Traduzioni

25 marzo 2008

Due o tre cose che so di loro (parte prima)

DUE O TRE COSE CHE SO DI LORO.


Federico Valerio



Gli oggetti di questa chiacchierata (“loro”) sono i termovalorizzatori, gli impianti che da qualche tempo si vogliono imporre agli Italiani, con la scusa che risolveranno il problema dello smaltimento dei loro rifiuti e i rifiuti tossici che questi stessi impianti producono (le diossine).

Le “due o tre cose” che so e che, grazie a questa chiacchierata vorrei comunicare ai lettori, sono le informazioni che dispongo su questi temi.

Questo privilegio mi deriva da alcune particolari circostanze: una laurea (in chimica) ed un lavoro (responsabile del Laboratorio di Chimica Ambientale dell’ Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova) che mi permettono l’accesso diretto alla produzione scientifica internazionale. E poiché questa soluzione privilegiata è state resa possibile anche grazie alle tasse di tutti gli Italiani che hanno finanziato l’istruzione e la ricerca pubblica, mi sembra doveroso ricambiare il favore.

Nella campagna promozionale a favore della termovalorizzazione dei rifiuti urbani, le amministrazioni pubbliche e i gestori di questi impianti, per convincere gli elettori-consumatori della bontà di questa tecnologia, immancabilmente negano che le diossine possano essere un problema ambientale e sanitario. E se mai qualche problema ambientale e sanitario ci fosse, questo è nettamente inferiore a quelli creati da altre ineludibili tecnologie moderne come, ad esempio, l’automobile.

Questa chiacchierata cercherà di fornire ai lettori la sintesi di documenti ed informazioni di cui sono venuto a conoscenza, utili per smascherare questi ed altri inganni che, a ragion veduta, si può ritenere siano stati messi in atto in questa singolare campagna pubblicitaria.



I pellegrinaggi del terzo millennio


A partire dagli anni ’90, in Italia si è assistito a singolari nuove forme di pellegrinaggio.

Folle di amministratori pubblici, presidenti e funzionari di aziende per la gestione di rifiuti urbani, giornalisti, rappresentanti di comitati cittadini si sono recati in visita ai nuovi santuari della tecnologia moderna: i termovalorizzatori.

In effetti, a sentire le guide di questi pellegrinaggi, ci troviamo di fronte a dei veri e propri miracoli della tecnologia. Questi impianti, non solo fanno sparire i rifiuti (per un certo tempo, sono stati battezzati con il nome di “termodistruttori”), ma addirittura li trasformano in pregiata energia elettrica. E tutto questo, con inquinamento praticamente nullo.

Ogni qual volta un “pellegrino” chiedeva al gestore del termovalorizzatore di turno quanta diossina esce dai suoi camini, le risposte tipo (in ordine di accuratezza) erano:


  1. Il nostro impianto non emette diossina

  2. Una quantità non misurabile

  3. Una quantità inferiore ai limite di legge


Di solito, queste risposte hanno tranquillizzato gli autorevoli pellegrini che, ritornati nelle loro città, si sentivano autorizzati a tuonare contro gli eco-terroristi che demonizzano questi impianti, diffondendo notizie false e tendenziose sui loro presunti pericoli per la salute pubblica.

In verità, le notizie false o tendenziose o, quantomeno volutamente reticenti, sono quelle elencate in precedenza. E queste bugie o mezze verità erano possibili anche grazie ad una errata formulazione della domanda.



Le domande giuste


Quelle che seguono, sono le domande giuste che, durante le visite ai termovalorizzatori, un buon pubblico amministratore, attento agli interessi dei propri amministrati, avrebbe dovuto formulare:


  1. Quanti picogrammi di diossine emette giornalmente il vostro impianto?

  2. Questo dato è il valore medio o il valore minimo da voi misurato?

  3. Quante misure di diossine effettuate annualmente?

  4. In base a quale criterio sono stati fissati i limiti di legge per le emissioni di diossine?


Prima di spiegare il senso di queste domande, riteniamo doveroso segnalare la singolarità delle procedure adottate in questi pellegrinaggi che, nelle intenzioni dichiarate, dovrebbero fornire una corretta informazione agli amministratori che devono decidere: l’unico interlocutore a cui si fanno domande e dal quale si ricevono le informazioni è quasi sempre il gestore o il progettista dell’impianto!

Ovvero, della serie: “Se vuoi sapere se il vino è buono, chiedi all’oste.” Ricordiamo che persino nei processi di santificazione c’è sempre “l’avvocato del diavolo” che cerca di smontare i miracoli del candidato santo.

Tant’è, questo è il nostro attuale stato della partecipazione democratica alle scelte e con questa sconsolante situazione dobbiamo fare i conti.

Spieghiamo ora per quale motivo le domande da noi suggerite sono quelle giuste.

Innazitutto, avrete notato che nella prima domanda abbiamo utilizzato una singolare unità di misura per valutare la quantità di diossine emesse dal termovalorizzatore: il picogrammo. Si tratta di una unità di misura del peso estremamente piccola: un picogrammo equivale ad un miliardesimo di milligrammo!

In particolare, le attuali normative europee prescrivono che in ogni metro cubo di fumi emesso da un termovalorizzatore ci possano essere al massimo, 100 picogrammi di diossine.

Se si pensa che la quantità ammessa degli altri inquinanti si misura in milligrammi, si spiega l’alibi mentale di chi afferma che da un moderno inceneritore, in pratica, non escono diossine: “Sono talmente poche!”.

Il problema vero è che per misurare le diossine dobbiamo usare un’unità di misura così piccola, perché la loro tossicità è estremamente più elevata, rispetto ai “normali” inquinanti.

Anche la risposta “Le diossine non sono misurabili”, apparentemente rassicurante , si fa velo del fatto che spesso, per ridurre i costi, i laboratori di analisi fissano il livello minimo di rilevabilità del loro metodo, poco al di sotto del valore limite.

Quindi, il gestore di un termovalorizzatore può affermare che le diossine nei fumi del suo impianto, in quanto inferiori al valore minimo determinabile stabilito dal laboratorio di controllo, non sono misurabili. Ma ciò non significa affatto che questi composti siano assenti. Proviamo a fare un esempio.

Il laboratorio d’analisi che effettua i controlli dei fumi dell’inceneritore utilizza un metodo analitico la cui concentrazione minima determinabile di diossine è pari a 50 picogrammi per metro cubo, la metà del valore limite.

Supponiamo che l’impianto da controllare emetta 40 picogrammi di diossine per ogni metro cubo di fumi emesso. Effettuato il prelievo dei fumi e la loro analisi, il laboratorio, correttamente, certifica che la concentrazione di diossine emesso da questo impianto è inferiore al valore minimo determinabile del proprio metodo d’analisi (50 picogrammi per metro cubo). Pertanto, l’impianto controllato rispetta i limiti (100 pg/m3) e può continuare la propria attività.

Ma è lecito ignorare quei 40 picogrammi di diossine che l’inceneritore emette, nel pieno rispetto delle norme vigenti, solo perché le analisi non permettono una loro precisa misura?

Una prima riflessione a riguardo si può fare confrontando la concentrazione di diossine nei fumi (40 pg/m3) di questo ipotetico termovalorizzatore, con quella normalmente presente nell’aria (da 0.05 a 0.5 pg/m3).

Nel nostro esempio, la quantità di diossine nell’aria emessa dal camino sarebbe da 800 a 80 volte superiore a quella presente nell’aria che lo stesso impianto preleva dall’ambiente esterno per bruciare-ossidare i rifiuti.

Insomma, il nostro inceneritore, pur rispettando i limiti di legge, inquina pesantemente l’aria che utilizza e questo inquinamento è trasferito all’ambiente esterno.

Eventuali obiezioni che la concentrazione di diossine presenti nei fumi diminuirà nel tempo e nello spazio per la naturale dispersione e diluizione del pennacchio in uscita dal camino sono, in questo caso, ininfluenti.

Infatti, il pericolo delle diossine per la salute umana deriva in prevalenza dalla contaminazione alimentare, piuttosto che dalla contaminazione dell’aria.

Le diossine sono caratterizzate da una elevata stabilità chimica e da una alta affinità con le sostanze grasse. Grazie a queste caratteristiche le diossine, anche se disperse nell’ambiente si concentrano lungo la catena alimentare, in particolare nel pesce, nella carne, nei latticini, nel latte, compreso quello materno.

Pertanto, le diossine che escono dall’ inceneritore si accumulano progressivamente nell’ambiente e primo o dopo ce le ritroviamo nei nostri alimenti.

Quindi sarebbe più corretto, ai fini della protezione della salute che i limiti riguardassero la quantità di diossine emesse nel tempo e non la loro concentrazione nei fumi.

Un approccio più corretto al problema è quello Belga, forse anche per le “scottature” subite con l’emergenza sanitaria dei suoi polli alla diossina.

Per garantire il rispetto della dose tollerabile giornaliera di diossine stabilita dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità, la quantità di diossine che giornalmente si deposita su di un metro quadrato di terreno dovrebbe essere compresa tra 3,4 e 10 picogrammi.


Quante diossine emette un inceneritore?


Ma quanti picogrammi di diossine emette giornalmente un inceneritore? Ovviamente questa quantità dipende da quanti metri cubi di fumi emette giornalmente l’impianto e questo volume dipende dalla quantità di rifiuti bruciati.

Se la taglia del nostro inceneritore è quella tipica di un moderno termovalorizzatore (800 tonnellate di rifiuti termovalorizzati al giorno), il volume di fumi che produce giornalmente è di 5.040.000 metri cubi!

Abbiamo ipotizzato che ogni metro cubo di fumi di quest’impianto contiene 40 picogrammi di diossine, quindi la quantità giornaliera di diossine immessa nell’ambiente dal nostro termovalorizzatore equivale a 201.600.000 picogrammi.

Abbiamo visto che, attualmente, la dose tollerabile di diossine per un adulto di 70 chilogrammi è pari a 140 picogrammi al giorno.

Pertanto, la quantità di diossina emessa giornalmente dal nostro inceneritore (che rispetta a pieno i limiti di legge) equivale alla dose tollerabile di 1.440.000 persone adulte.

E per rispettare il valore minimo di deposizione al suolo proposto dal Belgio (3.4 pg/m2) questa quantità di diossine dovrebbe essere uniformemente distribuito su circa 60.000.000 di metri quadri (6.000 ettari ovvero 60 chilometri quadrati).

A noi, questi numeri suggeriscono grande prudenza nelle scelte, anche alla luce di nuovi effetti nocivi che le diossine potrebbero produrre. Al contrario, il nostro governo e quasi tutte le amministrazioni locali minimizzano il problema e prevedono almeno un grande inceneritore per ognuna delle 103 province italiane.



Il rispetto dei limiti alle emissioni ci deve tranquillizzare?


A questo punto diventa importante rispondere correttamente alla quarta domanda: “In base a quale criterio sono stati fissati i limiti di legge per le emissioni di diossine?”

Non ricordiamo di aver mai sentito spiegare che i limiti alle emissioni hanno solo un significato tecnico: corrispondono alle concentrazioni più basse raggiungibili con la migliore tecnologia al momento disponibile e, ovviamente, a costi accettabili per l’azienda.

Invece, siamo certi che la maggior parte dei nostri lettori hanno sentito i loro amministratori assicurare che l’inceneritore che volevano realizzare non avrebbe creato nessun problema alla salute, in quanto impianto rispettoso dei limiti di legge.

L’infondatezza di queste affermazioni, è testimoniato proprio dalla lunga storia degli inceneritori di rifiuti, iniziata alla fine del ‘800.

E’ ovvio che ogni tipo d’inceneritore realizzato, da allora ad oggi, fosse rispettoso delle norme in vigore al momento della sua progettazione.

Ma tutte le norme ambientale, di solito, sono arretrate di almeno una decina d’anni rispetto alle conoscenze scientifiche sull’argomento. E queste conoscenze sono tutt’altro che definitive.

E così, dopo decenni d’uso, solo intorno agli anni ‘70 ci si è accorti che gli inceneritori emettono gas acidi pericolosi per la salute umana e dei vegetali. Normato e ridotto questo problema si è scoperto che gli inceneritori emettono anche metalli tossici che si accumulano nell’ambiente, poi si è scoperto che erano anche la maggiore fonte di emissioni di diossine. E mentre si cercava, con varia fortuna e costi crescenti, di ridurre l’emissioni di diossine, si confermava, definitivamente, l’effetto cancerogeno di questi composti per l’uomo.

E mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Unione Europea (UE), di conseguenza, riducevano la quantità tollerata di diossine nella dieta umana, il limite alle emissioni di diossine negli inceneritori è rimasto, stranamente, lo stesso.

La Tabella che segue sintetizza la sequenza temporale di questi eventi.



Cronistoria sugli studi che hanno valutare gli effetti delle diossine e norme per il contenimento di questi effetti.


1976

Incidente SEVESO



1989

Direttiva UE per ridurre le emissioni degli inceneritori.

Diossine: 0,1 ng/m3

1991

L’ OMS fissa la dose giornaliera tollerabile di diossine a 10 pg/kg peso

1993

Il V piano d’ azione della UE prevede di ridurre l’ emissioni di diossine del 90% entro il 2005

1997

La IARC conferma che le diossine sono cancerogene per l’ uomo

1997

Il Governo Giapponese fissa i limiti di rilascio totale di PCDD/F da inceneritori (5 ng I-TEQ /kg MPC trattato)

1998

L’ OMS riduce la dose tollerabile giornaliera per l’ uomo a 1 – 4 pg/kg peso

2000

Nuova direttiva UE su incenerimento. Si conferma il limite alle emissioni di 0,1 ng/m3

2001

Strategia comunitaria sulle diossine:

la dose tollerabile giornaliera è ridotta a: 2 pg/kg peso



A pensar male, la scelta nel 2000 di confermare i limiti delle emissioni di diossine fissate nel 1989, quando ancora non era chiaro l’effetto cancerogeno delle diossine, come pure il loro effetto di “distruzione del sistema endocrino”, nulla ha a che fare con la scienza.

Forse ci avviciamo di più alla verità pensando che questa scelta, sia dovuta al fatto che la maggior parte degli inceneritori realizzati tra gli anni ’80 e ‘90 in Francia, Danimarca, Germania, Italia, (e che non hanno ancora ammortizzato i costi di investimento), non sarebbero in grado di rispettare limiti più restrittivi.

Quanto le norme privilegino gli interessi delle imprese, piuttosto che quelli della comunità, è deducibile anche dalla singolare disposizione della normativa europea che fissa la frequenza di controlli di diossine ad un solo (sic) prelievo all’anno!

La scusa è l’alto costo di queste analisi. Tuttavia è ovvio che, a fronte di un “combustibile” caratterizzato da un’estrema variabilità (umidità, potere calorifico, composizione chimica) un’unica misura annuale non possa essere rappresentativa della quantità di diossine mediamente emessa da un termovalorizzatore. E questo spiega i motivi per i quali sarebbe stato opportuno che durante le visite ai termovalorizzatori qualcuno avesse fatto le domande numero 2 e numero 3.


Danni alla salute provocati dalle diossine.


Per quanto riguarda i meccanismi di accumulo delle diossine lungo la catena alimentare, fino al latte materno e sui rischi di cancro connessi con l’esposizione a questi composti, rinviamo ad un nostro documento già presente in rete (http://www.village.it/italianostra/).

Come già accennato, numerosi dati sperimentali stanno dimostrando come l’esposizione a diossine possa produrre effetti sulla salute umana anche a dosi inferiori a quelle fino ad oggi stimate tollerabili.

La maggior parte degli effetti studiati ed attribuili all’esposizione a diossine, riguardano la delicata sfera sessuale.

L’aspetto più preoccupante di questi studi è che gli effetti indesiderati si verificano a seguito di esposizione croniche di tipo non professionale e a concentrazioni di diossine molto basse.



Effetti dell’esposizione perinatale a diossine.


Nell’arco della vita la dose più elevata di diossine si assume subito dopo la nascita con il latte materno. Si tratta d’una informazione sconcertante che, se non deve far rinunciare ai vantaggi dell’allattamento materno, non può essere ignorata.

Uno studio olandese, effettuato tra il 1990 e il 1992, ha voluto valutare se l’esposizione a diossine durante la gestazione e l’allattamento potesse avere effetti sul comportamento dei bambini. Motivo di questo studio è che le diossine hanno anche un effetto neurotossico e possono interferire con gli effetti degli ormoni che regolano lo sviluppo sessuale.

In base alle misure di diossine effettuato su campioni di sangue delle mamme e del cordone ombelicale e nel latte si sono individuati i soggetti maggiormente esposti a diossina tra 160 bambini e bambine che hanno partecipato allo studio.

L’oggetto di studio è stato il comportamento di questi bambini durante il gioco e il risultato è stato che una maggiore esposizione a diossine produce una maggiore frequenza dei giochi “femminili”, sia nei maschi che nelle femmine.



Esposizione a diossine e sviluppo puberale


Duecento adolescenti residenti in Belgio, in due zone periferiche inquinate ed in una zona rurale di controllo, hanno partecipato a questa indagine che ha controllato l’andamento del loro sviluppo puberale. Analisi del sangue hanno permesso di valutare l’entità della loro esposizione a diossine.

Nel quartiere vicino a due inceneritori lo sviluppo puberale dei maschi è risultato statisticamente più lento. Analogo fenomeno nelle ragazze (ritardato sviluppo del seno) che abitavano questo stesso quartiere.

Il maggior rallentamento nello sviluppo puberale di maschi e femmine si è registrato nei soggetti con più alta concentrazione di diossina nel sangue.


Esposizione a diossine e sesso dei figli.


L’esposizione a diossine di 200 lavoratori russi impiegati nella produzione di erbicidi è stata valutata, misurando la concentrazione di questi composti nel loro sangue.

La loro esposizione a diossine risultava maggiore di 30 volte rispetto al resto della popolazione non esposta professionalmente.

Nella prole dei lavoratori esposti si è constatata una prevalenza di figlie femmine rispetto ai figli maschi, significativamente diversa dal rapporto maschi/femmine nella prole di un gruppo di controllo non esposto a diossine.



I pareri della Commissione Europea sull’incenerimento dei rifiuti.


Con riferimento a questi e altri studi, l’ Unione Europea ha prodotto diversi documenti sull’incenrimento dei rifiuti. Riportiamo alcuni passi significativi.


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO

Strategia comunitaria sulle diossine 2001/C322/02


Sembra che le caratteristiche tossiche delle sostanze (PCDD/F) siano state sottovalutate: recenti dati epidemiologici, tossicologici e sui meccanismi biochimici, riferiti agli effetti sullo sviluppo cerebrale, sulla riproduzione e sul sistema endocrino hanno dimostrato che gli effetti delle diossine e di alcuni PCB sulla salute umana sono molto più gravi di quanto precedentemente supposto, anche a dosi estremamente ridotte.”


La dose giornaliera tollerabile è fissata a: 2 pg/kg peso corporeo”


“I valori medi di diossine assunti giornalmente con la dieta, nell’Unione Europea, sono compresi tra:


1,2 e 3 pg/kg di peso corporeo.”


In una parte considerevole della popolazione europea l’esposizione a diossine e a PCB diossino-simili supera la dose tollerabile settimanale.”



Direttiva 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti.


  • Misure più restrittive dovrebbero ora essere adottate per la prevenzione e la riduzione dell’ inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e le direttive attuali (89/369/CEE) dovrebbero pertanto essere abrogate.


  • I valori limite stabiliti dovrebbero prevenire o limitare, per quanto praticabile, gli effetti dannosi per l’ ambiente e i relativi rischi per la salute umana.




Conclusioni


Se l’esposizione a diossine presenta i problemi segnalati e può essere un reale problema per la nostra salute anche a dosi molto basse, quale senso ha per l’Italia, imbarcarsi in quest’avventura?

Non ha insegnato nulla il disastro economico ed ambientale e forse anche quello sanitario della Francia e del Giappone che hanno dovuto spegnere o ammodernare centinaia d’impianti d’incenerimento incapaci di rispettare limiti di emissione più restrittivi?

Non è una fortuna per il nostro paese non avere privilegiato l’incenerimento per gestire i propri rifiuti e non aver quindi vincoli occupazionali ed economici per intraprendere nuove ed innovative vie per risolvere alla radice il problema rifiuti?

La realizzazione in Italia di un centinaio di nuovi inceneritori, anche se meno inquinanti di quelli che erano “gioielli della tecnica” solo pochi anni or sono, inevitabilmente, aumenterebbe la quantità di diossine prodotte dal nostro paese e la dose giornaliera di diossine assunte dalla nostra gente attraverso gli alimenti.

Che senso ha aggiungere questo ulteriore rischio, quando non siamo assolutamente obbligati ad incenerire i nostri cosidetti rifiuti?

Un modo per evitare di fare quest’errore è anche quello di diffondere al maggior numero possibile di persone queste riflessioni, prima che, con la costruzione dei termovalorizzatori e la sottoscrizione dei contratti ventennali per la loro fornitura di rifiuti, non sarà più possibile tornare indietro.


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