Traduzioni

28 maggio 2008

Napoli. L'immondizia del mondo

Il Manifesto 27/05/2008

Napoli. L'immondizia del mondo
Fabrizia Ramondino


Da quando ero bambina sotto i bombardamenti tedeschi, Napoli è stata sempre per me in stato di «emergenza» - basta leggere i libri di Domenico Rea sul dopoguerra. Che significa per me il verbo «emergere»? Questo: che quanto è nascosto, per esempio sotto i bei tappeti d'Italia e del mondo, qui, a Napoli, d'improvviso viene alla luce. L'immondizia napoletana altro non è che l'emergere di tutta l'immondizia prodotta nel mondo da un capitalismo sempre più selvaggio.
Un capitalismo che dietro l'immaterialità dominante della finanza, tende a occultare i produttori di beni agricoli, industriali o altri, trasformandoli sempre più in consumatori, questi sempre virtuali. Quanto all'attacco al campo rom a Ponticelli, che c'entri o no la camorra, esso è la manifestazione, questa volta ferocissima a Napoli, delle infinite e antiche guerre fra poveri; così come antico e noto è l'accanimento contro il capro espiatorio. Poco prima di morire, Brandel scrisse che Napoli è la porta dell'Oriente verso l'Occidente e viceversa, perciò la città ha attratto tanti turisti nordici in cerca di esotismi, perciò, se vedi in Tv le folle che protestano contro le discariche, esse somigliano tanto alle folle di Gaza, Beirut, Rio de Janeiro, delle banliues francesi o dei ghetti neri o latinoamericani negli Usa. Brandel scrisse anche che dopo l'Unità d'Italia avrebbe auspicato che la capitale ne fosse Napoli, la città più popolosa e fra le più attive del tempo. Chissà, forse in quel caso la «questione meridionale» non si sarebbe posta.
Appena arrivata all'età della ragione sono diventata una socialista anarchica pragmatica, la mia tesi di laurea su P.J. Proudhon uscì su Volontà nel 1965 la rivista fondata da Giovanna Berneri, vedova di Camillo, ucciso dagli stalinisti durante la guerra di Spagna. E tale sono rimasta occupandomi per quanto potevo in prima persona di bambini, analfabeti, disoccupati, operai in lotta contro la dismissione delle fabbriche, donne che chiedevano lavoro, asili, anticoncezionali e - a volte - solo il pane; battendomi contro i politici di destra o di sinistra che fossero.
Ho condiviso così la perenne emergenza napoletana - i cui picchi sono stati l'eruzione del Vesuvio del '44, il colera del '73, al terremoto dell'80. Ma mi sembra che l'emergenza rifiuti acquisti una valenza simbolica particolare tanto in senso proprio che metaforico: si contrappone infatti a un mondo virtuale, quasi sempre mediatico, in cui il culto della bellezza dei corpi umani, della igiene ossessiva dieteca e medica, della pulizia etnica, tende a esorcizzare la sofferenza, la malattia, la morte, il contagio con il vicino. Sicché nell'immaginario collettivo, spesso inconscio, l'immondizia che sommerge Napoli assume la stessa valenza dell'eruzione del Vesuvio che ricoprì la bella e lussuosa Pompei dei ricchi e dei potenti del tempo. «Le ricette dei medici non servono, scrisse Kafka, la difficoltà risiede nei rapporti umani» E Kafka se ne intendeva, perché era stato assiduo frequentatore dei circoli anarchici di Praga, ma anche perché per circa 20 anni fu funzionario dell'Ispettorato boemo contro gli infortuni sul lavoro.

Archivio blog