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10 aprile 2010

Agenda per la sinistra

AGENDA PER LA SINISTRA

La sera della vittoria in Puglia Niki Vendola si è rivolto al suo popolo confessando il proprio desiderio di avere qualche giorno di pausa per tornare tra i suoi libri, per leggere poesie, per ritrovare la poesia nella vita. Sarà un caso quello di essere uno dei pochi del centro-sinistra che il 29 sera ha potuto festeggiare, insieme a una moltitudine di giovani che lo acclamavano dopo averlo portato al successo?!
Quanti sono i politici del centro-sinistra che si rivolgono ai propri elettori parlando della vita, delle speranze e delle sofferenze personali, dei libri che arricchiscono gli uomini, della poesia?
Anche questa è una pista da percorrere per capire come Vendola abbia fatto il miracolo di battere prima D’Alema e poi i berlusconiani: un diverso approccio alla realtà, costruzione del consenso vivendo tra donne e uomini, esibendosi in tutta la propria vera identità. Umano, troppo umano…
Interroghiamoci su quali siano stati nel tempo i punti di forza del centro-sinistra: da una parte gli aggregati sociali quali la classe operaia, i ceti medi, gli insegnanti, i nuovi tecnici, le femministe, i giovani, i braccianti. Dall’alta l’implicito orientamento dei movimenti no global, pacifisti, per la difesa dell’acqua pubblica, l’onda studentesca, i no tav, gli antinucleari, i comitati in difesa dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori; e ultimo nel tempo il movimento viola.

Eppure tra il 2005 e il 2010 il PD ha perso due milioni di elettori. La Sinistra radicale ne ha perso ottocentomila.
Dove sono finiti? L’Idv nello stesso arco di tempo ha quadruplicato i consensi mentre i grillini hanno strappato voti e seggi in quelle che erano un tempo le roccaforti rosse. E gli astenuti, temuti dalla destra, sono invece in gran parte riferibili al centro sinistra.
Risulta evidente cha al vecchio forte richiamo dell’identità ideologica si è venuta sostituendo una precaria e più debole comunanza d’interessi legati al territorio, alla singola azienda, a una specifica tematica non inserite in un progetto unitario di trasformazione di tutta la società. Progetti critici verso il contingente ma disinteressati a intaccare i fondamenti della società.
Questo accade mentre il Popolo della Libertà perde un milione di voti , con una flessione di 4,5 punti rispetto alle Regionali del 2005 e addirittura 7 punti in meno rispetto alle politiche 2008 ( pesa anche la mancata presenza della lista nella provincia di Roma) e quando la stessa Lega, che ha raddoppiato i voti rispetto al 2005, deve comunque registrare la perdita di 147.305 elettori rispetto alle europee del 2009 e non tutti ricordano che è ben lontana dalle cifre della Lega Lombarda nel 1992 e della Lega Nord nel 1996.
Se ne deve allora desumere che non è il centro-destra che conquista nuovi voti, ma è piuttosto lo schieramento di centro-sinistra che perde consensi per una colpa tutta propria di fronte ad un elettorato schierato su posizioni di assoluta protesta contro il sistema politico e deluso di fronte alla mancanza di una credibile proposta.

In Piemonte la Bresso paga i tentennamenti sulla Tav e le concessioni all’Udc; in Lombardia sconta la protervia isolazionista di Penati e la clonazione del programma di Formigoni; in Veneto non si accorge che la Lega l’ha sostituita pure tra gli operai di Porto Marghera; in Emilia Romagna si accolla non solo i peccati di Delbono e prima ancora l’isolamento del controverso Cofferati ma anche la fine di un’antica fedeltà; nel Lazio paga pegno per una candidata che il PD non ha scelto e per la crociata della Chiesa; in Calabria per aver fatto finta di non vedere quello che era successo nel Consiglio Regionale, anche in termini penali.

Liguria, Umbria, Marche, Basilicata e Toscana sono salve almeno per ora, ma sono in trepida attesa della discesa leghista.

In Campania la partita era persa a tavolino già da molto tempo per l’”allegra” gestione del binomio Bassolino – Iervolino. Il fallimento che abbiamo registrato dopo diciotto anni di guida del centro-sinistra non consente alcuna giustificazione: clientelismo, dispersione delle risorse pubbliche, spartizione della sanità, peggioramento dei servizi, disastro nella raccolta dei rifiuti, degrado ambientale, diffuse infiltrazioni camorristiche. Napoli e la Campania sono scivolate progressivamente verso gli ultimi posti nelle varie classifiche sulla vivibilità.

Con la situazione dei partiti ridotti a comitati d’affari, assenti nel territorio, impegnati in penose dispute interne, abilissimi nel trovare accordi sottobanco tra maggioranze e opposizioni. E con le organizzazioni sindacali auto- perpetuantesi e sempre più staccate dal mondo dal lavoro. Basti pensare che il 55% degli iscritti della Cgil oggi è costituito dal sindacato dei pensionati e gli ultimi scioperi (compreso quello generale) registrano purtroppo adesioni sempre più minoritarie.

Ad urne chiuse la Lega presenta il conto e le prime a pagare sono le donne per le quali viene messa in discussione la Legge sull’aborto. Primo attacco ai diritti civili conquistati a partire dagli anni ’70 e alla concezione dello Stato laico che è alla base del Patto Costituzionale.

Come scrive Marco Revelli sul “Manifesto”, il Lombardo – Veneto ha conquistato il Piemonte e realizzato il Regno del Nord (o, a scelta, Padania) e può rimettere in discussione non solo la Costituzione ma la stessa unità nazionale dopo soli 150 anni dalla sua realizzazione. Del resto noi meridionali l’abbiamo vissuta come colonizzazione e continuiamo ad essere perdenti. Il Nord l’ha vissuta come conquista e ora può decidere di trasformarne radicalmente l’assetto istituzionale.

Possono rallegrarsi gli “astensionisti illuminati, dall’anima pura”, che con le loro pur condivisibili analisi teoriche sulla degenerazione della sinistra e anche dall’alto del loro splendido e immacolato isolamento, con la scelta del “non – voto” hanno preferito privilegiare il “tanto peggio” (lasciar vincere il centro-destra); rimuovendo così quell’altro aspetto pur presente nelle brillanti analisi teoriche che prevedono un’ulteriore stretta di regime, tale da fare oramai evocare esplicitamente lo spettro di un nuovo fascismo.

E infatti, puntuale, il governo preannuncia lo scardinamento dello Statuto dei Lavoratori, l’attacco finale all’indipendenza della Magistratura, il premierato istituzionale, la progressiva riduzione della libertà di comunicazione, più forti legami (e sottomissioni) con il Vaticano,emarginazione dei “diversi”, l’ulteriore irrigidimento sull’immigrazione, l’ampliamento dell’intervento privato in tutti i settori che una volta costituivano il nostro welfare state.

Possibile che la buona vecchia “talpa” abbia finito di scavare e che dobbiamo accontentarci per sempre di una società ingiusta guidata solo dall’interesse privato e dalla protervia dei potenti?

La Sinistra ha la necessità di compiere finalmente un esame spregiudicato e veritiero della realtà contemporanea e dare quelle risposte che sole ne possono giustificare ancora la sua sopravvivenza.

Mettendo in discussione metodi, mezzi e contenuti e smettendola di scindersi in segmenti sempre più piccoli animati da un forsennato “cupio dissolvi”. E ora anche il movimento viola ha conosciuto la sua prima scissione! Si tratta di una grave e persistente forma d’individualismo ideologico opposto e simmetrico all’individualismo proprietario della destra.

Nella nostra agenda va annotata la svolta degli ultimi anni segnata dalla crisi delle antiche forti identità, a partire da quelle di classe. Si è verificato il passaggio del conflitto sociale dallo scontro tra capitale e lavoro a quello che genera come nuova contraddizione principale quella tra il desiderio e le regole del mercato; la sfera del consumo è divenuta principale anche rispetto alla sfera della produzione (vedi l’interessante libro “Il potere delle minoranze” a cura di M.Ilardi).

Questo aiuta a capire le ragioni per cui, pur di fronte all’esplodere di tante rivolte diffuse sul territorio, non nasce un movimento unificante che si ponga l’obiettivo strategico di cambiamento dei rapporti sociali e politici. Non a caso, nell’esame di questi movimenti, qualcuno usa il termine di ”jacquerie urbana” significativo della mancanza di prospettive in quanto legato solo ai risultati qui ed ora.

Napoli è l’esempio più evidente di questo sfilacciamento sociale che taglia trasversalmente tutti i settori della società , con una caduta verticale del senso civico e con la diffusa convinzione che non c’è alcuna rinascita dietro l’angolo. L’epoca delle “passioni tristi” non riguarda solo le nuove generazioni ma ci comprende tutti nella pericolosa prospettiva di rimuovere ogni ipotesi di cambiamento nel futuro.

Il successo della Lega sottolinea che al posto delle vecchie identità classiste oggi conta solo la “comunità” territoriale , arroccata nella difesa dei suoi interessi, dei suoi valori, delle sue tradizioni, chiusa al “diverso” che viene da altrove, e che rifiuta di riconoscersi come parte della “società” nazionale”.

La Sinistra da che parte sta? Si riconosce ancora come Sinistra? E’ pronta a rimettere in discussione l’adesione miracolistica alle leggi del libero mercato per assumere come decisivi la difesa dell’occupazione, la salvaguardia dell’ambiente, la protezione delle risorse naturali, il primato dei beni pubblici, la centralità della scuola pubblica statale e dell’università, la redistribuzione della ricchezza, l’accoglienza degli immigrati?

Non si può continuare a rincorrere il programma di sviluppo economico della destra italiana ed europea o continuare a farsi portare in giro attorno ad un fantomatico programma di riforme. Sembra quasi che la patetica e drammatica esperienza della bicamerale di D’Alema non ci sia mai stata. Già si intravedono segnali dei “soliti noti” pronti a rispondere positivamente alle sirene della destra nel nome di un ipotetico dialogo.

E’ compito delle forze di sinistra bloccare il processo di annientamento della democrazia e di instaurazione di un regime autoritario ritrovando lo slancio che, alla fine degli anni ’60, generò la nascita di una iniziale forma di democrazia consiliare con la costituzione di strumenti di partecipazione attiva vicina alle realtà locali ma al tempo stesso inseriti in un’unitaria visione di organizzazione del potere democratico.

Senza escludere, nella attuale fase drammatica delle vicende italiane, la promozione di organi di contropotere capaci di contrastare dal basso lo svuotamento progressivo delle istituzioni costituzionali, a partire dallo stesso Parlamento.

L’avvio di un processo di ridefinizione della Sinistra, considerata la storia che abbiamo alle spalle e legandoci ad un principio di realtà, non può oggi prevedere un clamoroso ritorno ad una sua composizione unitaria. Ma già sarebbe un passo in avanti trovarci davanti a non più di due forze organizzate, con chiare opzioni politiche (sanamente riformiste o sensatamente radicali) tali da raccogliere gli attuali infiniti frammenti e tali da costituire insieme una credibile alternativa di governo.

Infine, nell’epoca di una sempre più diffusa modernizzazione secolarizzata non si deve prescindere da una ricomposizione del Simbolico e dell’Immaginario che diano al “popolo di sinistra” quelle forme unitarie di rappresentazione della realtà possibile capaci di suscitare nuovamente passioni e fiducia nel futuro. L’identità collettiva si ritrova anche attorno a quei simboli che ci identificano nei confronti dell’avversario.

La conclusione è che occorre molto coraggio unitamente ad una netta visione strategica opposta alla logica del dio – mercato, forti idealità, saldi principi etici nella gestione della cosa pubblica, difesa della laicità (Cavour non era un rivoluzionario), rifiuto del carrierismo politico, selezione dei gruppi dirigenti in rapporto alla capacità di rappresentare le istanze della società.

Tra tutti quelli che sono consapevoli della pericolosità del momento che stiamo vivendo nessuno può tirarsi indietro, limitandosi a lamentarsi per la presente situazione e attendendo che le cose cambino per opera e virtù di uno spirito santo. L’astensionismo partecipativo è pari all’astensionismo elettorale; chi li pratica deve solo attendersi che le cose peggiorino. Il principio di responsabilità ci costringe a praticare la cittadinanza attiva.



Vittorio Vasquez, 6 aprile 2010

Articolo scritto per la rivista "Il tetto"

7 aprile 2010

Pestaggi

La gioventù nera del Pdl:
Pestato un giovane a piazza Dante durante volantinaggio pro-Caldoro...

Un'altra aggressione! Un altro episodio della lunga sequenza prodotta da questi gruppuscoli neofascisti senza radicamento ma non per questo meno arroganti e pericolosi, soprattutto quando in molti aggrediscono un ragazzo.

E questa volta a margine di un volantinaggio per "festeggiare" la vittoria di Stefano Cadoro alle elezioni regionali. Se il buon giorno si vede dal mattino... ci piacerebbe sapere cosa ha da dire il neo-eletto presidente della regione, che rivendica il suo passato di "socialista demoratico", su questi fan un poco impresentabili...Tutto è avvenuto ieri nel tardo pomeriggio, poco dopo le sette a piazza Dante, in pieno centro storico.

Un gruppuscolo di una decina di neofascisti, notati anche da qualche altro passante perchè qualcuno ha il bomber con lo stemma tricolore, distribuiscono un volantino per festeggiare la vittoria di Caldoro o meglio la cacciata della "giunta rossa" di Bassolino (... mah).

G.T. è un giovane di circa trent'anni, ex-studente di lettere che lavora come fonico e ha la sola sventura di trovarsi a passare per piazza Dante in quel momento. Non è un attivista, nè pensa di interloquire in alcun modo con quelle persone. Quando gli danno il volantino lo prende al volo e prosegue senza nemmeno leggerlo. In tre, tra quelli che gli hanno dato il foglio, lo seguono per la piazza e cominciano a provocarlo "Ti piace il volantino!?'". G.T. sul momento neanche capisce la minaccia implicita, ma legge il foglio e ha la dignità di dire "No, per la verità non mi piace". A quel punto viene aggredito a pugni in faccia dai tre davanti ad altri passanti spaventati!!"MI sono difeso come ho potuto e ho ricevuto due colpi proprio sull'occhio - ci racconta - ma per fortuna non sono cascato in terra, altrimenti mi sarei sicuramente fatto molto più male". Infatti G.T riesce a scappare attraversando la strada e rifugiandosi nel bar di fronte, dove il proprietario chiama i carabinieri che arrivano quando gli aggressori si sono dileguati e ne recuperano semplicemente i volantini.G.T., dopo aver denunciato l'accaduto, è stato poi medicato all'Ospedale Pellegrini, dove gli hanno diagnosticato una prognosi di dieci giorni."Non ho capito perchè mi hanno aggredito, mi è sembrata solo brutalità stupida da mazzieri". Mazzieri, aggiungiamo noi, che forse aspettano qualche "spicciolo" in più dalla regione campania, dopo i soldi che già hanno avuto tramite la stessa giunta bassolino, come i soldi per decine di borse di servizio civile date all'associazione AIGE, che pure qualche tempo fà ha organizzato la celebrazione pubblica (con tanto di manifesto) dell'anniversario del primo campo Hobbit, quello da cui uscirono i neofascisti armati dei nar napoletani. Celebrazione che vide al centro direzionale di Napoli la partecipazione dei vari gruppi neofascisti nazionali, da Forza Nuova a Casapound... Fermare questi rigurgiti di squadrismo, razzismo e fascismo è un'impegno per tutti! Anche per questo stiamo organizzando un corteo nella data simbolo del 25 aprile contro vecchi e nuovi fascismi.

Rete napoletana contro il neofascismo, il razzismo e il sessismo

12 marzo 2010

Le carriole

Le carriole
Esiste un punto in cui il sempre più veloce degrado della vita civile, in Italia, diventa una frattura, uno choc? Fin qui, tutti quanti siamo slittati in giù quasi senza rendercene conto, poi cercando di abituarci al nuovo panorama o cercando di ignorarlo. Prima o poi, ci dicevamo, questo circo leverà le tende e tutto tornerà, grosso modo, alla normalità. La corruzione continuerà, ma come il fenomeno fisiologico che è sempre stata, così come l’evasione fiscale dei ricchi, le «cordate» o «cricche» da cui è invasa la vita economica. I partiti, certo, non sono più quelli di una volta [cosa ci tocca rimpiangere], ma i mostri esploderanno come quelli dei videogiochi. La somma di precariato selvaggio e disoccupazione epidemica spingerà alla fine i sindacati a fare qualcosa di potente. Il razzismo di Stato sarà respinto dalla realtà: i bambini, soprattutto, riuniti in aula e sorridenti, chi può odiarli nel paese delle mamme? E i progetti pazzoidi di Ponti e Mosi e Treni e Tunnel resteranno a secco, senza un soldo né un calore di gente che aspira al progresso, perché il progresso non c’è più: non di quel genere. E la maschera da clown di Berlusconi sparirà infine dai televisori, travolta da una vecchiaia che nemmeno la chirurgia estetica può frenare e dal delirio di onnipotenza.
Forse non andrà così. Forse esiste un punto di rottura, di quelli da cui si può cadere da una parte o da quella opposta: in un paese dominato dall’arbitrio di chi detiene i poteri, o in un paese che cerca di scrollarsi dalla schiena i parassiti. Un trauma è magari quello che spinge migliaia di aquilani a impugnare carriole, a sfidare la polizia e a organizzare da sé la rianimazione del corpo della città, che qualcuno ha voluto cadavere. I cittadini che si ribellano non sono estremisti o «comunisti» [direbbe Berlusconi], è gente tranquilla, hanno assistito ai funerali di Stato in cui Berlusconi piangeva con le vedove, hanno aspettato che Berlusconi, per mezzo di Bertolaso, procurasse loro le nuove case, hanno creduto che il G8, con Berlusconi ad intrattenere Obama, sarebbe stato un’iniezione di vita. Erano fiduciosi. Ma alla fine hanno fatto la somma, come ogni persona ragionevole. Che era zero. Zero giustizia per i ragazzi della Casa dello Studente. Zero recupero dell’antico centro, che è l’anima di tutti loro, storia e cultura e società. E si sono ribellati. Come prima di loro i valsusini No Tav e i vicentini contro la base e milioni di cittadini contro mille altri insulti.
Non sono estremisti né «comunisti» nemmeno i Viola che da un capo all’altro del paese si lanciano appelli a fare qualcosa. Probabilmente, in maggioranza sono elettori del centrosinistra, ma disillusi: non ci sono più i partiti di una volta, quelli avrebbero reagito davvero, perché la democrazia era costata carissima, e le sue regole erano la sostanza della vita civile. Il decreto del governo a favore del partito di governo, a proposito di liste regionali, è il punto di rottura, forse. Perché un conto è fare una legge che tuteli una persona sola, Berlusconi, un altro conto è una legge che attenta alle regole che tutelano tutti. Di più: la frattura si allarga perché il presidente della repubblica ha preferito il realismo politico, e la mediazione impossibile, invece che il senso del suo stesso ruolo, che è tutelare le regole oltre ogni convenienza o opportunità.
Questo giornale esce nel giorno di uno sciopero generale, che speriamo sia quella spinta potente che precariato, disoccupazione e, anche qui, attentato alle regole [l’articolo 18] richiederebbero. Il giorno successivo, finalmente, i partiti di opposizione manifestano in piazza. Ma se la frattura è tanto grande, basteranno uno sciopero e una manifestazione? Non sarebbe magnifico se divampasse ovunque la voglia di far da sé, di organizzare da noi lo sgombero delle macerie della politica per costruire una città di tutti?

Pierluigi Sullo
in  Carta settimanale numero 8 del 2010  
In edicola da venerdì 12 marzo,  66 pagine – € 3 Nel sommario: Scuola L’assessora di Roma che espelle i bambini «non italiani». Vita da preside. Ritratto della maga Gelmina.

1 marzo 2010

lavoro nero

1 febbraio 2010


Comunicato
Azione di contrasto al “Lavoro nero"


A conclusione di un anno intenso di attività la Direzione Regionale del Lavoro della Campania traccia il bilancio conclusivo dell’attività ispettiva del 2009 effettuata da Servizi Ispettivi delle Direzioni Provinciali del Lavoro di Napoli, Salerno, Caserta, Benevento e Avellino.

Nello specifico su un totale complessivo di n. 15482 aziende sottoposte a verifica, sono state  accertate,  su tutto il territorio campano,  n. 5076 aziende irregolari.  In queste aziende sono state irrogate sanzioni riferite a posizioni di irregolarità di n. 9448 lavoratori , di cui n. 4523 in nero. Sempre a seguito di questa azione di contrasto,  sono state adottate pesanti misure  che hanno portato, a carico delle stesse aziende, l’emissione di n. 606 provvedimenti di sospensione di unità produttive.

Anche sul fronte delle entrate i numeri parlano chiaro. L’attività ispettiva ha consentito alle casse dello Stato di introitare una somma complessiva di € 16.743.985,00 per sanzioni amministrative  (di cui € 765.345,00 da diffida ex art 13 d.Lgs. 124/2004; € 4.698.356 da  maxisanzione per lavoro nero ai sensi dell’art 36/bis comma 3 del D.L. 223/2006 e successive mod.  e € 1.031.500 per revoca dei provvedimenti di sospensione di attività ai sensi dell’art 14 D.L. 81/2008), e agli Enti Previdenziali ed Assicurativi di accertare complessivamente € 22.092.456 di omissioni contributive e  premi.

Inoltre, attraverso gli strumenti deflattivi del contenzioso del lavoro, introdotti dal d.Lgs 124/2004 attuativo della cd legge Biagi n. 30/2003, i Servizi Ispettivi della Campania hanno recuperato a favore dei lavoratori competenze contrattuali per un ammontare complessivo di € 5.107.114,52 (di cui € 3.806630,8 a seguito di diffida accertativa per crediti patrimoniali ex art 12 d.Lgs 124/2004; € 1.117.981,72 a seguito conciliazione monocratica ex art 11, comma 1 d.Lgs 124/2004; € 182.502,00 a seguito di conciliazione monocratica ex art 11 comma 6 d.Lgs 124/2004), realizzando così una celere soddisfazione delle giuste pretese dei lavoratori derivanti dall’applicazione del CCNL del settore produttivo di appartenenza. 

2 febbraio 2010

Femminilità al lavoro

di Lea Melandri

La “potenza dell’amore” e la “coercizione al lavoro”, dopo essersi fatte a lungo la guerra, sembrano oggi destinate a un ideale ricongiungimento, per effetto della rivoluzione che sta attraversando l’economia e per l’opportunità che essa potrebbe offrire alle donne di far riconoscere il valore del talento femminile, a lungo ignorato. “Professionalità sensuale”, “intelligenza emotiva”, “pensiero emozionale”, sono le forme linguistiche che prende il sogno d’amore –armonia di nature opposte e complementari-, quando si trasferisce dalla relazione di coppia all’ambito lavorativo. Il mito dell’interezza, che accompagna da sempre la cultura maschile, come nostalgica immaginaria riparazione a tutti i dualismi che ha prodotto, a partire dal diverso destino riservato a uomini e donne, viene oggi reclamato da versanti apparentemente opposti: da un lato, la centralità che stanno prendendo nel sistema produttivo le relazioni e i servizi alla persona, e di conseguenza il corpo, la dimensione affettiva e sessuale; dall’altro, l’affermarsi di un “desiderio” femminile che rifiuta l’alternativa tra la cura dei figli, della casa, e la volontà di “stare nel mondo”, che pensa di poter fare dell’esperienza della quotidianità “una leva per cambiare il mercato del lavoro”. ( Il doppio sì, Quaderni di via Dogana, 2008 )

Il venir meno dei confini tra la casa e la pòlis sembra aver aperto il campo a una ambigua “femminilizzazione” dello spazio pubblico, e a una non meno ambigua mercantilizzazione della vita intima. Se la precarizzazione, la perdita di diritti e garanzie certe, la pluralità imprevedibile delle occupazioni, fanno apparire il tempo di lavoro sempre più pervasivo e soffocante, e il capitalismo globale “un vampiro” (Braidotti), l’ingresso delle donne in ruoli manageriali di grandi aziende, accende, al contrario, la speranza di poter ridefinire, con un segno proprio, poteri e regole organizzative della produzione, tradizionalmente riservati agli uomini. Una volta cadute le barriere che hanno tenuto le donne, e tutto ciò che dell’umano è stato identificato col loro destino, confinati in una sorta di natura immobile, ignorata per quanto essenziale alla conservazione della specie, era inevitabile che la “differenza femminile” si mostrasse in tutta la sua contraddittorietà: potenza materna e risorsa sessuale assoggettate e poste al servizio dell’uomo, manodopera di riserva subordinata alle necessità del ciclo produttivo, libertà e creatività esaltate nell’immaginario e storicamente insignificanti. La riflessione sulle esperienze lavorative di donne di età e collocazione sociale diversa hanno oscillato, non a caso, tra marcare il “vantaggio”, il “di più” di competenza che verrebbe oggi al femminile dalla nuova economia, e ammettere invece la deriva verso forme di autosfruttamento, estese alla vita intera e tali da configurare un “contesto prostituzionale allargato”. L’Eros, che insieme alle donne e alle attitudini un tempo nascoste nel privato, si fa strada dentro le rigide, impersonali impalcature delle organizzazione del lavoro, conserva il suo volto duplice trasferendosi, contemporaneamente, in “lavori marchetta” e in materia emozionale, creativa, per forme inedite, armoniose, di un potere non più separato dalla vita. Se c’è chi cerca di svincolarsi dal coinvolgimento eccessivo, scegliendo lavori che non offrono “possibilità di grande soddisfazione”, e tanto meno conferme identitarie, altre fanno dell’azienda il luogo tanto atteso della “costruzione di sé”, di una affermazione di esistenza, prima ancora che di riuscita professionale.

“Si chiede al dipendente di mettere in gioco una certa corporeità, ammiccante e sorridente. E’ possibile che si vada creando un contesto prostituzionale allargato, legato al fatto che, quando l’attività relazionale tende a prendere il sopravvento, il soggetto debba anche lasciare agire, usare, sfruttare le capacità del corpo e la mimica della profferta sessuale (…) Nei lavori atipici la componente personale e relazionale ha un peso sempre più importante, sia nel contesto del lavoro che nella relazione contrattuale col padrone. Debbo imparare a vendermi bene, a rendermi appetibile. Non conosco i miei diritti, non saprei con chi discuterne nel mio posto di lavoro” ( Posse. Divenire-donna della politica, Manifestolibri 2004)

“ C’è una sorta di rumore bianco che accompagna una donna in azienda, qualunque sia il ruolo da lei ricoperto, e richiede una certa attenzione: la donna è prima di tutto un corpo, c’è sempre una riconduzione alla fisicità, al suo essere nel ruolo di donna prima che in qualunque altro ruolo prima di essere lì come manager (…) Ogni donna sa che quando entra in una riunione o parla ad una platea, è in primo luogo giudicata per come è vestita, pettinata eccetera (…) Si può dire che anche nel clima aziendale è penetrato il modello ‘velina’ e simili (…) L’esibizione della seduttività non è
apprezzata solo su un piano personale, ma è una specie di requisito non ufficiale, ma certo preso in considerazione”. (Luisa Pogliana, Donne senza guscio, Guerini e Associati, 2008)

La discussione che riguarda le donne e il lavoro, da qualunque parte venga fatta, non riesce a sottrarsi al binomio uguaglianza/differenza, che ha contagiato anche parte del femminismo, nonostante si sia affermata da tempo la consapevolezza che si tratta di un falso dilemma imposto dal potere maschile. Se è stato facile, per la generazione degli anni ’70, prendere distanza da un’idea di emancipazione che andava a confondersi con modelli virili, più tortuoso e tuttora incerto si è dimostrato il processo di liberazione che avrebbe dovuto criticare ogni forma di dualismo, di complementarietà, di riunificazione degli opposti. Colpisce il fatto che siano proprio le donne, nel momento in cui si sfrangiano e si eclissano le identità e le appartenenze di ogni tipo, a impugnare, come rivalsa o affermazione di autorevolezza, una ‘natura’ o un ‘genere’ femminile usati dalla civiltà dell’uomo per tenere le donne in uno stato di minorità sociale, giuridica e politica. Ma forse sta proprio in questa “incongruenza” uno dei nodi irrisolti della questione dei sessi. Di incongruenze e contraddizioni sono piene, non a caso, le analisi che più esplicitamente si sono poste l’obiettivo della “valorizzazione delle differenze di genere”.
“Pensiamo a certe richieste di piccoli lavori di servizio –scrive Pogliana- che a un uomo, in certe posizioni, non verrebbero mai fatte. In queste prassi troviamo spesso il tentativo di ricondurre la donna al suo essere donna, sminuendo il suo essere una professionista al lavoro. Soprattutto mettere appena possibile la donna in un ruolo ancillare. Come a ricordare che, qualunque sia la posizione acquisita, agli uomini spettano i ruoli strategici, di pensiero, alle donne quelli esecutivi, organizzativi. Oppure (che novità) riconducendo la donna ai suoi ruoli privati: essere madre, o essere interessante per l’aspetto fisico (…) Stabilire buone relazioni, curarsi delle persone, è anche un modo di rispondere a un bisogno non sempre esplicitato: mettersi al riparo dal conflitto. E’ uno dei problemi che le donne vivono nelle relazioni di lavoro, o forse in tutte le relazioni: incapacità di gestire situazioni conflittuali senza soffrirne troppo, senza sentirsi messe in discussione, private di un riconoscimento.”

“Anche nei Paesi nordici il tempo parziale e la flessibilità degli orari sono richiesti soprattutto da donne. Questo accade perché ci trasciniamo dietro rimasugli della vecchia divisione del lavoro tra i sessi? Oppure perché a molte quel lavoro piace? Oppure perché nella convivenza il conflitto tra i sessi è poco gestibile e la legge non aiuta?” (Doppio sì).

La conciliazione di amore, cure materne e lavoro, la ricerca dell’interezza della persona, nonostante le evidenti ricadute “ancillari”, sia nel privato che nel pubblico, continua a essere perseguita dalle donne stesse, incuranti delle fatiche e delusioni a cui vanno incontro. L’accanimento a volere che sia riconosciuta l’”autorevolezza” femminile anche in ambito produttivo, è pari alla messa in ombra del potere ancora saldamente in mano maschile e degli interessi economici dominanti. Ma è solo il bisogno di essere amate, l’attesa di una contropartita affettiva, a tenere le donne ancorate al sogno di una “armoniosa famiglia integrata”? Nel capovolgimento delle parti, non è forse una femminile onnipotenza -accedere al potere pubblico senza rinunciare a quello privato, seduttivo e materno- che inconsciamente le donne desiderano e gli uomini temono?

L’interrogativo si potrebbe formulare anche in un altro modo. Se oggi è il sistema produttivo, la nuova economia, ad aver bisogno del “valore D”, come vanno ripetendo da tempo i giornali della Confindustria, perché le donne in carriera notano tanta resistenza dei loro “capi” a riconoscere l’apporto creativo a un migliore funzionamento dell’azienda che esse possono dare? Perché prevale la tendenza a “usare” la loro dedizione materna, la “sovrabbondanza” del loro impegno lavorativo, come avviene per quel ‘dono d’amore’ che è, nella famiglia, il lavoro di cura? E’ come se ci fosse, dentro l’economia capitalista, un residuo patriarcale che ne frena lo sviluppo: i dirigenti, coloro che hanno il potere di decidere avanzamenti di carriera, definire i criteri di valutazione, sono innanzi tutto uomini, che non hanno alcun interesse a lasciarsi crescere al fianco, nei luoghi storici della loro autonomia, una potenza femminile più libera e più forte di quella conosciuta nel privato.

Questo articolo è uscito sul settimanale Gli altri del 15 gennaio 2010. Lo abbiamo trovato sul sito universitàdelledonne