Traduzioni

27 dicembre 2008

Pistoia 10/11 gennaio

PISTOIA 10/11 GENNAIO 2009
DALLE COMUNITA' RESISTENTI ALLA SOVRANITA' TERRITORIALE DAL BASSO - PER LA MESSA IN COMUNE
Incontro seminario

Alle comunit‡ resistenti, alle realt‡ attive contro la guerra e contro le basi militari, ai comitati popolari e ai gruppi che lottano per la difesa della salute e dei beni comuni, contro lo spreco energetico, contro l' insensato rilancio del "nucleare", contro la svendita al libero mercato e le conseguenti liberalizzazioni e privatizzazioni di beni fondamentali per la vita e per l' abitare (acqua, terre, cibo sano, energia, materiali postproduzione e post-consumo, casa), alle reti nazionali e a quanti sono impegnati nelle lotte salute/ambiente/territorio e per la sicurezza nei
luoghi di lavoro:
Patto Mutuo Soccorso, Migranti, Movimento italiano per l' acqua, Medici per l' ambiente Rete Nazionale Rifiuti Zero, Rifiuti Zero Campania (Acerra, Chiaiano, Napoli, Salerno, Serre), Coordinamento dei comitati no incenerimento toscani, liguri, calabresi, siciliani, piemontesi, lombardi, emiliani; NO Centrali, NO Coke Civitavecchia, NO TAV Valdisusa, NO TAV terzo valico dei Giovi, NO TAV Mugello e nodo fiorentino, NO TAV Corridoio 5, NO TAV Trentino, NO Mose, NO Dal Molin, Coordinamento contro gli F35, NO Camp Darby, NO Elettrosmog, Associazione Esposti Amianto, NO Ogm, NO Ponte sullo stretto, Medicina Democratica, Forum Ambientalista, realt‡ che si organizzano contro il rilancio del nucleare, Movimento degli studenti (Onda anomala), realt‡ rurali e contadine (RIVE, CIR, Foro Contadino)
che chiedono sovranit‡ alimentare e nuove demanialit‡ civiche, sindacati di base..
La proposta che vi facciamo Ë quella di un confronto reale, aperto e ancorato alla concretezza – a partire dalle proposte alternative maturate nei territori - per cominciare a costruire il passaggio dalle resistenze alle ri-appropriazioni, dalle mille vertenze sui territori alla costruzione di forme di messa in comune dei beni fondamentali, degli spazi, delle citt‡, alla costruzione di modalit‡ di sovranit‡ territoriali dal basso.
Dal superamento del localismo, a nuove geografie e relazioni, anche mentali, tra locale e globale, alle lotte per il reddito e per le garanzie sociali, per invertire la rotta e costruire un nuovo interesse collettivo
NON SI TRATTA DI COSTRUIRE UNA RETE DI RETI, NE' DI DAR VITA A UNA QUALCHE STRUTTURA AUTONOMA SGANCIATA DAI CONFLITTI E DALL' ESPERIENZA DELLE COMUNITA' RESISTENTI.
SI TRATTA, INVECE, DI AVVIARE UN PERCORSO DI RAFFORZAMENTO DEI DIFFERENTI MOVIMENTI, DELLE TANTE VERTENZE, DEI TANTI "CONFLITTI PROGETTUALI" (vale a dire quei conflitti che uniscono le resistenze e le lotte alle proposte e alla prefigurazione di altre
modalità di esistenza e di abitare i territori e le citt‡).
Non vogliamo che l' incontro di Pistoia sia un insieme di resoconti di lotte pur importanti e spesso esaltanti, ma uno scambio di proposte e di azioni comuni, volte alla connessione di iniziative e alla costituzione di uno spazio politico aperto e capace di una continua fertile evoluzione.
SI TRATTA DI CONFRONTARCI - ANCHE - NELLO SPECIFICO DELLE PRATICHE : FORME DI MOBILITAZIONI, DI INTERVENTO, DI INIZIATIVE E DI PROPOSTE ALTERNATIVE.
Si tratta di avviare un confronto a partire dalle esperienze concrete, armate/i dalla consapevolezza che Ë necessario, per l' insieme del movimento, avviare una riflessione approfondita sul senso e sul significato delle lotte e dei "conflitti progettuali" in atto, sulle loro potenzialità e sui loro difetti/limiti al fine di poter giungere alla comprensione delle possibilit‡ più o meno radicali di cambiamento dell'esistente che queste esperienze portano in seno: la spinta autogestionaria, l' autorganizzazione, la difesa dell' autonomia dei soggetti sociali e delle comunit‡ resistenti, la difficoltà che trova il potere nel riassorbire le criticità che questi movimenti innescano e le potenzialità di cambiamento che ne discendono; le capacità che i movimenti hanno di creare sapere condiviso; il palese superamento, in alcuni ambiti, del concetto di democrazia rappresentativa a favore delle pratiche – cariche di potenzialità positiva- di democrazia diretta.
In questi mesi, per preparare l' incontro di Pistoia, ci siamo confrontati con molte delle comunità resistenti, con le reti, abbiamo partecipato agli importanti incontri nazionali di Brindisi (Medicina Democratica) e di Aprilia (Forum italiano dei Movimenti per l' Acqua).
Proposta di organizzazione dell' incontro
Prima giornata SABATO 10 GENNAIO ore 14/19
Breve presentazione delle ragioni e dei possibili obiettivi dell' incontro
1)Comunità resistenti e conflitti sul territorio: nuove sfide poste dall'instabilit‡ strutturale della globalizzazione neoliberista, dalle crisi energetica, alimentare, finanziaria ed economica, dalla dissuasione alle resistenze e alle proposte alternative fino al controllo militare delle città e dei siti di impianti e infrastrutture per imporle alle popolazioni;
2)Dalle resistenze, alla ri-appropriazione e alla sovranità territoriale dal basso. Ripotenziamento dei conflitti progettuali: superamento della "forma stakeholder" dei comitati e delle posizioni identitarie e securitarie; messa in comune e paradigma bioeconomico per un nuovo abitare.
Seconda giornata DOMENICA 11 GENNAIO ore 9/16
1)Connessione delle campagne/vertenze esistenti con caratteri comuni:
- difesa beni comuni collettivi,
- difesa della salute come conflitto centrale (habeas corpus); contro le nocività (produzioni sporche, incenerimento rifiuti, emissioni dannose, inquinamento acqua e aria); diritto alla salute e sanità pubblica;
- No alla combustione : nei cicli produttivi, nel trattamento dei materiali post-produzione e post-consumo, nella scelta del capitale multinazionale di bruciare prodotti agricoli per ottenere calore/energia (agrocombustibili, incenerimento frazione organica dei rifiuti);
- vertenza autoriduzione, boicottaggi, azioni risarcitorie: tariffa acqua, tariffa rifiuti (TIA, TARSU), CIP 6 che ha finanziato, attraverso la bolletta elettrica, fonti energetiche assolutamente non rinnovabili (rifiuti) o la gestione delle scorie nucleari e programmi nucleari fuori dal territorio nazionale;
- ripubblicizzazione dei servizi locali : multiutilities acqua, energia, gas, rifiuti; forme di oligopolio e aziende miste pubblico-privato;
2)Avvio di campagne/vertenze comuni con obiettivi specifici;
3)Eventuale costruzione di relazioni tra movimenti rurali e movimenti della Metropoli per la difesa del comune interesse alla sopravvivenza (è pensabile una via campesina anche nel nostro paese?)
4)Costruzione di momenti unificanti su un tema determinato o incontri regionali, transregionali o nazionali secondo l' oggetto della vertenza, della lotta, della proposta. Tali incontri dovrebbero essere in quelle realtà territoriali che vedono un conflitto in atto, in modo da esercitare solidarietà e avviare una crescita comune collegata alle vertenze.
L' incontro avrà carattere assembleare, con interventi riferiti allo specifico argomento in scaletta, sia il sabato che la domenica. Alla conclusione della due giorni potremmo provare a scrivere una stringata Carta di Intenti delle connessioni e dei coordinamenti possibili e condivisi.
Siamo entrati in una nuova epoca. Un' epoca nella quale si è resa evidente l' enorme distruzione della ricchezza pubblica e dei beni collettivi che sono sempre stati la base indispensabile della vita e dell' organizzazione sociale umana.
La recessione economica economica non è la fine di un ciclo al quale segue la ripresa: si tratta piuttosto di una crisi strutturale, una crisi originata tanto dall' ideologia neoliberista del primato del Mercato e del privato, quanto dall' esplosione delle relazioni uomo/societ‡/natura costruite dal capitale globale. L'aumento dei costi medi delle fonti energetiche e delle materie prime, i costi della guerra, la girandola dei debiti finanziari hanno accresciuto enormemente i costi di riproduzione della societ‡. E tempi ancora più duri ci aspettano : possibili guerre per ottenere l' egemonia sul globo che l'Occidente si prepara a sostenere nella forma multipolare del comando, nel passaggio emblematico tra Bush e Barack Obama; una forte compressione dei bisogni e delle forme di riproduzione delle popolazioni.
Naturalmente non è la fine della globalizzazione, casomai il passaggio ad una sua nuova forma che faccia i conti con l' intrecciarsi delle sue crisi strutturali: energetica, alimentare, ecologica, economica, della Metropoli quale sistema insediativo ad alta dissipazione energetica e sociale. E anche con la profonda crisi delle forme di governo, sia quelle statali che quelle globali (FMI, Banca Mondiale, WTO…).
Il Movimento, le comunità resistenti, le reti di comitati popolari rispondono rilanciando l' attualità della liberazione dal bisogno, dalla povertà, dalle nocività, dalla precarietà dell' esistenza e il bisogno di libertà.
Rispondono lavorando alla costruzione di uno spazio politico comune di democrazia compiuta e estesa a tutti gli aspetti e a tutte le relazioni dell' esistenza, a principiare dalla salute, dalla difesa della biodiversità e delle relazioni ecologiche, dalle relazioni tra diversi per genere, etnia, cultura.
Uno spazio politico comune basato sull'autonomia dei movimenti e delle comunità, estraneo alle dinamiche perverse della rappresentanza.
Un luogo mentale e politico che avvii processi di produzione del comune, di economie della solidarietà basata sulle ragioni dell'ecologia e non su quelle del Mercato (bioeconomia) e di nuove sovranità territoriali dal basso.
Proveniamo da molte origini e da differenti discendenze politico- culturali.. Abbiamo collettivamente sedimentato molteplici esperienze, saperi, pratiche.
La nuova epoca è anche una nuova opportunità di liberazione. L' incontro/confronto di Pistoia Ë solo un momento di un processo più ampio.
Costruire insieme la necessità del comune, anche come rinnovato interesse pubblico, una dimensione che alluda ad una sorta di demanialità civiche collettive e che ribadisca il rifiuto delle nocività sanitarie e sociali e della precarietà, il rifiuto della guerra. L' orizzonte essendo un reale ripotenziamento dell' insieme dei movimenti e la pratica della democrazia diretta relativa alla messa in comune.
LA VOSTRA CRISI NON LA PAGHIAMO, hanno detto per primi gli studenti, non vogliamo pagarla con la privatizzazione del sapere, la riduzione della ricerca, la subordinazione di scuola ed universit‡ alle esigenze del Mercato e del sistema produttivo;
LA VOSTRA CRISI NON LA PAGHIAMO dicono le comunità resistenti, i comitati popolari, i presidi, il movimento dell' acqua e quello Rifiuti Zero, il movimento antinucleare, non vogliamo pagarla con l' aumento delle nocività, l' attacco alla salute, la privatizzazione dei servizi locali e l'aumento delle tariffe con le quali paghiamo di tasca nostra il finanziamento di impianti dannosi e costosi (rigassificatori, inceneritori, discariche, centrali a carbone……..);
LA VOSTRA CRISI NON LA PAGHIAMO DICONO I LAVORATORI, non vogliamo pagarla con licenziamenti, azzeramento delle tutele a cominciare dalla sicurezza che producono un numero inaccettabile di morti sul lavoro, con la riduzione delle condizioni di esistenza;
LA VOSTRA CRISI NON LA PAGHIAMO dicono i precari, in quanto non vogliamo la precarietà come modalità di esistenza e delle relazioni sociali.
NON VOGLIAMO LA MILITARIZZAZIONE DEL TERRITORIO PER IL CONTROLLO DELLE RISERVE E DEI BENI COMUNI, DEI SITI DI IMPIANTI E DI INFRASTRUTTURE. NON VOGLIAMO LA MILITARIZZAZIONE DEI PROBLEMI LA CRIMINALIZZAZIONE DELLE RESISTENZE.
VOGLIAMO PRENDERCI LO SPAZIO PUBBLICO PER ESERCITARE I NOSTRI "CONFLITTI PROGETTUALI" , CONFLITTI CHE CI HANNO PORTATO A PROPOSTE CONCRETE E CONCRETAMENTE REALIZZABILI SE SOLO PREVALESSE L' INTERESSE PUBBLICO E NON QUELLO DELLE CORPORAZIONI ECONOMICHE E
FINANZIARIE : RIFIUTI ZERO E NO INCENERITORI E DISCARICHE, NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI LOCALI E DELL' ACQUA, SI' ALLA RIAPPROPRIAZIONE SOCIALE DELL' ACQUA E DEI BENI COMUNI, LORO GESTIONE PARTECIPATA DEI CITTADINI, LORO CURA E CONSERVAZIONE PER
LE GENERAZIONI FUTURE.
QUINDI VOGLIAMO UNA DEMOCRAZIA COMPIUTA E DIRETTA.

Collettivo Liberate gli Orsi, Pistoia
Assemblea ex Presidio Giulio Maccacaro per la chiusura dell' inceneritore di Montale
Info e contatti : Fabrizio : faber.b@libero.it 0573/29720 ; Francesco f.scire1@virgilio.it Marco 320 1537907 Roberto 338 7334659
Dobbiamo predisporre l' accoglienza: inviateci quindi le adesioni per la partecipazione in tempi rapidi.

22 dicembre 2008

Nidi di mamme

Un regalo del Sindaco: richiudono i nidi di mamme
Giovanni Laino

Il 19 Dicembre sarà l’ultimo giorno delle otto sezioni dei Nidi di Mamme che il Comune realizza ormai da nove anni a Montecalvario e da sette anni a San Giovanni e Barra. A gennaio questi nidi non riapriranno e ci vorranno mesi per ripartire, ammesso che non vi saranno altre sorprese. Restano a casa 170 bambini che erano anche beneficiari di un sofisticato protocollo di prevenzione sociale, 50 mamme coadiuvanti che percepivano così un sostegno al reddito fornendo un servizio di utilità pubblica, oltre a tre coordinatrici, 16 educatrici, sei operatori sociali, quattro psicologhe e due esperte di supervisione. Il tutto con un costo medio di 150 euro settimanali per bambino, l’uso gratuito di aule di quattro scuole cittadine che così sono meglio valorizzate nei quartieri di riferimento e la copertura degli interessi passivi da parte delle associazioni attuanti. Il progetto che come sempre a Napoli, anche in presenza di valutazioni lusinghiere da parte degli amministratori pubblici, non è stato trasformato in servizio, rappresenta, pur con limiti e necessarie revisioni, una azione modello che risponde bene agli obiettivi di servizio secondo cui a Napoli e in Campania, il numero di posti per bambini in nidi e asili dovrebbe decuplicare. Il dispositivo costituisce anche uno dei pochi tentativi di sollecitare le persone in condizioni di povertà, per la loro attivazione, che è frontiera della più evoluta metodologia di lavoro sociale verso un possibile workfare dell’Europa meridionale. Si tratta di una delle ricorrenti crisi del progetto che non hanno mai chiarito il destino di questa politica pubblica, che da anni è finanziata con fondi girati dalla Regione al Comune. Nelle dichiarazioni dell’Assessora De Felice, come della Sindaca e dell’Assessora comunale alle pari opportunità, Valeria Valente, il dispositivo merita certamente un futuro, i fondi ci sono ma di fatto il Comune risulta incapace di costruire le procedure per evitare periodiche crisi. Gli stessi soldi per il 2008, che il Comune ha incassato dalla Regione ad Aprile sono stati girati ai tre enti attuatori – selezionati con gara pubblica – solo per il 40% in agosto, anche se ormai tutto è stato fatto. Evidentemente il Comune usa diversamente i soldi destinati ai Nidi.
Il progetto ha avuto risonanza mediatica, in giornali e televisioni di livello nazionale, raccogliendo apprezzamenti di ministri e del Governatore regionale, con materiali che si trovano anche in rete. La questione non è però solo quella di restare indignati per l’ennesimo ritardo, i possibili tagli, le inerzie, la disattenzione sul lavoro fatto. Qui vi è il paradosso che la volontà politica dichiarata con forza, la disponibilità dei fondi, l’apprezzamento per gli esiti non valgono nulla rispetto all’imperizia, alla trascuratezza, all’approssimazione che Sindaco, Assessore e dirigenti rivelano. Nidi di Mamme, che ha ispirato iniziative analoghe in altri comuni, è un caso emblematico di come nelle poche politiche integrate avviate a Napoli si produce inefficienza ed inefficacia, con significativi costi sociali, demotivando le persone, abbattendone la fiducia. L’incompetenza amministrativa, prodotto evidente di inidoneità dei responsabili, produce una condizione in cui non è possibile lavorare secondo un progetto sensato, con una valutazione rigorosa, elaborando un modello sostenibile che potrebbe essere il vanto delle politiche sociali della città. Certo il contesto è difficile. Ma le attenuanti ormai sono insignificanti rispetto alla superficialità e alla incapacità manifesta. Nel tempo alcuni di noi, implicati come responsabili delle organizzazioni del terzo settore attuanti questi progetti, siamo stati trattati come questuanti, costretti a segnalare, sollecitare, stimolare, raccogliendo il messaggio non tanto implicito: “non disturbate il manovratore che ha molto da fare e già ha predisposto le idonee soluzioni”. Per ora, a Natale, buona parte delle lavoratrici se ne vanno a casa senza soldi e le mamme dei bambini dovranno arrangiarsi a sistemare da gennaio i loro figli. Il rischio era noto da un anno ma gli amministratori napoletani hanno ben poca dimestichezza con alcuni contenuti di base della pianificazione. Ma il danno più grave è la dissipazione di un capitale che questi esponenti della classe dirigente sono incapaci di valorizzare al di fuori di retoriche e impegni di circostanza. Il dato che Nidi di Mamme è stato trattato meglio di diversi altri progetti, è solo ulteriore indizio di quanto è compromessa la situazione.

20 dicembre 2008

Il gioco è sfatto

Sulla repubblica di oggi si legge un titolo "ROSSI-DORIA E LA SFIDA DEL SOCIALE ORGANIZZATO" che fa subito pensare ad una prospettiva, se non addirittura ad un annuncio di un accordo elettorare che ovviamente NON ESITE E NON PUO' ESISTERE. Il pezzo di Lucio Iaccarino propone una riflessione e una sollecitazione a fare qualcosa del genere, spiegandone accuratamente le ragioni. Ma mostra di non aver del tutto compreso cosa vuole essere Segnali di Fumo, e nemmeno il messaggio lanciato da Marco, Aldo Policastro, Maurizio Zanardi nell'incontro di Decidiamoinsieme, un messaggio di allarme democratico che va oltre l'oggetto elettorale, oltre Napoli, oltre i target e le sigle di movimenti civili più o meno organizzati. Non si può pensare di condensare nessuna rappresentanza elettorale in questo gioco bell'è sfatto della politica che il sistema irresponsabile e corroso dei partiti e dei politici ci sta lasciando addosso. Quel titolo dovrebbe far pensare a Repubblica che il modo di fare i titoli di un giornale non può più essere lasciato a margine di quello che un giornale dice e vuol dire, che il titolo fa media più del contenuto prezioso dei pezzi di un proprio costoso redattore, opinionista, collaboratore. Non ci avevamo pensato che il media avrebbe inteso in questo modo la circostanza di due eventi tanto ravvicinati e organizzati da realità diverse che hanno tra loro alcuni punti in comune. Questa mancata valutazione fa parte degli errori che si possono commettere quando si è ancora in pochi, all'inizio di un percorso, e si vuole stare fuori dai giochi dei politici e degli apparati che occupano le istituzioni democratiche e frantumano tutto il "sociale" che ci sta appeso intorno. Diciamo sinceramente grazie ad Angelo Carotenuto che ha raccontato su Repubblica di qualche giorno fa quello che realmente è avvenuto e ci siamo detti nell'incontro di mercoledì scorso sui Segnali di fumo. E con la stessa semplicità diciamo che Iaccarino si è fatto un'idea sbagliata, ha confuso la presenza di Marco a Segnali di fumo e la presenza di alcuni promotori di segnali di fumo alla riunione di Decidiamoinsieme con un possibile accordo a scopi elettorali. Non c'è nemmeno bisogno di smentire, saranno i fatti a smentire le conclusioni di Iaccarino per ciò che riguarda Segnali di fumo. Non vediamo come il movimento per l'acqua, quelli di Chiaiano, i centri sociali, l'onda, i senza fissa dimora, gli immigrati, i rom, i trans, le prostitute, potrebbero riconoscersi in una proposta di questo tipo, votare (chi può) compatti per uno qualsiasi che sia tra noi, non vediamo e non vogliamo nemmeno vedere come, se, perchè e per chi questi soggetti di cittadinanza resposabile e attiva potrebbero andare a votare, e in nome di quale rappresentanza, di quale democrazia, non sapremmo dire. Quello che non si è compreso di Segnali di Fumo (logicamente visto che di segnali tra indiani si tratta, di segnali che i cow boy non devono poter capire che altrimenti la loro macchina da guuerra ci trova e ci scamazza) è che le raltà a cui ci rivolgiamo e di cui ci sentiamo parte vogliono una democrazia vera, partecipata da passione e umana comprensione, che la rappresentanza, la governabilità e le compatibilità sono morte, ammazzate dalla irresponsabilità, che la responsabilità politica oggi risiede nella cittadinanza sociale, nello stare dalla parte di quelli che non contano niente e che nel dna dei Segnali di Fumo c'è la politica di quelli che non contano niente, come diceva Zanardi lì a Decidiamoinsieme.
Quando La Repubblica ci vedrà in azione (sperando di riuscirci), per sostenere istanze di democrazia diretta, per fermarci a riflettere sul senso di questa parola, per praticare e difebdere gli spazi della politica di quelli che non contano niente, forse non titolerà più nulla sui Segnali di Fumo, o forse si iniziarà a convincere che questa cittadinanza responsabile può far bene contro qualsiasi potere che occupi le istituzioni e far bene per difendere e rispristinare valori e spazi anche della democrazia della rappresentanza, del voto.
MI scuso per questo intervento che è fuori dallo stile di questo blog che di fattarielli sfatti non ama occuparsi. Ma mi pareva davvero necessario.

sv

15 dicembre 2008

segnale lavoro

Segnali di fumo sul lavoro

Le politiche del lavoro realizzate in Italia e in Campania negli ultimi anni sono accreditate come politiche coerenti con la strategia europea per l’occupazione. Possiamo essere critici rispetto a tale strategia, apocalittici verso le misure di flessibilità e convinti nel denunciare l’indebolimento delle tutele e dei diritti che proteggono il lavoro; ma risulterebbe alquanto difficile anche ad una critica radicale sostenere che la disoccupazione e le pessime performance del mercato del lavoro nel Mezzogiorno e a Napoli siano legate essenzialmente ai limiti e alle debolezze di tali indirizzi strategici.
Due sono piuttosto, a mio avviso, gli elementi caratterizzanti le politiche del lavoro italiane che hanno probabilmente avuto un peso rilevante nel determinare l’insuccesso complessivo della strategia di Lisbona e l’aggravamento complessivo del problema lavoro: da un lato le politiche non hanno tenuto adeguatamente conto dei vincoli e dei deficit strutturali presenti nei contesti in ritardo di sviluppo e non hanno impostato gli interventi in tali contesti con risorse e strumenti di governo adeguati (e i fondi strutturali fanno relativamente testo in carenza di una strategia che ne indirizzi correttamente l’impiego); dall’altro le politiche non hanno curato, come invece si era iniziato a fare in passato, gli aspetti legati alla gestione, al controllo e alla valutazione, anzi hanno decisamente mollato le redini sul piano dei controlli e della gestione amministrativa, come se la liberalizzazione riguardasse anche questi aspetti e come se il decentramento e lo snellimento amministrativo liberassero le amministrazioni anche dalla responsabilità di realizzare interventi efficienti ed efficaci, trasparenti ed equi.
Questi due elementi di debolezza hanno finito con l’accentuare da un lato i malfunzionamenti nel governo e nella gestione delle politiche, dall’altro con l’aumentare l’esposizione degli interventi di politica del lavoro ai meccanismi di consenso e di controllo politico.
Come è noto, per Napoli, l’esposizione del lavoro alla politica è stata sempre particolarmente alta. La città sul lavoro si è sempre mostrata debole, in difficoltà nel reagire alle crisi, passiva e non propositiva rispetto ai meccanismi spontanei di galleggiamento dell’economia marginale, incapace di contrastare l’illegalità, timorosa quanto opportunista nel rispondere ai conflitti sociali, ambigua in quella conflittualità sociale sul lavoro che si mobilita su “interessi di parte” fragili e duri, come il bisogno di lavorare, e che appare ormai storicamente condannata, già prima di esplodere, a subire la forza del ricatto, la scena dell’ordine pubblico, il gioco dell’intrattenimento, il peso della violenza di questa politica.
La città ha supinamente e opportunisticamente scelto di restare oppressa dentro il circolo vizioso della disoccupazione, di metabolizzare e di declinare il problema del lavoro come una permanente emergenza, fuori da ogni logica che vedrebbe una grande metropoli essere attrattore per eccellenza delle opportunità che il mercato, l’amministrazione e l’organizzazione sociale possono offrire: attrattore di disoccupati perché offre lavoro. Napoli ha scelto supinamente di essere invece attrattore di flussi finanziari pubblici perché ha “i disoccupati”, e di ricavare da questo un consenso e un controllo facile, maledettamente facile.

Abbiamo dunque trascorso quasi trent’anni di espiazione sulle colpe dell’intervento pubblico e delle rigidità del mercato del lavoro e trent’anni di liberalizzazione e di mercificazione del lavoro senza potere avere la soddisfazione di vedere crescere l’occupazione a Napoli, in Campania e nel Mezzogiorno; senza ottenere alcun risultato in termini di riduzione della disoccupazione se non quello di ricacciare indietro la popolazione presente sul mercato del lavoro e relegarla tra la popolazione non attiva. Abbiamo visto anche sparire negli ultimi dieci anni, inghiottita dal liberismo e spazzata via dalla lega, ma soffocata soprattutto dal modo di governare la disoccupazione del nostro ceto politico nazionale, regionale e locale, anche la prospettiva di un nuovo Sistema di Welfare, delle politiche della sussidiarietà, dei lavori concreti, dei nuovi bacini di impiego, del microcredito, della pubblica utilità, tutti strumenti indispensabili per una nuova idea di welfare solidale. Tutto sparito, al momento introvabile, forse persino improponibile giacchè quegli strumenti sono stati in alcuni casi rinnegati, in altri trasfigurati in forbici e messi nelle mani cattive che dovrebbero tagliare i viveri a chi prende un sussidio senza mettersi doverosamente a disposizione dello stato sociale, in altri termini sono diventati strumenti di risparmio piuttosto che strumenti di intervento per la spesa pubblica, strumenti di selezione, invece che di coesione e di inclusione; ed anche in questo caso si tratta di strumenti di controllo e di potere, esposti come sono all’arbitrio di istituzioni e di amministrazioni sottratte ad ogni controllo di trasparenza e di legalità.

Vorremmo dunque dare alle cose una direzione diversa:

- inviare un segnale di fumo a tutti i lavoratori, cassintegrati, disoccupati, maleoccupati ecc.: smettetela di pensare che la colpa dei vostri guai sia vostra o che siete maledetti perché non avete una raccomandazione.
- prendere atto che da nessuna istanza, anche la più democratica e radicale presente in città è mai venuta un denuncia, una testimonianza o una voce di attenzione e di allarme sull’uso anomalo e illegittimo dell’emergenza lavoro, una voce contro gli abusi che si compiono all’ombra di questa emergenza, una voce a tutela di chi da questi abusi è colpito e non ha strumenti per difendersi perché non è niente, non è nessuno. Abbiamo sulle spalle una storia di debolezza civile e democratica di cui vogliamo liberarci, contro la quale vogliamo reagire, ragionare, confrontarci, assumerci responsabilità, dare battaglia.
- impegnarci per costruire una alleanza della cittadinanza responsabile che faccia massa critica a sostegno di una politica trasparente, efficace ed equa di contrasto alla disoccupazione e per ottenere un corretto impiego degli strumenti e delle risorse che alimentano il mercato del lavoro. Un’alleanza radicalmente e saldamente indisponibile al potere - così come nei confronti dei partiti e dei loro esponenti ai vertici delle istituzioni - impegnata a presidiare democraticamente i luoghi e gli strumenti in cui e con cui il mercato e l’intervento pubblico danno lavoro, formazione, incentivi, aiuti.
- rivendicare una politica di sostegno all’occupazione impostata sullo sviluppo sostenibile e sull’equità sociale, una politica che non è stata ancora fatta e che invece si può fare, chiamando in causa tutte le risorse del mercato, della collettività e della solidarietà sociale che una metropoli come Napoli non può non avere e non produrre.
- sentirci parte di una città che ha bisogno delle nostre intelligenze, del nostro tempo, delle nostre braccia, delle nostre relazioni, dei nostri sentimenti, della nostra creatività, di una città che ha bisogno del nostro lavoro così come noi abbiamo bisogno di una città che premi il lavoro.
Susi Veneziano

14 dicembre 2008

Premio LA PARTECIPAZIONE IN COMUNE - Per promuovere le buone pratiche locali

LA PARTECIPAZIONE IN COMUNE

Per promuovere le buone pratiche locali

I° Edizione dedicata a Luigi Veronelli

Bando di partecipazione

1.Scopo del Premio.

L’Associazione Rete del Nuovo Municipio e Il Centro Studi per la Democrazia Partecipativa si impegnano a promuovere e favorire la diffusione delle pratiche participative, ha tal fine hanno istituito la I° edizione del “Premio LA PARTECIPAZIONE IN COMUNE - Per promuovere le buone pratiche locali”: un’occasione anche per mantenere vivo il ricordo e l’impegno di grandi personaggi che hanno contribuito a sviluppare gli imegni civici previsti nello statuto della nostra
associazione, nonché l’impegno sui temi della pace, dei diritti umani, della democrazia, dell’ambiente. Ma anche un occasione per condividere e diffondere le sperimentzioni attive sui terriotri locali.

L’istituzione del Premio è anche un’opportunità per contribuire, proseguendo idealmente il percorso che abbiamo sviluppato e proposto in questi anni, alla creazione di una maggiore sensibilità da parte dei cittadini e di un maggiore incoraggiamento ad altri soggetti pubblici al tema delle “buone pratiche”, attraverso la valorizzazione e la promozione di casi esemplari di esperienze avviate in questi anni da amministrazioni locali.

2. Ammissione al Premio

Al Premio possono concorrere tutti i Comuni, Province, Regioni, Associazioni, Comitati, Enti Pubblici e Realtà Autorganizzate che nel corso di questi anni abbiano avviato politiche (azioni, iniziative, delibere, progetti caratterizzati da continuità o effettiva attuabilità, anche con riferimento alle risorse impiegate) di
sensibilizzazione e di sostegno alle “buone pratiche locali” con particolare riferimento alle seguenti categorie:

1. Sviluppo locale autosotenibile

2. Filiera Corta e Autoproduzione

3. Democrazia Partecipata;

4. Società pubbliche dei servizi

5. Poltiiche di riuso e riqualificazione di territorio

6. Politiche e azioni di integrazione dei cittadini migranti

7. Politiche per la cooperazione internazionale

8. Politiche per la pace


3. Modalità di partecipazione.

Gli EE.LL. interessati a partecipare dovranno far pervenire (con avviso di lettura) entro e non oltre le ore 12.00 del 10/02/2009, all’indirizzo email appositamente istituito:

info@democrazia-partecipativa.org

una scheda riassuntiva dell’iniziativa intrapresa che si vuole evidenziare la quale complessivamente indichi:

1. Ente Locale Promotore

2. Categoria dell’iniziativa

3. finalità della stessa

4. Scheda sintetica descrizione dell’ iniziativa effettuata

5. Supporti di materiale fotografico, audio o video e web

6. Tempi di realizzazione ed attuazione

7. Soggetti coinvolti nella sua realizzazione

8. Risultati Conseguiti


Ai fini della valutazione saranno ritenuti di grande importanza i caratteri di originalità, di partecipazione e di continuità nel tempo del progetto presentato.

4. Obblighi dei partecipanti

Con il semplice invio della documentazione sopra descritta i partecipanti assumono i seguenti obblighi:

• in caso di vincita, a partecipare direttamente attraverso il suo Sindaco/Presidente o l’Assessore responsabile del progetto, o rappresentante/ portavoce alla Cerimonia di Premiazione, svolgendo un intervento che illustri sinteticamente obiettivi, metodo e conclusioni del proprio lavoro;

• autorizzare la divulgazione di tale intervento o dell’iniziativa segnalata: per gli organi di stampa che ne facessero richiesta ad esclusivo fine di promozione dell’iniziativa; per la pubblicazione da parte di questa Associazione degli atti della Cerimonia di premiazione; per la creazione di database o monitoraggi che abbiano come scopo sociale la raccolta e la catalogazione di tutte le esperienze di buone pratiche avviate nel nostro paese;

• intraprendere nel proprio territorio una o più iniziative che possano portare a conoscenza della propria cittadinanza del conseguimento del Premio e dell’importanza dell’applicazione di buone pratiche locali.

5. Premi e riconoscimenti

Come per la I edizione, i premi non saranno in denaro ma consisteranno in oggetti artistici e/o di artigianato di alto valore simbolico, provenienti da quelle zone del mondo che hanno caratterizzato l’impegno della nostra Associazione volto ad accrescere la solidarietà internazionale, lo sviluppo sostenibile, la promozione dei diritti umani e la convivenza pacifica tra i popoli.

6. Commissione Giudicatrice

La Commissione Giudicatrice del Premio è composta da 6 membri, autorevoli esponenti del mondo dell’associazionismo, della cultura e del giornalismo e da un rappresentante della nostra Associazione.

La Commissione ricevuta copia di tutte le schede di partecipazione pervenute, valuterà I contenuti di merito, proclamerà i vincitori e ne trasmetterà i nomi alla Segreteria del Premio per la comunicazione ufficiale. Il giudizio della Commissione è inappellabile e insindacabile. Le modalità di discussione interne alla Commissione per la scelta dei vincitori sono autonomamente decise dalla Commissione ed
egualmente insindacabili.

7. Modalità di comunicazione dell’avvenuta vincita

Gli EE.LL. premiati vengono informati dell’assegnazione del Premio a mezzo di lettera Raccomandata/ e-mail e successiva comunicazione telefonica.

8. Cerimonia di premiazione

La Cerimonia di Premiazione avverrà nel corso di un incontro pubblico in data da definirsi e che verrà comunicata a breve. In tale sede avverrà la proclamazione ufficiale e la consegna dei Premi da parte dei membri della Commissione giudicatrice con relativo attestato di merito recante la motivazione della scelta.

9. Promozione del Premio

La Rete del Nuovo municipio si impegna a dare massima diffusione tramite stampa/radio/giornali/Web/ mailing list al bando del Premio, alla cerimonia di premiazione e agli EE.LL vincitori.

Segreteria del Premio

Per ogni necessità di ulteriori informazioni è stata istituita la Segreteria del Premio quale organo operativo a cui chiunque può rivolgersi.

ASSOCIAZIONE PER LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

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12 dicembre 2008

42° Rapporto sulla situazione sociale del paese/2008

Comunicato stampa, tratto dal sito del CENSIS


L'Italia in marcia verso la seconda metamorfosi


La «segnatura» della crisi c'è stata, ma apre a un adattamento innovativo della società

Roma, 5 dicembre 2008 - Alla crisi ci crediamo e non ci crediamo. Per alcuni si sfiammerà presto, per altri il tracollo durerà a lungo. Questa diversa percezione riflette l'assenza di una consapevolezza collettiva, a conferma del fatto che restiamo una società «mucillagine». Come affermato lo scorso anno, il contesto sociale è condizionato da una soggettività spinta dei singoli, senza connessioni fra loro e senza tensione a obiettivi e impegni comuni. Questa regressione antropologica, con i suoi pericolosi effetti di fragilità sociale, è visibile nel primato delle emozioni, nella tendenza a ricercarne sempre di nuove e più forti, al punto che «la violenza o lo stravolgimento psichico si illudono di avere un bagliore irripetibile di eternità, mentre nei fatti sono solo passi nel nulla».

È stato l'anno delle paure. Su questa base si sono moltiplicate piccole e grandi paure (i rom, le rapine, la microcriminalità di strada, gli incidenti provocati da giovani alla guida ubriachi o drogati, il bullismo, il lavoro che manca o è precario, la perdita del potere d'acquisto, la riduzione dei consumi, le rate del mutuo). In un anno elettorale, la politica ha trovato vantaggioso enfatizzare le paure collettive e le promesse di securizzazione (dai militari per le strade alla social card per i meno abbienti), con ciò finendo per generare una più profonda insicurezza, una ulteriore sensazione di fragilità.

La crisi finanziaria internazionale: la «segnatura» c'è stata. La crisi ci ha segnato, ed è verosimile attendersi per il prossimo anno ulteriori fasi di flessione. Ma ha determinato un salutare allarme collettivo. Si tratta ora di vedere se il corpo sociale coglierà la sfida, se si produrrà una reazione vitale per recuperare la spinta in avanti, sebbene siano in agguato le «italiche tentazioni alla rimozione dei fenomeni, alla derubricazione degli eventi, all'indulgente e rassicurante conferma della solidità di fondo del sistema».

Non basta una reazione puramente adattiva. Rispetto a una crisi che ci segna in profondità, sarebbe deleterio adagiarsi sulla speranza che tutto si risolverà nella dinamica della lunga durata, grazie alle furbizie adattive che ci contraddistinguono da decenni e secoli. Rischieremmo che «la lunga durata diventi luogo del rattrappimento e della rinuncia ad un ulteriore sviluppo». Rischieremmo: l'appiattimento su parole d'ordine non più universalmente condivise (il mercato, l'occidentalizzazione, la globalizzazione, l'Europa allargata); di continuare a vivere individualisticamente; l'acutizzarsi di un disagio sociale legato all'esaurimento delle sicurezze di base garantite da un welfare oggi in crisi e dalle attuali prospettive o paure di impoverimento; gli effetti ulteriori degli squilibri antichi della nostra società (il sottosviluppo meridionale, l'inefficienza dell'amministrazione pubblica, il drammatico potere della criminalità organizzata). Rischieremmo forse un collasso per implosione su noi stessi, per cui non possiamo lasciar cadere la sfida, l'allarme, la paura che la contingenza attuale ci propone.

Verso una seconda metamorfosi. Le difficoltà che abbiamo di fronte possono avviare processi di complesso cambiamento. Attraverso un adattamento innovativo (exaptation, per usare un termine mutuato dalla biologia), cioè non automatico ma reso vitale e incisivo da fattori esogeni e leve di trasformazione, possiamo spingerci verso una seconda metamorfosi (dopo quella degli anni fra il '45 e il '75) che forse è già silenziosamente in marcia. La nostra seconda metamorfosi sarà il risultato della combinazione dei «caratteri antichi della società» con i processi che fanno da induttori di cambiamento. Tra questi vi sono: la presenza e il ruolo degli immigrati, con la loro vitalità demografica e la moltiplicazione emulativa di spiriti imprenditoriali; l'azione delle minoranze vitali già indicate lo scorso anno, specialmente dei player nell'economia internazionale; la crescita ulteriore della componente competitiva del territorio (dopo e oltre i distretti e i borghi, con le nuove mega conurbazioni urbane); la propensione a una temperata gestione dei consumi e dei comportamenti; il passaggio dall'economia mista pubblico-privata a un insieme oligarchico di soggetti economici (fondazioni, gruppi bancari, utilities); l'innovazione degli orientamenti geopolitici, con la minore dominanza occidentale e la crescente attenzione verso le direttrici orientali e meridionali.

Mercato largo, economia aperta, policentrismo decisionale. Le classi dirigenti (non solo quella politica) tendono invece ad automatismi di segno opposto: accorciano i raggi delle decisioni, le riservano a sfere di responsabilità molto ristrette, le rattrappiscono al breve termine, se non addirittura al presente. «In poche stanze si possono prendere provvedimenti e iniziative planetarie, ma poi la realtà segue opzioni, comportamenti, paure di tipo diffuso, su cui sarebbe deleterio avviare una rincorsa punto per punto (una Cig qua, una rottamazione là) che non riuscirà mai a far recuperare una dinamica fatta da tanti soggetti, l'unica dimensione di cui abbiamo bisogno per uscire collettivamente dalla crisi». Per la società italiana resta l'imperativo: «mercato largo, economia aperta, policentrismo decisionale».

10 dicembre 2008

Segnali di fumo per napoli

Rigeneriamo lo spazio pubblico
Giovanni Laino

La crisi urbana a Napoli e in Campania, di governo oltre che di condizioni di vita, è oggetto di un dibattito in merito al bisogno di un rinnovato confronto e impegno nelle politiche, la necessità di un nuovo ciclo politico, sostanziale e senza semplici aggiustamenti o trasformismi, con un profondo miglioramento della qualità della democrazia locale.
Con l’iniziativa di un gruppo di persone impegnate su diversi fronti, da mesi, abbiamo dato vita ad Arcipelago Napoli. Con un blog e molte discussioni, singoli implicati in vari cantieri della vita pubblica locale, abbiamo sentito il bisogno di prendere atto dell’arcipelago composto da tanti comitati, gruppi, associazioni, reti, che, a Napoli e nella conurbazione, si occupano dei beni comuni, cercando non solo di opporsi a scelte ritenute sbagliate ma anche di elaborare contenuti per prefigurare alternative, dare senso agli scenari, individuare priorità abbastanza condivise. Più in generale ci si propone di superare l’autoreferenzialità dei tanti gruppi, che ha già prefigurato la deriva della disgregazione litigiosa, l’esposizione a rischi di intolleranza delle posizioni che abitano di più i dubbi, l’eccesso di semplificazione.
Ho fatto in modo che diversi incontri di tale gruppo si siano svolti ad Architettura, nella convinzione che i docenti dell’Università oggi debbano badare a fare bene la scuola, la ricerca, ma con un’apertura non occasionale alla città, non occupandosi solo di temi tradizionalmente presidiati dagli architetti, ma anche facendo clinica in diversi gruppi e sezioni della società locale che animano le trasformazioni territoriali.
Senza presumere primati, praticando visibilmente approcci plurali e aperti, distanti e distinti dal lavoro dei partiti, è molto utile che nelle stesse aule ove si insegnano le teorie e ci si esercita alla loro declinazione nelle pratiche, ci si misuri con le attrezzature mentali, le forme discorsive di vari attori che, con ruoli diversi, occupandosi di beni comuni, socializzano saperi di origine e natura differenti, per ripiantare bene alcune radici feconde di una svolta di dignità della vita pubblica in città.
Negli ultimi mesi, fuori dall’Università, si sono aggregati alcuni gruppi e singoli militanti, non da ieri, nel lavoro sociale, civile e politico, a partire da una collocazione preferenziale attenta a stare con i più deboli, dalla loro parte: quelli coinvolti in vari movimenti locali, per la difesa del valore pubblico dell’acqua, per un diverso ciclo dei rifiuti, il riuso civile di grandi contenitori come l’ex Albergo dei Poveri. Anche per costruire occasioni di confronto fra vari pezzi dell’arcipelago, alcuni hanno elaborato e diffuso il documento “segnali di fumo per un’altra città”, proponendo di farne la premessa di un confronto pubblico che si terrà il giorno 16, alle ore 16,30 presso la Galleria Toledo.
L’assemblea vuole essere un’occasione in cui indagare insieme, i confini e i contenuti condivisi, il cosa e il come della trasformazione auspicata. Tutti resteranno utilmente impegnati e appassionati alle diverse vicende, nel tentativo di individuare modalità feconde e comuni di abitare questo arcipelago. In modi differenti siamo tutti coinvolti nelle arene della vita pubblica napoletana, sentiamo il bisogno di rinnovare il nostro essere pubblico, fare pubblico, senza celare l’evidenza che nella nostra città ora vi è lo straordinario problema del profilo e della qualità del ruolo svolto dalle tante sezioni dell’elite. Anche per questo i professori universitari – come molti altri - possono e devono dare una testimonianza e un contributo, senza chiudersi nelle stanze strette di un lavoro che rischia l’inconcludenza. In verità alcuni dovrebbero anche avere più pudore nel fare critiche inclementi ai politici per cui hanno lavorato fino a pochi mesi fa, anche se per esperienza sappiamo che il confine fra essere implicati o compromessi nelle politiche locali è una linea netta ma non sempre ben evidente e infrangibile. E’ indispensabile elaborare insieme visioni, dare senso e ordine di importanza ai conflitti, condividendo alcuni assunti di fondo, a partire da un radicamento non occasionale con il territorio e nei reticoli sociali che si danno come priorità il miglioramento delle qualità degli ambiti pubblici della vita napoletana, tenendo conto della pluralità dei mondi vitali coinvolti come pure della insostenibilità di alcune situazioni.

9 dicembre 2008

3-rifiuti proposta coreri




















Rifiuti:
una proposta seria























Lunedì
24 Novembre 2008 00:00




Anche
in presenza di una modesta Raccolta Differenziata l’utilizzo
dell’IMPIANTISTICA ESISTENTE IN CAMPANIA OGGI,

risolverebbe IN POCHI MESI la cosiddetta “emergenza
rifiuti”. In particolare un piccolo intervento  di
ristrutturazione ai 7 impianti ex CDR, ( costati 270 milioni di
euro,
mai utilizzati allo scopo, ma sistematicamente
sabotati per “impacchettare “ quanto più
rifiuto possibile, anche nocivo e tossico, per le famose
“eco-balle”);
   li trasformerebbe in TMB
(trattamento meccanico biologico) che sono delle macchine in grado
di effettuare la cosiddetta “differenziata a valle”,
ovvero di recuperare materiale da riciclare dai rifiuti
indifferenziati



1)      
SCHEMA SEMPLIFICATO 



Frame1 Tale
prospettiva azzererebbe l’esigenza di costruire nuove
discariche (soprattutto se si considera che in località
Parco Saurino in Santamaria La Fossa – CE, c’è
una grande discarica gia costruita e mai utilizzata), e la
costruzione di  inceneritori, Considerando che in Campania le
tonnellate annue non riciclabili in caso di riconversione dei CDR
in TMB, sul modello VEDELAGO, sarebbero solo una residua parte, di
residuo vetroso, non tossico, che potrebbe andare in discarica
senza alcuno impatto ambientale.Con il progredire della R.D. porta
a Porta e la separazione SECCO-UMIDO le percentuali di recupero
potrebbero arrivare  al 99%, con pressoché nullo
residuo in discarica.



IL DECLASSAMENTO DEGLI
IMPIANTI PER IL “CDR” A SEMPLICI “COMPRESSE DI
RIFIUTI” (CHE HA DETERMINATO INCHIESTE DELLA MAGISTRATURA ED
ARRESTI), INVECE DELLA LORO EVOLUZIONE IN IMPIANTI PER IL
“TRATTAMENTO MECCANICO BIOLOGICO” HA FATTO SI’
CHE TUTTI I RIFIUTI INDIFFERENZIATI VENISSERO COMPRESSI IN BALLE
DESTINATE AGLI INCENERITORI, AUMENTANDO ENORMEMENTE I COSTI E LA
FAME DI DISCARICHE E COMPORTANDO RISCHI ENORMI PER LA SALUTE DEI
CITTADINI, A CAUSA DELLE SOSTANZE NOCIVE CHE VERREBBERO IMMESSE
NELL’ARIA.



Ricordiamo
che l’incenerimento è una tecnica vetusta in
dismissione in tutta Europa, che residua una cenere tossica del
30% del prodotto trattato da portare in discariche “speciali”;
il resto, in fumi carichi di nano particelle e diossine,  viene
disperso in aria,cade sul terreno entra nella catena alimentare,
poiché in natura nulla si crea e nulla si distrugge. (
Ganapini, assessore all’ambiente della regione,  ad
Ambiente Italia quando si riaprì il cantiere di Acerra
disse che con gli inceneritori faremo la stessa fine dell’amianto;
quando ci fermeremo sarà troppo tardi) 



2) CALCOLO COSTI PIANO
DEL GOVERNO 



Tre inceneritori da
realizzare                            
 € 2 miliardi
Incentivi CIP 6 da ecoballe
accumulate             
  € 3 miliardi
Totale dei
costi                                            
  € 5 miliardi
Tempo di
realizzazione                               
 minimo 4 anni  



A
QUESTI COSTI BISOGNA AGGIUNGERE: costi di gestione e realizzazione
delle discariche, costi di trasporto dei rifiuti fuori regione,
mancate entrate del turismo dovuti all’elevatissimo impatto
ambientale di questo piano. COSTI TERZI, sempre presenti in uno
studio di Valutazione di Impatto Ambientale per un Inceneritore, (
documentazione preliminare indispensabile alla costruzione):
AUMENTO DELLA SPESA SANITARIA – DIMINUZIONE DELLA SPERANZA
DI VITA 



3) CALCOLO COSTI CON
IMPIANTISTICA GIA’ ESISTENTE IN CAMPANIA  



  



















Trasformazione
degli impianti per il CDR in impianti per il TMB



10 milioni







Tempo di
realizzazione



massimo 6 mesi
























 Coordinamento
Regionale Rifiuti (CO.RE.RI. )



www.rifiuticampania.it


















6 dicembre 2008

Appello per una cittadinanza attiva e responsabile




Negli ultimi mesi, nella nostra città, si sono sviluppate esperienze positive di movimento dal basso e di costruzione di alternative al modello socio-economico dominante, sul tema dei rifiuti e della difesa dei beni comuni, sulla questione rom e immigrazione, per i cittadini senza fissa dimora che popolano Napoli, per poter garantire legalità, sicurezza, aumento delle condizioni di benessere collettivo, per il bene primario dell’istruzione.
Piccoli, deboli, ma bellissimi “segnali di fumo” di “indiani indipendenti” che si sono stufati di stare nelle loro riserve.
Esperienze che hanno mostrato anche un limite che ha depotenziato le diverse istanze: quello di rinchiudersi nei propri specifici, di pensarsi ognuno come portatore di “verità assolute”, di far prevalere l’idea dell’altro non tanto come risorsa, ma come possibile elemento contaminante e dannoso.
Per questo ci pare urgente avviare un processo che costruisca un ponte tra i tanti modi di fare una città diversa, che sia in grado di dare contenuti ad un progetto per la città, che si prenda cura del “pubblico”.
Per farlo realmente, occorre che ciascuno di noi si senta parte, si metta in relazione attiva e costruttiva con le aggregazioni che si sono create nel territorio, stringendo un patto sociale per riconoscere e contestualizzare in alleanze le differenze, per avviare un processo di scambio e di iniziativa comune e condivisa, che provi ad aprire un diverso ciclo politico, con l’obiettivo di costruire una forma solida e strutturata di organizzazione della cittadinanza responsabile
Vi proponiamo di provare insieme a costruire uno spazio comune e continuativo per le nostre esperienze, di intraprendere insieme un percorso, rispettoso delle differenze e delle autonomie, un movimento a forte responsabilità sociale, trasparente e democratico nel suo evolversi, preciso nella definizione dei contenuti e dei suoi obiettivi, che sia in grado di parlare e coinvolgere anche chi non ha forza alcuna per eccesso di degrado, di povertà, di dipendenza, di paura, di bisogno.
Un percorso chiaro nel segnare indipendenza e autonomia dai “palazzi”, lontananza dalle forme degradate della politica tradizionale, non radicalmente e ottusamente chiuso o qualunquisticamente apolitico, ma capace di continuare a privilegiare un’idea di politica centrata sull’interesse collettivo e non sull’uso privato della cosa pubblica.
Se vogliamo che Napoli rinasca deve avere vita una cittadinanza attiva e responsabile che prema sulle istituzioni cittadine e regionali.

5 dicembre 2008


segnali di fumo per un' altra città

Di Napoli spesso si parla per i morti ammazzati, per la "monnezza", per la diossina e per i commissari più o meno straordinari. Si racconta, a ragione, di una città in sofferenza, sempre più frammentata nei suoi legami e nel suo essere comunità, sempre più arrabbiata e pronta alla cattiveria nei confronti dei differenti e dei senza voce.
Noi però, pur non negando che tutto ciò sia vero e percepibile, vogliamo partire invece da un elemento che ci sembra vitale e positivo.
Ci riferiamo alla nascita e al consolidarsi di movimenti e forme di auto organizzazione dal basso, vitali e responsabili nel proporre, su diversi terreni, tentativi di costruire alternative al modello socio-economico dominante.
Forme di cittadinanza attiva e responsabile che, almeno così ci sembra, sentono l'esigenza di incontrarsi nella comune ricerca di forme nuove di relazione, di coordinamento e reciproca valorizzazione. Esperienze che sono diventate consapevoli della necessità di uscire dal proprio specifico, per incontrare altri, fare meticciato, individuare contenuti e iniziative comuni e condivise. Per non correre il rischio, per eccessiva frammentazione, di indebolire o, peggio ancora, perdere il senso più complessivo del loro fare.
In tale direzione sono andate tutte le iniziative che provano a tutelare e promuovere i diritti dei più deboli e marginali. Che hanno provato a stabilizzare luoghi comuni, come i tanti comitati che si battono per l' acqua come bene pubblico, per un diverso ciclo dei rifiuti, per rinnovare le forme della partecipazione e della rappresentanza, per affermare e sostenere la democrazia della pace. Così come sono coerenti a tale approccio tutte quelle realtà che provano a "ridisegnare a colori" le periferie, le reti basse e orizzontali di auto-mutuo aiuto e conciliazione, il commercio equo e solidale, i gruppi di acquisto solidale, insieme alle esperienze più consolidate dei movimenti pacifisti, delle culture di genere, del sostegno alle lotte di autodeterminazione dei popoli.
Tante piccole comunità che hanno deciso di mettersi in gioco, di sporcarsi le mani, senza pretese di farsi portatori di verità assolute, ma convinti che mettere in comune le esperienze è l' unico modo per provare a costruire una città diversa, capace di riconoscere le persone prima di tutto nei loro diritti e aspettative; di pensare al territorio come risorsa da tutelare e difendere dalle voglie onnivore e incontrollate del profitto e del mercato; di praticare una legalità diffusa come unico strumento per produrre giustizia sociale e sicurezza diffusa. Consapevoli che un nuovo ciclo per questa città può avviarsi solo se tra garantiti e non garantiti si crea un' alleanza di intenti che sappia prevenire ogni ipotesi di conflitto e contrasto.
Un patto tra il centro e le tante periferie, geografiche e sociali, sicuri che nessuna parte di questa città può pensare di salvarsi da sola. E' oramai necessario e urgente avviare un processo che, per tappe, sia in grado di dare contenuti a un progetto per la città che scuota dal sonno tutti coloro che pur non compromessi continuano ad assistere silenti al suo degrado.
Occorre però che ognuno di noi viva come nemico il silenzio, la speculazione sui più deboli e quel potere che schiaccia e opprime senza alcuna legittimità, schiaccia gli ultimi, e noi tutti ultimi. Insomma, va avviato un processo di scambio e di iniziativa comune e condivisa che provi, consapevole della sua urgenza e delle sue difficoltà, ad aprire un diverso ciclo politico, con l' obiettivo di costruire una forma solida e strutturata di organizzazione della cittadinanza responsabile. Un percorso chiaro nel segnare indipendenza, autonomia dai palazzi, lontananza dalle forme degradate della politica tradizionale che non sia qualunquisticamente apolitico, ma capace di continuare a privilegiare un' idea di politica centrata sull' interesse collettivo e non sull' uso privato della res pubblica. Per questo noi proponiamo di provare insieme a costruire uno spazio comune e continuativo per le nostre esperienze. Di tutto questo vogliamo parlare il 16 dicembre alle 17 in una assemblea pubblica nel Chiostro Piccolo di Santa Maria la Nova.
ANDREA MORNIROLI, ALDO POLICASTRO E ALEX ZANOTELLI

1 dicembre 2008

programma seminario Mar Comune



2/12/2008
APERTURA DEL SEMINARIO INTERNAZIONALE

Ore 15,00 - Coro Polifonico dell’Istituto Superiore “Adriano Tilgher” diretto dal Maestro Carlo Intoccia e proiezione del video “MAR COMUNE 2008 - Mediterraneo: il mare che unisce” a cura del Prof. Roberto Marotta.

Ore 15,30 - Saluti delle autorità
Dott. Alberto Bottino
Direttore Scolastico Regionale per la Campania
On. Antonio Bassolino
Presidente Regione Campania
Dott. Riccardo Di Palma
Presidente Provincia di Napoli
Prof.ssa Gioia Rispoli
Assessore alla Pubblica Istruzione Comune di Napoli
Dott. Nino Daniele
Sindaco Comune di Ercolano

Ore 16,15 - Apertura dei lavori
Avv. Gerardo Marotta
Presidente Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Prof. Ubaldo Grimaldi
Dirigente Scolastico Istituto d’Istruzione Superiore “Adriano Tilgher” di Ercolano (Napoli)

Ore 17,00 - Relazione introduttiva
Prof. Iain Chambers
Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” - “Le molte voci del Mediterraneo”

3/12/2008
TERRITORI, CULTURE E COMUNITÀ
Coordina: Prof.ssa Silvana Borriello, I.S. “A. Tilgher” di Ercolano (Napoli)

Ore 9,00 - Saluti delle scuole europee
Prof.ssa Bernadette De Cat
Heilig Hartscholen di Heist Op Den Berg (Belgio)
Prof. Geir Lindberg
Lillehammer Videregaende Skole di Lillehammer (Norvegia)

Ore 9,15 - Relazioni
Arch. Paolo Cacciari
Giornalista, deputato -“I diritti del territorio come bene comune”
Prof. Tonino Perna
Università degli Studi di Messina - “Il denaro e la CO2: convergenze e divergenze tra fluttuazioni borsistiche e meteorologiche”
Arch. Wael Zatar
Esperto di beni culturali Amman - “La storia è noi”

Ore 12,30 - Spazio scuole
Contributo dell’Al Raed Al Arabi School (Amman - Giordania)

DEMOCRAZIA E / È PARTECIPAZIONE
Coordina: Prof.ssa Imma Grazioli, I.S. “A. Tilgher” di Ercolano (Napoli)

Ore 15,00 - Saluti istituzionali
Dott. Corrado Gabriele
Assessore alla Formazione e Cultura Regione Campania

Ore 15,15 - Relazioni
Prof. Bruno Amoroso
Università di Roskilde (Danimarca) - “Istituzioni, persone e comunità: gli attori del cambiamento”
Prof. Alberto Lucarelli
Università degli Studi di Napoli “Federico II” - “Oltre la dicotomia beni pubblici - beni privati: i beni comuni quali beni ad appartenenza collettiva”
Dott. Samih Al Qasim
Giornalista, scrittore e poeta palestinese - “La creazione culturale ed i diritti umani”

Ore 18,30 - Spazio scuole
Contributo della School of Hope di Ramallah (Palestina)
Contributo dell’Istituto Superiore “A. Tilgher” di Ercolano (Napoli)

4/12/2008
L’ACQUA, BENE COMUNE DELL’UMANITÀ
Coordina: Prof.ssa Daniela Barretta, I.S. “P. Villari” di Napoli


Ore 9,00 - Relazioni
Prof. Riccardo Petrella
Università di Louvain (Belgio) - “Il futuro dell'umanità passa dall'acqua Bene Comune e non dall'acqua ”of
Prof. Hunkar Korkmaz
Università di Antalya (Turchia) - “Water and environment pollution based on water through Turkish students’ eyes”
Prof. M’hammed Idrissi Janati
Università di Rabat (Marocco) - “Eau du ciel et eau de l’état: enjeux et conflits d’acteurs autour de la gestion d’un bien commun: les fontaines publiques en Médina de Fès”

Ore 12,15 - Spazio scuole
Contributo dell’Antalya Koleji di Antalya (Turchia)
Contributo dell’Istituto Superiore “P. Villari” di Napoli

UN AMBIENTE DA DIFENDERE
Coordina: Prof. Piero De Luca, I.S. “A. Tilgher” di Ercolano (Napoli)

Ore 15,00 - Saluti istituzionali
Dott.ssa Angela Cortese
Assessore alla Pubblica Istruzione Provincia di Napoli

Ore 15,15 - Relazioni
Prof. Serge Latouche
Università di Paris Sud - “La crisi e la decrescita”
Prof. ssa Susan George, Transnational Institute di Amsterdam
“La convergence des crises et comment s'en servir pour changer le monde”
Dott.ssa Giovanna Ricoveri, giornalista, Direttrice di « CNS-Ecologia Politica »
“Beni Comuni e new deal verde”

Ore 18,15 - Spazio scuole
Contributo dell’Ecole Mohammed Al Fatih di Fès (Marocco)
Contributo dell’Istituto Tecnico “P. Cuppari” di Jesi (Ancona)

5/12/2008
INFORMAZIONE, FABBRICA DEL CONSENSO
Coordina: Prof. Raffaele Aratro, I.S. “A. Tilgher” di Ercolano (Napoli)

Ore 09,00 Saluti istituzionali
On. Luigi Nicolais
Vice Presidente Commissione Istruzione e Cultura Camera dei Deputati

Ore 9,15 - Relazioni
On. Giulietto Chiesa
Parlamentare europeo e scrittore - “Come la 'Grande fabbrica dei Sogni e della menzogna' ha contribuito a intaccare gravemente la democrazia”
Dott.ssa Lidia Ravera
Scrittrice e giornalista - “Costumi di sceMa: indagine sull’immagine femminile nei media”
Dott.ssa Paola Caridi
Scrittrice e giornalista di “Lettera 22” - “Stranieri, bugie e videotape: come e perché gli arabi sono diventati un capro espiatorio nell’epoca della paura”


Ore 12,30 - Spazio scuole
Contributo dell’Omar Ibn Elkhattab Experimental Language School del Cairo (Egitto)
Contributo dell’Istituto Superiore “A. Tilgher” di Ercolano (Napoli)

IL MEDITERRANEO E LA SFIDA DEI BENI COMUNI
Coordina: Prof. Ubaldo Grimaldi, I.S. “A. Tilgher” di Ercolano (Napoli )

Ore 15.00 - Saluti istituzionali
On. Antonio Valiante
Vice presidente Giunta Regionale Campania
On. Luisa Bossa
Deputata Parlamento Italiano

Ore 15,30 - Relazioni
Prof. Danilo Zolo
Università degli Studi di Firenze - “Quale alternativa mediterranea?
Dal processo di Barcellona all'Unione per il Mediterraneo”
Prof. Franco Cassano
Università degli Studi di Bari - “Il Mediterraneo contro il conflitto delle civiltà”
Prof. Christian R. Noe
Università di Vienna (Austria)

Ore 19,30 - Conclusione del seminario presso il Museo Archeologico Virtuale
(Via IV Novembre, Ercolano – Napoli)
Coro Polifonico e spettacolo teatrale: “ ? BENI COMUNI ? ” di Anita Mosca e Eddie Roberts con gli studenti dell’Istituto Superiore “A. Tilgher” di Ercolano (Napoli)






































30 novembre 2008

Manifestazione nazionale a Roma il 13 dicembre per dire no alla legge Carfagna sulla prostituzione



Sabato 13 dicembre a Roma ci sarà una manifestazione nazionale [promossa da decine di associazioni, tra cui l´Arci, il Comitato diritti civili delle prostitute di Pordenone, il Cnca, il Mit di bologna, il Coordinamento associazioni transessuali «Silvia Rivera», il Gruppo Abele, Cantieri sociali insieme a Carta, l´associazione Libellula e «La strega da Bruciare»] per dire no alla legge Carfagna sulla prostituzione e, più in generale, alle manie «securitarie» di questo governo e a tutte le ordinanze, di tutti i colori, che stanno inondando di soprusi, discriminazione e pelosi moralismi il nostro paese. Logiche che vengono da lontano, che utilizzando la falsità come paradigma della narrazione sociale e alimentando le paure e le diffidenze verso ogni forma di differenza, hanno come vero obiettivo lo smantellamento del sistema dei servizi, la privatizzazione delle prestazioni sociali e sanitarie, la riduzione della funzione pubblica in materia di welfare alla carità istituzionale. Leggi e indirizzi che in nome di queste finalità negano le persone, sono feroci con le loro storie, vite e relazioni. Le persone non sono più tali, ma puttane, tossici, matti, extracomunitari. E di nuovo, si viene da lontano... ricordate Veltroni, ancora sindaco di Roma, che orgoglioso in televisione rivendicava «ne ho spostati 15 mila» parlando dei rumeni. Così, nell´immaginario si costruivano universi abitati non da donne, uomini, anziani e bambini, ma soltanto da rumeni, e per questo cancellabili senza particolari traumi o rimorsi di coscienza. Sul disegno di legge Carfagna va aggiunto che con il divieto della prostituzione in strada non si risolve il problema ma lo si nasconde e così facendo si produce non più sicurezza ma maggiore insicurezza. Si rendono le vittime di tratta ancora più vittime, più deboli e fragili nelle mani degli sfruttatori perché chiuse e irraggiungibili negli appartamenti. Spostando e concentrando le donne in strada in luoghi più marginali, limitati e periferici le si sottopone a più forti rischi di violenze, abusi e furti. Dall´altra parte, costringendole a lavorare insieme si abbassa la capacità di contrattazione con i clienti, con forti rischi di accettare rapporti più pericolosi e meno protetti. Inoltre, con il divieto di prostituzione in strada si rischia di rendere inutili tutti i progetti e servizi che Italia, negli ultimi dieci anni, hanno raggiunto migliaia di vittime di tratta, aiutando più di diecimila donne a fuggire e a denunciare i propri sfruttatori Insomma il disegno di legge non renderà nessuno più sicuro. Perché, la sicurezza, al contrario di quello che oggi ci viene raccontato, si costruisce innanzitutto creando condizioni di maggior giustizia e maggiore uguaglianza. Riempiendo il territorio di opportunità diffuse e positive. Accompagnando le persone più fragili e in difficoltà nella fatica e nella ricerca della possibile autonomia. Garantendo a tutti e tutte pari opportunità non solo di accesso ai servizi, ma a spazi adeguati di vita, benessere, felicità, allegria. La legge Carfagna non tiene poi in nessun conto,i diritti e le aspettative di tutte le donne, gli uomini e le persone transessuali che hanno scelto liberamente di vendere prestazioni sessuali tra adulti consenzienti. Né si fa carico della quota sempre più alta di persone, italiane e straniere, che trovano nella prostituzione l´unico mezzo per fuggire da condizioni di povertà estrema. Tutte e tutti diventano nemici e potenziali criminali. Persone da multare ed espellere. Devianti e meretrici che imbrattano le strade e offendono il decoro. Le persone, le associazioni, gli enti che sabato 13 si troveranno in piazza a Roma esprimeranno un altro punto di vista, un altro modo di guardare alla convivenza, alle relazioni, all´organizzazione della nostra società. Persone convinte che il disegno di legge Carfagna sia solo il pezzo di un progetto più organico e complessivo che lede e limita i diritti di tutte e tutti. Che restringe le nostre libertà. Che vuole costruire una società di pochi, corporativa e cattiva con i differenti, infastidita da ogni forma di ospitalità, che pensa a tutto e a tutti come merce. Il 13, come per altre tante manifestazioni di questi giorni, per dire che «un altro mondo possibile» si costruisce anche a partire dalla vicinanza e dalla condivisione con chi sta in strada per scelta,
perché non ha altre possibilità, perché è costretta a starci.

Andrea Morniroli
















Le Foto della manifestazione dell'8 ottobre in Piazza Municipio, Napoli

Costo Rifiuti - Dossier di Cittadinanzattiva: caos nelle bollette

da Irpinia news venerdì 28 novembre 1008

Avellino -
Rifiuti a peso d’oro: in Campania, la spesa media annua del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani è di 262 euro, ben 45 euro in più rispetto alla media nazionale, pari a 217. In positivo, nell’ultimo anno non si è registrato alcun aumento a fronte di un incremento tariffario che in Italia dal 2006 al 2007 è stato del 3,8% su base nazionale.

In assoluto, in Italia la spesa media annua più alta si registra in Sicilia con 280 euro, la più bassa in Molise (117), a dimostrazione di una marcata differenza tra aree geografiche del Paese, che trova conferma anche all’interno di una stessa Regione. In Campania, a Caserta la Tarsu arriva sfiorare i 400 euro, più del doppio rispetto ad Avellino (168 euro), ben 110 euro in più rispetto a Napoli, 142 euro in più rispetto a Benevento e 180 in più rispetto a Salerno.
Nello studio realizzato dall’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva in occasione della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti, l’analisi a carattere regionale e nazionale del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in termini di costo sopportato da una famiglia di tre persone con reddito lordo complessivo di 44.200 euro ed una casa di proprietà di 100 metri quadri. L’indagine, condotta con il contributo dei rilevatori civici di Cittadinanzattiva, ha riguardato tutti i capoluoghi di provincia nel 2007.
Caro bollette: in media, in un anno una famiglia tipo ha sostenuto nel 2007 una spesa di 217 euro per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, con Siracusa quale città più cara per le tariffe rifiuti (400€) e Reggio Calabria la più economica (95€).
Inoltre, in Italia da gennaio 2000 a ottobre 2008, secondo dati Istat, l’incremento registrato a livello di tariffe è stato del 47,5%.
A più di dieci anni dal Decreto Ronchi del 1997, nessuno dei cinque i capoluoghi campani è passato dalla Tarsu alla Tia, anche se, rispetto al 2006, in nessun capoluogo campano si registra un incremento tariffario.
Da qui le proposte:
Inserire nel pacchetto anticrisi l’eliminazione della addizionale provinciale, che può pesare fino al 5% del totale della spesa sostenuta per i rifiuti; Esenzioni di Tarsu e Tia per i beneficiari della social card; Per il 2009 blocco delle tariffe rifiuti e, dal 2010, introduzione di un tetto massimo agli aumenti annuali delle tariffe pari al tasso di inflazione programmato; Attuare il comma 461 dell’articolo 2 della Legge Finanziari 2008 (l. 244/2007) che prevede l’obbligo per i Comuni di strumenti di partecipazione civica degli utenti e di tutela dei diritti dei cittadini nei servizi pubblici locali; Piano nazionale di educazione e di responsabilizzazione, mediante incentivi fiscali a beneficio di famiglie, imprese e grande distribuzione, per lo sviluppo della raccolta differenziata e la riduzione dei rifiuti, a partire da imballaggi e confezioni dei prodotti; Piano pluriennale di incentivi e sanzioni per i Comuni e i rispettivi amministratori locali che non raggiungeranno l’obiettivo stabilito della copertura del 40% di raccolta differenziata dei rifiuti entro il 2010/11

29 novembre 2008

Non ne facciamo una bomboniera

Giovanni Laino, La Repubblica Napoli, 28-11-2008

Quando presento Napoli e il suo centro urbano agli stranieri mi trovo sempre dinanzi a un problema: la parola bomboniera non è traducibile. Allora devo spiegarmi meglio per dire che Napoli, che soffre ritardi e degrado, ha la fortuna di non essere stata trasformata in una bomboniera.
In diverse città europee invece, la sintesi fra storia locale e interventi di riqualificazione ha prodotto un effetto bomboniera: un habitat gradevole, con gli spazi pubblici e gli edifici recuperati. Un riuso che ha concentrato la cura sulle pietre, sullo spazio fisico, spesso senza preoccuparsi di trovare una vera rigenerazione degli usi. Ecco quindi tanti luoghi aulici che diventano contenitori di improbabili esposizioni, non sapendo bene cosa farne. Una sorta di museificazione della città, con edifici da contemplare. Parti urbane che sono diventate un grande plastico in scala uno a uno, dove però si evoca solo il passato, suggerendo che il presente può essere solo la rievocazione di quello che è stato.
Il centro urbano di Napoli, invece, è ricco di dinamiche di lenta trasformazione, non è stato gentrificato né monumentalizzato: si tratta di una opportunità da cogliere evitando di farne un presepio in cui proiettare le nostre nostalgie.
Da tempo è provato che gli interventi che non provvedono alle cure per le reti antropiche, alle attività che animano la città determinandone quella grande qualità che è la densa mixité (varietà di popolazioni e usi con una densità quasi caotica), quando vanno bene, producono bomboniere magari belle da vedere ma sostanzialmente impoverite di funzioni e flussi vitali. In diversi casi la bomboniera diventa attrattore di flussi turistici che però possono arrivare a fagocitare le parti urbane facendo arricchire solo alcuni; sostanzialmente deteriorano la città e la qualità della vita di buona parte della popolazione. Anche un certo recupero di attività artigianali e commerciali può rientrare in questa strategia sconsigliabile, con botteghe trasformate in boutique che espongono e commercializzano prodotti presunti tipici che spesso sono identici in ogni dove.
Il documento di orientamento strategico che nei prossimi giorni verrà presentato dal Comune e dalla Regione per gli interventi nel centro storico si concentra sugli interventi sullo spazio fisico, nella convinzione, di cui gli architetti sono ascoltati paladini, che sia l´assetto fisico della città a determinare la qualità della vita e la sua attrattività. Anche la considerazione più comune del patrimonio è schiacciata sull´attenzione allo spazio fisico.
Il recupero e la riqualificazione degli spazi aperti e degli edifici sono certamente rilevanti, in diversi casi improrogabili. È certo però che senza una straordinaria attenzione a un progetto di infrastrutturazione dell´economia e dei servizi culturali e sociali, anche nel centro storico, ogni programma è destinato all´insuccesso. Potranno goderne i settori legati ai lavori edili, i proprietari che vedranno aumentare - ancor più - i valori immobiliari delle loro case e botteghe, ma complessivamente il profilo qualitativo della città non migliorerà. È risibile l´ipocrisia di quelle scelte che mettono un po´ di interventi sociali, con il coinvolgimento di qualche parrocchia e il riuso approssimativo di qualche bene confiscato. Una strategia efficace, realmente competitiva, non può relegare ai margini gli interventi sulle reti immateriali, sui servizi sociali. È una convinzione dei governanti illuminati prima che degli assistenti sociali. Una certezza che in realtà vale anche per le periferie. Un´intenzione che può diventare progetto, rilanciando interventi che, nati nel centro storico della città, sono considerati d´avanguardia nello sfondo delle politiche sociali europee.

Centro storico, l'altra Bagnoli

Isaia Sales, il Corriere del Mezzogiorno, 25-11-2008

«Si tratta di una delle più antiche città d'Europa... I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell'Europa e al di là dei confini di questa».
Sono queste le motivazioni con le quali l'Unesco ha inserito nel 1996 il centro storico di Napoli nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità. Il suo recupero, se ben progettato, organizzato, guidato, eseguito, potrebbe divenire un avvenimento nella storia della città, un evento per l'urbanistica mondiale, un caso di successo (o di insuccesso) di cui parlerebbe il mondo intero, come è avvenuto per il recupero a Barcellona del Barrio gotico, a New York per Harlem, o a Berlino. C'è questa consapevolezza nella classe dirigente napoletana, nel mondo della cultura, delle professioni, delle imprese, e nell'opinione pubblica più vasta?
Diversamente da ciò che è avvenuto nelle altre tre città, la discussione è ristretta agli addetti ai lavori, e non è diventata ancora passione e confronto collettivo neanche sui giornali, se si esclude qualche tradizionale punzecchiatura tra urbanisti. Eppure i tempi stringono e le decisioni da prendere non vanno al di là della fine di quest'anno. Com'è noto sono stati riservati 200 milioni di fondi europei a tale scopo (a cui si aggiungono 20 di cofinanziamento da parte del Comune di Napoli) e la proposta concreta per il loro utilizzo doveva essere già presentata entro il 30 settembre.
Con questo articolo provo a dire la mia, visto che quando ero in Regione a seguire il nuovo programma di utilizzo dei fondi europei ho voluto uno stanziamento ad hoc per il centro storico, augurandomi che su questo argomento sia la stessa amministrazione della città a promuovere un confronto di massa prima di assumere le proprie determinazioni.
Il sito Unesco interessa il centro storico per 700 ettari, il 16% dell'intero territorio della città, con una popolazione di quasi 300 mila abitanti. So che il Comune di Napoli vorrebbe sì proporre un intervento in un'area più ristretta, 16 kmq, ma che spazierebbe comunque tra ben 10 quartieri e 4 municipalità, da Castel dell'Ovo all'Albergo dei Poveri, da Monte Echia a porta Capuana, da via Marina a Caponapoli. Io penso che ci si possa limitare ai due decumani e alle zone interconnesse, cioè alla zona greco-romana e medievale, ridando alla stazione centrale il ruolo di porta della città, attraverso un percorso totalmente pedonalizzato che immetta direttamente nel cuore antico di Napoli. Meglio, dunque, un intervento limitato, ristretto, ben organizzato, che a sua volta funga da modello organizzativo e realizzativo per gli altri da fare. Se l'area è troppo ampia, non solo le risorse sono insufficienti, ma si rischia di preferire un'opera di «decoro» a un'azione di radicale ed esemplare trasformazione urbana.
È chiaro che qualsiasi scelta di riqualificazione deve essere inserita in una proposta di più ampio respiro. Non esiste nessun progetto urbanistico valido se non ha «un'anima», cioè se non si chiarisce bene quale assetto sociale si intende favorire. È certo che l'attuale stato dei luoghi e l'attuale configurazione della popolazione prevalente nel centro antico non permettono un suo stabile utilizzo a fini culturali, turistici, o quant'altro. Oggi, in quei luoghi, la classe egemone è quella caratterizzata da redditi bassi e da attività illegali, rispetto al blocco sociale del recente passato dove predominava l'artigianato e il lavoro sommerso.
Non esiste al mondo nessun sito turistico al cui interno dominano attività criminali. È questa una delle principali questioni storiche da affrontare. Napoli è l'eccezione tra le città occidentali: il suo centro storico non ha funzioni direzionali, né finanziarie, né commerciali di lusso, né vi abitano i ceti più benestanti. È come se si fosse formata una periferia nel suo cuore antico, caratterizzata da un fortissimo sovraffollamento di famiglie a bassissimo reddito. Questa peculiarità è stata per anni motivo di forti contrasti tra due schieramenti: tra chi riteneva ciò una ricchezza rispetto a tutte le grandi metropoli del mondo, e a chi invece si augurava che il mercato immobiliare, finalmente libero da vincoli, potesse riportare Napoli nella normalità, relegando in periferia i ceti sociali non in grado di reggere ai vertiginosi cambi di valore degli immobili. Queste due posizioni si sono così irrigidite da dare vita a una vera e propria contrapposizione ideologica. Ne hanno fatto le spese tutti i programmi di riqualificazione proposti negli ultimi anni, compresi alcuni che potevano essere corretti e non totalmente respinti. Naturalmente un po' di diffidenza era giustificata dopo i disastri del laurismo e delle prime giunte a guida Dc. Ma il totale immobilismo in quella parte della città ha condizionato tutte le altre scelte, come ad esempio costruire un Centro direzionale quasi in periferia, spostare le Università altrove con gravi problemi per gli studenti (Monte Sant'Angelo), non avere nessun grande albergo o una ospitalità turistica diffusa come avviene invece in tutti i centri antichi delle città d'arte.
Come conciliare l'integrità fisica e la identità sociale del cuore della città senza che ciò porti all'inazione; come difendere questa particolare composizione della popolazione senza che essa blocchi le potenzialità turistiche; come lasciare la peculiarità di zona fittamente abitata e al tempo stesso chiuderla al traffico veicolare recuperando spazi per bisogni elementari (parcheggi, verde attrezzato, parchi-giochi): sono queste alcune delle difficili decisioni da prendere. E, dunque, se non si vuole «deportare» la popolazione meno abbiente, bisogna però avanzare una proposta che rompa con l'attuale dominio di comportamenti illegali e spesso criminali. Fare del centro storico di Napoli un campus universitario urbano mi sembra una proposta di grande interesse. Si può rafforzare così un polo sociale altrettanto forte con funzioni di contrappeso rispetto a quello preesistente. Insomma un blocco sociale, con possibilità di divenire maggioritario nel tempo, cementato dagli studi, dalla cultura, dalla formazione, dalla produzione culturale, dall'accoglienza dei turisti e che, al tempo stesso, non perda il carattere di luogo vissuto e ampiamente abitato. Che siano, cioè, le Università con tutte le loro esigenze a plasmare l'assetto futuro del centro storico, più di quanto abbiano fatto nel passato. Che siano gli studenti e i professori il motore della riqualificazione.
La sfida è di fare di una grande città, e del suo centro storico, ciò che sono città più piccole, che vivono sul binomio «studio e accoglienza», senza contrasto tra studenti e turisti, quali Siena, Urbino, Pavia, o Salamanca. Andando in controtendenza rispetto a Roma e Milano che stanno trasferendo fuori dal centro le attività universitarie. E poiché non ci sono grandi proprietà immobiliari private, ma sono gli enti pubblici ad avere più patrimonio nel centro storico (Lo Stato, la Regione, la Provincia, il Comune) assieme alla Chiesa, sono questi enti che debbono darsi da fare. Un'operazione di questo tipo ha bisogno, certo, anche di capitali privati. Si potrebbe dare vita ad una società pubblico-privato con il compito di andare a cercare sui mercati finanziari capitali per una delle più grandi operazioni di recupero urbano al mondo. Con la premessa che rivolgendosi a studenti che si vogliono portare a risiedere a Napoli (molto, molto più di ciò che avviene ora), il capitale privato dovrebbe scommettere su di un ritorno dell'investimento meno rapido di quello a cui si è abituati nell'edilizia residenziale. In questo senso si calmierebbe il mercato e si offrirebbero sistemazioni più civili delle attuali. Anche gli Iacp potrebbero far parte di questo progetto, concentrando i loro programmi sul recupero del già costruito, facendo vivere insieme negli stessi palazzi ristrutturati studenti e beneficiari dell'alloggio popolare. E naturalmente l'arcidiocesi di Napoli potrebbe mettere a disposizione i numerosi conventi per questa operazione, com'è avvenuto a Pavia. Il tutto dovrebbe partire, lo ripeto, da un primo intervento su un'area ristretta, capace d'innescare un effetto a catena del recupero, offrendo incentivi ai proprietari privati sulla base del progetto Sirena, che andrebbe concentrato solo nell'area oggetto dell'intervento. E offrendo anche contributi per insediamenti di imprese, riservandoli però solo a quelle di carattere culturale e turistico.
Il centro storico di Napoli ha una potenzialità enorme, secondo me più di Bagnoli, più dell'area orientale. Napoli sarà sempre una città malata se resterà malato il suo cuore antico.