Traduzioni

28 luglio 2008

Il lavoro e noi

Tra ieri e oggi sul lavoro ci sono notizie che interessano tutti i cittadini di Napoli e della Campania, proprio tutti, nonni, bimbi, mamme, donne, ragazze, ragazzi, papà, zitelli, madri sole, coppie, separati, infermi, anziani, ricchi e poveri. Stanno tutti peggio, persino chi sta veramente bene si deve preoccupare per i propri figli e nipoti (casomai si volessero dissociare dalla stirpe), o per l’impiegato con cui ha spesso a che fare, o per la propria (il proprio) collaboratrice (collaboratore) di fiducia (domestico e non).
1) il consiglio regionale della toscana ha approvato una mozione per chedere lo stralcio della legge 188 dall’elenco delle abrogazioni del decretone economico (il dlgs 112/08) che il parlamento si accinge a convertire in legge. (La questione riguarda - ne avevamo già parlato - il fenomeno delle dimissioni in bianco al momento dell’assunzione che con la legge 188 diventavano praticamente impossibili; il fenomeno qui da noi interessa come vedremo gli occupati nei settori marginali e non solo)
2) un emendamento con parere favorevole del governo (sempre sulla conversione della stessa norma) elimina la trasformazione di fatto e di diritto di un lavoro a termine che risulti impropriamente tale in un lavoro stabile (lavoratori a tempo determinato, apprendisti, stagionali, interinali, cococo). In campania il lavoro a termine copre il 70% delle assunzioni. Ma in realtà il lavoro è sempre a termine perchè quello a tempo indeterminato lo utilizzano quasi esclusivamente imprese piccole, per prendere incentivi e quello veramente stabile è chiuso in preziose nicchie di merito o di privilegio. E queste sono le opportunità in alternativa al nero per chi riesce a trovare un lavoro.
3) un ulteriore provvedimento infine taglia selettivamente i premi di produzione dei dipendenti pubblici. In Campania i dipendenti pubblici rappresentano più di un terzo degli occupati.
Qui non si salva nessuno: gli occupati stanno tutti peggio.
Delle dimissioni in bianco si sa che da sempre accompagnano, come uno spiacevole inconveniente, quel giorno beato in cui si ha la fortuna di essere finalmente assunti. Si sa che mettono in salvo dagli impegni sulla tutela e la sicurezza del lavoratore le ditte appaltatrici di opere e forniture pubbliche, si sa che rappresentano l’assicurazione flat, gratuita, per ogni inconveniente che metta a rischio la fine di un rapporto di lavoro, la faccia diventare un caso, faccia sentire la puzza della vendetta, della ritorsione. Un’assicurazione sulle maternità, gli infortuni, le delazioni, le molestie, gli abusi, i soprusi che “possono capitare”. Delle dimissioni in bianco si sa che sono quella cosa che più di ogni altra porcheria sul lavoro fa fare spallucce e sorridere, sui diritti del lavoro e sulla legalità, chi lavora in nero, non si mette il casco sul pontile, sta a sentire con interesse e buon senso i consigli della malavita, intasca la giornata da "palo" o da spacciatore, più buona, molto più buona di quella dell’antennista apprendista che gli viene a mettere "il satellite" e del centralinista a provvigione che gli ha fatto il contratto, più buona della busta paga di quella che gli ha cucito la lussuosa camicia che si è appena comprato, di quello che c’è scritto sopra a quella bista paga e del meno che c’è dentro.
Degli atipici si sa quanto poco conti e sia malvista quella parte malcapitata che su questo modo di lavorare ci conta, ci si riconosce, lo sceglie, altrimenti non potrebbe fare. Si sa quanto poco le nostre istituzioni, prima ancora che i nostri movimenti sindacali, pensino di dare fiato alle esigenze dei giovani, degli studenti, perché il lavoro veramente cambi, veramente lo si possa scegliere liberamente, cambiare quando si vuole, graduarlo sulle proprie esigenze e disponibilità, valorizzarlo con le proprie capacità. Si sa quanto poco ci credano i mercanti del lavoro a questo mondo nuovo in cui c’è lavoro per tutti e sempre un lavoro migliore. Non ci crede nessuno, a parte quei quindici milioni di ragazzi italiani che ci devono credere per forza altrimenti si ammazzano.
Dei dipendenti pubblici si sa che quelli sono i dipendenti nostri, quelli che lavorano per noi, quelli che a cui troppi di noi si tengono stretti come all’ancora di salvezza di tutta la famiglia, insieme ai nonni con la pensione. Si sa che se dallo stipendio ci togli la parte straordinaria e i premi resta il reddito minimo di sopravvivenza, quello che qualsiasi lavoratore pensa di ricevere per vivere e di spendere per sopravvivere e che dunque identifica con il dovere di alzarsi ogni mattina e andare là e restare a disposizione. L’altro pezzo dello stipendio, quel di più tagliato, è quello che lo fa lavorare, lo motiva, gli dà la soddisfazione di portare a casa i soldi, quelli veri, per i consumi, il bello, l’emozione, il riso, il pianto, i bambini, la passeggiata. Li ritroveremo tutti inerti, tristi, svuotati, occupati senza speranza, anche i più volenterosi e bravi, comunque tutti uguali, nel bene e nel male. Non ci regaleranno più niente, nemmeno quello di cui abbiamo veramente bisogno.
Qui dunque, gli occupati stanno tutti peggio, e niente ci guadagnano i disoccupati perché, come ormai vediamo da venti anni, il fatto che si può licenziare di più, pagare di meno e trattare peggio i lavoratori non fa aumentare di nulla le possibilità di trovare un lavoro, anzi la situazione tendenzialmente peggiora. Si è capito pure che non serve a niente stressare i disoccupati sull’orientamento, l’autoimpiego, la formazione, se non a far capire ai più che è meglio proprio smettere di cercarsi un lavoro.

Si resta in pochi, così, in pochi eletti (elettori?) disoccupati autentici, le gambe segate alla metà esclusa della popolazione, sia essa “fottuta” perché è proprio fuori dal sistema dei favori e dunque non abbastanza "attiva", sia, persino, perchè non lotta!.
Per finire, attenti a trarre profitto nel dare ospitalità o lavoro a una o un clandestino, e questa è la quarta notizia per tutti: si rischiano fino a tre anni di reclusione e la confisca dell'immobile. Rischiamo di meno se al nostro colf regolare o indigeno quando lo vediamo sul davanzale che pulisce i vetri e tralasciamo di pensare che se nelle stesse condizioni ci fosse un nostro figlio ci verrebbe un infarto, capita di cadere giù e morire.


sv

PS La strada da seguire può essere un'alra? per esempio lavorarare sul lavoro? Proprio facendo lavorare meglio chi lavora, facendo produrre meglio e non solo di più, facendo crescere in responsabilità, disponibilità, formazione e soddisfazione chi lavora, e specialmente le donne, si percorre l’unica vera strada (la one best way) che porta alla nuova occupazione, alla crescita delle imprese, dei posti, del reddito, della produttività, delle esportazioni, del commercio, dei servizi, del benessere. E invece giù colpi letali per chi lavora, comunque sia, qui nel nostro sud.

PPS la notizia sulle dimissioni involontarie parla con apparente ridondanza della mozione del consiglio regionale della toscana. Apparente per due buone ragioni: 1) le regioni hanno voce in capitolo, a quanto dice la costituzione, in materia si tutela e sicurezza del lavoro, e sulla abrogazione della legge 118 nessuno ha sentito il loro parere; la regione toscana soffre il problema delle dimissioni in bianco, come tanta parte d’Italia, soprattutto per le donne e la questione della maternità e si preoccupa come istanza democratica di difendere un principio di giustizia sociale; qui da noi, per esempio in campania, come si è detto sopra la questione delle dimissioni in bianco è vecchia e saputa, è ordinaria amministrazione. E allora c’è un motivo in più per riflettere sull’ignavia e l’immobilismo di questo nostro consiglio regionale che ha perso un’altra occasione per ricordarsi di essere “electo”.

rete antirazzista napoletana


una convocazione al nostro ritorno, secca e precisa, di primo mattino per esserci - testimoniare - cambiare !

Oggi, Lunedì, alle ore 9.30 in Piazza Municipio, Manifestazione dei migranti e rifugiati sfrattati a Pianura, discriminati dalle istituzioni e respinti da via Pasquale Scura.Chiediamo a tutti/e di partecipare e solidarizzare
Antirazzisti Napoletani

Le foto della notte in strada sono su indymedia



COMUNICATO

'Un assessore per i bianchi, un assessore per i neri... L'ipocrisia delle istituzioni. La protesta razzista in via Pasquale Scura' Al momento in cui scriviamo sono ancora in mezzo alla strada parecchie decine di immigrati dal Burkina Faso e dal Capoverde, moltissimi richiedenti asilo, diversi bambini. Una parte ha trascorso la notte sui materassii nel mezzo di via Trencia a Pianura, dopo lo sgombero di ieri e una giornata assurda e difficile da dimenticare. Ma riepiloghiamo la lunga coda degli avvenimenti che fotografano una città in cui la discriminazione e il malgoverno hanno segnato un altro punto a favore dopo i pogrom di Ponticelli, il posto in prima fila nella schedatura etnica dei rom, la tragica vergogna di Torregaveta...
I fatti:
1) Dalla mattina di ieri polizia e carabinieri avviano lo sgombero del 'lotto1' di via Trencia a Pianura. Uno stabile fatiscente in cui abitano insieme circa 40 nuclei di 'autoctoni' e una ottantina tra immigrati e rifugiati. Alcuni tra i napoletani (16 nuclei) sono assegnatari che aspettano ancora una casa popolare dal terremoto del 1980...!
2) Si tratta di un problema conosciuto. La convivenza ha funzionato bene, ma lo stabile occupato è fatiscente. Il comune di Napoli dice da anni di occuparsene, eppure arriva allo sgombero coattivo e senza nessuna soluzione! Il motivo formale è l'emergenza sicurezza per un incendio che si è sviluppato al pian terreno il giorno prima. In realtà chiunque può vedere che i danni dell'incendio (forse doloso) sono molto relativi e non aggiungono ne tolgono davvero niente all'agibilità della struttura. Ma la vicenda è utilizzata dall'assessore alla protezione civile Nugnes per forzare uno sgombero al buio! Ricordiamo che le abitazioni occupate in via Trencia (come quelle in via dell'Avvenire sempre a Pianura) sono state fatte oggetto di propaganda xenofoba già lo scorso anno da parte di Alleanza Nazionale. Manifesti razzisti cui seguì un blitz di carabinieri , accompagnati da rappresentanti di AN, a 'caccia di immigrati'...
3) Il comune di Napoli non ha preparato alcuna soluzione. In realtà la città e la regione rispetto alle altre realtà italiane non hanno mai individuato strutture per l'accoglienza. Difficile così non farsi precipitare le emergenze addosso... Addirittura un funzionario presente allo sgombero sostiene che il censimento degli assistenti sociali pochi giorni prima non ha rilevato la presenza di immigrati! (Eppure potevano chiedere ai carabinieri e ad AN...).
4) Si mette in moto la meravigliosa macchina da guerra dell'emergenza (la nuova religione civile..)! Ma in maniera quanto meno bizzarra..: l'assessore alla protezione civile, Nugnes, trova rifugio temporaneo solo ai napoletani, assegnatari o meno (nella sede della municipalità). L'assessore alle politiche sociali, Riccio, si occupa di migranti e rifugiati... Perchè seguire questo schema di divisione per degli sfrattati che vivono insieme da dieci anni, è un mistero irrisolto! Nei fatti i primi trovano almeno un rifugio, per i secondi l'odissea invece continua... Infatti in serata l'assessore Riccio individua come rifugio temporaneo una scuola a via Pasquale Scura, a Montesanto. I migranti e i rifugiati accettano di uscire dal palazzo e caricano materassi e beni essenziali sui camion... quando tutto si blocca. Si saprà dopo che in via Pasquale Scura è scoppiata la protesta di alcune decine di persone (guidate, pare, da Salvatore Lezzi, un consigliere municipale ex di Forza Nuova - l'organizzazione neofascista). L'arma di propaganda per sobillare la protesta anti-immigrati è che 'si prendono la scuola'.Tanto basta perchè la questura e la prefettura blocchino tutto, perchè 'non possiamo garantire la sicurezza'...! Ma 'domattina ci sarà un tavolo organizzativo in prefettura che garantirà l'accesso allo spazio'.Gli immigrati dormono in strada (nella foto) e nelle macchine.

Stamattina la lieta novella dalla prefettura: 'Abbiamo scherzato. Non c'è nessun tavolo, la soluzione di via Pasquale Scura per noi è impraticabile (!?)'.

La beffa è completa, come l'ennesimo episodio di discriminazione nella nostra città. Migranti e rifugiati sono in strada. L'odissea, al momento, continua...

Rete Antirazzista Napoletana

22 luglio 2008

Prostituzione: aiutare le vittime, non agevolare gli sfruttatori

COMUNICATO STAMPA

Prostituzione: aiutare le vittime,
non agevolare gli sfruttatori
Alcune delle più qualificate organizzazioni attive nel settore hanno presentato oggi
le proprie proposte al Governo

ROMA – Dinanzi all’allarme e al disagio che diversi cittadini e alcune collettività manifestano nei confronti del fenomeno prostituzione non ci sono scorciatoie: occorre tenere insieme la tutela dei diritti delle vittime, il contrasto delle organizzazioni criminali, le esigenze di sicurezza che – per essere tale – non può che venire declinata come “sicurezza sociale” e riguardare tutti. È questo il messaggio che alcune delle più qualificate organizzazioni che operano nel settore della prostituzione e della tratta – Asgi, Associazione Gruppo Abele, Associazione On the Road, Caritas Italiana, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca), Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Comune di Venezia, Consorzio Nova, coop. Soc. Dedalus, Save the Children – hanno mandato oggi al Governo presentando un proprio documento di analisi e proposte.
Le organizzazioni firmatarie del testo sottolineano che la conciliazione di queste diverse esigenze è già praticata ogni giorno in tante città della Penisola: si tratta di quel “modello italiano” che ha fatto del nostro Paese il punto riferimento nello scenario internazionale in materia di tutela delle persone vittime di grave sfruttamento e di tratta. Un approccio che ha permesso di proteggere la persona sfruttata e vittima di tratta che decide di uscire dal racket; proporle occasioni di formazione e inserimento sociale e lavorativo; favorire la denuncia degli sfruttatori; rafforzare la collaborazione tra enti locali, associazioni, magistratura, forze dell’ordine; intervenire per gestire gli eventuali conflitti che si creano con i residenti.
I promotori del documento chiedono, perciò, al Governo – che sta elaborando un Ddl in materia di prostituzione – di rafforzare, per quanto gli compete, un modello che, tra le altre cose, ha portato il nostro Paese al primato negli arresti e processi per reati di tratta e correlati.

A tal proposito, le organizzazioni firmatarie ritengono che l’impianto della legge Merlin vada conservato, proprio perché ha permesso la nascita e la sperimentazione di questo modello. Dichiarano, perciò, la propria contrarietà a vietare la prostituzione in strada perché inefficace e controproducente in quanto criminalizza le vittime e non gli sfruttatori; permette che le reti criminali organizzino lo sfruttamento della prostituzione al chiuso; rende più difficile l’azione delle associazioni, diminuendo così nel contempo le possibilità per le vittime di uscire dal racket e denunciare gli sfruttatori. Insomma, il “giro di vite” che il Governo sembra intenzionato a varare avvantaggia, di fatto, gli sfruttatori e danneggia le vittime.

Per potenziare, invece, un modello di intervento che sta dando ottimi risultati, i firmatari del documento avanzano numerose proposte:
• formare Tavoli territoriali di concertazione aperti a tutti gli attori e attuare programmi di gestione dei conflitti nei territori in cui più forte è il senso di insicurezza;
• definire, finalmente, un Piano nazionale Anti-tratta;
• assicurare le speciali tutele di cui hanno diritto i minori;
• favorire il ricongiungimento dei familiari delle vittime di tratta;
• trasformare i progetti attivati dalle associazioni – i primi risalgono a otto anni fa – in servizi permanenti, finanziati con bandi pluriennali;
• formare le forze dell’ordine e gli operatori della giustizia sulle opportunità offerte dalla legislazione vigente;
• promuovere il Numero Verde in aiuto delle vittime di tratta;
• stabilire gli opportuni collegamenti (sia sul piano sociale sia investigativo e giudiziario) del nostro sistema nazionale con i Paesi d’origine delle vittime di tratta e con i Paesi di transito e destinazione;
• ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa contro la tratta.

Le organizzazioni promotrici del documento si attendono, infine, che il Governo pratichi – esso per primo – quel “metodo di lavoro condiviso” che appare indispensabile in un ambito così delicato e complesso, anche attraverso la valorizzazione del Comitato di coordinamento delle azioni di governo contro la tratta, attivato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

21 luglio 2008

Nuove fragilità sociali

Reggio Emilia - presentato il 14° volume di "Strumenti', dedicato alle nuove fragilità sociali e alle azioni per affrontarle.

La fragilità ‘invisibile’, quella che si nota meno e prende in contropiede, che affiora dove gli stereotipi del senso comune non la prevedono. Una vulnerabilità nuova e sempre più diffusa, quotidiana e sommersa, che va oltre le nuove povertà (dall’emarginazione alla tossicodipendenza) e le vecchie (ma sempre attuali) povertà materiali, è trasversale alle fasce sociali e alle condizioni oggettive di vita. Alimentata dalla frammentazione e dall’instabilità tipiche della società ‘liquida’ di Zygmunt Bauman, è una povertà prima di tutto di relazioni, originata dall’assenza o dalla perdita di legami, di rapporti vitali.

“È emersa una drammatica povertà relazionale, una frantumazione dei legami che diffonde la sensazione di essere nel vuoto. Anche la crescente difficoltà a manifestare i bisogni relazionali, in una realtà sociale divenuta sempre più competitiva, rende difficile riconoscerli e manifestarli: oggi esprimere un dolore è molto difficile (anche quello di chi fa una vita normale e incappa in una delusione)”.

Lo scrivono Vanna Iori, responsabilità dell’Osservatorio permanente sulle famiglie del Comune di Reggio e docente di Pedagogia generale e della famiglia all’Università Cattolica (sede di Piacenza) e Marita Rampazi, docente di Sociologia generale all’Università di Pavia: sono autrici del 14° volume della collana Strumenti dedicato a Nuove fragilità e lavoro di cura, edito dal Comune di Reggio e dall’Osservatorio sulle famiglie.

“Da questo lavoro – ha detto oggi il sindaco Graziano Delrio, presentando il volume alla stampa e agli operatori sociali reggiani – emergono alcune indicazioni assai utili per orientare la nostra azione politica e amministrativa, a cominciare dall’organizzazione dei Servizi sociali. I ricercatori ci dicono quanto sia importante un rapporto empatico e di rete fra operatori e persone, per colmare sempre più le distanze e condividere quelle situazioni di nuova fragilità e solitudine che si delineano, per sviluppare la nostra capacità di orientamento verso giovani, anziani e famiglie. Un lavoro che i Poli territoriali già svolgono ampiamente e possono svolgere ora con sempre maggiore fiducia, grazie a queste indicazioni di ricerca”.

“Lo studio – ha proseguito Delrio – sottolinea fra l’altro l’importanza di creare luoghi di relazione, credo che il nostro impegno nella riqualificazione di Ville, quartieri, spazi pubblici sia una risposta, quanto la collaborazione fra Comune e privato sociale per un tessuto sociale sempre più fondata su valori comuni”.

Per l’assessore alle Pari opportunità e Diritti di cittadinanza, Gina Pedroni, “è evidente il ruolo sempre più accentuato delle comunità come ‘sentinelle’ delle nuove fragilità, un ruolo fondamentale, che fra l’altro può anticipare situazioni di emergenza. Nello sviluppo di questa rete di ascolto, prevenzione e intervento le nostre agenzie, dai Poli territoriali a Fcr, ai Nidi e Scuole d’infanzia, sono fortemente impegnate. Ci troviamo sempre più di fronte a un lavoro di ‘interpretazione’ delle persone, ben delineato in questo numero di Strumenti, che infatti si occupa non di elaborazione di pur importanti dati statistici, ma di riflessioni e indicazioni tratte da storie di vita, storie di persone”.

UTILITA’ PER GLI OPERATORI – in particolare agli operatori sociali si rivolgono Iori e Rampazi, quando suggeriscono un modo sempre più aggiornato di leggere e relazionarsi con la complessità sociale contemporanea. Un metodo fra l’altro già ampiamente seguito e vissuto dai Poli territoriali. “Il contesto delle nuove precarietà e della difficoltà, da parte degli operatori, ad individuare strategie idonee ai grandi cambiamenti in atto nei bisogni e nelle richieste – ha spiegato fra l’altro Vanna Iori – rende necessario lavorare con lo sguardo alla complessità… La complessità richiede che si potenzino forme di collaborazione tra i Servizi: è necessario costruire storie di cooperazione tra i vari componenti della rete. È quindi importante proseguire un percorso con le persone, altrimenti è come se venisse intercettato un segmento e si perdesse l’interezza della storia di una vita e il suo senso... ”.

Si pone quindi “la necessità improrogabile di uscire da una logica puramente assistenzialistica, dovuta al fatto che i poveri oggi sono le famiglie normali. Per individuare quali strategie di lavoro sociale, educativo, sanitario sia possibile attivare, occorre che i servizi abbiano la capacità di affrontare queste sfide con uno sguardo ampio. Saper vedere significa andare oltre le informazioni quantificanti (che pure sono necessarie), e saper superare la barriera dell’ovvietà (…). Davanti alle fragilità latenti sono infatti indispensabili competenze diverse da quelle tradizionali. Un progetto antiesclusione deve quindi muoversi nella prospettiva di apertura al futuro: far leva sul poter essere, ossia sulle possibilità del singolo individuo. Appare evidente che non è pensabile un servizio per intercettare il rischio, ma occorrerà sempre più pensare a figure di operatori sociali (professionisti e volontari, preferibilmente in collaborazione tra loro) per orientare ogni persona in condizione di precarietà esistenziale a trovare una risposta efficace per sé. Nei percorsi di inclusione-esclusione occorre inoltre una nuova consapevolezza dei vissuti, poiché questa è una competenza professionale degli operatori sempre più indispensabile”.

SERVE CREARE RETI E LAVORARE IN RETE – Le testimonianze che si rincorrono tra loro in molte interviste mostrano chiare indicazioni di lavoro: condividere, ascoltare, costruire storie, responsabilità, accompagnamento, cura delle relazioni, tempo, prossimità solidale, corresponsabilità, co¬-progettualità, valorizzazione delle risorse latenti, ristrutturazione della situazione, alleanza paritaria costruttiva, creazione di micro contesti di accoglienza, riacquisizione di autostima e di fiducia, creazioni di servizi ponte con i servizi istituzionali, più strutturati e rigidi”.

SOLITUDINE E ASCOLTO – Un punto centrale emerso dalla ricerca è la solitudine del soggetto di fronte a difficoltà impreviste e a quelle quotidiane. “Il primo supporto relazionale è quello familiare: chi vive al di fuori di una rete relazionale familiare ha una minore possibilità di attivare anche le sue risorse. Se fino a qualche anno fa la famiglia aveva a disposizione molte più reti, oggi i nuclei sono sempre più frammentati, e questo è un aspetto che non può essere ignorato nella formazione e nella progettazione dei Servizi. Una mamma sola che non riesce ad andare alla riunione esprime una situazione di fragilità e viene privata di un’occasione di confronto, di scambio con altri genitori. L’ascolto deve essere capace di cogliere i segnali che rappresentano una dimensione di fragilità (anche nell’apparente normalità) e che si possono manifestare in contesti diversi da quelli dei Servizi, nei luoghi formali e informali, nelle sedi territoriali che già svolgono la funzione di luoghi di incontro. Lì si dovrebbe cominciare a pensare di non lasciare quelle situazioni che possono andare alla deriva”.

RESPONSABILITA’ – “L’ascolto deve accompagnarsi all’assunzione di responsabilità per attivare o costruire relazioni. Esistono problematiche delle singole persone riguardanti più Servizi e che devono essere affrontate con una condivisione. Un esempio: la graduatoria delle case popolari riguarda tutte le persone che hanno una situazione economica difficile; ma quando si esamina il singolo caso si scoprono altre situazioni (chi fa la richiesta può avere anche un problema lavorativo, può essere una madre sola con figli, ecc.); quindi da una situazione specifica si passa a una situazione che deve essere affrontata in modo condiviso; il singolo problema è sempre legato al contesto. Il pronto soccorso, altro esempio, si trova di fronte a richieste che non riguardano più solo l’emergenza sanitaria; per alcune famiglie che non possono contare su altre risorse o aiuti (soprattutto quelle prive di reti relazionali di sostegno) è il luogo in cui rivolgersi per problematiche quotidiane, come quando non si sa come interpretare il pianto di un bambino o un semplice arrossamento della cute viene scambiato per malattia esantematica.
È importante che più Servizi assumano la responsabilità condivisa di individuare la strategia migliore per risolvere il problema non solo a livello individuale ma riconoscendo che ognuno ha una parte di responsabilità. Un problema deve essere socializzato perché possa essere preso in carico da soggetti e servizi sociali, educativi e sanitari. Oggi il lavoro sociale richiede alleanze, è necessario mettere insieme diverse visioni”.

IL QUADRO – Vi sono gli anziani – spiegano Iori e Rampazi – particolarmente esposti a criticità economiche, relazionali, di salute. Abbiamo, poi, gli immigrati, che devono talvolta assoggettarsi a “contratti-capestro” per lavorare, faticare per trovare un alloggio, imparare la lingua, riuscire a convivere con una cultura “altra” e con la nostalgia per la famiglia lontana, facendosi accettare dalla comunità in cui vivono e lavorano. Analogamente, si sa che le donne, quando restano da sole a crescere i figli, devono affrontare difficoltà di ogni genere. Talvolta, le difficoltà sembrano insormontabili, soprattutto se la condizione di madre sola si intreccia con quella di persona lontana dal proprio luogo d’origine, dal sostegno delle famiglie, dalla propria consolidata rete amicale. Sappiamo, altresì, che malati, disabili, tossicodipendenti sono tutti soggetti a rischio, tradizionalmente al centro dell’attenzione dei Servizi”.

Queste categorie sono le maggiormente a rischio. Ma possono essere, per le ricercatrici, solo la punta dell’iceberg, la parte emergente di una zona nascosta della fragilità, molto più estesa di quanto si pensi normalmente. Lo fa, ad esempio, rilevare chi conosce da vicino le difficoltà economiche di molte famiglie “normali”, progressivamente impoverite dalla perdita del potere d’acquisto di salari e stipendi, che spesso non riescono ad affrontare i normali imprevisti del ménage, se non godono di un forte sostegno da parte della rete parentale. Molti rischiano di perdere la propria casa, abbandonare il quartiere, rinunciare ai progetti per il futuro dei figli e all’immagine di decoro, faticosamente costruita negli anni. Indipendentemente dalle ragioni oggettive che giustificano le difficoltà economiche, sembra comunque di cogliere, nei suggerimenti di molti intervistati, un problema più generale: nella nostra società, si profila una criticità crescente nei rapporti delle persone con il denaro. Tendenza a “fare il passo più lungo della gamba”, incapacità di dire di no ai figli, anche quando si tratta di pretese molto onerose, difficoltà nell’adeguare le attese circa il proprio tenore di vita alla reale situazione che si prospetta. Nel lungo periodo, ciò può generare un logoramento delle relazioni familiari, suscettibile di portare, prima o poi, alla disgregazione del nucleo.

Di vulnerabilità diffusa parlano anche coloro che vedono il disagio di quanti – soprattutto giovani – non riescono a trovare un’occupazione stabile e coerente con le proprie capacità, esigenze, aspirazioni; o che suggeriscono di considerare la sofferenza relazionale nel luogo di lavoro, in particolare, le pratiche di mobbing, come un vero e proprio problema sociale.

C’è, poi, un’area di fragilità nascosta che mette a rischio la tenuta delle famiglie, non solo quando accade un evento imprevisto, di particolare gravità – quali morte o malattia di un membro del nucleo, perdita del lavoro da parte del capofamiglia, brusco rialzo del tasso dei mutui sulla casa – ma anche quando si deve affrontare la ridefinizione degli equilibri interni, in coincidenza con i normali passaggi della vita familiare. Nelle giovani famiglie, in particolare, la nascita di un bimbo si configura sempre più come un momento di grande tensione per il legame di coppia. Le madri, soprattutto, rischiano di non riuscire a superare la normale depressione puerperale, alle prese con nuove limitazioni della propria libertà, con familiari troppo invasivi o troppo assenti e con dei partner che sembrano sottovalutare la loro fatica, pretendendo da esse le stesse attenzioni e la stessa presenza di prima.

tratto da bologna2000.com

La spazzatura di Napoli e quella del governo

La spazzatura di Napoli e quella del governo
di EUGENIO SCALFARI

NAPOLI restituita all'Occidente è uno slogan enfatico che Berlusconi ha usato per celebrare lo sgombero dei rifiuti dopo 56 giorni dall'inizio dell'operazione. Un po' enfatico ma tuttavia adatto alla circostanza. Erano infatti sette od otto anni che il problema dei rifiuti, con alti e bassi, affliggeva la città e la provincia.
I responsabili sono molti: il governo di centrodestra 2001-2006, il governo Prodi 2006-2008, il sindaco Russo Jervolino, il presidente della Regione Bassolino, la società Impregilo, alcuni dei commissari che si sono succeduti, Pecoraro Scanio ministro dell'Ambiente. E soprattutto la camorra.
Ma il culmine del disastro è avvenuto nel biennio prodiano e il centrosinistra ne porta la responsabilità. Berlusconi da quel grande comunicatore che è l'ha capito al volo, ci ha impostato la campagna elettorale e poi i primi atti del suo governo. Dopo due mesi ha risolto il problema. Non era poi così difficile ma segna la linea di confine tra chi privilegia il fare sul mediare, tra chi ha carisma e chi non ce l'ha.
Dopodiché Berlusconi resta quello che è, un venditore al quale il successo ha dato alla testa, un egocentrico, un populista, un demagogo. Ma se non gli riconosciamo i pochi meriti che ha e soprattutto i demeriti dei suoi avversari su questo specifico tema diventa difficile criticarlo come merita di esserlo e con la durezza che la situazione richiede.
Quanto a tutto il resto, dare consigli al nostro presidente del Consiglio su come dovrebbe governare è tempo perso: lui, come scrisse Montanelli quando lasciò la direzione del "Giornale", si ritiene un incrocio tra Churchill e De Gaulle. Dare consigli a Tremonti è addirittura patetico: il pro-dittatore della nostra economia pensa e dice che Berlusconi gli è spesso d'impaccio.
Tra i due s'è aperta negli ultimi tempi una gara di megalomania di dimensioni patologiche che dovrebbe seriamente preoccupare i loro collaboratori, i loro alleati e soprattutto i cittadini da loro sgovernati.
Personalmente credo che la cosa più utile sia quella di filmare, fotografare, raccontare alcuni passaggi significativi dei due "statisti" con l'intento di risvegliare la pubblica opinione; tentativo che ha già avuto qualche successo se è vero che i più recenti sondaggi registrano un calo di dieci punti nei consensi del capo del governo tra giugno e luglio.
Per quanto riguarda il pro-dittatore dell'economia non si hanno ancora dati ma il mugugno cresce e si diffonde. La polizia di Stato scende in piazza, famiglie e lavoratori sono sempre più incattiviti, tra gli imprenditori grandi e piccoli preoccupazione e malcontento si tagliano a fette, i leghisti scalpitano, Regioni e Comuni sono sul piede di guerra.
Non è propriamente un bel clima e molti segnali dicono che peggiorerà.
La fotografia più tragica di Berlusconi (tragica per il Paese da lui rappresentato) ci è arrivata dal G8 di Tokyo. Terminate le riunioni di quell'ormai inutile convegno di impotenti, il nostro "premier" ha dato pubblicamente le pagelle agli altri sette protagonisti come fanno i giornali sportivi dopo le partite di Coppa e di Campionato. Con i voti e le motivazioni. Il nostro ha dato le pagelle sul serio. Poi, con appena un pizzico di ironia, l'ha data anche a se stesso concludendo che il migliore era lui.
Tre giorni dopo, parlando ai parlamentari del suo partito, ha ricordato che quello di Tokyo era il terzo G8 cui partecipava e saranno quattro l'anno prossimo. "Non merito un applauso?" ha detto ai suoi deputati. Naturalmente l'ha avuto.
Come si fa a giudicare un uomo così, che arriva al punto di tirare in ballo Maria Goretti quando parla della Carfagna? Che ha immobilizzato la politica per sfuggire ad un suo processo? Che per bloccare il prezzo del petrolio propone una riunione dei paesi consumatori per determinarne il livello massimo? Che accusa di disfattismo tutti quelli sono pessimisti sull'andamento dell'economia internazionale e italiana? E il pessimismo di Tremonti allora? Non è il suo superministro dell'economia? Siamo nel più esilarante e tragico farnetico.
Di Giulio Tremonti, tanto per cominciare, voglio ricordare tre recentissimi passaggi.
Il primo riguarda i condoni da lui effettuati durante la legislatura 2001-2006. Qualche giorno fa la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia per il condono sull'Iva del 2002 e per il condono "tombale" del 2004. La motivazione è durissima: "Richiedendo il pagamento di un'imposta assai modesto rispetto a quello effettivamente dovuto, la misura in questione ha consentito ai soggetti interessati di sottrarsi agli obblighi ad essi incombenti.
Ciò rimette in discussone la responsabilità che grava su ogni Stato membro di garantire l'esatta riscossione dell'imposta. Per questa ragione la Corte dichiara che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli..." eccetera eccetera. Stupefacente il commento di Tremonti con una nota ufficiale del suo ministero: "Messaggio ricevuto. Per il futuro c'è un esplicito impegno del governo ad evitare nuovi condoni".
Bene. I lettori ricorderanno che in tutto quel quinquennio la politica economica di Tremonti fece dei condoni lo strumento principale insieme ad altri trucchi della cosiddetta finanza creativa. La ragione di questa bizzarra e bislacca strategia fu quella di invogliare i contribuenti disonesti a patteggiare su una base minimale che procurasse tuttavia entrate capaci di far cassa fino al mutamento congiunturale che Tremonti dava per imminente.
Ma poiché quel mutamento tardava, l'evasione aumentava e il debito pubblico anche, il risultato fu che nel 2006 Tremonti consegnò a Padoa-Schioppa un'economia a crescita zero, un deficit del 4,6 del Pil, l'Italia sotto inchiesta europea per infrazione degli accordi di stabilità e l'avanzo primario tra spese e entrate annullato. Spettò a Padoa-Schioppa e a Visco di raddrizzare quella catastrofe, cosa che riuscirono a fare in meno di un biennio senza imporre alcuna nuova tassa né aumentare alcuna aliquota ed anzi abbassando di 5 punti le imposte sulle imprese e sul lavoro. Messaggio ricevuto, dice oggi Tremonti. Il quale ovviamente sapeva di violare con i suoi condoni le regole della Comunità europea e di fare contemporaneamente un enorme favore agli evasori.
Secondo passaggio. Tremonti ha presentato lo sgravio dell'Ici indicando una copertura di 2.600 miliardi. Successive analisi della Commissione bilancio e del servizio studi del Senato hanno accertato che il costo di quella misura era di un miliardo e mezzo in più. Un ministro-statista del calibro di Tremonti non dovrebbe presentare provvedimenti scoperti per oltre un terzo. Adesso comunque la copertura è saltata fuori. Da dove non è chiaro. Perciò domando: da dove? Mi si dice: nelle pieghe del bilancio c'è sempre qualche riserva. Qualche tesoretto? O che cosa?
Terzo passaggio. Polizia e Carabinieri stanno facendo il diavolo a quattro per i tagli al ministero dell'Interno e della Difesa. Hanno ragione. Anche Berlusconi, anche Maroni, anche La Russa stanno strepitando. Ed ecco la brillante idea: ci sono caserme e immobili del demanio da vendere. Vendiamole e col ricavato diamo un po' di soldi alla Polizia e ai Carabinieri. In realtà quando si vende un bene del demanio, cioè del patrimonio dello Stato, il ricavato dovrebbe andare a diminuzione del debito pubblico.
Non è così, onorevole ministro? Non a spese correnti, tanto più che i ricavi di una vendita sono "una tantum" e allora? Tre passaggi, tre fotogrammi, un personaggio. Un po' bugiardino. Con poca coerenza e molta "volagerie" negli atti e nelle opinioni.
A lui sono affidati i nostri destini economici, mi viene la pelle d'oca al solo pensiero.
Tralascerei il capitolo che i giornali hanno intitolato: "Brunetta e i fannulloni". Se non per dire che gran parte delle regole sulle visite fiscali e le sanzioni contro gli assenteisti risalgono al 1998. Non furono applicate perché per effettuare seriamente i controlli previsti ci voleva (e ci vorrà) un apparato organizzativo più costoso dei vantaggi di efficienza da conseguire.
Brunetta però ha ragione: lo sconcio dell'assenteismo e ancor più del doppio lavoro dovrebbe esser represso. Ma la faccia feroce serve a poco. Ci vuole un approccio appropriato. Per esempio la responsabilità dei dirigenti. Basterebbe controllarli da vicino e stabilire per loro premi o sanzioni sulla base dei risultati.
Quanto all'idea di azzerare i premi esistenti incorporati negli stipendi, tutto si può fare salvo schierare un ministro contro la categoria da lui amministrata. Si finisce con lo sbatterci il muso e farsi male.
Scusatemi se torno su Tremonti ma il personaggio merita attenzione.
Dice che quella che stiamo attraversando è la crisi internazionale più grave dal 1929 e forse peggio di allora. Dice che fu il solo ad averlo capito fin dal giugno 2007. Veramente in quegli stessi giorni lo scrisse anche Stiglitz, premio Nobel per l'economia, lo scrisse anche Nouriel Roubini, docente alla New York University e, assai più modestamente, anche il sottoscritto.
Comunque Tremonti capì e me ne rallegrai a suo tempo con lui. Ma visto che aveva capito, sapeva fin da allora che soldi da buttar via non ci sarebbero stati. Perciò avrebbe dovuto fermare la mano di Berlusconi quando promise in campagna elettorale l'abolizione dell'Ici e l'effettuò nel suo primo Consiglio dei ministri. Avrebbe risparmiato 4 miliardi di euro, un vero tesoretto da destinare alla detassazione dei salari. Invece non l'ha fatto.
Quattro miliardi buttati al vento. Non va bene, onorevole Tremonti. So che lei ha in mente di utilizzare la Cassa depositi e prestiti, il risparmio postale e le Fondazioni bancarie per finanziare le infrastrutture. E' un progetto ardito, soprattutto ardito usare il risparmio postale.
Comunque, di quali infrastrutture si parla? Quelle disegnate col gesso da Berlusconi nel 2001 sulla lavagna di Vespa e rimaste al palo? Vorremmo un elenco, le priorità, il rendimento e l'ammontare delle risorse. Si tratta comunque di progetti ad almeno tre anni. Nel frattempo dovranno intervenire le banche.
Sempre le banche. Per Alitalia, per le infrastrutture, per gli "swap", per i mutui immobiliari. Intanto i tassi salgono, gli oneri per il Tesoro aumentano, la pressione fiscale non diminuirà. La sua Finanziaria è piena di buchi e dove non ci sono buchi ci sono errori di strategia. Lei ha gratificato D'Alema con l'appellativo di statista.
D'Alema se lo merita immagino l'avrà ringraziata. Ma non s'illuda con questo di averne fatto un suo "supporter".
D'Alema è amabile ma molto mobile, cambia spesso scenario. E poi, se lei ha bisogno dell'opposizione per discutere di federalismo fiscale, non le basterà D'Alema. Ci vorrà tutto il Partito democratico, ci vorranno le Regioni e Comuni, ci vorranno le parti sociali. Non credo che il vostro federalismo diventerà legge in nove minuti e mezzo.
Giorni fa ho rivisto dopo cinquant'anni sulla tv "La7" il film "Accattone" di Pier Paolo Pasolini che fu presentato a Venezia suscitando allora vivaci discussioni. E' un film di un'attualità sorprendente e sconcertante. Racconta di un "magnaccia" che ne fa di tutti i colori fino al punto di rubare la catenina d'oro dal collo di suo figlio, un bambinetto di quattro anni, per sedurre una ragazza e poi avviarla sulla strada della prostituzione.
Il tutto sullo sfondo delle baraccopoli della Roma degli anni Cinquanta, una desolazione e un degrado senza limiti tornato oggi di tremenda attualità, campi nomadi e povertà straniera e nostrana.
Il ministro Maroni dovrebbe vederlo quel film, ne trarrebbe grande profitto. Fa bene a preoccuparsi dei bambini "rom", che rappresentano tuttavia una goccia nel mare delle violenze contro bambini e donne all'interno delle famiglie. Delle famiglie italiane, quelle degradate ma anche quelle apparentemente non degradate.
Comunque, prendere impronte a bambini è violenza. Magari a fin di bene ma sempre violenza. Uno stupro dell'innocenza. Maroni l'ha promesso ai suoi elettori ma questo non lo assolve perché uno stupro è pur sempre uno stupro. Stuprare l'innocenza d'un bambino è un fatto gravissimo. Questo sì, è un tema che vale una piazza, cento piazze, mille piazze.

La Repubblica 20 luglio 2008

l'inno

Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è desta,
dell'elmo di Scipios'è cinta la testa.
Dov'è la vittoria?
Le porga la chioma,
che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Noi fummo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popolo,
perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica bandiera,
una speme:
di fonderci insieme
già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Uniamoci, amiamoci,
l'unione e l'amore
rivelano ai popolile vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio:
uniti, per Dio,
chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Sì (cantato)

La via dell'atomo è una grande bugia

Guglielmo Ragozzino


Greenpeace propone di discutere il nucleare lasciando da parte ogni prevenzione legata alla militarizzazione del territorio, o alla trasmissione del debito nucleare sulle generazioni future, o alla proliferazione. Un primo punto è la falsa convinzione sulla parte del nucleare nel mondo dell'energia. Il nucleare ha un ruolo molto inferiore di quanto non dica la pubblicità.

L'energia utilizzata nel pianeta è spesso disegnata sotto forma di torta. Essa presenta tre fette più grandi, petrolio, carbone, gas naturale. Poi vi sono le fette minori: nucleare, idroelettrico, rinnovabili. In termini di energia primaria totale la quota del nucleare è valutata in sede Ocse-Aie nel 6,3% contro il 2,2% dell'idroelettrico. Una classifica che fa testo. Però la produzione globale del nucleare è di 2,768 Twh mentre quella idroelettrica è stata di 2,994 Twh. (2005). Come si spiega che il nucleare pesi in termini di fetta-di-torta tre volte tanto? E che abbia perciò il triplo di importanza nei recenti discorsi dei decisori politici? Il fatto è che mentre la potenza idroelettrica diventa interamente elettricità, quella nucleare lo diventa solo per un terzo, mentre il resto è calore che si disperde quasi per intero, osserva Greenpeace. Non si usa cogenerazione a partire dal nucleare.
Punto due. Le risorse di uranio note sono pari a 3,3 milioni di tonnellate, in particolare in Australia e Canada; considerando le risorse stimate si arriva a un ordine di grandezza di 5,5 milioni. Il consumo per i 439 reattori in esercizio nel mondo è di 70 mila tonnellate annue (2008). Ai livelli attuali di consumo, sono coperti 50 o 70 anni, comprendendo i ritrovamenti attesi. Se i reattori raddoppiano, il tempo per l'esaurimento dell'uranio si dimezza. Se triplicano, come suggerisce l'Aie, indicando in 32 centrali da 1.000 Mw ogni anno, il contributo che il nucleare potrebbe fornire alla riduzione globale del 50 per cento dei gas serra, finirebbe ben prima del fatidico 2050. Sarebbe esaurito, per quella data, anche l'uranio proveniente dagli arsenali atomici inutili, di cui oggi si fa largo uso. Quella delle «mille centrali» da costruire è anche l'idea suggerita da Silvio Berlusconi in sede G8, ma non figurò nel comunicato finale, anche per l'opposizione di Angela Merkel. La cancelliera tedesca ha ammesso di essere favorevole all'uso del nucleare, ma di dover sottostare alla volontà della sua coalizione che ha deciso la dismissione del nucleare civile in Germania.

Berlusconi si è poi rifatto a Parigi alla conferenza sul Mediterraneo proponendo l'adunata dei consumatori di petrolio per ottenere dai produttori un prezzo più abbordabile, e minacciando l'uso massiccio del nucleare per ridurre l'Opec e gli altri a più miti consigli. Con che risultati, non si sa.

Punto tre. La maggior parte degli impianti nucleari sono entrati in produzione elettrica (collegati alla rete) tra 1967 e 2006. C'è una fase di salita che culmina con il 1984 e poi comincia una netta discesa quasi senza ripensamenti. Il declino non è riferibile agli incidenti né di Tree Mile Island (1978) né di Cernobyl (1986), ma allo scarto tra costi e ricavi previsti. Il costo principale è quello della costruzione dell'impianto, dei macchinari, degli schermi protettivi.

Per gli impianti nucleari servono aiuti di stato, garanzie sui prezzi, sicurezza di monopolio. Il vero nemico sono le liberalizzazioni. Esse sono in forte contrasto con la produzione elettronucleare che ha invece bisogno del dirigismo che offre risorse ed elimina gli ostacoli, legali e ambientali. Se manca qualcuno degli elementi elencati prima, la scelta nucleare si fa più aleatoria. Chi ama i paradossi può dire che è stata Margaret Thatcher, spalleggiata da Ronald Reagan, a sconfiggere il nucleare. Negli Usa, ripete Greenpeace, è stata la liberalizzazione a bloccare gli investimenti in nuovi impianti nucleari da 30 anni.
Punto quattro. In queste condizioni è molto difficile che si lanci un programma nucleare in Italia. Quattrini pubblici non ce ne sono. Se ci fossero, partirebbe subito da Bruxelles una procedura d'infrazione nei confronti del governo italiano. Basta ricordare il caso dell'Alitalia. D'altro canto l'Enel, braccio pubblico del settore elettrico, ha creduto di aggirare difficoltà e controlli investendo nel nucleare in Francia e in altri paesi, come la Slovacchia, nella speranza di ritrovarvi appoggio pubblico, garanzia sui prezzi, monopolio sicuro.

Punto cinque. Il costo principale di un chilowatt nucleare è dato dall'impianto che conta per oltre i due terzi. Ma quanto costa una centrale nucleare? Greenpeace risponde che le valutazioni sono molto discordi: per 1.000 Mw si va da 2 miliardi di euro secondo la valutazione dell'Enel ai 3,5 della E.On, sua grande concorrente tedesca, ai 4,6 miliardi indicati da Moody's che ha svolto uno studio in ambiente Usa, ai 5,2 miliardi di un altro conto di origine Usa, effettuato dalla compagnia elettrica Florida L&P. Quattrini che possono essere recuperati solo con lunghe dilazioni e quindi la remunerazione degli azionisti è il punto debole; diverso il caso di garanzie pubbliche, come per l'impianto di Olkiluoto, in Finlandia, per il quale la copertura è data dai francesi e dagli svedesi, gli uni essendo interessati all'impianto e gli altri alla produzione elettrica. L'impianto ha sfondato i tempi di costruzione e i costi sono più che raddoppiati. L'appaltatore Siemens ha incaricato un subappaltatore polacco, risultato inadatto. Conseguenza: ritardi ed extracosti.

Punto sei. Avrebbe un senso ambientale l'introduzione di un massiccio numero di centrali? Raddoppiando i reattori entro il 2030 e attivando 500.000 Mw nuovi, i costi d'installazione ammonterebbero a 2.000 miliardi di euro. Si dovrebbe allacciare in rete un nuovo reattore ogni 2 settimane. E le emissioni di Co2 si ridurrebbero solo del 3%: risultati raggiungibili altrimenti, con minor spesa e più libertà.


(Testo completo, www.eguaglianzaeliberta.it )


Ecco le leggi precarizzanti

Antonio Sciotto – IL MANIFESTO – 19 LUGLIO 2008

Una gragnuola di leggi costruite per rendere ancora più precario il lavoro. Sarà più facile imporre le dimissioni alle lavoratrici in gravidanza, si riducono le pause, si potrà licenziare in cambio di un indennizzo. E, chicca delle chicche, si potranno avere apprendisti anche solo per un mese. Sono solo alcuni dei «capolavori» messi in cantiere dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi e dalla maggioranza di governo, che nel tourbillon di emendamenti alla manovra finanziaria in pochi giorni sta disfacendo diritti acquisiti in tanti anni. E poi alcuni li ritesse, come una tela di Penelope. E' di ieri infatti la notizia di una marcia indietro su due fronti, dopo le proteste di Pd e Cgil: l'obbligo di registrare il lavoratore il giorno precedente l'inizio d'attività, prima soppresso e oggi restaurato; il ridimensionamento del «voucher», o ticket a ore, limitato a studenti e pensionati e alle micro-imprese familiari. Ecco un piccolo vademecum delle contro-riforme sacconiane, contenute quasi tutte nel decreto 112 che compone la manovra. Le abbiamo ricostruite grazie alla guida di Claudio Treves, coordinatore del Dipartimento Politiche attive del lavoro Cgil nazionale.

I contratti a termine

Sui contratti a tempo determinato abbiamo due interventi diversi. Il primo, rappresenta un attacco simbolico all'articolo 18: si dispone infatti che nel caso in cui un'azienda abbia violato le causali per l'accensione di un contratto a termine, non scatti più l'assunzione a tempo indeterminato, ma l'imprenditore può chiudere la faccenda risarcendo il lavoratore con una somma che va da 2,5 a 6 mensilità di salario. Dall'altro lato, si interviene sul Protocollo welfare dello scorso anno in merito ai 36 mesi e all'obbligo di assunzione dopo un'unica proroga: la riforma prevede che possano derogare non solo i contratti nazionali, ma anche quelli territoriali o aziendali, senza però definire una scala gerarchica tra di essi. «Così si scardina - commenta Treves - un punto centrale del testo Cgil, Cisl e Uil sui contratti, dove si dice che gli ambiti del secondo livello devono essere stabiliti nel contratto nazionale».

Orari, pause e lavoro notturno

Oggi il riposo settimanale deve essere minimo di 35 ore consecutive; il governo introduce una norma che prevede il calcolo delle 35 ore su uno spazio più ampio, ovvero 14 giorni. «Si potrebbe configurare la lesione di un principio costituzionale - spiega il rappresentante Cgil - dato che la Carta parla di "diritto al riposo settimanale"». Dall'altro lato, si stabilisce per legge che le norme su riposi, pause, lavoro notturno e introduzione al lavoro notturno possano essere «derogabili a livello di contratto nazionale o, in assenza di specifiche disposizioni, anche a livello territoriale e aziendale». E dire che oggi, la gestione del lavoro notturno, con i presidi sanitari necessari, le esenzioni e altre possibili tutele, viene trattata con Rsu e Rsa: in futuro potranno essere scavalcate.

Le dimissioni volontarie

Viene abrogata la legge 188 del 2007, quella che rendeva valide le dimissioni solo se fatte su un modulo del ministero del Lavoro, con impresso un codice alfanumerico a progressione cronologica. Si poteva evitare così che il datore di lavoro imponesse la firma delle dimissioni in bianco, per utilizzarle poi a suo comodo quando una lavoratrice è in gravidanza, o quando il dipendente si infortuna o ammala per lunghi periodi. La tutela viene cancellata senza introdurre altri mezzi di contrasto. Sacconi ha spiegato che si semplificano così pratiche burocratiche farraginose.


Il job on call (lavoro a chiamata)

Vengono «resuscitate» le norme cancellate dal governo Prodi, relative al lavoro a chiamata. Già contenuto nella legge 30, il job on call non era mai realmente decollato. Il lavoratore può essere assunto offrendo la propria reperibilità ed essere chiamato alla bisogna: quando non lavora avrà un'indennità pari al 30% del salario. Se non offre la reperibilità, è pagato solo quando lavora.


La registrazione il giorno prima

Un emendamento aveva cambiato la legge introdotta l'anno scorso, che prevedeva l'obbligo per il datore di lavoro di registrare il lavoratore il giorno prima dell'inizio dell'attività, norma utile a contrastare il sommerso e l'abitudine di registrare i lavoratori solo quando si infortunano (o, peggio, muoiono): la modifica introdotta imponeva la registrazione entro 5 giorni dopo l'inizio dell'attività. Ma ieri il ministro ha fatto marcia indietro, e ha ripristinato la regola del giorno prima. La Cgil e l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano notano che «la mobilitazione paga», ma che «comunque bisogna vigilare».

Il voucher o «ticket lavoro»

Il voucher è un buono che può essere emesso da Inps, agenzie interinali e dagli enti bilaterali aziende-sindacati. Serve a retribuire con una «paga globale»: dovrebbe essere di circa 10 euro, comprendenti oltre al netto tutti i contributi. Il governo lo voleva dedicare ai lavoratori stagionali dell'agricoltura, delle imprese familiari di turismo, commercio e servizi, e ai giovani under 25 che svolgessero lavori durante le vacanze. Il rischio è che inglobando tutto, il voucher cancella il contratto nazionale, ferie, malattia, sussidi di disoccupazione, etc. Un emendamento (ancora non chiaro nella sua formulazione) ha ristretto la platea: il voucher sarebbe così limitato a studenti e pensionati e alle micro-aziende. I sindacati Flai, Fai e Uila si dicono «parzialmente soddisfatti», ma evidenziano che «anche così c'è il rischio di lavoro nero ed elusione contributiva». Ancora, la Cgil, con Treves, si dice «contraria all'emissione dei voucher da parte degli enti bilaterali». A questo punto si prefigurano persino enti bilaterali separati, se Cisl e Uil saranno d'accordo nell'emetterli.


Appalti e indici di congruità

Si abrogano le disposizioni attuative sulla responsabilità in solido delle amministrazioni pubbliche rispetto alle aziende di appalto: sarà più difficile per il lavoratore individuare con chi rivalersi in caso di fallimento o «sparizione» della piccola impresa d'appalto. Abrogati anche gli «indici di congruità», quelle tabelle che stabilivano il numero di lavoratori minimo per una produzione o un servizio erogato, segnalando così possibili casi di sommerso.



L'apprendistato rapido

Il Protocollo Welfare aveva disposto una delega al governo per riformare l'apprendistato, «in intesa con Regioni e parti sociali». Il governo sta violando la delega, perché ha disposto la riforma da solo. Intanto non si prevede più un periodo minimo: potremo avere anche apprendisti per un solo mese. Poi si individua l'impresa come «luogo formativo per eccellenza», sottraendo la formazione alle Regioni. La stessa certificazione, non sarà più emessa dalle Regioni, ma dagli enti bilaterali.

Libro Unico e ispezioni

Viene istituito un unico libro che contiene tutti i dati relativi al lavoratore, come le ore di straordinario. Sarà molto più difficile per il lavoratore accedere a quanto lo riguarda: la busta paga potrà essere sostituita da una «copia della scritturazione sul Libro Unico», senza le voci dettagliate per calcolare subito eventuali ammanchi. Il Libro può essere aggiornato entro il sedicesimo giorno del mese successivo, e tenuto presso lo studio del proprio commercialista. Anche un ispettore del lavoro, così, potrà fare più fatica a reperirlo e non lo avrà immediatamente. Si prevede poi che potrà evitare le sanzioni sul lavoro nero un'impresa che, all'atto della visita ispettiva, non mostri la volontà di occultare chi è irregolare. Insomma, una «sanatoria preventiva».


19 luglio 2008

Théâtre du Soleil

Cartoucherie 75012 Paris

www.theatre-du-soleil.fr



Le 8 août 2008, Nicolas Sarkozy représentera la France et l’Europe à la cérémonie d’ouverture des Jeux Olympiques de Pékin.


Avant ce jour, nous vous demandons de regarder les trois mini films que nous avons réalisés avec l’aide de dissidents chinois, de réfugiés tibétains, de nos amis cinéastes de Mémoire Magnétique et de nombreux bénévoles d’ici et d’ailleurs.

Se sont joints à nous Reporters Sans Frontières.


Cliquez

Regardez,

Réfléchissez,

Et si vous adhérez, alors, diffusez.

Oui, surtout, diffusez !

Un grain de sable peut faire crisser la plus puissante des machines.

Mille grains de sable…


http://www.theatre-du-soleil.fr/video-pekin2008/pekin2008.html

ou

http://www.youtube.com/user/theatresoleil

Le Théâtre du Soleil

PS : Nous vous joignons aussi l’“Appel“ que nous lancions en avril, avec le Collectif Chine-JO 2008, et qui reste, hélas, d’actualité.



Contact et renseignements:


soleil@theatre-du-soleil.fr


Eve Doe-Bruce : 06 03 38 86 15

Lucile Cocito : 06 74 00 39 07

Renata Ramos-Maza : 06 86 34 42 26

18 luglio 2008

COMUNICATO STAMPA



Psichiatria Democratica e il Comitato per l’Albergo dei Poveri, denunciano il pericolo che in Città, il progetto per la costruzione del Coordinamento per i Senza fissa dimora di Napoli, pensato e "conquistato" per tutti dal "Laboratorio per le città sociali”, involva sostanzialmente, in una ennesima conta dei posti letto disponibili per le emergenze sanitarie, riducendo così le storie di disagio economico, sociale e familiare di persone in difficoltà, in casi clinici da trattare, di nuovo pregiudizievolmente, perché o matti o tossici. Non si era invece detto con il Sindaco Iervolino, l’Assessore alle politiche sociali dell’epoca e gli altri che adesso seguono, che il progetto del “Laboratorio” era un'occasione per concretare in Città la democrazia? Per dare finalmente a tutti e specie ai più impoveriti, il diritto a non essere emarginato, solo, e con la piena cittadinanza anche le risorse per realizzarla? Non si era sancito che i s.f.d. sono persone da accogliere e con cui costruire percorsi di uscita dalla cronicità? Incoraggiando i quartieri della Città a dotarsi di centri d'accoglienza di primo livello? Non si era più volte dichiarata la volontà a realizzare, con una migliore programmazione e gestione dei fondi economici disponibili, piccole strutture di secondo e terzo livello residenziali dove supportare chi dei s.f.d. esprimesse la volontà impegnarsi a condividere una impresa sociale?

Chiamano, pertanto, tutte le associazioni che lavorano nel campo a “riprendersi” il progetto, impedendone il “depotenziamento” e la sua “conversione” in un ennesimo episodio di burocrazia sanitaria che studia, censisce, cataloga, demanda, ma non risolve... anzi "governa" il disagio.


Napoli, luglio 2008


Psichiatria Democratica

Comitato per l’Albergo dei Poveri

15 luglio 2008

"Cohousing", come scegliersi i vicini di casa

Da settimane ne chattano in internet, su un blog dove ciascuno ha messo la sua foto da solo, in coppia o in tre come Daniela, Eleonora e Francesca, universitarie fuorisede. Clicchi e parte il filmato, stile YouTube. Da Milano arriva la nuova tendenza: trovare persone affini, per acquistare l'appartamento e creare una comunità. Grazie al web [di MAURIZIO BONO - La Repubblica]


Da settimane ne chattano in internet, su un blog dove ciascuno ha messo la sua foto da solo, in coppia o in tre come Daniela, Eleonora e Francesca, universitarie fuorisede. Clicchi e parte il filmato, stile YouTube. Storie di chi dalla vita quotidiana in città vorrebbe un po' di più, e non si rassegna.


Le studentesse dividono già casa, e si trovano bene, ma fuori la città è difficile, tenere le distanze è un abito, sarebbe bello stare vicino a gente disponibile, come loro, a dare un aiuto agli altri e chiedere aiuto quando serve. Ruggiero invece vive coi suoi e vorrebbe indipendenza, ma anche una specie di famiglia allargata perché fa più allegria. Enrico, film maker, trova che la metropoli frantuma le esperienze, ci vorrebbe più socialità.


La designer la butta un po' sul tecnico e parla degli spazi condivisi come in Olanda, l'insegnante riflette su quanto si spreca se non si mette in comune almeno l'auto, la spesa, anche il bucato, perché no, con quello che inquinano i detersivi.


Si sono ascoltati l'un l'altro in rete, si sono scritti e-mail, poi il gran passo: mercoledì tutti insieme, in un bar accogliente per l'aperitivo e per capire faccia a faccia, Chiara dice "a pelle", se vivere insieme potrà funzionare. Arrivano in 50 e si parla di sala da pranzo collettiva, e biblioteca. Nicoletta, che è col marito Gaetano, esita un po' - è pieno di single - ma quando entra una coppia trentenne che ha un'etichetta discografica di musica elettronica e un bambino nel passeggino, butta lì: che ne dite di un nido? Tutti d'accordo, come sulla spesa grossa da fare in gruppo e forse anche su un orto, ma di questo si riparlerà.


Una volta si chiamava comune, ed era un terno al lotto (chi si ricorda il film olandese Together?).


Ora si dice cohousing ed è quasi una scienza: scegliersi "prima" i vicini di casa affini, per mettere su insieme una comunità affiatata, con valori condivisi e comodità che non si possono comprare coi soldi. Come farsi prestare lo zucchero, darsi una mano a tenere a turno bambini la sera, mettere a disposizione l'un l'altro le capacità ("Scusate, ma non ci sarebbe un idraulico?"). O anche solo salutarsi in ascensore.


I ragazzi di "Residance" - si chiama così il cohousing in affitto che se tutto va bene costruiranno in un paio d'anni alla Bovisa, periferia innovativa di Milano - sono la punta d'un iceberg. Di progetti con lo stesso spirito ce ne sono in piedi 7 e il primo sarà finito a marzo (una palazzina in condominio in via Ripamonti, "Cosicoh"). I cohousers variano per età, dai ventenni ai formidabili sessantenni che stanno scegliendosi per andare ad abitare in una villa nel verde vicino a Biella (progetto "Acquarius", hanno l'età per ricordarsi il musical): loro condivideranno un campo di golf lì a due passi, tanti salottini per stare in compagnia, miniappartamenti per stare in libertà e un centro medico perché non si sa mai.


Poi ci sono le famiglie sui 40 e i single per vocazione o di ritorno, che ristrutturano una cascina con filanda nel parco del Ticino (hinterland miracolosamente ancora verde) per usare la corte come ludoteca all'aperto e le cantine per gli acquisti solidali di gruppo. Infine gli ecologisti spinti che sognano (molto concretamente) di abitare un palazzo di cinque piani che ha accanto una gigantesca clessidra di tubi d'acciaio e plastica trasparente, collegata con passerelle coperte a ogni piano. Dentro, coltivazioni idoponiche e in terra di alberi da frutto, verdura e fiori da consumare fresca in piena metropoli.


Si chiamerà "Urban farm", il progetto c'è già e l'ha fatto l'architetto Bruno Viganò studiando l'arca che alla Columbia University stanno usando per testare un habitat autosufficiente adatto a Marte.


Milano non è proprio Marte ma può dare gli stessi sintomi: aria poco respirabile e vita sociale a tolleranza zero. Così se chiedi come mai il rinascimento del cohousing oggi sia così massicciamente milanese, ti dicono che qui ce n'è più bisogno, e infatti una ricerca del Politecnico che ha dato inizio a tutto, nel 2005, su 3000 intervistati selezionati per età (media) e cultura (alta) aveva identificato una disponibilità all'impresa di quasi il 50%.


L'altra ragione però è che dietro al movimento delle nuove comuni c'è anche un nuovo stile, che porta l'impronta di una "agenzia per l'innovazione sociale" (Innosence, nata come gestore di fondi etici) e del dipartimento Indaco del Politecnico di Milano (Innovazione per la sostenibilità). Sono loro a fiancheggiare discretamente gli autorganizzati del cohousing fornendo un protocollo apparentemente complicato (dal primo incontro alla carta delle regole di ogni comunità) che finora ha sempre evitato equivoci e liti da comuni d'antan.


Qualcosa, almeno nel caso degli affitti calmierati per Residance, ce lo mette perfino il Comune, anche se quasi nessuno lo sa, la giunta preferisce propagandare la sua faccia feroce dei blitz contro gli immigrati. Ma così piano piano un pezzetto speciale di città si trova, si sceglie e va a vivere insieme. E chissà, anche per la manciata di comuni pioniere sopravvissute e per una dozzina di cohousing solitari potrebbe essere la svolta.


Articolo di MAURIZIO BONO - La Repubblica del 5 Luglio 2008


Tratto da: http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/vicini-di-casa/vicini-di-casa/vicini-di-casa.html





Né sogni né annunci per i Quartieri Spagnoli

Repubblica - Napoli
L´analisi
Né sogni né annunci per i Quartieri Spagnoli
di Giovanni Laino

Il crollo dell´edificio di via Portacarrese a Montecalvario è stato causato da lavori abusivi e sbagliati, ordinati da un proprietario per ora irreperibile, forse legato ad un gruppo criminale. Ai Quartieri Spagnoli, negli ultimi venticinque anni, sono stati fatti lavori di messa in sicurezza, restauro e ristrutturazione che hanno riguardato praticamente tutti gli isolati. Restano abbandonati l´isolato di largo della Tofa e alcuni piccoli fabbricati interni ad altri isolati.
Vi è un grande bisogno di una diffusa rigenerazione, ma non è vera l´immagine del quartiere pronto a crollare, composto prevalentemente da palazzi puntellati.
Occorre anche mettersi d´accordo e chiarire quando si parla nell´area nel senso specifico o della zona più ampia che va da via Nicotera ai Ventaglieri. Non è corretto dire che siamo sempre ai Quartieri Spagnoli, ma certamente siamo in pieno centro storico, periferie interne con un tessuto molto compatto, intorno a rilevanti centralità. Questa zona negli ultimi venti anni non è cambiata in modo molto evidente. Siamo in una città porosa ove i fenomeni della modernizzazione, pure agenti, si insinuano fra condizioni particolari, con un andamento lento. Sostengo che non vi è stato quel processo tipico di altre città europee o statunitensi denominato gentrificazione: degrado – espulsione degli abitanti più deboli – ristrutturazione e arrivo di residenti e di altre funzioni più forti. Insieme ad una significativa riduzione della popolazione, si è realizzato però un processo minuto ma diffuso di ristrutturazioni, suddivisioni degli alloggi, subentri di nuovi proprietari abitanti, esodo di famiglie numerose rispetto al progressivo aumento di nuclei piccoli e singoli. Accanto ai non molti studenti in fitto, accanto ai garantiti che hanno comprato prima o dopo le ristrutturazioni, la componente nuova più visibile è data da qualche centinaio di nuclei di immigrati, di oltre dieci etnie. Anche fra loro però vi è una stratificazione. Mentre permane una funzione storica tipica di questo quartiere come primo approdo per nuovi arrivati che hanno bisogno di appoggiarsi ad una micro-rete di accoglienza anche in condizioni molto precarie, decine di nuclei hanno realizzato negli ultimi anni delle carriere abitative che hanno consentito l´autonomia del nucleo rispetto a precedenti convivenze, il ricongiungimento familiare e un primo radicamento di cui sono testimonianza, oltre ai phone center e ai negozi etnici, i circa cento alunni di origine immigrata che sono presenti nelle scuole dell´area.
Contrabbando e prostituzione sono praticamente spariti. Il profilo dell´economia artigianale locale è mutato molto rispetto a quando, venticinque anni fa, con un´inchiesta dettagliata, ho censito 67 laboratori di borse. Resta però il carattere di un´area di alta qualità rispetto alla varietà degli usi, alla prossimità di residenze abitate da ceti anche molto diversi. Questa varietà consente una promiscuità che è una valore oggettivo.
I limiti di qualità della vita, oltre che da problematiche strutturali (la povertà e la disoccupazione di alcuni, il radicamento di gruppi dediti alle attività illecite), dipendono dalla diffusione e dalla sostanziale tolleranza di pratiche abusive di ogni tipo, nell´uso delle strade, dei motorini e delle auto, nella assoluta carenza di manutenzione. Questo mette in luce le tante condotte che vengono viste da alcuni con simpatia perché costituiscono il pittoresco che in realtà in buona parte costituisce fonte di pesanti limiti per la vivibilità. Non credo ad un grande piano, magari disegnato da una star dell´architettura. Per i Quartieri Spagnoli occorrono politiche urbane degne di questo nome, non annunci né idee-sogno particolarmente originali. Negli anni scorsi l´amministrazione è stata capace di realizzare azioni positive come l´attivazione del centro Urban, la realizzazione di alcuni sottoservizi, il passaggio di una linea di autobus, l´illuminazione stradale. Alcuni processi di lenta trasformazione indotti dal mercato già sono in atto. È necessario mettere in campo una strategia di tipo enzimatico che dia forza alle propensioni positive e combatta le fonti di degrado. Bisogna ridare al quartiere gli spazi importanti dell´ex Ospedale militare, dare spazio a quelle azioni che possono tenere aperte per davvero le scuole sino alle otto di sera, affidare Largo Baracche a soggetti capaci di animarne un buon uso. Consentire ai teatri, alle associazioni, agli alberghi e ai ristoranti di fare bene il proprio lavoro, operando sulle condizioni al contorno: igiene urbana, controllo del traffico, presenza dissuasiva delle forze di polizia, erogazione dei finanziamenti approvati, interventi efficaci e urgenti quando vengono denunciati gli abusi. Anche il progetto redatto dalla società Sirena, già finanziato dalla Regione, per riconvertire l´uso dei bassi può essere una strategia sensata se giocata fra gli anfratti di una situazione complessa, da cui non è realistico cancellare tutta la residenza del piano terra. Oltre alla convinzione, che ho già comunicato ai responsabili della società, che solo una squadra di giovani esperti agenti di sviluppo ben guidati e sempre presenti nei vicoli, può dare corpo serio a tale iniziativa, il timore è che per fare bene una necessaria strategia multipolare, occorre che sia avviato un diverso ciclo politico.

13 luglio 2008

Manifesto femminista alla sinistra

Liberazione, 19 giugno 08
Manifesto femminista alla sinistra del "gruppo del mercoledì" (Roma)

Costitutiva della sinistra è la soggettività femminile, assunta come fondante la sua prima ragione d'essere.

NO allo sfruttamento nelle fabbriche e per la strada
NO alla vita senza i viventi
NO alla rapina della terra e dell'acqua
NO alla discriminazione in ogni luogo, di ogni tipo, per ogni motivo
NO agli Angelus della domenica, come italiane dimostrazioni politiche di piazza... Perché, allora, gli altri nel mondo che non hanno San Pietro a Roma, sarebbero svantaggiati
NO all'indifferenza per i deboli
NO all'indignazione degli intellettuali schifiltosi
NO alla vanagloria degli impotenti
NO all'improvvisazione dell'ultim'ora
NO alla malinconia
NO a: Io, da solo o da sola, ce la faccio meglio, perché non è vero
NO a chi decide sulle vite degli altri
NO al: ... niente vale la pena tanto i giochi sono tutti già fatti chissà dove...
NO alle promesse mancate
NO agli inganni e alle bugie perché uccidono come, e a volte, più delle armi
NO all'intelligenza delle bombe
NO al male. Di più, se nascosto nei sorrisi accattivanti
NO alle cose fatte senza piacere
NO alla mancanza di talento
NO all'artificio e alla rappresentanza senza anima
NO a ................................................

SI' al coraggio. Misurato nella lotta. Per ogni piccolo giorno guadagnato di esistenza libera.

SI' a .................................................

Istruzioni per l'uso: puoi togliere o mettere i tuoi NO o i tuoi SI'.
Puoi contattare l'indirizzo mail: vulterini@tiscali.it
Puoi rispondere a Rosetta Stella , piazza Cavour 3 - 00193 Roma

Undici tesi dopo lo tsunami

Undici tesi dopo lo tsunami


Ultima modifica: martedì 1 luglio 2008

Centro per la Riforma dello Stato

1. Aprile 2008: va rilevato il tratto di discontinuità, forse di salto. Non si può riprendere il discorso dall’heri dicebamus. Occorre un cambio di passo, nella ricerca e nell’iniziativa. Non stava scritto che la transizione si chiudesse a destra. Ma così è avvenuto. E tuttavia non è la sorpresa il sentimento dominante: i segni c’erano, nel paese, e anche a Roma. Perché non siano stati letti, è il problema. D’altra parte, non è la paura il sentimento che ci deve dominare. Non c’è Annibale alle porte, non ci sarà un passaggio di regime. C’ è una nuova destra, di governo, e di amministrazione, da sottoporre ad analisi e da contrastare nella decisione, con uno scatto di pensiero/azione.

2. Si conferma il dato, che viene da lontano, di una maggioranza di centro-destra nel paese reale. Negli ultimi quindici anni, l’opinione di centro si è avvicinata all’opinione di destra. Se la Dc era un centro che guardava a sinistra, Forza Italia è un centro che guarda a destra. Questo ha dato l’illusione che ci fosse un residuo di centro da conquistare a sinistra. C’era, ma meno consistente di quanto si pensasse. I mutamenti, non colti, di società, a livello di territorio, sono stati più forti dell’iniziativa politica. Sono state due le risposte a questi smottamenti di opinione: una a vocazione maggioritaria, una a vocazione minoritaria. La prima, una risposta, diciamo così, espansiva: competere al centro, per togliere al centro-destra un pezzo di consenso. Così, i Progressisti, poi l’Ulivo, poi l’Unione, poi il Partito democratico. Che quest’ultimo potesse assolvere a questa funzione da solo come un tutto, si è dimostrato un progetto, a dir poco, non realistico. La seconda, una risposta, diciamo così, difensiva: marcare una posizione alternativa, con una grande ambizione e una piccola forza. Non si può essere, troppo a lungo, anticapitalisti e deboli, antagonisti in pochi. Aprile, il più crudele dei mesi: due fallimenti, del centro-sinistra e della sinistra, del grande partito di centro-sinistra e della piccola aggregazione di sinistra.

3. Qui, un punto teorico-politico, che va affrontato. Si potrebbe chiamare l’equivoco della rappresentanza. Anzi, il rapporto tra l’equivoco della rappresentanza e quella che si dice la crisi della politica. Che cosa viene prima, una crisi di rappresentanza sociale o una crisi di proposta politica? Che cosa fa più difetto, la rappresentanza o la rappresentazione? Proviamo a rovesciare il senso comune. E diciamo così: la crisi della politica comincia non quando la politica non sa più ascoltare, ma quando la politica non sa più parlare. Certo che bisogna ascoltare, la rappresentanza è essenziale, capire la società, conoscerla, ma non è tanto la mancanza di questo che sta al fondo della crisi della politica. Il fondo della crisi della politica è nel crollo di soggettività politica, nella caduta, relativamente recente, della proposta soggettiva. La politica non sa più parlare proprio perché non sa più leggere, non sa più interpretare. E quindi non sa orientare, non sa dirigere. L’equivoco della rappresentanza è il fatto di assumere il dato così com’è, anche il dato della società, anche il dato della maggioranza di centrodestra nel paese. Se tu lo assumi così com’è, e cerchi di correggere questo, e non ti fai carico invece di una proposta politica forte, lì inneschi appunto un processo che va a finire nella crisi della politica. Prima produci l’antipolitica e poi ti fai carico di rappresentarla.

4. Quando la politica non sa più parlare, allora viene fuori un ceto politico, e un ceto amministrativo, autoreferenziale, che parla a se stesso e di se stesso, perchè non sa più parlare al paese, alla società. Questo ceto politico, impegnato a occuparsi di se stesso, entra nella logica di qualsiasi altro ceto, di qualsiasi altro corpo della società. Per garantirsi il consenso insegue le pulsioni di massa. Più le rappresenta, più vince. La politica non è scollata dalla società civile, è incollata ad essa. Se società civile è il campo degli interessi particolari e degli egoismi corporati, allora la politica di oggi non la rappresenta poco, piuttosto le assomiglia troppo. Questa politica è un pezzo di questa società, subalterna alle leggi di movimento, nazionali e sovranazionali, attraverso cui essa si autogoverna. Di qui, la crisi di senso dell’agire politico, vero e proprio fatto d’epoca del nostro tempo. Perché, compito principale della politica non è dare risposte, è fare domande. E’ la politica che deve interrogare la società, e il dato che c’è, deve appunto saperlo leggere, decifrare, tradurre, e solo dopo che lo ha interpretato, può rappresentarlo, ma mai rappresentarlo come riflesso passivo, mai specchiarlo così come si presenta oggettivamente, nel suo gioco incontrollato di forze.

5. Quale, su questo punto, la differenza tra l’adesso e ieri? In passato c’erano le grandi classi, che avevano una voce, che parlavano, esprimevano, sì, interessi, ma grandi interessi, di per sé riconoscibili. In quel caso la politica era più facilitata a rappresentare, a raccogliere, perché la voce veniva da potenti aggregati, già autonomamente, in qualche misura, organizzati. Era meno importante allora leggere e interpretare, era più possibile direttamente rappresentare. Ma quando le grandi classi si disgregano, e ti trovi di fronte a una società frammentata, pluralistica, corporativizzata, cetualizzata, anarchicamente individualizzata, quando non c’è più quindi voce sociale, aumenta l’obbligo della voce politica. Parlare a questa frammentazione, vuol dire elaborare una proposta riunificante. Il sociale ormai, nel capitalismo dopo la classe, va costruito, non va descritto. Produrre legame sociale, e produrlo attraverso il conflitto, o meglio, attraverso i conflitti, ecco il volto nuovo della Sinistra, dopo il Movimento operaio. La Destra, nemmeno la nuova destra, può e sa farlo. Il discrimine è qui. Fare società, ma con la politica: se deve esserci missione, per la Nuova Sinistra, questa è.

6. C’è un’ondata di destra, che arriva, con il solito ritardo in Europa, dall’America di Bush, proprio mentre lì va forse declinando. E’ una febbre da rivoluzione conservatrice in tono minore, che attacca i corpi malandati dei nostri sistemi politici. Lo schema è quello tradizionale: la paura come risposta al disagio. Perché la paura non è la causa scatenante, la causa scatenante è il disagio, di società, di umanità, e quindi di civiltà. La paura è un rimedio mobilitante per chi non ha difese, e dunque le cerca, per chi non ha sicurezza del futuro e dunque cerca sicurezza almeno nel presente. La destra corrisponde di più e meglio al lato oscuro dell’animo umano, e la sinistra ha i Lumi ma da tempo li tiene spenti. Una tesi politica, controcorrente, da sostenere a questo punto con buone ragioni potrebbe dire così: la destra vince perché non c’è la sinistra. E’ una tesi dimostrabile empiricamente, ultimi dati elettorali alla mano, nel paese Italia e, soprattutto, in quell’evento simbolico che è la caduta di Roma: non ha sfondato il centro-destra, è franato il centro-sinistra. La verità da cominciare a dire è che il centro-sinistra non ha futuro se non si riorganizza intorno a una Grande Sinistra.

7. C’è un retroterra di questo discorso, di cui bisogna essere consapevoli, un discorso di lungo respiro, che funge un po’ da convitato di pietra di tutti i nostri pensieri. Dice questo: la destra vince, perché il capitalismo è forte. Sta forse esaurendosi il ciclo neoliberista e sta forse riguadagnando spazio il ruolo delle politiche pubbliche, e c’è da capire dove cadrà l’accento, se sul passaggio di crisi o sul passaggio di ristrutturazione. La sfida è a livello globale, e sarebbe bene non lasciare alla destra tutta intera la denuncia degli effetti perversi della globalizzazione mercatista. Il capitalismo è forte perché riesce a tenere ancora insieme innovazione di sistema, democrazia politica ed egemonia culturale. Un blocco di potenza che ha permesso fin qui a proprio favore due, e due sole, soluzioni di governo: o un centro-destra forte o un centro-sinistra debole. La virtuosa alternanza nei sistemi bipolari o bipartitici, modello Westminster, si sappia, ha questo vizietto di fondo. In queste condizioni, non c’è spazio né per una politica di pura gestione né per una politica di mera contestazione. C’è posto solo per una guerra di posizione, di media durata. La difficile situazione economica impatterà con il governo politico della destra. E l’emergenza, che sembrava dover essere istituzionale, magari sarà di più sociale. La storia-mondo, poi, è un campo di imprevedibili eventi, se non la si guarda con la pappa del cuore, ma la si afferra con la lucida intelligenza di una politica-mondo. Qui c’è un terreno favorevole per la sinistra, se saprà essere meno Proteo e più Anteo, se saprà di meno apparire in tante forme e di più ritrovare la sola terra da cui ricava la propria forza.

8. Bisogna dire: il popolo della sinistra ha il diritto di avere, per sé, una forza politica. E poi dire: l’Italia, per stare in Europa e nel mondo ha bisogno di una sinistra. Non di una piccola sinistra, residuale, testimoniale, arroccata nei passati simboli e nelle antiche identità, ma di una Grande Sinistra, moderna, critica, autonoma, autorevole, popolare. Non si può concedere che l’anomalia italiana si ripresenti oggi nella forma dell’eccezione di un paese senza una grande forza politica che rivendichi con orgoglio questa funzione, nel nome, nei fatti, nei valori. Il problema di oggi non è: che cosa è sinistra, ma chi è sinistra. Più che conoscere, si tratta di andare a ri-conoscere il popolo della sinistra. Ma, anche qui, riconoscere non vuol dire rappresentare, vuol dire costruire, o meglio, ricostruire un campo di forze, in grado di portare un progetto di trasformazione, strategicamente pensato e tatticamente agito. Fondare un popolo: questo il Beruf - vocazione/professione - della politica, quando non è chiacchiera ma discorso, non immagine ma idea, non affabulazione ma organizzazione.

9. La nuova e antica centralità: dare forma politica al pluriverso del lavoro. Ci vuole un’idea politica di lavoro, anzi, di lavoratore. Dopo l’esperienza storica del movimento operaio, in che modo la persona che lavora, uomo e donna in modo differente, può avere in quanto tale, non solo come cittadino, una funzione politica? Come i lavoratori associati possono contare politicamente? In che modo, per quali vie, con quali forme, possono esprimere un progetto di modello sociale, di sistema politico, di egemonia culturale? E, anche qui, chi sono oggi i lavoratori? C’è questo ceto medio acculturato di massa, che è diventato un po’ la caricatura del blocco storico per il centro-sinistra: perché è isolato e lontano dal resto della società reale. Ha una parte alta, che va verso le professioni, una parte bassa che va verso il precariato, a volte le due condizioni si congiungono. E’ prezioso lavoro della conoscenza, un decisivo pezzo di lavoro immateriale, con in mano il futuro di sviluppo del paese. Va ricongiunto al lavoro materiale, al lavoro manuale, che c’è anche quando manovra le macchine, al lavoro operaio, salariato. Il lavoro sans phrase, direbbe Marx. Ma qui ne va della dignità della sinistra il farsi carico e porre rimedio a questa disperata solitudine operaia, che si esprime, come abbiamo visto in tanti modi, a volte sconcertanti, che vanno riconosciuti, non giudicati. Solo assolvendo politicamente a questo compito si può riaprire il discorso sul nuovo “mondo del lavoro”. Lavoro e sapere, si dice oggi. Più la differenza del lavoro femminile. Il lavoro autonomo, di prima e seconda generazione, che va ricongiunto al lavoro dipendente, garantito o precarizzato. Così come il centro urbano va ricongiunto alle periferie metropolitane. Non è possibile accettare come un destino il rovesciamento di consenso che si è verificato tra questi spazi di territorio e in questi luoghi del sociale. Non è possibile. O altrimenti essere di sinistra non ha più senso politico. Ecco la vera missione di un forte partito della sinistra: recuperare il senso della propria funzione, nel “fare popolo” come “soggetto politico”. Ricongiungere, riannodare e stringere il nodo tra campo sociale e forza politica.

10. Diceva Brecht: sul muro sta scritto “viva la guerra”/ chi l’ha scritto, è già caduto. Adesso si dice: non si può tornare indietro. Chi lo ha detto, ha già messo un piede nel vuoto. Il nuovo a tutti i costi restaura il vecchio che avanza. Abbiamo avuto a nostre spese, qui e ora, una lezione da manuale. Calcoliamo bene le mosse, prendiamoci il tempo necessario. Ma non escludiamo a priori il fatto che a volte è necessario fare un passo indietro per saltare in avanti.

11. Intendiamoci su questo. Non si tratta di mettere insieme i pezzi della vecchia sinistra. Sarebbe un’operazione fuori tempo e senza spazio. Il vecchio bisogna sempre che sia quello dell’avversario, mai il nostro. Tutte e due le tradizioni, quella comunista e quella socialdemocratica, sono esaurite. Ma non si creda che sia allora viva, per i bisogni della sinistra, la tradizione liberaldemocratica. Il partito del popolo della sinistra è oltre tutta intera questa storia. Le componenti popolari si sono sfaldate, ma le loro culture in senso lato, cioè le tracce di civiltà, che esse hanno depositato nella storia del nostro paese, sono lì, in attesa di essere riconosciute,valorizzate, riorganizzate e riunificate con le nuove culture, con i nuovi grumi di civiltà: le esperienze di organizzazione con le esperienze di movimento, il socialismo con il femminismo, il cattolicesimo sociale con i diritti della persona, il lavoro salariato con l’ambientalismo politico, la cultura del conflitto con la cultura della pace. Tutto questo, insieme, è popolo della sinistra. E può diventare partito del popolo della sinistra. Non è un blocco, è un campo. Non si comporrà da solo. Bisogna comporlo. Ci vuole decisione politica e pensiero forte. Ma, ecco: non si deve scherzare con i propri riferimenti, pratici e teorici. Altrimenti si diventa un’altra cosa.


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