Un’altra politica
Una premessa
Siamo in un momento grave della vita collettiva. Che non ha la sua radice solo negli eventi della politica, le ultime elezioni, ma in un processo profondo di rottura del legame sociale. Qui vogliamo fare un gioco di simulazione: dirci, e dire in pubblico, come immaginiamo debba essere un altro mondo, e come si potrebbe provare a farlo. Questo testo contiene un suggerimento: guardare oltre per capire meglio come affrontare l’oggi.
Due tesi
1. Promuovere dal basso un’azione politica, una condizione di cittadinanza interamente intessuta di legami sociali, pluralista, globale, dotata di una visione d’insieme e capace di proporre un sistema sociale libero dalla logica economica dominante. Affermare che la politica che vogliamo siamo noi, la nostra capacità di essere società. Tutti siamo politici, tutto ciò che facciamo è politica.
2. Esiste una complessa e diffusa galassia di gruppi di iniziativa sociale, associazioni, collettivi, reti, comitati popolari, rappresentanze sindacali, comunità sostanziali costituenti, che formano anelli di solidarietà di reti nazionali e transnazionali, istanze di resistenza, di altra economia, di democrazia diffusa.
Ora è possibile prendere consapevolezza della forza positiva che questa particolare «società civile» esprime, rafforzare la cultura di rete e pensare a un processo collettivo di autogoverno, ad uno spazio pubblico - o, forse, sarebbe meglio chiamarlo d’ora in poi uno «spazio comune» - dove sia possibile offrire, mettere a confronto e condividere esperienze e pratiche. Un patto politico aperto, includente, un vero e proprio sistema diffuso di auto-rappresentanza, capace di contendere ai poteri costituiti il monopolio della decisione politica. Una forza realmente collettiva capace di produrre in proprio, giorno per giorno negoziazione e trasformazione.
Cinque pilastri
1. Un’idea di società per cui valga la pena impegnarsi.
è possibile immaginare un mondo capace di futuro, ospitale, equo, nonviolento. Solo una politica lungimirante può donare serenità e benessere: la «profittabilità» a breve, lo sfruttamento senza limiti della società e della natura conducono alla disuguaglianza globale e al disastro ambientale.
Il progetto di buona società consiste nel vivere insieme. Il bene comune non è la somma aritmetica dei beni privati posseduti dai singoli membri della società e malamente ridistribuiti, ma il godimento condiviso dei beni comuni: spazio, aria, mari, acqua, foreste, energia, saperi, educazione, comunicazione, sicurezza, giustizia, salute, lavoro… La sua realizzazione implica, anzi impone, il ricorso a mezzi rispettosi e compatibili con l’obiettivo, cioè mezzi rigorosamente nonviolenti.
2. L’economia della reciprocità.
è possibile che ognuno si riprenda il controllo delle circostanze che regolano la sua vita quotidiana. è possibile superare lo sconforto, l’insicurezza, l’ansia che ogni persona onesta sente crescere a causa delle inimicizie tra i governi dei tanti paesi [popolazioni] della Terra, del degrado della biosfera e dei disastri sociali provocati dall’aumento dei prezzi di cibo e materie prime.
La conquista della libertà di ciascun individuo dalle necessità elementari è la pre-condizione per una esistenza autentica e per un esercizio effettivo della democrazia. Libertà, innanzi tutto, deve essere libertà da condizionamenti e ricatti.
La globalizzazione è avvenuta nel nome del profitto, della concorrenza, del mercato. La mondialità invece si raggiunge seguendo i principi della reciprocità, della cooperazione, della condivisione. Dall’economia neoclassica e liberista all’economia ecologica; dal mito bugiardo della crescita infinita alla sobrietà; dall’imperativo della competitività alla cooperazione solidale.
3. Saggezza è saper prevedere.
è possibile fare affidamento sui saperi e sulle esperienze che le culture dei popoli hanno accumulato per migliorare le condizioni di ciascuno e di tutti gli abitanti della Terra. La tecnica, la scienza, l’intelligenza devono saper prevedere, e quindi devono rispondere al principio di precauzione.
Le risorse tecniche, le conoscenze scientifiche, le stesse disponibilità economiche a disposizione dell’umanità sarebbero sufficienti a far uscire l’intero genere umano dall’indigenza. Se oggi ciò non avviene è solo per il prevalere di logiche economiche egoiste e predatorie e di volontà politiche miopi e suicide. Il grande tema di una nuova modernità è il controllo sociale sulla ricerca scientifica e sulle tecnologie, in un rinnovato rapporto con i bisogni reali delle comunità locali.
4. Un rapporto felice tra popoli, tra città e persone.
è possibile che in molti – gente comune, cittadini - intraprendano il cammino per migliorare le relazioni sociali tra i generi, le generazioni, le genti e le specie viventi. è possibile ridisegnare città e comunità accoglienti, sicure perché fondate su legami e relazioni di vicinanza e convivenza, in cui ogni individuo venga riconosciuto in primo luogo per i suoi bisogni e i suoi desideri.
In un mondo interconnesso e interdipendente la pace e la sicurezza non sono divisibili. Nessuno potrà essere sicuro, nemmeno se costruirà muri, se non lo saranno anche i suoi vicini e i vicini dei vicini. Condivisione, reciprocità, collaborazione, riconoscimento dei debiti ecologici, economici e umani contratti dal Nord del mondo nei riguardi delle popolazioni del Sud: sono i principi guida che devono seguire le relazioni internazionali.
Le nostre città sono sempre più i luoghi dell’esclusione, delle identità fondate sull’annullamento di quelle degli altri, dei non-cittadini, competitori sempre più soli, tristi. Città in cui le anomalie sono gli ultimi, i differenti, chi non si omologa. Occorre ribaltare questa macchina della separazione, proponendo universi – e politiche – aperte al meticciato, alla cooperazione.
5. Una democrazia radicalmente diversa.
è possibile rigenerare la politica come azione civile volontaria per un servizio collettivo. Solo un’etica civile può ridare senso alla politica. L’etica, in politica, è un sistema di valori scelto e condiviso.
Le rappresentanze [seppure ridotte al minimo fisiologico e regolate in modo che libertà di coscienza del «delegato-eletto» e vincolo di mandato siano sempre trasparenti e verificabili] sono necessarie, nella pratica conflittuale della democrazia/partecipazione. Da ciò discende l’ineludibile necessità di garantire forme di organizzazione politiche, oltre che riallargare lo spazio della politica attraverso forme di democrazia partecipata e diretta. Occorre inventare un modello radicalmente diverso da quello, fin qui conosciuto, dei partiti politici, dalla nascita della democrazia parlamentare ad oggi. La loro forma si è definitivamente esaurita.
La cultura della rete, l’orizzontalità, l’autonomia dei nodi, il metodo della condivisione, il consenso, l’ambito comunitario e cittadino della co-decisione, il tutto finalizzato all’empowerment delle comunità, costituiscono la grande novità e forza dei movimenti sociali. Nella consapevolezza che è solo così – federando e liberando spazi di comunanza crescenti – che si fa spazio un’alternativa reale. Comunque deve essere chiaro che «chi dice organizzazione dice oligarchia», ed è quindi è necessario predisporre forti contromisure contro ogni rischio di centralizzazione, verticalizzazione, burocratizzazione, autoreferenzialità, separazione.
Una forma di altra politica con queste premesse, dunque radicalmente nuova da quelle del Novecento, può costituire la premessa per la costruzione di una nuova democrazia, basata innanzitutto sui «bacini» dove le persone, le comunità, si formano, vivono, agiscono: le città e i territori, la cui «scala» più grande, quanto ad efficacia del controllo dei «delegati», è probabilmente quella sub-regionale. Il che a sua volta propone il problema urgente di connessioni, vincoli, alleanze, coordinamenti tra organizzazioni politiche e istituzioni di tipo nuovo da un luogo all’altro, in reti mobili e variabili: fino a proporsi di influire sulle scelte europee e globali.
Esperienze di questo tipo già esistono, sia a livello locale che nazionale e sovranazionale, dal Patto di mutuo soccorso ai movimenti come quelli dei migranti e delle femministe e lesbiche, o quello Glbtq, ma anche il movimento dell’acqua, il «popolo» dell’economia socio-solidale, le nuove reti dei delegati di fabbrica, ecc. Non si tratta di inventare nulla, ma di trarre lezioni da quel che già accade nella società e renderlo coerente ed efficace.
La Repubblica tradotta nella lingua di oggi
Questa lettera è un grido di allarme. Cercare di immaginare il futuro è il fondamento indispensabile per organizzare la resistenza a quel che già si prospetta - considerando anche le conseguenze che avrà il risultato elettorale - come una aggressione alla società civile, alle sue organizzazioni, ai suoi valori, ai lavoratori e al sindacato, ai migranti e alla stessa possibilità di una convivenza civile. La crisi evidente della globalizzazione, la catastrofe alimentare e il crack finanziario globali sono le cause della trasformazione del sistema democratico, o di quel che ne resta, in un dispotismo che conserverà solo le forme vuote della cittadinanza.
Dobbiamo da subito immaginare e far funzionare nuove forme di auto organizzazione, trasformare le reti in strumenti attivi di scambio di esperienze, di mobilitazione e di reciproco sostegno. Dobbiamo esser disposti a sperimentare nuove formule di organizzazione e decisione.
Quel che suggeriamo è che da subito ogni persona o gruppo che vuole opporsi a questa marea si riunisca, nel modo più aperto possibile, nel maggior numero di luoghi possibile, in relazione stretta tra loro e con quel che si muove attorno a loro: per discutere da subito, accantonando le diffidenze e approfondendo la conoscenza reciproca, il modo di costituire forme nuove di organizzazione politica.
Se tutti ci muoveremo bene, sarà possibile organizzare per il 2 giugno, festa della Repubblica e della Costituzione, da tempo trasformata nella celebrazione di una nazione in armi, un primo grande incontro nazionale in cui cominciare a confrontare le proposte emergenti dalle aggregazioni tematiche e dalle reti locali.