Traduzioni

31 ottobre 2008

Primo novembre, l'Altra politica

L’approvazione della «riforma» Gelmini e la reazione del governo al sorprendente movimento per la scuola pubblica dimostrano bene in questi giorni il volto arrogante di quella che Marco Revelli, nell’incontro «L’altra politica» promosso da Carta e Cantieri sociali in primavera, ha definito «democrazia dispotica». Il primo novembre Carta e l’associazione Cantieri sociali, con l’aiuto del movimento No Tav organizzano in Val di Susa la seconda parte di quell’incontro sull’«Altra politica» e sarà inevitabile pensare ai modi e ai temi con i quali il movimento studentesco in queste settimane cerca di favorire a suo modo nuove forme di «politica altra» difendendo uno dei pochi «spazi pubblici» ancora esistenti, così come altri movimenti e reti sociali hanno cominciato a fare in questi ultimi anni su molti altri temi.
Di seguito, trovate il testo completo – pubblicato anche nel numero di Carta in edicola in tutta Italia da oggi e che è stato già fatto girare per posta elettronica nei giorni scorsi – con il quale si invitano cittadini e movimenti locali all’appuntamento in Val di Susa, che in qualche modo prepara anche il «Grande cortile» promosso nelle prossime settimane dal movimento No Tav.

«Cari lettori [e abbonati], forse ricorderete che il 5 aprile scorso, una settimana prima delle elezioni poi stravinte da Berlusconi, Carta e i Cantieri sociali organizzarono a Roma un Cantiere dell’altra politica, cui parteciparono – su invito – una ottantina di persone.
Quell’incontro approfondì il tema – come lo definì Marco Revelli in quella occasione – della «democrazia dispotica», cioè della crisi della democrazia rappresentativa, dei partiti, dello «spazio pubblico». Ne sortì anche una «Lettera sull’altra politica», che fu pubblicata su Carta. Tutto questo lo facemmo in rapporto stretto con i promotori dell’appello «La politica che vogliamo», tra loro Alex Zanotelli.
Secondo noi quell’incontro, e successive analisi su quel che abbiamo definito il «fascismo postmoderno», ci hanno messo in grado di prevedere quel che sta accadendo: la militarizzazione della vita sociale e dei conflitti di comunità, l’ondata di razzismo istituzionale, e così via. Ora l’offensiva d’autunno del governo è cominciata, a Vicenza come in Campania, nelle strade delle periferie e contro i migranti e i rom, in un contesto di impoverimento diffuso.
Abbiamo quindi organizzato un secondo seminario, che si terrà il primo novembre in Valle di Susa, con l’aiuto di molti nostri amici del movimento No Tav. Il quale peraltro organizzerà la sera prima, 31
ottobre, una assemblea sulla democrazia comunitaria: di lì comincerà il programma di confronto e incontro che i No Tav chiamano «Grande cortile»: momenti di approfondimento, di spettacolo, di dibattito che andranno avanti fino al 6 dicembre, data in cui ci sarà in Val di Susa una grande manifestazione nazionale. Proponiamo che il nostro seminario – qualche decina di persone, in modo da poter scambiare opinioni a fondo, e provenienti da tutto il paese – si organizzi in due gruppi di lavoro [oltre ai momenti comuni]: il primo, dedicato all’approfondimento sul tipo di regime politico che si va affermando; il secondo, più «operativo», per discutere di che tipo di rete abbiamo bisogno per svolgere efficacemente un ruolo di promozione culturale e politica, di connessione tra comitati, movimenti e comunità resistenti.

Vi chiediamo di comunicare per tempo la vostra decisione di partecipare, di modo che si possa organizzare l’ospitalità. Il seminario si svolgerà il primo novembre, dalle ore 10 alle 16 a
Chianocco, presso Casaforte, un piccolo castello facilmente raggiungibile, a dieci minuti dall’uscita dell’autostrada, svincolo Bussoleno Per chi non viene in macchina ma in treno è importante
segnalare l’ora di arrivo alla stazione di Bussoleno, al seguente indirizzo: infocantierisociali@yahoo.it o chsasso@tin.it


Primo novembre, l'Altra politica






L’approvazione della «riforma» Gelmini e la reazione del governo al
sorprendente movimento per la scuola pubblica dimostrano bene in questi
giorni il volto arrogante di quella che Marco Revelli, nell’incontro
«L’altra politica» promosso da Carta e Cantieri sociali in primavera,
ha definito «democrazia dispotica». Il primo novembre Carta e
l’associazione Cantieri sociali, con l’aiuto del movimento No Tav
organizzano in Val di Susa la seconda parte di quell’incontro
sull’«Altra politica» e sarà inevitabile pensare ai modi e ai temi con
i quali il movimento studentesco in queste settimane si è cerca di
favorire a suo modo nuove forme di «politica altra» difendendo uno dei
pochi «spazi pubblici» ancora esistenti, così come altri movimenti e
reti sociali hanno cominciato a fare in questi ultimi anni su molti
altri temi.

Di seguito, trovate il testo completo – pubblicato anche nel numero di
Carta in edicola in tutta Italia da oggi e che è stato già fatto girare
iper posta elettronica nei giorni scorsi – con il quale si invitano
cittadini e movimenti locali all’appuntamento in Val di Susa, che in
qualche modo prepara anche il «Grande cortile» promosso nelle prossime
settimane dal movimento No Tav.


«Cari lettori [e abbonati], forse ricorderete che il 5 aprile
scorso, una settimana prima delle elezioni poi stravinte da Berlusconi,
Carta e i Cantieri sociali organizzarono a Roma un Cantiere dell’altra
politica, cui parteciparono – su invito – una ottantina di persone.
Quell’incontro approfondì il tema – come lo definì Marco Revelli in
quella occasione – della «democrazia dispotica», cioè della crisi della
democrazia rappresentativa, dei partiti, dello «spazio pubblico». Ne
sortì anche una «Lettera sull’altra politica», che fu pubblicata su
Carta. Tutto questo lo facemmo in rapporto stretto con i promotori
dell’appello «La politica che vogliamo», tra loro Alex Zanotelli.

Secondo noi quell’incontro, e successive analisi su quel che abbiamo
definito il «fascismo postmoderno», ci hanno messo in grado di
prevedere quel che sta accadendo: la militarizzazione della vita
sociale e dei conflitti di comunità, l’ondata di razzismo
istituzionale, e così via. Ora l’offensiva d’autunno del governo è
cominciata, a Vicenza come in Campania, nelle strade delle periferie e
contro i migranti e i rom, in un contesto di impoverimento diffuso.
Abbiamo quindi organizzato un secondo seminario, che si terrà il primo
novembre in Valle di Susa, con l’aiuto di molti nostri amici del
movimento No Tav. Il quale peraltro organizzerà la sera prima, 31
ottobre, una assemblea sulla democrazia comunitaria: di lì comincerà il
programma di confronto e incontro che i No Tav chiamano «Grande
cortile»: momenti di approfondimento, di spettacolo, di dibattito che
andranno avanti fino al 6 dicembre, data in cui ci sarà in Val di Susa
una grande manifestazione nazionale. Proponiamo che il nostro seminario
– qualche decina di persone, in modo da poter scambiare opinioni a
fondo, e provenienti da tutto il paese – si organizzi in due gruppi di
lavoro [oltre ai momenti comuni]: il primo, dedicato
all’approfondimento sul tipo di regime politico che si va affermando;
il secondo, più «operativo», per discutere di che tipo di rete abbiamo
bisogno per svolgere efficacemente un ruolo di promozione culturale e
politica, di connessione tra comitati, movimenti e comunità resistenti.


Vi chiediamo di comunicare per tempo la vostra decisione di
partecipare, di modo che si possa organizzare l’ospitalità. Il
seminario si svolgerà il primo novembre, dalle ore 10 alle 16 a
Chianocco, presso Casaforte, un piccolo castello facilmente
raggiungibile, a dieci minuti dall’uscita dell’autostrada, svincolo
Bussoleno Per chi non viene in macchina ma in treno è importante
segnalare l’ora di arrivo alla stazione di Bussoleno, al seguente
indirizzo: infocantierisociali@yahoo.it o chsasso@tin.it.


29 ottobre 2008

reddito minimo

Verso l' Europa del welfare: il Reddito di solidarietà attiva
di Fabio Corbisiero

Nell’ Europa dell’integrazione e della cittadinanza comunitaria il problema della povertà e dell’esclusione sociale resta ancora piuttosto grave e tutt’altro che risolto (circa 78 milioni di persone dell’Europa a 27 vivono in condizioni di rischio povertà o di esclusione sociale). Nell’ottobre del 2007, in occasione del ventennale della giornata mondiale del rifiuto della miseria, Nicolas Sarkozy ha riaffermato l’impegno nazionale della Francia nella lotta contro la povertà attraverso la trasformazione e la revisione, a livello europeo, dei Redditi Minimi Sociali “affinché il ritorno all’occupazione sia sempre più remunerativo rispetto al mantenimento assistenziale, e affinché il lavoro dia a tutti la garanzia di uscire e di essere protetti dalla povertà”.

A distanza di un anno da questo discorso l’Europa sociale si è riunita a Marsiglia il 16 ottobre scorso con l’obiettivo di richiamare gli Stati membri ad azioni efficaci e coordinate di politica sociale, al fine di assicurare l’accesso effettivo di tutti i cittadini ai diritti fondamentali riconosciuti dall’Unione europea e di rispondere alle loro aspettative concrete.

Già nel 1999 la Commissione europea aveva varato un documento che si è successivamente rivelato di fondamentale importanza nel processo di avvio del “welfare europeo” iniziato, come è noto, con le “Raccomandazioni” del 19921: la comunicazione intitolata “Una strategia concertata per modernizzare la protezione sociale”. Sulla scorta della creazione dell’UE e di una maggiore istituzionalizzazione delle strategie europee per l’occupazione, la Commissione riteneva che fosse giunto il momento di approfondire e integrare le diverse pratiche di protezione sociale. Quattro obiettivi venivano quindi indicati come fondamentali per la realizzazione di una strategia concertata:

1) rendere il lavoro remunerativo e garantire un reddito sicuro;

2) garantire la sicurezza e la sostenibilità dei sistemi pensionistici;

3) promuovere l’inclusione sociale;

4) garantire un’assistenza sanitaria di elevata qualità e sostenibile.


Si trattava della richiesta formale di avvio, nel campo della protezione sociale, di un processo simile a quello già attivo nell’ambito delle politiche per l’occupazione, secondo il modello di “equipollenza triangolare” tra politiche per lo sviluppo, politiche per l’occupazione e politiche sociali. Nel marzo del 2000, con la Strategia di Lisbona, veniva chiesto agli Stati membri di prendere delle misure che favorissero lo sradicamento della povertà entro il 2010.

Nel 2007, dopo la revisione della Strategia di Lisbona (2005), il Consiglio europeo di primavera ha sottolineato l’interesse di prendere nuovamente in considerazione gli obiettivi sociali comuni degli Stati membri. Nel marzo del 2008, nel quadro di una riflessione sull’Agenda Sociale rinnovata, il Consiglio europeo ha sottoscritto che “la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, la promozione dell’inserimento attivo e l’aumento delle possibilità di occupazione di coloro che sono più lontani dal mercato del lavoro sono altrettante misure di primaria importanza. Per questo motivo, è il caso di ricorrere a tutti gli strumenti e i mezzi disponibili a livello comunitario”.

La strategia di “inserimento attivo” è stata proposta attraverso il cosiddetto “Reddito di Solidarietà Attiva”, un istituto di politica sociale per le persone a rischio di vulnerabilità sociale che risponde all’esigenza di solidarietà e coesione sociale, fattori al centro del modello sociale europeo e attuata con azioni di “governance a rete”.

Tale strategia si basa su tre livelli di garanzia sociale complementari e inscindibili:


   1.

      la garanzia di un reddito minimo sufficiente;
   2.

      la garanzia di politiche integrate che favoriscano l’inserimento nel mercato del lavoro;
   3.

      la garanzia di servizi sociali di qualità e accessibili.


Il Reddito di Solidarietà Attiva (RSA), chiave di volta della riforma sui minimi sociali proposta dall’Alto Commissario alla Solidarietà attiva contro la povertà, permette di valorizzare i redditi da lavoro piuttosto che quelli da pura assistenza. Si inscrive inoltre nell’ambizioso obiettivo di riduzione della povertà di un terzo in cinque anni e mira altresì ad affrontare la questione, più ampia e problematica, dell’esclusione sociale. Il RSA è concepito come un dispositivo sociale di sostegno attivo alle biografie dei cittadini; un supplemento di risorse di “capitale sociale” destinato ai lavoratori poveri, ai beneficiari di minimi sociali e alle persone che dispongono di salari variamente bassi, inteso non soltanto come trasferimento economico ma, soprattutto, come uno strumento di facilitazione della ripresa o del miglioramento dell’attività lavorativa, grazie ad un collegamento più efficiente tra politiche e servizi sociali e politiche e servizi per il lavoro. Questa riforma punta a rispondere alla complessità del meccanismo dei minimi sociali che talvolta, come le analisi empiriche hanno dimostrato, genera “effetti perversi” definiti dai sociologi come “trappole sociali” (di povertà e/o di inattività).

In Italia una misura del genere fu introdotta per la prima volta, in via sperimentale, con la legge 449/97 (Finanziaria 1998), su proposta dell’allora Ministro per la Solidarietà Sociale Livia Turco e approvata attraverso il Decreto legislativo n. 237/98 “Disciplina dell’introduzione in via sperimentale in alcune aree territoriali dell’istituto del reddito minimo di inserimento”.

Il Reddito Minimo di Inserimento costituì nel panorama del sistema di welfare italiano di allora una rilevante novità in quanto per la prima volta veniva istituita una prestazione di sostegno al reddito di tipo universalistico, fondata cioè non sull’appartenenza del beneficiario a particolari categorie – il lavoratore, il disoccupato, il pensionato, l’anziano, l’invalido – ma sull’esistenza di una condizione di bisogno dell’individuo sprovvisto di mezzi di sussistenza e perciò a rischio di esclusione sociale. Tuttavia, a cinque dalla sua istituzione nei 39 comuni campionati, il Governo Berlusconi non inserì tra i suoi obiettivi la generalizzazione della misura tra l’altro contestandola in vari punti senza che avesse però proceduto ad azioni tecnico-scientifiche di monitoraggio e di valutazione degli esiti compresa la relazione, positiva, della prima Commissione d’Indagine sull’Esclusione sociale presieduta da Chiara Saraceno. Come venne sostenuto dai suoi detrattori “Il punto maggiormente controverso del Rmi, che la sperimentazione non è riuscita a fugare, riguarda la validità e la sostenibilità delle misure d’inserimento, sia sul lato dei soggetti proponenti che dei soggetti beneficiari; malgrado alcuni segnali incoraggianti, il “tasso di fuoriuscita” dal provvedimento per effetto di un miglioramento della condizione di partenza è risultato in generale assai basso, lasciando aperti non pochi interrogativi sulla natura temporanea o cronica del provvedimento. Un significato parimenti controverso ha assunto il “tasso di opportunismo” registrato in corso d’opera, con livelli in alcuni casi preoccupanti e penalmente perseguiti” (Cies 2003, 39-41).

Con Marsiglia 2008 la questione dei Redditi minimi di inserimento viene vigorosamente rilanciata. Per ora è stata stabilita una prima fase di sperimentazione, mentre il suo allargamento è previsto per il 1° semestre del 2009. Per questa iniziativa, è stato pubblicato, nell’autunno del 2007, un bando che ha permesso di identificare dei programmi innovativi. Obiettivo: permettere agli enti locali, al Terzo settore, alle parti sociali, agli enti di ricerca e agli stessi beneficiari di attuare delle azioni congiunte, che arricchiranno la riflessione collettiva sui mezzi più utili nella lotta contro la povertà e le disuguaglianze sociali, così come in materia di ritorno all’occupazione, di salute, d’inserimento e di istruzione.

Per il 2008 sull’Agenda sociale europea è fissato un ultimo appuntamento per combattere la povertà; a Grenoble, il 21 e 22 novembre prossimi, in cui verrà aggiunto un altro tassello alla costruzione del modello di welfare europeo. L’incontro in Francia permetterà di valutare l’impatto delle sperimentazioni sociali portati avanti negli Stati membri (tra cui la madre di tutte le sperimentazioni: il Revenu Minimum d’insertion) per discuterne le linee di approfondimento e le strategie di rafforzamento nell’Europa a 27.

1 Cfr. Raccomandazione 441/92/CEE sui criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale e Raccomandazione 442/92/CEE sulla convergenza degli obiettivi e delle politiche di protezione sociale degli stati membri.

27 ottobre 2008

A fianco dei senza dimora. Un Comunicato Stampa

La gravissima crisi economica che attanaglia il Paese, renderà ancor più pesanti le condizioni di vita delle tante persone che, anche a Napoli, si trovano in uno stato di disagio estremo. Questi cittadini invisibili, senza fissa dimora - il cui numero è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni anche nella città di Napoli - aspettano ormai da tempo che il Comune concretizzi, finalmente, l’articolato programma"conquistato" per tutti dal "Laboratorio per le città sociali” e mai attuato. Programma fatto di proposte operative tanto semplici quanto necessarie che in maniera costante e senza mai demordere, sono state a più riprese avanzate agli organi del governo cittadino dalle tante associazioni napoletane impegnate a vario titolo nel settore: luoghi di accoglienza, centri di ascolto e di sostegno. Le risposte sono state dapprima generiche ed approssimative cui è seguito un assordante silenzio al quale bisogna assolutamente metter fine, per le disastrose conseguenze che si possono immaginare con l’approssimarsi della stagione invernale.

Le Associazioni firmatarie vogliono anche denunciare con forza come il Centro di coordinamento delle attività a favore dei cittadini senza fissa dimora, proposto come struttura operativa forte, democratica e attiva, perché in grado di recepire le istanze reali che provengono dai gruppi impegnati quotidianamente sul territorio a fianco dei clochard, sia stato malamente occupato dalla burocrazia degli Enti, sottraendolo al suo naturale ruolo propulsivo.
Se non vogliamo che i tantissimi uomini e donne senza fissa dimora continuino a sopravvivere, allo stremo delle forze, alle tante promesse fatte alle Associazioni nel corso degli ultimi anni di consiliatura da parte degli assessori comunali competenti che periodicamente annunciavano l’apertura immediata di strutture di accoglienza, oggi debbono assolutamente seguire i fatti, e precisamente bisognerà che si provveda alla:
  • Apertura di centri di prima accoglienza notturna in grado di offrire la possibilità di dormire, lavarsi ed avere un cambio ad almeno 200 persone. I centri dovranno accogliere un massimo di 15 persone ed essere ubicati in luoghi facilmente raggiungibili utilizzando la rete dei trasporti pubblici;
  • Attivazione di sedi per la prima accoglienza diurna attrezzati con: docce, lavanderia, punto di distribuzione di generi di vestiario e di prima necessità, punto di consulenza legale e casella postale;
  • Realizzazione di un servizio di primo soccorso sanitario, attraverso un protocollo d’intesa da sottoscrivere con l’Azienda Sanitaria Napoli1 che sia in grado di garantire – in tempi brevi – una prima risposta ai bisogni di salute dei cittadini sfd;
  • Messa in opera, nell’ex Albergo dei Poveri, di una prima struttura che possa ospitare cittadini senza fissa dimora ed una mensa di quartiere;
  • Attivazione di almeno una mensa popolare in ogni Municipalità
Infine, le Associazioni firmatarie auspicano che si possa provvedere al rilancio del Centro di Coordinamento di via Pavia, dove svolgere tutti i compiti fissati con la precedente Amministrazione comunale, nel pieno rispetto del protocollo concordato all’epoca.

Firmato:
Comitato per l’Albergo dei Poveri - Psichiatria Democratica - Rete Civica, Napoli - Associazione Idea - Giuristi Democratici - Federconsumatori Campania, Napoli - Associazione scuola di pace - Comunità cristiana di base del Cassano - Circolo Legambiente “la Gru”- Movimento di volontariato italiano, Napoli - Associazione “Nuova proposta”

*Il Cantiere sociale vorrebbe proprio aggiungersi ai firmatari
L'immagine è della "Notte dei senza dimora" in Piazza Santo Stafano, MIlano dal sito www.02blog.it

20 ottobre 2008

Ora schedateci tutti!!

Comunicato Stampa

' Ora schedateci tutti!! '

Martedì 21 ottobre -
Presidio-Conferenza Stampa di fronte la Questura di Napoli (via Medina)

I cittadini di Marano e Chiaiano consegnano le impronte digitali alla
Questura di Napoli...

Forse pensavano che i cittadini, in lotta contro la bomba ecologica nella cava del Poligono, si fossero arresi! Non sapevano che possiamo solo difendere il nostro futuro!?
Sta di fatto che dopo le mobilitazioni di settembre culminate nello 'Jatevenne Day', si è dispiegata una strategia che da un lato ha portato a un differimento dei lavori, che noi cogliamo come un risultato della protesta, dall'altro a un'impetuosa accelerazione della repressione e soprattutto di comportamenti intimidatori perfino vigliacchi verso chi si oppone alla mega-discarica.
Dapprima le 5 denunce per interruzione di pubblico servizio per il blocco temporaneo di alcuni camion militari, poi il 'finto' arresto del ex-sindaco di Marano Mauro Bertini, e quindi una serie incredibile di comunicazioni a comparire in Questura per tantissimi tra attivisti e cittadini di Chiaiano e Marano.Le convocazioni in Questura, cosa ancora piu' grave, vengono condite da intimidazioni e minacce che hanno spinto il Presidio a munirsi di un colleggio legale
che sta accompagnando da sabato scorso tutti coloro che vengono convocati in Questura. Inoltre si sono registrati casi di schedatura illegale, ovvero cittadini convocati in questura a cui vengono prese le impronte digitali e vengono fatte le foto segnaletiche senza aver ricevuto nessuna contestazione di reato !!!
Perciò abbiamo deciso di risparmiargli lo stillicidio e di andare direttamente a consegnare le nostre impronte digitali come delegazione simbolo delle genti di Chiaiano e Marano. E come simbolo dello stato
della democrazia in Italia! Che sulla cosiddetta 'emergenza rifiuti' significa sequestro da 15 anni delle decisioni pubbliche e leggi speciali per chi protesta dopo il decreto-legge di Berlusconi.
L'indagine condotta dalla Questura di Napoli riguarderebbe i fatti del 23 maggio scorso, quando centinaia di poliziotti ecarabinieri attaccarono il presidio permanente presso la rotonda Titanic. Di quel pomeriggio, conclusosi con 3 arresti e diversi feriti, le immagini hanno fatto il giro del mondo, rappresentando in maniera chiara cosa e' successo, ovvero un'attacco unilaterale della forze dell'ordine nei confronti di cittadini inermi con le mani alzate e
seduti in terra.Ricordiamo inoltre cio' che fu documentato da numerosi giornalisti quel 23 maggio, che furono a loro volta managnellati ed a cui furono sequestrati i video come nel caso del giornalista Romolo Schicchi di Rai 3.

Il Presidio permanente di Chiaiano e Marano all'oggi conta già 21 denunciati, 2 processi in corso, 1 processo in appello, 2 inchieste in attesa di rinvio a giudizio, oltre alla nuova inchiesta sui fatti del 23 maggio, un
avviso di garanzia peril soft walking sulla Salerno - Reggio Calabria.
Ricordiamo inoltre che da giovedi' scorso Massimiliano Ranieri agli arresti domiciliari dal mese di agosto per uninchiesta del mese di luglio per la presunta partecipazione al danneggiamento di un bus, e' stato nuovamente ricondotto in carcere con una scusa del tutto pretestuosa che gli ha contestato di aver ricevuto visite a
casa. Probabilmente l'uso politico e la funzione di criminalizzazione anche pubblica e mediatica dell'inchiesta di
Pianura verso le resistenze ambientaliste ha aperto la strada.

BASTA ! DOBBIAMO DIFENDERCI!
Perche' in gioco c'e' la difesa della nostra terra, perche' in gioco che la difesa della democrazia e degli spazi diagibilita' politica nel nostro paese, perche' gli abusi di potere delle forze dell'ordine non possono essere tollerati.Il questore Puglisi deve assumersene la responabilità!
Se pensano di intimidirci sbagliano di grosso! Chiaiano Resiste! La Campania libera resiste!

Per altre info: 3281719299 (Antonio)
Presidio permanente di Chiaiano e Marano contro la discarica.
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17 ottobre 2008

lotta alle mafie


Lotta

alle mafie, parte la Carovana





È partita lunedì da Roma la
dodicesima Carovana nazionale antimafie, promossa dalle associazioni
Libera, Arci e Avviso Pubblico. Il viaggio, lungo due mesi, prevede
cento tappe: un giro per l'Italia attraverso il quale riaffermare
l'importanza della legalità e della lotta a tutte le mafie. In
realtà le carovane sono due. Entrambe partiranno del centro
Italia ma poi si separeranno. Una in direzione Nord, l'altra verso
Sud, per poi ricongiungersi a Comiso in Sicilia, il 12 dicembre.



La carovana è partita da un luogo già
di per sé significativo: la Casa del jazz di Roma, ricavata in
una villa sequestrata ad un componente della Banda della Magliana.
Alla conferenza stampa di presentazione hanno partecipato Paolo Beni,
presidente nazionale Arci, don Luigi Ciotti, presidente di Libera,
Roberto Montà, vicepresidente di Avviso Pubblico e Roberto
Morrione, presidente di Libera Informazione. All’incontro sono
intervenuti anche due familiari di vittime di mafia.


Quest’anno la carovana assume un
significato particolare visto il 60esimo anniversario della
Costituzione e della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
E scopo della Carovana sarà riaffermare i valori di questi due
preziosi documenti e «ricordare che in Italia la vera emergenza
sicurezza sono mafie e corruzione».

Paolo Beni, presidente nazionale dell’Arci
ha lanciato l’allarme sull’espansione della mafie: «I
poteri mafiosi allargano la loro influenza sulla società
italiana, non sono più ristretti a un ambito regionale, e
hanno anche differenziato le loro strategie». Beni ha
sottolineato che la mafia «fa affidamento sul vuoto sociale»
e dunque è essenziale «creare delle reti di solidarietà,
impedire l'isolamento sociale, la devitalizzazione degli spazi
democratici». Purtroppo al giorno d’oggi si sta andando
in una direzione opposta: «La percezione che si ha è che
i valori dominanti siano quelli della competizione e
dell'egocentrismo» afferma Beni. Il presidente dell’Arci
sottolinea che bisogna invertire la rotta e ricostruire quel «senso
di comunità democratica toglie terreno alla cultura
dell'illegalità».

Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, ha
spronato all’azione: «Si uccide anche con il silenzio,
anche con i nì. Bisogna dire no». Il sacerdote
antimafia, dopo aver ricordato Falcone, cita Dalla Chiesa: «Lo
Stato dia come diritto ciò che la mafia dà come
favore». Il presidente di Libera ha attaccato anche la politica
sottolineando che «le mafie non moriranno mai se non si cambia
un certo modo di fare le politiche, se non si attuano politiche
sociali sui territori».

Anche Roberto Montà ha puntato il dito
contro le responsabilità della politica evidenziando che «in
Italia sono 180 i consigli comunali sciolti per infiltrazioni
mafiose». Roberto Morrione ha invece attaccato il mondo del
giornalismo sostenendo che «c'è una scarsa attenzione da
parte della grande stampa nei confronti dell'espansione delle mafie».

La carovana ha chiesto il riconoscimento
ufficiale del 21 marzo come giornata della memoria e dell'impegno,
dedicata alle vittime della mafia. Infine per i promotori,
l’iniziativa non mira solo ad essere contro la mafia ma anche a
proporre valori e politiche positive, dal sostegno alle famiglie
delle vittime alla promozione della cultura della legalità.

IN CAMPANIA LA CAROVANA E’ ATTESA PER
IL 29 OTTOBRE A NAPOLI, IL 30 OTTOBRE A BENEVENTO, IL 31 OTTOBRE AD
AVELLINO, IL 4 NOVEMBRE A CASERTA E MONDRAGONE ED IL 5 NOVEMBRE
SALERNO


Pubblicato
il: 13.10.08 su
www.unita.it



7 ottobre 2008

No al pacchetto sicurezza: colpire i più deboli non rende sicura la città



Comunicato stampa


No al pacchetto sicurezza: colpire i più deboli non rende sicura la città


Mercoledì 8 ottobre alle ore 10,30 a Napoli, piazza Municipio, manifestazione di protesta per respingere le proposte contenute nel pacchetto sicurezza del Comune di Napoli che, non avendo evidentemente nient’altro da proporre ai cittadini per farli sentire più sicuri, se la prende con gli ultimi e i più fragili, rendendo ancora più precaria la loro esistenza.
Dopo l’approvazione del pacchetto sicurezza c’è da chiedersi se, al contrario di quello che ci si aspetta, non si alimenterà ulteriormente il senso di insicurezza e di paura, che sta inducendo alla chiusura e alla diffidenza verso l’altro e provocando pericolosi fenomeni di razzismo nei confronti di ogni genere di diversità.
A Napoli la cifra dell’insicurezza è la mancanza di lavoro, la diffusione di un sistema sempre più clientelare, la debolezza del welfare, i conflitti che nascono da situazioni di povertà materiali e relazionali.
Prendersela con i writers, i senza fissa dimora, le prostitute e i loro clienti, con chi ai semafori chiede qualche briciola del nostro benessere, significa essere forti con i deboli continuando ad essere deboli con i forti, non avere progetti per la città, scaricare sui più sfortunati responsabilità che non sono loro.
Le associazioni e le organizzazioni sociali della città, che hanno inutilmente chiesto di essere sentite prima che si adottassero i provvedimenti sulla sicurezza decisi dalla amministrazione comunale, chiedono la sospensione del decreto sindacale e l’immediata convocazione di un tavolo di confronto per la realizzazione di un piano sociale di interventi che renda la città veramente più sicura.
Alla manifestazione presidio saranno presenti, tra gli altri, le persone transessuali che si prostituiscono perché senza alternative, perché discriminate in quanto differenti, per la mancanza di politiche attive del lavoro concrete e accessibili; le vittime di tratta che in questo momento a Napoli non hanno accoglienza, visto che le strutture di ospitalità sono chiuse o non accolgono perché gli operatori sono senza stipendio; i minori soli non accompagnati che in questi anni hanno abbandonato i semafori non perché “arrestati”, ma perché hanno trovato operatori e servizi che li hanno orientati alla formazione, alla scuola, al lavoro


Associazione transessuali Napoli, Movimento di Identità transessuale, Gesco, Cooperativa sociale Dedalus, Psichiatria democratica, Com. prov. Arcigay Antinoo di Napoli, Coop. Approdomalla, Legacoopsociale, Cantieri sociali, Giuristi democratici, Associazione Priscilla, Associazione interculturale Grammelot, Coordinamento Enti Ausiliari della Regione Campania, Associazione Saman, Cooperativa soc. “terra e libertà”, coop soc. “Casba”, coop soc. EVA, Federconsumatori, Medicina democratica, Coop sociale L’uomo e il legno, Associazione Altri percorsi, Mit Bologna

Per approfondimenti e informazioni Andrea Morniroli - 338 1600757

4 ottobre 2008

Tre giorni contro la repressione

Tre giorni contro la repressione, la normalizzazione e le nuove forme di disciplinamento dei corpi. Bologna, 10-12 ottobre 2008.

Il Pride che si è tenuto a Bologna lo scorso 28 giugno ha evidenziato profonde fratture nel movimento lesbico, gay e transessuale, fratture esistenti – evidentemente – da prima, ma che sono emerse in maniera drammatica attraverso almeno due elementi: la debolezza di elaborazione politica all’interno del Comitato Pride che ha lasciato spazio a derive securitarie, perbeniste, escludenti e qualunquiste, e la delega alla repressione poliziesca della gestione dei conflitti interni al movimento’ e il conseguente uso della diffamazione nei confronti dei soggetti politici non allineati all’organizzazione.
Non credendo che questo riguardi solo il movimento LGBTIQ, ma che più in generale sia in atto un attacco contro ogni movimento che faccia riferimento all’autodeterminazione e all’antifascismo e che rifiuti le logiche di rappresentanza, Facciamo Breccia, Antagonismogay, Fuoricampo e Coordinamento Sylvia Rivera hanno organizzato a luglio un’assemblea cittadina a Bologna, da cui è emersa una lettura tutta politica delle vicende collegate al Pride, viste come sintomo di una generale crisi della politica.
Ciò che è avvenuto a Bologna il 28 giugno è un analizzatore che ha rotto le omertà, facendo emergere i non detti e le contraddizioni di una parte del movimento che ha scelto l’istituzionalizzazione del proprio percorso politico. Diversamente noi riteniamo fondamentale pensare e praticare i processi istituenti facendo in modo che rimangano aperti e non si fossilizzino in un 'dato una volta per tutte', in una burocratizzazione/pietrificazione di ciò che dovrebbe essere sempre in movimento, in cambio delle briciole della politica istituzionale.
Tutto ciò è avvenuto proprio nel momento di massimo dispiegamento ed egemonia delle politiche securitarie, razziste e omo-lesbo-transfobiche nel nostro paese, ad opera di un governo delle destre sostenute dalla mobilitazione di squadristi e dalle folle aizzate per il linciaggio del diverso. Un momento storico caratterizzato da una crisi economica generalizzata, che crea insicurezza economica, precarietà sociale e paura per il futuro.
Un momento in cui c’è bisogno di resistere e riaffermare i principi e gli spazi di libertà, autodeterminazione, antifascismo.
Ripartiamo dalla condizione LGBTIQ contemporanea, caratterizzata simultaneamente da esclusione sociale/culturale e iperinclusione produttiva; caccia alle streghe e marketizzazione pervasiva delle nostre soggettività e spazi sociali; violenza, aggressioni, stupri e ambigua femminilizzazione /omosessualizzazione dell’immaginario. In questo contesto, da declinare nell’arretratezza specifica del caso italiano (familismo, presenza vaticana…) si situano le soggettività LGBTIQ sospese tra deliri di normalizzazione/rispettabilità e bisogni di sovversione e trasformazione; omologazione post-identitaria e recupero di genealogie radicali.
La tre giorni si svolgerà presso la Sala del Baraccano in Via Santo Stefano 119 e sarà organizzata in sessioni tematiche precedute da un momento “documentale” con questa articolazione:

Venerdì 10 ottobre
dalle 15 accoglienza
ore 16.30-19.00
R-esistenze: documenti, biografie, genealogie
Mostra fotografica e materiali
Proiezioni video: A present for Sylvia, Libertà di movimento, Grazie a tutte!, Trannymals Go To Court,
To be Ornella

Sabato 11 ottobre
ore 10.00-13.00
Perbenismo, rispettabilità e normalizzazione delle soggettività lgbtiq.
L’interiorizzazione della rispettabilità come modello esistenziale ha determinato per decenni la ricattabilità delle soggettività lgbtq e dei nostri percorsi politici. Il tentativo di farci accettare, di apparire normali ci ha schiacciati sopra a modelli sociali, affettivi e sessuali omologati a quelli dominanti e imposti.
Come ribaltare questo meccanismo ora che è proprio il diverso e l’eccentrico a essere sotto l’attacco dei moralizzatori, dei clericali, dei fascisti? Ripensare la propria alterità, trasporre la propria differenza per collocarsi nel margine delle resistenze accanto agli osceni, agli impresentabili. L’attacco in questo momento è rivolto alle prostitute e ai sex workers, per il loro impatto “estetico” sulle strade e i marciapiedi, ma ci riguarda e coinvolge direttamente.

Sabato 11 ottobre
ore 15.00-18.00
Immaginario familista, ruolizzazione sociale/sessuale, relazioni.
Il mimetismo esasperato dall’ansia di normalizzazione ha fatto sì che riproducessimo in ambito lgbtiq l’immaginario familista e sessista della famiglia etero. Oggi che in piena liquidazione del welfare tutto il lavoro di cura e assistenziale sembra tornare sulle spalle delle donne, ricacciate tra le mura domestiche, è più che mai necessario rielaborare una critica alla famiglia come luogo di violenza femminicida lesbo/trans/omofobica di riproduzione dell’eterosessualità obbligatoria e di asservimento del genere femminile.

Domenica 12 ottobre
ore 10.00-13.00
Tras/lesbo/omofobia come espressione di violenza, sessismo e ridefinizione del patriarcato.
La ricerca e le lotte contro trans/lesbo/omofobia condotte in questi anni possono/devono intrecciarsi con il lavoro operato dal movimento lesbofemminista sul tema violenza, sessismo, razzismo.
La messa in crisi del patriarcato ad opera delle soggettività femministe e lgbtiq ha generato una reazione violenta e una ridefinizione delle strutture sociali che lo sostengono. La contestazione del potere maschile- eterosessuale ha aperto spazi per le soggettività altre, ma cionondimeno non è cessata la violenza, né il tentativo di riaffermare incessantemente quel potere.
Importante in questo senso anche il dibattito suscitato dai primi gruppi misti (gay-bi-trans-queer) sulla costruzione del maschile e la critica della violenza.

Domenica 12 ottobre
ore 14.00-16.00
Politiche securitarie, razzismo e fascismo. Quali pratiche di resistenza?
Sala del Baraccano, via S. Stefano 119.
L’emergenza sicurezza, la politica basata sulla creazione e gestione della paura, ha generato una spirale di odio, razzismo, violenza agiti contro i diversi: prima i rom, poi gli omosessuali, i clandestini, le prostitute, vengono via via individuati come il nemico pubblico da colpire e disciplinare: dalle aggressioni “spontanee” per la strada, alla violenza squadrista organizzata, dalle leggi proibizioniste alle regolazioni per via amministrativa, molteplici livelli di azione configurano un sistema, un regime autoritario, che va compreso nelle sue continuità e discontinuità con il fascismo storico.
Per ridefinire e agire nuove pratiche di resistenza individuali e collettive.

Domenica 12 ottobre
ore 16.00-17.30
Assemblea conclusiva.
Sintesi della tre giorni e rilancio di eventuali appuntamenti, azioni, mobilitazioni……

Invitiamo tutte le realtà interessate a comunicare la propria partecipazione e l’eventuale intenzione di intervenire intorno ai temi proposti a
info@facciamobreccia.org

Invitiamo inoltre a portare materiali da esporre negli appositi tavolini che saranno a disposizione.

Per la serata del venerdì è prevista la cena con musica e performance presso il Vag in Via Paolo Fabbri, mentre per la serata del sabato è prevista una festa ad Atlantide di Porta Santo Stefano.

Chi avesse bisogno di pernottare può rivolgersi sempre ad info@facciamobreccia.org di modo da permetterci di organizzare l’ospitalità.

FACCIAMO BRECCIA ANTAGONISMOGAY FUORICAMPO LESBIAN GROUP COORDINAMENTO TRANS SYLVIA RIVERA

A poposito del piano sicurezza

Dinanzi all’allarme e al disagio che diversi cittadini manifestano nei confronti del fenomeno prostituzione non ci sono scorciatoie: occorre tenere insieme la tutela dei diritti delle vittime da sfruttamento sessuale, il sostegno all’inclusione sociale per chi si prostituisce e vorrebbe un’ alternativa, il contrasto delle organizzazioni criminali, le esigenze di sicurezza che – per essere tale – non può essere altro che “sicurezza sociale” e, dunque, riguardare tutti.
Ed è su questa scia che da anni si muove il Comune di Napoli, promuovendo e partecipando attivamente a progetti che, attraverso attività informative, di tutela ed educazione sanitaria, di supporto alle vittime della tratta, di percorsi di reinclusione socio-lavorativa, cercano di sostenere i diritti delle persone che stanno o sono costrette a stare in strada.
Un lavoro che in questi anni ha permesso a più di 100 vittime di sfruttamento sessuale di fuggire dai propri aguzzini. Ha indotto 63 donne e uomini a denunciare i loro sfruttatori facendo partire dalla nostra città alcune delle più vaste operazioni di repressione delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Ha portato più di 400 donne e uomini migranti coinvolti nei circuiti prostituzionali a rivolgersi autonomamente al servizio sanitario nazionale, sottraendo così risorse al mercato clandestino della salute (per altro spesso in mano a settori legati alla camorra). Ha consentito a 30 persone prostitute di abbandonare la strada favorendo il loro inserimento lavorativo. Ha convinto, infine, decine di persone prostitute, spesso giovani e giovanissime, ad adottare in modo stabile e continuativo comportamenti di tutela della propria salute a partire dal rifiuto ad avere rapporti non protetti. Una richiesta, quella di fare sesso non protetto, che arriva da una percentuale altissima di clienti che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono persone coniugate o che hanno relazioni di coppia stabili: tutelando, quindi, la salute delle persone in strada si tutela anche la salute delle mogli e delle fidanzate.
Risultati importanti che, nei fatti e senza fare demagogia, hanno costruito sicurezza diffusa, garantito supporto a donne, uomini e persone transessuali che di notte abitano la strada.
Per queste ragioni c’è stata una reazione di stupore e contrarietà nell’apprendere che anche il Comune di Napoli, in materia di sicurezza, come anticipato dall’assessore Scotti e dal sindaco Iervolino, intende cedere a tentazioni sicuritarie, prevedendo - tra l’altro - multe alle prostitute e ai loro clienti invece di rivendicare i risultati positivi ottenuti e di proporre il potenziamento degli interventi fin qui realizzati.
Nascondere la prostituzione, perché di questo si tratta, non significa rendere più sicura la città, ma al contrario nei luoghi chiusi i rapporti saranno più pericolosi: gli operatori non potranno raggiungere le donne e gli uomini prostituti e prostituiti per offrire loro aiuto; le donne vittime di tratta, soprattutto le più giovani e le minori, saranno alla completa mercé dei loro sfruttatori; si spingeranno le categorie più deboli tra le sex worker, come ad esempio le donne nigeriane, nelle braccia di nuovi sfruttatori, che lucreranno sull’affitto degli appartamenti.
Le politiche di sicurezza devono certamente prevedere interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza e ad ogni forma di crimine, ma soprattutto devono prevedere misure concrete per il lavoro, il rafforzamento e la stabilizzazione del sistema di welfare, la realizzazione di nuovi spazi pubblici, l’attivazione di progetti di accoglienza, di mediazione sociale e dei conflitti.
Assecondare, invece, gli umori peggiori e cattivi che vanno diffondendosi nel Paese, forse consente di raggranellare qualche voto in più, ma fa perdere gran parte del senso essenziale dell’agire amministrativo: risolvere i problemi.
Quando l’ipocrisia diventa il paradigma della narrazione sociale e la violenza un elemento di regolazione delle relazioni umane, e quando le paure collettive corrono il rischio di innescare spinte corporative e processi di annullamento dell’identità dei differenti, il compito di una amministrazione cittadina - a maggior ragione di una di centrosinistra con la storia e la tradizione di Napoli - dovrebbe essere quello di costruire un’idea solidale e accogliente di città. E per un motivo molto semplice: solo così può essere in grado di garantire più sicurezza.

Andrea Morniroli
Sergio D’Angelo
Loredana Rossi

fino al 4 ottobre, lì a castelvolturno

forse dovremmo fermarci, smettere ogni cosa, riunirci in un luogo grande, lì a castelvolturno, fino al giorno della manifestazione del 4 ottobre. Leggere con attenzione la lettera a gomorra di roberto saviano, dove dice :

"Cos'ha fatto Carmelina, cos'hanno fatto altri come lei per avere la vita distrutta e sradicata, mentre i boss latitanti continuano a poter vivere protetti e rispettati nelle loro terre? E chiedo alla mia terra: che cosa ci rimane? Ditemelo. Galleggiare? Far finta di niente? Calpestare scale di ospedali lavate da cooperative di pulizie loro, ricevere nei serbatoi la benzina spillata da pompe di benzina loro? Vivere in case costruite da loro, bere il caffè della marca imposta da loro (ogni marca di caffè per essere venduta nei bar deve avere l'autorizzazione dei clan), cucinare nelle loro pentole (il clan Tavoletta gestiva produzione e vendita delle marche più prestigiose di pentole)?
Mangiare il loro pane, la loro mozzarella, i loro ortaggi? Votare i loro politici che riescono, come dichiarano i pentiti, ad arrivare alle più alte cariche nazionali? Lavorare nei loro centri commerciali, costruiti per creare posti di lavoro e sudditanza dovuta al posto di lavoro, ma intanto non c'è perdita, perché gran parte dei negozi sono loro? Siete fieri di vivere nel territorio con i più grandi centri commerciali del mondo e insieme uno dei più alti tassi di povertà? Passare il tempo nei locali gestiti o autorizzati da loro? Sedervi al bar vicino ai loro figli, i figli dei loro avvocati, dei loro colletti bianchi? E trovarli simpatici e innocenti, tutto sommato persone gradevoli, perché loro in fondo sono solo ragazzi, che colpa hanno dei loro padri."


leggerla tutta
e leggere con attenzione la mini inchiesta sulla povertà in campania su La Repubblica di ieri

dove dice:

"Il Paese - dice don Luigi Merola, ex parroco a Forcella, costretto a lasciare per le minacce di morte e oggi sotto scorta -alla povertà si è arreso. Taglia i fondiall'istruzione, finge che l'occupazione sia una questione delmercato, condanna i poveri alla delinquenza.
L'accelerazione della deriva di Campania e Meridione nella miseria, sotto gli occhi ditutti, è spaventosa. Se non diventa il problema centrale delPaese, il federalismo si tradurrà in una scissione nordista difatto. L'unico esercito che al Sud faceva paura era quello degli insegnanti: toglierli significa ammettere di mirare al consenso attraverso il controllo della camorra".
La gente, resa apatica da una storia di prepotenze e umiliazioni, è scossa da una paura nuova. "Anche la solidarietà - dice la sociologa Enrica Morlicchio - è allo stremo. Città e paesi sono in mano agli usurai, che riciclano denaro sporco ricattando i poveri. Le case della Campania sono depositi di armi e droga: unica fonte di sostentamento anche per le famiglie oneste".
Nei salotti ci si consola ricordando la miseria del dopoguerra. Ma lo spettro ormai ha un profilo preciso: "l'assalto ai forni", la rivolta dei poveri contro lo Stato assente che li ignora. "Il governo - dice Antonio Mattone della comunità di Sant'Egidio - non lotta più contro la povertà, ma contro i poveri. La violenza di quest'anno a Napoli, contro le discariche, contro i rom e contro gli immigrati, è stata premiata. La lezione è semplice: se è filmata dalle tivù, in base alle opportunità elettorali, la violenza della piazza decide. Un corto circuito civile che in Campania può travolgere tutti. I poveri ormai sono la maggioranza, non rispondono più a nessuno, cominciano a unirsi. Il Sud in miseria, fondato su emigranti, immigrati e criminali, sta spazzando via la politica ostaggio della finanza: l'Italia rischia di smarrire la fiducia non nella ripresa, ma nella democrazia".
Come Marina. Da trent'anni vive in un sottoscala a Villa Literno grazie ai 600 euro concessi alla figlia colpita da un'encefalite. È mezzogiorno e il figlio più grande, disoccupato, dorme davanti al focolare spento. L'altra figlia, separata, oggi non ha cibo per i tre bambini. Questa notte l'hanno presa mentre stava per tuffarsi dal balcone nel vicolo. "Se l'assisto - dice - non posso lavorare. Se lavoro, perdo il diritto al suo assegno".
Una frattura storica, la rottura del vincolo tra miserabile, favore e potere. Migliaia di fantasmi, in Campania, si chiedono cosa significhi, se ancora abbia una valore, essere liberi. "La scureche sta tagliando il Paese - dice Marco Rossi Doria, maestro di strada - è la fine dell'interesse della politica per chi ha bisogno di giustizia. La vigliaccheria dell'italietta, la rimozione collettiva della povertà, consente alle istituzioni di confrontarsi esclusivamente con l'economia. I tagli alla scuola, che ricacciano i bambini del Sud nelle strade, sono il simbolo di una condanna definitiva alle mafie. Questo accanimento particolare contro i poveri, con l'arma dell'istruzione negata nel nome del rigore, è il via libera pubblico alla criminalità".
Nessuno, in Campania, invoca il fallito assistenzialismo clientelare del passato. In una terra divisa tra fuga e guerra, non ci si vergogna però più di lanciare un "allarme nazionale sui poveri". "Ogni settimana - dice il sociologo Enrico Rebeggiani - se ne vanno centinaia di donne sole. Non era mai accaduto. La regione, come il resto del Sud, si svuota di giovani intraprendenti. La politica è ridotta a reclutamento dei leader prepotenti delle moltiplicate ribellioni possibili: solitamente accade quando i regimi autoritari sono al tramonto".
Per questo, affrontare il cambiamento con l'emergenza che mobilita esercito, polizia e ronde, alimenta la ritirata. "Il Paese -dice Andrea Morniroli della cooperativa Dedalus - deve riconoscere una responsabilità nuova verso i poveri. Sacrificare la Campania e il Meridione alla paranoia della sinistra contro Berlusconi, non legittima solo la corruzione del potere: distrae una coscienza civile e trascina l'Italia dalla povertà regionale alla cultura nazionale dell'arretratezza armata".


leggerla tutta

costituire un presidio contro la miseria, esprimere con tutta la nostra forza il rifiuto per questa ipocrita, subdola, vile, strisciante, dilagante violenza che sta distruggendo la nostra vita e il nostro futuro. Costruire un presidio del nostro sogno di questi luoghi, ritornare a sognare.

"Bisogna trovare la forza di cambiare. Ora o mai più."

Lo sguardo tragico che legge la città


di Giovanni Laino
la Repubblica Napoli, 29-09-2008

Quando presento Napoli agli stranieri, utilizzo due dipinti. Un murales: la “Battaglia tra i Centauri e i Lapiti”, fatto da Piero di Cosimo, nel 1505, ore esposto alla National Gallery di Londra e un murales di Marc Chagall, del 1919, “Decorazioni per teatro ebraico” di Mosca. Pur molto diverse fra loro, le due opere raffigurano una scena molto movimentata che, su un paesaggio delicato e suggestivo, presenta o richiama grande agitazione, teatralità, lotta frammista a danza, simboli fallici, gente che perde la testa; acrobati e figure inumane agitati nelle relazioni, fra arte, musica e conflitto, in un insieme che è allo stesso tempo un orgia, un grande happening, un teatro di guerra.
Le due immagini funzionano bene perché da molto tempo per rappresentare Napoli si sente il bisogno di ricorrere a metafore che suggeriscono la particolarità cosmica della città: “serena sull’abisso”, “terremoto quotidiano”, “paradiso abitato da diavoli”.
Giorni fa ho avuto il piacere di accompagnare il Giampaolo Visetti in città per pubblicare poi il reportage di sabato 27 su R2 di Repubblica. Ho provato a suggerire al cronista una qualche prudenza evitando di assumere uno sguardo semplice, unificante. Non ci sono riuscito. L’articolo di Visetti è solo un esempio di un filone culturale, che tra l’altro trova fortuna, arrivando a candidare opere cinematografiche per premi Oscar.
Nel fine settimana ho partecipato al World Social Summit realizzato a Roma da due prestigiose fondazioni. Ha parlato anche Roberto Saviano che ha fatto un paio di brevi interventi ribadendo una visione tragica della condizione napoletana, anche con qualche esagerazione, per esempio sui Quartieri Spagnoli, raccolta da una fonte poco attendibile.
Credo che l’adozione di un’ottica tragica, epica, secondo cui vi è un destino di morte segnato, determinato da forze potenti quanto misteriose, pervasive, pur avendo molti fondati argomenti, è fuorviante. E’ difficile vivere a Napoli e parlarne ma credo che sia necessario convivere con uno sforzo di lucidità che si esprime meglio con un’ottica più silente, prendendo atto del conflitto, del coinvolgimento di tanti, come pure della necessità di individuare dei piani differenziati, distinguendo le responsabilità. L’urlo, il pezzo forte che prima suggeriva di leggere Napoli come “un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti”, e oggi “holding camorristica”, non mi pare convincente. Anni fa ho fatto una ricerca sull’uso di diverse immagini per parlare di Napoli, dai testi che già a fine Ottocento si occupavano del ventre malsano della città. Ve ne è traccia nel libro di Ramondino e Muller, Dadapolis. L’approccio tragico non riesce a sostenere uno sguardo strabico che cerca di guardare la varietà, le differenze, immaginando piani distinti. Sollecitato dalla città barocca, si alimenta solo di scene sconvolgenti, sanguigne, di cui la conurbazione napoletana è feconda fucina. Non rivendico affatto la necessità pur legittima di mettere in evidenza il buono che c’è. Rilevo solo che molti operatori dell’informazione e artisti finiscono comunque per proporre immagini distorte, magari riuscendo talvolta a svolgere un ruolo profetico ma, più spesso per realizzare testi suggestivi, ad effetto, che scuotono ma poi non danno chiavi di lettura per avanzare nell’analisi e nell’azione. E’ evidente una grave responsabilità dei ricercatori – la mia categoria - che, da qualche decennio, fanno ben poche inchieste. Negli ultimi anni gli atti della magistratura, assunti di per se come fonte di verità storica, e le inchieste di bravi giornalisti hanno alimentato l’immaginario sociologico sulla città. Napoli è certamente un vulcano attivo, ma credo sia necessario mettere in luce le responsabilità di rilevanti settori dei ceti dirigenti che, per opportunismo, riproducono condotte incivili, contro il pubblico interesse. Anche la società complessa è gerarchizzata. Le persone, i settori sociali sostanzialmente sani, hanno bisogno di fiducia, esempi, guide. Le èlites hanno grandi responsabilità. Le città ove si vive meglio non hanno risolto molti problemi ma, i loro governanti hanno dato prova di un impegno serio, capace di conseguire dei risultati. Sullo sfondo di problemi certo molto gravi, negli ultimi otto anni, a Napoli è mancato questo.

La scuola

La scuola

Facciamo l'ipotesi, cosi' astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale pero' formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito?

Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico

Piero Calamandrei

(Discorso pronunciato al III° Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l'11 febbraio 1950)





la foto è tratta dl sito romacivica.net

Pacchetto e pacchettini "Zi'curezza"

deformazione da noteburc....

c'è una ordinanza del sindaco che pone alcuni divieti.
poi c'è una delibera che, come disposto dall'ordinanza dovrebbe fissare riduzioni delle sanzioni pecuniarie previste per chi non rispetta i divieti; ma che invece contiene anche una serie di iniziative ad ampio raggio sugli immigrati, sulla prostituzione, sugli ambulanti e sugli abusivi in genere (vero e grave serbatoio di insicurezza, disagio, fastidio per la cittadinanza onesta). Dunque ordinanza e non solo, alla faccia della chiarezza.

Sempre per amore di chiarezza, nella ordinanza del Sindaco e nella delibera collegata, in premessa, si legge, tra l'altro:

"considerato che, come risulta dalle informative del Comando di Polizia Municipale e dalle situazioni rappresentate dalle forze della polizia di Stato, le azioni di contrasto già poste in essere in tema di pubblica incolumità, di sicurezza e decoro urbano, di integrità e libero utilizzo del patrimonio pubblico non presentano statistiche decrescenti, ma anzi aumentano il senso di insicurezza con negative incidenze sull’ordinata convivenza civile"

che significherebbe ... dunque non servono.... oppure dunque non bastano, a scelta!

chiarezza chiarezza, mi punge vaghezza di te!

A scanso di equivoci, questi sono gli ordini del Sindaco:

1. Su tutto il territorio comunale:
a) è vietato impiegare minori o disabili nell’accattonaggio; in caso di violazione di tale divieto, salvo che il fatto costituisca reato, si applica la sanzione pecuniaria, da € 200,00 a € 500,00 e la contestuale informativa al Tribunale dei minori e alla ASL territoriale per quanto di competenza, nonché alla Procura della Repubblica se si ravvisi l’ipotesi di sfruttamento;
b) è vietato impedire, anche temporaneamente, agli agenti accertatori di accedere, secondo l’articolo 13 della legge n. 689/1981, agli esercizi commerciali e ai locali ove si svolge qualsiasi attività lavorativa; in caso di violazione di tale divieto si applica la sanzione pecuniaria da € 100,00 ad € 500,00;
c) è vietato, a ridosso o all’interno o nella immediata prossimità di edifici pubblici, piazze, stazioni, monumenti, collocare in modo continuativo o abbandonare giacigli, materassi, sacchi a pelo, ovvero realizzare veri e propri bivacchi; in caso di violazione di tali divieti, fermo restando l’asporto del suddetto materiale, si applica la sanzione pecuniaria da € 150,00 a € 500,00; la sanzione non si applica nei casi di assoluta indigenza della persona, prevedendosi, oltre gli specifici interventi di operativa solidarietà, l’elaborazione un apposito piano per potenziare i centri di assistenza e recupero dei senza fissa dimora;
d) a chiunque imbratti o deturpi edifici pubblici, monumenti, attrezzi, strumenti, ovvero oggetti e cose di arredo urbano si applica la sanzione pecuniaria da € 200,00 a € 500,00.

E questi sono gli ordini della Giunta, proposti dall'Assessore alla Legalità, Trasparenza e Polizia Locale Prof. Luigi Scotti, e approvati
1) di prendere atto dell’Ordinanza del Sindaco n 1110 del 2/10/2008 la quale stabilisce (....)
2) di determinare, in attuazione dell’articolo l’articolo 16, comma 2, della legge 689/1981, come modificato
dall’articolo 6 bis del decreto legge 92/2008 convertito dalla legge 125/2008, per la prima applicazione della predetta Ordinanza sindacale, dell’importo del pagamento in misura ridotta e, in seguito, per i casi di minore gravità, delle sanzioni pecuniarie riportate alle lettere a), b) c) e d) del punto 1), nella misura di €. 150,00 per la lettera a), di €.80,00 per la lettera b), di €. 100,00 per la lettera c) e di €150.00 per la lettera d);
3) di dare alla Polizia Municipale il preciso indirizzo per un’attività di energico contrasto del fenomeno dei parcheggiatori abusivi, secondo l’articolo 15 bis del codice della strada, nonché mediante rapporto all’Autorità giudiziaria per il reato di cui all’articolo 633 del codice penale, cioè di occupazione e invasione di suolo pubblico, e per il reato di cui all’art. 640 del codice penale, cioè di truffa quando il parcheggiatore abusivo simuli, mediante idonei artifici, un parcheggio regolare, oltre le sanzioni già previste a carico sia del parcheggiatore sia dell’automobilista per sosta in zona vietata o comunque illegittima;
4) di disporre il controllo, a mezzo della Polizia Municipale nel corso dello svolgimento dei compiti suoi propri, di strade, piazze ed altre aree pubbliche ove si pratica abitualmente lo spaccio e il consumo di sostanze stupefacenti per riferirne agli organi di polizia dello Stato o direttamente all’Autorità giudiziaria, prevedendosi che tale attività sia attuata d’intesa e in coordinamento con le altre forze della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza;
5) di avviare una decisa azione di contrasto al fenomeno dell’abusivismo commerciale, sia fisso che itinerante, di illegittima occupazione di suolo pubblico e di violazione delle norme in materia di esercizi commerciali, con le sanzioni già previste dai regolamenti vigenti, cui può aggiungersi il sequestro amministrativo a norma degli articoli 13 e 20 della legge 24 novembre 1981, n.689, e del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n.571;
6) di disporre presidi di accertamento con etilometri nelle ore serali e notturne in prossimità di locali ove si consumano bevande alcoliche, soprattutto di quei locali che non dispongano di apparecchi per la misurazione del tasso alcolemico, al fine di prevenire ed impedire la guida in stato di ebbrezza, prevedendosi che tale attività sia esplicata dalla polizia municipale d’intesa con le altre forze di polizia;
7) di disporre l’immediata segnalazione, agli organi competenti per i provvedimenti di espulsione o di allontanamento, di persone in condizione di irregolarità nei casi in cui tali persone abbiano dato causa ad episodi che hanno reso necessario il ripristino della sicurezza urbana ad opera della polizia municipale o delle altre forze di polizia;
8) di prevedere divieti di sosta e di fermata per determinate fasce orarie in strade, piazze ed altri luoghi pubblici dove abitualmente insiste il fenomeno della prostituzione di strada, prevedendosi nel contempo il potenziamento di specifici piani rivolti a favorire percorsi virtuosi di inclusione sociale delle persone, quale ne sia la nazionalità e soprattutto se minorenni, coinvolte nel circuito della prostituzione, ed altre forme di intervento;
9) di realizzare un costante coordinamento con le altre forze di polizia, secondo le direttive del Ministero dell’Interno, anche mediante conferenze di servizio, e di attuare una costante vigilanza per la realizzazione degli obiettivi di cui alle lettere precedenti su tutte le strutture ed articolazioni del Comune coinvolte nella anzidetta strategia di intervento;
10) di potenziare il sistema di video sorveglianza delle aree a rischio e in quelle di afflusso turistico, e di elaborare specifici programmi di sicurezza riferiti ai punti strategici più esposti, con particolare riguardo agli accessi in città e ai luoghi di accoglimento dei turisti;
11) di istituire presso la sede comunale e le municipalità, utilizzando gli Uffici Rapporti con il Pubblico, un’apposita posta di ricezione denominata “sicurezza” in modo che i cittadini possano trasmettere segnalazioni e suggerimenti relativi alla sicurezza;
12) di informare, attraverso il Sindaco, ogni semestre il Consiglio comunale sull’attuazione delle misure di cui alla presente deliberazione;
13) di trasmettere la presente deliberazione al Prefetto ai sensi dell’articolo 54, comma 4, modificato dall’art. 6 del decreto legge 92/2008 convertito con legge 125/2008.

2 ottobre 2008

Se la democrazia diventa inutile

di Ilvo Diamanti

Il Consiglio di Stato ha bocciato il referendum indetto, domenica prossima, a Vicenza dall'amministrazione comunale, per consultare i cittadini sull'uso dell'area dove è prevista la costruzione di una nuova base Usa. Non una consultazione deliberativa, perché si tratta di una scelta che poggia su negoziati internazionali. Ma un modo per permettere alla popolazione di esprimersi su una decisione che è destinata a produrre effetti rilevanti sulla realtà locale: dal punto di vista dell'ambiente, del territorio, della viabilità, della sicurezza.

Il Consiglio di Stato ha stabilito che si tratta di un esercizio "inutile", perché si applica a un obiettivo "irrealizzabile". E ha, per questo, bloccato l'iniziativa, tre giorni prima dello svolgimento. Contraddicendo, così, il pronunciamento del Tar, che, al contrario due settimane fa, aveva considerato legittima la consultazione.

Così, Vicenza diventa un caso esemplare, nella sua specificità. Una città dove lo Stato decide che i cittadini non "devono" pronunciarsi, secondo procedure istituzionali, perché, comunque, è stato già deciso. Peraltro, è difficile che, in questo caso, si levino voci indignate, a livello nazionale. (ad eccezione dei "soliti" esponenti della sinistra radicale). Perché su questa materia l'accordo è bipartisan.

La scelta della nuova base Usa nasce, cinque anni fa, da un accordo informale fra Berlusconi e le autorità americane, approvata dall'amministrazione di Vicenza del tempo e coltivata in gran segreto per anni. Così, a doverla gestire è stato il governo Prodi, che, dopo qualche resistenza e molte perplessità, ha, infine, concesso la base agli Usa, nel gennaio 2007. In nome dei buoni rapporti con l'alleato più influente, a livello internazionale. Dunque, destra, sinistra e centro d'accordo. Senza se e senza ma. Cioè: senza ascoltare i cittadini. Senza neppure preoccuparsi di vedere il luogo, il contesto, le condizioni.

Nessun leader politico del centrodestra e del centrosinistra che sia venuto a Vicenza a confrontarsi, a spiegare le ragioni della scelta. Nessun ministro che, negli ultimi due anni, abbia avuto il coraggio di avvicinarsi alla città, per timore di venire fischiato e contestato. Oggi che i fischi e le contestazioni fanno male all'immagine.

Solo il presidente Napolitano, di recente, si è recato a Vicenza. E ha pronunciato parole prudenti ma, in fondo, sagge, esortando affinché la difesa degli interessi locali avvenga nel rispetto di quelli nazionali. Senza, però, negare il diritto dei cittadini a esprimersi. Mentre il Consiglio di Stato ha decretato che il referendum è inutile. La stessa posizione espressa, in modo aperto, dal ministro La Russa. E dai leader di centrodestra. Dal presidente della Regione, Galan. Senza che, peraltro, si siano levate voci dissonanti dal centrosinistra. Né dal Pd né dall'Idv di Antonio di Pietro. D'altra parte, lo stesso Berlusconi, nelle scorse settimane, aveva inviato al sindaco di Vicenza una lettera per invitarlo a desistere. Il referendum è inutile: non fatelo. Tutti d'accordo, da sinistra a destra. Da Roma a Venezia.

Qui, però, non si tratta più del merito: la costruzione di una "nuova" base Usa (non dell'allargamento di quella pre-esistente, come erroneamente si dice) alle porte della città. Ma della possibilità dei cittadini di esprimersi attraverso un referendum. (come ritiene giusto oltre il 60% dei vicentini, interpellati in un sondaggio condotto da Demetra la settimana scorsa).

Il Consiglio di Stato (come le principali forze politiche nazionali) ha negato questa possibilità perché "ha per oggetto un auspicio irrealizzabile... su cui si sono pronunciate sfavorevolmente le autorità competenti". Sostenendo, in questo modo, che l'utilità della democrazia si misura solo a partire dal suo "rendimento" concreto; dall'efficacia dei risultati. (Se così fosse, non si spiegherebbe perché, per quanto faticosamente, regga ancora nel nostro paese).

Come se la democrazia fosse un utensile per realizzare "prodotti" pubblici. Un sistema e un metodo per decidere, come un'impresa qualsiasi (proprio oggi che il mercato non sembra più di moda). Dimenticando che la democrazia ha valore in sé. E' un valore in sé. Le procedure mediante cui si realizza "servono" come fonte di legittimazione perché garantiscono riconoscimento alle istituzioni e consenso alle autorità.

La democrazia "serve" perché istituzionalizza il dissenso sociale, perché sostituisce la mediazione e la partecipazione allo scontro. La democrazia diretta, peraltro, offre un sostegno importante alla democrazia rappresentativa. Nel caso concreto, la prospettiva del referendum ha incanalato i comitati e i movimenti contrari alla base americana dentro alle logiche e alle regole del confronto istituzionale. Ha istituzionalizzato il dissenso. Ha isolato e estromesso le frange più estreme e le tentazioni violente.

Due anni di opposizione, manifestazioni e proteste su un terreno così critico si sono svolte senza incidenti, senza strappi. D'altronde, e non a caso, il movimento "No dal Molin" ha partecipato alle elezioni comunali dello scorso aprile, dove ha eletto una rappresentante. Accettando, così, il gioco della democrazia. Trasferendo il confronto dalla piazza alle sedi istituzionali. Sostituendo - e preferendo - la logica della rappresentanza a quella dello scontro.

Per la stessa ragione, il referendum avrebbe offerto all'amministrazione comunale e, in primo luogo, al sindaco Variati uno strumento per "governare" il malessere e le tensioni sociali. Perché, qualsiasi ne fosse stato l'esito, avrebbe ottenuto una delega a "negoziare". Anche se non vi fosse stato nulla di negoziabile - come accusa il Consiglio di Stato (la cui fiducia nel potere della partecipazione, dunque, della democrazia "sostanziale" appare assai fragile). In quel caso, avrebbe pagato lui, il sindaco, insieme all'amministrazione il prezzo di aver generato aspettative deluse. Ora, invece, la città si ritrova muta. Costretta al silenzio. Perché si è sancito, semplicemente, che, in alcuni casi, in questo caso, nel "suo" caso, la "democrazia è inutile". Che la partecipazione non serve. Che l'ascolto è un vizio. Che è meglio decidere ignorando il dissenso. Dichiarando preventivamente "illegittima" la semplice possibilità di farlo emergere.

Ma la democrazia ha una funzione terapeutica, prima che pratica e strumentale. Serve a curare la frustrazione nei rapporti sociali e politici. A evitare che degeneri.

Quando diventa inutile allora è lecito avere paura.

La Repubblica - Le Bussole 1 ottobre 2008 - L'immagine è tratta dalla stessa fonte