Traduzioni

27 maggio 2008

Spunti di riflessione

Pd, ripartire con uno sforzo culturale

Laura Pennacchi - L'Unità


La riflessione a cui oggi il Partito Democratico è chiamato deve essere all’altezza dello spessore e della complessità dei problemi evidenziati dall’esito del voto del 13 e 14 aprile. Il primo e più importante dei quali è il dovere di un grande investimento culturale, la necessità di un largo sforzo di discussione e elaborazione collettiva che da una parte incorpori ricerca e analisi, dall’altra si cimenti con la produzione di nuovo pensiero e di nuova teoria.

Nella nostra sconfitta elettorale, infatti, si è espressa anche una specifica "congerie culturale" che va ricostruita e interpretata in quanto tale, per ricostruire e interpretare le trasformazioni perfino antropologiche della società italiana. Così come, di converso, solo una battaglia ideativa e progettuale autentica ci metterà nelle condizioni di influenzare il clima culturale complessivo dei prossimi anni. Il che è, a sua volta, condizione imprescindibile per non consegnarci inermi a una ricerca di legittimazione che, se scaturente da un improprio appeasement con il governo di destra in carica, rischierebbe di privarci strategicamente della nostra autonomia politica, non fare un utilizzo miope della ripresa di dibattito sulla legge elettorale come sola e angusta ricerca di un "riparo" dal possibile ritorno caotico di formazioni minori, evitare di oscillare tra la mistica del "correre da soli" e il politicismo della ricerca tattica di alleanze non fondata su una maturazione programmatica effettiva. D’altro canto, la parola d’ordine "radicarsi nei territori" manifesta tutto il suo senso cruciale solo se con essa intendiamo non l’acquisizione di una capacità di ricezione passiva, e corporativa, delle istanze locali (una sorta di leghizzazione del PD), ma un radicamento che prima di tutto mobiliti e veicoli pensiero, idee, valori, simboli alternativi.

In questa fase le questioni della democrazia nel PD - regole, competenze, trasparenza, organismi, primarie per le candidature - si pongono con una tale acutezza perché esse non hanno solo un significato procedurale, ma sostanziale. Mai come oggi la forma è sostanza, perché i compiti immani di fronte a noi sono affrontabili solo attraverso la collegialità, la condivisione, la partecipazione, il concorso di molte intelligenze, l’attivazione di tutte le passioni. Così, se partito postideologico non può voler dire partito postidentitario, potrà emergere il ricco e pluralista profilo identitario di cui il PD ha bisogno, viceversa non enucleabile dalla semplice sommatoria di "ricette" programmatiche pur corrette, ma carenti di "anima", di "asse strategico", di una grande "narrazione" anche simbolicamente incisiva.

Dopo quindici anni il panorama politico, economico e sociale, italiano e mondiale, ci consegna nodi irrisolti e problematiche nuove.
Dallo sconquasso finanziario innescato dalla crisi dei subprime alle tensioni sul prezzo del petrolio e dei beni alimentari, dagli sconvolgenti flussi migratori al disordinato imporsi nell’economia internazionale di paesi come la Cina e l’India, dall’esplosione di vecchie e nuove diseguaglianze al degrado ambientale e climatico, tutto ci dice che l’autoregolazione dei mercati si rivela illusoria. Non è illusorio, però, l’avanzamento concreto dell’individualismo egoistico - proprietario, acquisitivo, possessivo - generato dall’enfasi sullo scambio di mercato come etica in se stessa, la desocializzazione dell’individuo, l’esaltazione del privatismo, la depoliticizzazione della società, l’isolamento e la spoliticizzazione dei cittadini che rendono superflue le funzioni di creazione della cittadinanza e dell’identità civica.

La trasformazione dell’equilibrio pubblico/privato ha provocato un depotenziamento della democrazia, visibile nello strisciante deterioramento della struttura normativa, nel progressivo indebolimento della "sfera pubblica", nella crescita ipertrofica delle varie forme di privatismo: dal diritto all’economia, lo sviluppo del fenomeno che è stato chiamato "commodification" ha messo al centro degli scambi sociali il carattere individuale e privato del contratto e ha ridotto lo spazio della mediazione istituzionale proprio degli istituti della democrazia, quel ruolo del soggetto "terzo" fra due parti contraenti, tipico delle architetture costituzionali, a cui è stato storicamente affidato l’inveramento dei grandi ideali di libertà, eguaglianza, giustizia, quel carattere di terzietà della mediazione che storicamente ha segnato il passaggio dall’ordinamento feudale (personale) al regime politico democratico moderno e allo stato di diritto. Con i rischi di neofeudalesimo, in questione arriva ad essere la stessa nozione di "responsabilità collettiva".

E qui siamo al punto cruciale, perché qui passa nuovamente la discriminante destra/sinistra. Da una parte la revoca in dubbio dell’idea di "responsabilità collettiva" chiede a noi che lavoriamo per un forte profilo identitario del PD di riconoscere quanto sbagliata fosse la concessività, l’inerzia, il conformismo che anche il centrosinistra ha avuto verso il neoliberismo, il quale ha come suo cardine proprio la demolizione dell’equilibrio pubblico-privato attraverso cui è possibile esercitare "responsabilità collettiva". Dall’altra l’aggressione, esplicita e implicita, alla nozione di "responsabilità collettiva" mostra quanto ambiguo sia il rinnovato populismo del centrodestra italiano, il quale mantiene come suo perno ideologico un postulato neoliberista e cioè il trasferimento del rischio sociale sui singoli e la rimessa in questione delle funzioni pubbliche e collettive di solidarietà e di cittadinanza (si pensi all’annunzio di bonus generalizzati, nessun intervento a favore dei redditi medio-bassi, federalismo divisivo in favore dei ricchi, trasformazione in galere dei centri di accoglienza degli immigrati, privatizzazione delle Università e degli enti di ricerca, costruzione del ponte sullo Stretto, ecc.).

Proprio qui dobbiamo concentrare la nostra attenzione: sbaglieremmo se pensassimo che nel centrodestra italiano ci sia un rovesciamento nei confronti dei mercati e della tecnica rispetto alle posizioni sostenute dal blocco berlusconiano a metà degli anni’90. Il neoliberismo non è mai esistito in forma "pura", ovunque è sempre stato un impasto in cui convivono fenomeni molto disparati, tra cui anche decisionismo, autoritarismo, protezionismo, conservatorismo, antimodernismo, tradizionalismo valoriale e religioso. Oggi in Italia il decisionismo e il protezionismo di cui Giulio Tremonti si proclama alfiere non possono essere affatto scambiati con una posizione in favore di un nuovo intervento pubblico mirante ad esercitare "responsabilità collettiva". Nella sua combinazione neocolbertiana c’è molto interventismo ma poco intervento pubblico finalizzato al "bene comune" e in ciò - nel privilegiamento dell’interesse privato e nell’oscuramento della dimensione pubblica - si rintraccia la continuità tra il presente del centrodestra italiano e il suo recente passato.

In tale combinazione convivono molti aspetti controversi: - l’enfasi sul "terzo settore" si propone come pendant del decisionismo e si articola all’interno della riproposizione del mito dell’immediatezza, dell’autosufficienza, dell’autenticità della società civile; - il decisionismo è intriso di autoritarismo e di immagini di gerarchizzazione della società (di cui è esemplificazione il giudizio, tanto negativo quanto sommario, sul ’68), di conservatorimo valoriale e di tradizionalismo religioso; - della globalizzazione si chiede un rallentamento e perfino un arresto, non un rovesciamento di qualità e di segno, così come l’Europa è configurata solo come "fortezza", armata di un forte protezionismo, chiusa entro un Occidente guerrescamente visto come un monolite, ben diverso dall’"Occidente diviso" di cui parla Habermas, che affida alla "ragione pubblica" l’esercizio della specificità civilizzatrice dell’Europa.

Per questo i compiti innanzitutto culturali che gravano su di noi - a partire dall’interrogarsi su "quale globalizzazione", proporre un nuovo ordine economico mondiale e una nuova Bretton Woods, fare dell’Europa il motore di una globalizzazione "equa", europeizzare l’Italia, lanciare una stagione di neoumanesimo - sono così ardui e al tempo stesso così ineludibili.



tutti gli articoli di AREA RASSEGNA STAMPA

Archivio blog