produttore di diossine, ovvero un impianto che immette nell’ambiente una quantità di diossine superiore a quella presente nei rifiuti trattati.
E questo è il motivo per cui il moderno inceneritore italiano, oggetti degli studi sul bilancio di massa delle “diossine”, pur avendo una concentrazione di “diossine” nei fumi nettamente inferiore agli attuali limiti di legge, in Giappone sarebbe considerato fuori legge.
Infatti, la normativa Giapponese sull’incenerimento dei rifiuti, approvata nel 1997, tutela certamente con maggiore rigore scientifico la salute dei cittadini giapponesi rispetto ai cittadini europa.
Infatti la legge Giapponese prescrive che la quantità complessiva di “diossine” prodotte da un inceneritore (nei fumi, nelle ceneri leggere, nelle ceneri pesanti, nei fanghi) deve essere inferiore a 5.000 picogrammi per chilo di rifiuto incenerito, mentre l’inceneritore italiano, nell’esperienza descritta, produceva 10.440 picogrammi di “diossine” per chilo di rifiuto incenerito.
Come si può vedere, il limite di 5.000 picogrammi per chilo fissati dal Giappone, non è molto superiore alla concentrazione media di “diossine” trovata nei rifiuti spagnoli.
Pertanto, rispettando questa norma ci sono sufficienti garanzie che dopo il trattamento di incenerimento, la quantità di “diossine” immesse nell’ambiente, anche sottoforma di ceneri, non sia superiore a quella presente nei rifiuti trattati.
Non escludiamo che i nostri valenti ingegneri riescano a migliorare ancor di più i loro impianti di termovalorizzazione dei rifiuti, mettendoli in grado di rispettare anche la normativa giapponese, ed inertizzando, con ulteriori trattamenti sia le ceneri pesanti che quelle leggere, ma a quali costi? Pagati da chi?
Bibliografia
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