Traduzioni

18 febbraio 2008

Cantiere sociale


ARCIPELAGO NAPOLI

costruire ponti tra tanti modi di vivere e pensare ad una città diversa

Napoli, 9-10 febbraio


2° gruppo di discussione sul tema

Partecipare e lavorare insieme: promuovere legami per fare rete.”

Sintesi della 2° nota introduttiva


Il contributo si riferisce ai tre quesiti posti a base della discussione della seconda sessione di lavori.

Sul primo quesito è forse utile socializzare che nell’ambito della Provincia di Napoli si segnalano due esperienze che dimostrano come il “fare rete” sia una “strategia plausibile per un'altra politica”. Non sono le uniche, ma forse tra le più verificabili.

  • Il Programma Partecipato per Pozzuoli.

Promossa e realizzata dalla Rete per il Nuovo Municipio di Pozzuoli, l’iniziativa ha scopi politico-sociali: innovare la politica e l’amministrazione; introdurre cultura partecipativa nel governo locale e criteri più adeguati e corrispondenti nella selezione della classe dirigente; delineare un programma di governo più raccordato agli interessi, alle aspirazioni e ai bisogni delle comunità amministrate.

Il Consiglio Comunale di Pozzuoli è stato sciolto per infiltrazioni camorristiche. Lo smarrimento dei rapporti tra cittadini e istituzioni era già da tempo il punto di crisi democratica in cui si è potuto più agevolmente insinuare il potere malavitoso, il malaffare, la gestione personalistica del potere pubblico.

L’iniziativa della RNMP ha visto protagonista una rete di associazioni locali e un gruppo di ricercatori, giovani e donne che hanno intervistato oltre 300 cittadini ed hanno approfondito e sviluppato i contenuti del Programma Partecipato in numerosi focus group territoriali. (Per verifiche e approfondimenti www.rnmpozzuoli.org )


  • La Città del fare. Agenzia locale di Sviluppo dei Comuni a Nord Est di Napoli

È una rete di 10 Comuni, interessa un territorio di 136 kmq e una popolazione di oltre 300.000 abitanti.

È nata da un Patto Territoriale, per implementare le politiche di sviluppo “dal basso” fondate sul partenariato e la concertazione promosse nel Mezzogiorno dopo la chiusura dell’intervento straordinario. Opera nell’orizzonte strategico del “fare sviluppo inclusivo, fare coesione per competere”.

Oggi la CdF è una forma associata tra Comuni, è una “rete istituzionale” che si avvale della “rete sociale” costituita dal Partenariato CdF composto da 150 attori locali. Agisce in stretto raccordo con il mondo delle competenze e dei saperi, elabora strategie di sviluppo integrato con approccio di tipo sistemico-evolutivo, verifica periodicamente i risultati raggiunti e aggiorna le strategie di sviluppo del Sistema territoriale rispetto alle esigenze e ai bisogni delle comunità locali e alle opportunità offerte dalle economie e dalle società sovralocali e mondiali.

(Per verifiche e approfondimenti www.cittadelfare.it . Sulle azioni per lo sviluppo inclusivo www.reteslst.it (Biblioteca – Libri) O. Cammarota “Tra dire e fare sviluppo dal basso. Il Caso del Miglio d’Oro” - Dicembre 1996.


Vi sono anche esperienze di costruzione di reti relazionali complesse (istituzionali, culturali, economiche e sociali) tra Sistemi territoriali di diversi paesi del mondo

    • Le reti lunghe dell’internazionalizzazione tendono a superare le logiche di “cooperazione assistenziale” e del “business to business” tipiche della “internazionalizzazione economica”. Sono stati sottoscritti protocolli e accordi di cooperazione internazionale per lo sviluppo territoriale come contributo originale delle Agenzie locali di sviluppo ai programmi e agli obiettivi di Sviluppo Umano promossi dalle Nazioni Unite. Queste reti fondano sulla ricerca di soluzioni a problemi che abbiamo trovato simili in tutte le parti del mondo con cui ci siamo relazionali: promuovere le risorse endogene; coniugare sviluppo e sostenibilità ambientale e sociale; praticare percorsi decisionali democratici di tipo partecipativo. Non a caso tali iniziative hanno avuto particolare successo nei paesi latino-americani (Cuba, Argentina, Brasile), ma non mancano esperienze positive in paesi dell’allargamento europeo e del Nord Africa. (Per verifiche e approfondimenti www.cittadelfare.it )


Abbiamo dunque sperimentato che la costruzione di reti di partecipazione, cooperazione, collaborazione, è la modalità più coerente per praticare i principi e i valori della democrazia nella società moderna e globalizzata. Ancor più: le reti corte della coesione e le reti lunghe della internazionalizzazione servono allo sviluppo, alla costruzione di rapporti economici e sociali nel principio del rispetto dell’altro da sé. Tali sono, peraltro, le condizioni irrinunciabili per attuare idee di sviluppo inclusivo a diversa scala territoriale (locale, regionale, continentale e intercontinentale) e praticare, nel concreto, politiche di pace.



Sul secondo quesito, le esperienze di campo dimostrano che le reti non sono difficili da realizzare.

È diffusa nella società una domanda di partecipazione e un’offerta di competenze che va oltre l’immaginazione. Le strutture democratiche tradizionali e la politica hanno dimostrato l’incapacità di accogliere ed accompagnare questo vitalismo. È una incapacità sancita dal sostanziale fallimento della “primavera del ’93”. Si dice che la complessità genera caos (“non si decide”, assemblearismo, …). Il sistema democratico istituzionale non riesce a concepire la complessità come ricchezza.

Difficile e faticoso è consolidare, manutenere, orientare all’efficacia, le reti e il Capitale Sociale Territoriale che esse rappresentano. Serve confutare la diffusa convinzione che la partecipazione sia di ostacolo alle decisioni. Il lavoro delle “reti sociali” procede in direzione ostinata e contraria in un contesto politico e istituzionale inospitale, che si alimenta, all’opposto, di particolarismi, clientelismi, settorialismi, … . Le culture e pratiche leaderiste e dirigiste si sono rivelate inefficaci ed hanno contribuito alla frammentazione del sistema pubblico e allo smarrimento del concetto di bene comune.



Sul terzo quesito: Fare “massa critica” tra le tante esperienze è utile e necessario, ma per scopi condivisi e su obiettivi di cambiamento.

La crisi democratica che investe l’intero paese e in particolare Napoli e la Campania, richiede un più coraggioso investimento delle “reti sociali” nei processi di cambiamento.

Serve che la cultura partecipativa entri nell’ordinario agire politico-amministrativo del sistema pubblico a tutti i livelli istituzionali e di governo, che le strategie di sviluppo inclusivo siano praticate in chiara alternativa al “liberismo selvaggio” che si fonda sullo sfruttamento irresponsabile delle risorse umane e naturali dei territori, a livello locale e globale.

È auspicabile che su questo terreno si incontrino i percorsi di cambiamento delle culture politiche riformatrici e progressiste.



In conclusione, siamo in grado di dire e dimostrare che la cultura e la pratica della partecipazione costruisce la democrazia moderna e serve le idee di sviluppo sostenibile, ma non basta dirlo. Occorre farlo. Interrogandosi sul come farlo è inevitabile una sintetica riflessione sul potere.

Ciascuno esercita un piccolo o grande potere nell’ambito dei propri ruoli e competenze professionali. Le idee dominanti del potere nel secolo scorso sono state crescita, efficienza, controllo, la società moderna richiede che il potere venga esercitato verso obiettivi di sviluppo, efficacia, verifica di risultato.

Modificare i comportamenti personali e collettivi nell’agire pubblico, può essere un modo per contribuire al cambiamento.


Reagire alla “solitudine”, costruire pensiero e azioni condivise, è il primo passo verso l’obiettivo di “Costruire relazioni per una città inclusiva


Osvaldo Cammarota


Napoli, 9 febbraio 2008

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