Da La Stampa - Libri del 11/3/2008 -
POLEMICA
La decrescita logora anche Latouche
Un’utopia lugubre e sinistra: non si limita la ricerca
PIERO BIANUCCI
Decrescita serena. Le parole che Serge Latouche sceglie per sintetizzare la sua visione del futuro dicono quanto sia difficile capovolgere concetti da secoli associati a valori positivi. Crescita è uno di questi. Crescono i bambini, crescono gli alberi. «Decrescita serena» fa pensare a una casa di riposo per anziani. Lì, tra una partita a carte e una minestrina in brodo, i giorni passeranno anche tranquilli, ma tutti gli ospiti sanno quale traguardo li aspetti.
Serge Latouche, 67 anni, professore di economia all’Università di Parigi Sud, guru del pensiero ecologista senza compromessi, nel suo Breve trattato sulla decrescita serena appena pubblicato da Bollati Boringhieri (135 pagine, 9 euro) condanna a morte l’idea di sviluppo che finora ha guidato i paesi occidentali inchiodandoli alla responsabilità di avere messo in crisi il pianeta. Anche lo «sviluppo sostenibile» è soltanto la foglia di fico del neocapitalismo.
In alternativa, Latouche delinea un progetto politico che ha il fascino lucido e un po’ sinistro dell’utopia. Se vogliamo salvarci – dice – dobbiamo pensare a una società più povera, liquidare il mito del prodotto interno lordo e sottomettere le decisioni politiche ed economiche alla dura legge della termodinamica, secondo la quale nulla si può fare senza che l’energia si degradi. Sadi Carnot l’ha dimostrato: l’entropia vince sempre. Corollario ovvio: non c’è crescita senza limiti in un sistema di per sé limitato come il pianeta Terra.
Latouche traduce il tutto in 8 R. Ecco le principali. Rivalutare, cioè istituire valori nuovi. Riconcettualizzare, cioè invertire le attuali idee di ricchezza e povertà. Ristrutturare, cioè adattare l’apparato produttivo ai nuovi valori. Rilocalizzare, cioè tornare a una economia che produce e consuma sul posto. E così via. Su alcune R si può soltanto essere d’accordo: ridistribuire (la ricchezza), riciclare (i rifiuti) e ridurre (gli sprechi).
Sembra un mix di radicalismo verde e buon senso. Ma nelle ultime pagine Latouche espone un autentico programma elettorale di impronta pauperista e lo riassume in 9 punti. Alcuni sono accettabili: penalizzare le spese pubblicitarie, sostituire il piacere del possesso con il piacere della convivialità (in soldoni, farsi una spaghettata con gli amici invece di pasteggiare solitari a caviale e champagne). Ma l’ultimo punto è sconcertante: «decretare una moratoria sull’innovazione tecnico-scientifica, fare un bilancio serio di questo settore e riorientare la ricerca sulla base delle nuove aspirazioni delle persone». A parte il fatto che le nuove aspirazioni appaiono calate dall’alto dell’utopia di Latouche, come si può immaginare di sottoporre a dirigismo la ricerca pura, per sua essenza disinteressata, guidata dalla curiosità e dal desiderio di conoscere per conoscere?
Su alcune cose Latouche ha banalmente ragione: è vero, nulla può crescere all’infinito, né la popolazione né il Pil, né il consumo di materie prime e di energia fossile. Ma l’unica soluzione è davvero la decrescita o, parola ancora più lugubre, l’a-crescita? E si può chiedere di decrescere a chi non è ancora cresciuto, come i 4 miliardi di persone che abitano in paesi sottosviluppati? Latouche non concede alternative. Eppure riconosce che la Terra non è esattamente un sistema chiuso: dal cielo entra energia, il Sole ce ne invia una quantità tale da eguagliare in 5 minuti quella consumata dall’umanità intera in un anno.
Dunque qualcosa di non limitato esiste. Si può fare un passo ulteriore. Finora si è ragionato come se il mondo fosse fatto di due cose: materia ed energia. Ma oggi l’era digitale ha introdotto un terzo fattore: l’informazione. I bit non occupano spazio (quasi), non impegnano grandi quantità di materie prime, non richiedono imballaggi, non generano rifiuti. I bit sono immateriali. E l’informazione – la conoscenza – diversamente dai beni materiali, più si condivide più si moltiplica.
Da questo punto di vista, la conoscenza è l’unico bene che possa crescere quasi all’infinito, aggirando le leggi della matematica e dell’entropia. In più, conoscenze recenti hanno aperto campi come l’ingegneria genetica e le nanotecnologie che per loro natura richiedono minime quantità di energia e di materia ma in compenso promettono soluzioni per malattie, inquinamento, disuguaglianze sociali.
Chi ha una certa età ricorda lo studio del Club di Roma dal titolo I limiti dello sviluppo. Aveva previsto quasi tutto. Tranne il procedere della conoscenza che ha generato il mondo immateriale. Certo, è successo attraverso il consumismo e l’assalto alla diligenza dei combustibili fossili. Ma ora la conoscenza è lì, anche a disposizione di Latouche. Se vuole vederla.
Autore: Serge Latouche
Titolo: Breve trattato sulla decrescita serena
Edizioni: Bollati Boringhieri
Pagine: 135
Prezzo: 9 euro
L’economista anti-globalizzazione
Nato 68 anni fa a Vannes, in Francia, Serge Latouche è professore emerito di Scienze economiche all'Università di Pari-Sud. Specialista dei rapporti economici e culturali Nord-Sud e dell’epistemologia delle scienze sociali, è un critico spietato della globalizzazione e un convinto sostenitore della decrescita e del localismo. Rifacendosi anche alle concezioni di Marcel Mauss e di Ivan Illich, rivendica la liberazione della società occidentale dalla dimensione universale economicista. Ha sostenuto le sue teorie in numerosi libri di largo successo che sono divenuti testi di riferimento del pensiero ecologista radicale. Il suo ultimo pamphlet, Breve trattato sulla decrescita serena, uscirà il 13 marzo da Bollati Boringhieri, che ha tradotto gran parte della sua opera.
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