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11 aprile 2008

In direzione ostinata e contraria

di Giovanni Laino

Pubblicato su La Repubblica Napoli il giorno 11.04.2008, Pag. 15 “I diritti conquistati nel lager del dolore”

Da tempo avverto la necessità di lanciare il cuore e la speranza oltre i muri che tolgono il sole e rendono l’aria irrespirabile. Volendo ancora essere dentro le contraddizioni del territorio e dei mondi vitali scelti come fronte dell’impegno civile, va evitato il grave pericolo della depressione. Oltre alle gravi fonti di preoccupazione per come i responsabili della classe pubblica operano sui beni comuni, è avvilente anche la sensazione di inconcludenza e disorientamento che vivo spesso fra gli amici critici e progressisti.

Una terapia efficace è quella di occuparsi e mettere in luce le realizzazioni pratiche positive. La maturità ci dice che nulla è privo di ambiguità ma le buone realizzazioni, cariche di dono, impegno per migliorare la vita delle persone, sono un bene in se. Quando poi vi è una densità di questioni pertinenti con la storia del nostro paese allora ci si sente proprio bene. L’occasione è il libro “In direzione ostinata e contraria”, edito da Pironti, scritto da Fabrizia Ramondino, Renate Siebert e Assunta Sigorelli, che ha anche 80 foto a colori di Ugo Panella. Parla dell’avvio della riconversione dell’ Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello in provincia di Cosenza. Un’istituzione totale paramanicomiale che per diversi decenni è stata una sorta di lagher per poveri cristi anonimi, abbandonati a destini infelici o fuoriusciti dai manicomi dopo la riforma Basaglia.

Ci si può dolere delle carenze del sistema, della politica, ma le persone possono realizzare cambiamenti. Un’assessora regionale, dopo denunce e scandali che hanno messo in luce come alcuni banditi della Curia di Cosenza lucravano sui soldi della fondazione convenzionata con la Regione Calabria, ha chiamato un’allieva di Franco Basaglia, Assunta Signorelli che a fine carriera ha deciso di dare una ulteriore svolta al suo impegno, nella convinzione che, con il disagio psichico grave, “la sofferenza si abbraccia e si circonda, non si guarisce”. La psichiatra, spogliata del camice, carica di buona volontà e intelligenza per convivere con le diffidenze, le contraddizioni di centinaia di lavoratori che, mal pagati, sono stati degradati e depressi dal mal costume dell’istituzione totale, non ha fatto miracoli. Sostenuta da un’indispensabile sponda istituzionale, si è messa accanto, senza slogan, scrivendo nelle pratiche quotidiane che “si può fare”. Ha ridato fiducia alle persone, ha cercato di metterne in luce le storie, ha sostenuto percorsi terapeutici, ha dato spazio ai professionisti giovani che volevano essere utili, ha rimotivato le lavoratrici, è stata severa con gli opportunisti e gli sfaticati. Ha costituito un gruppo che si è dato una mission: il recupero di dignità dei pazienti alcuni dei quali hanno dato prova di resilienza e rinascita umana e civile. L’esperienza, che è ancora debole e che meriterà grande sostegno per passare dal livello della buona pratica al consolidamento di una efficace politica della salute, ha messo ancora una volta in luce come il regime di convenzionamento ai privati delle cure della salute è un campo di affarismo e corruzione senza scrupoli.

Quello che è ancora più interessante però è la questione di come la riforma psichiatrica, che a Maggio compie venti anni, tanto illuminata quanto irrealizzata, forse anche perché non ben disegnata, ignara della rilevanza dell’implementazione delle politiche, metta in luce la necessità di pratiche professionali di alto profilo etico, capaci di abitare le contraddizioni ma irriducibili nella propensione a fare bene, nella convinzione che “il grado di civiltà di una società si misura dalle condizioni in cui vivono le persone più deboli”. Si deve tener presente che pure in Campania alcuni allievi di Basaglia sono stati chiamati a ricoprire cariche dirigenziali nelle ASL, riportando anche risultati interessanti. Certo anche i paradigmi innovativi non sono privi di aporie ma evidentemente il potere che nella gestione della sanità regionale è stato ridato ai paladini di altre logiche, ha ristretto gli spazi e alzato i muri che nascondono il sole e contaminano l’aria. Ci sono spazi ed occasioni per pratiche alternative, per rimboccandosi le maniche, con una pratica “capace di cogliere tutti i segnali, valorizzando il buono che chiunque porta con sé e mettendo ai margini ciò che non va”.

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