Cosa ne facciamo degli ex-qualcosa ?
Giovanni Laino
Pubblicato con qualche taglio su La Repubblica Napoli del 23.04.08
Le città vengono trasformate per fasi alterne di espansione o riuso dell’esistente. Per la sua conformazione e per le vicende storiche a Napoli il riuso è stato sempre lento, tendenzialmente mal visto: prima di ristrutturare (o ancor più di abbattare e ricostruire) edifici impieghiamo molti anni. Questo dipende anche dal grande patrimonio ereditato dalla storia e dalla sindrome de “le mani sulla città”, che impone il nesso pianificazione territoriale - salvaguardia - tendenziale blocco degli interventi.
A Napoli abbiamo una questione da affrontare: che ne facciamo degli ex-qualcosa ? La dismissione di organizzazioni tipiche del Novecento ha determinato il disuso di strutture come fabbriche, ospedali militari e psichiatrici, gasometri, caserme, macelli, conventi. La questione dell’ex Albergo dei Poveri, che ha una dimensione certamente molto particolare, va inquadrata in questo contesto.
Come è noto si tratta di una architettura di assoluta straordinarietà , esempio unico in Europa di “spazio totale”, dispositivo architettonico di dimensioni monumentali concepito come “macchina” di controllo, internamento e riabilitazione sociale, progettato nella seconda metà del XVIII secolo da Ferdinando Fuga su commissione del re Carlo III di Borbone per ospitare migliaia di indigenti, sfruttarne la forza lavoro, indirizzarne il percorso di recupero morale. Un grande complesso, con una facciata lunga 360 m, e di 140 m di profondità, che, con nove livelli, arriva ad una altezza massima di 42 m, con 440 ambienti, con 9 Km di corridoi, 103.000 Mq di superfici, tre cortili di 6.500 Mq ciascuno e 6 cortili minori di 700 Mq ciascuno.
Come è noto il Comune di Napoli, dopo aver ottenuto il patrocinio dell’UNESCO per il restauro del complesso, e aver fatto fare uno studio di fattibilità costato non pochi soldi, dal 2005 sta realizzando un complesso progetto di restauro e recupero, avendo approvato un piano che prevede di realizzare una grande struttura polifunzionale come città dei giovani. Ci sono contrasti, polemiche, fra gruppi professionali, accademici e amministratori che non facilitano il compito di per se già molto arduo.
Il limite principale è quello per cui queste vicende vengono assunte come questioni che riguardano gli architetti. Come se il progetto di architettura, indagando i possibili usi, avesse sempre e comunque il potere e la capacità di sintetizzare in modo efficace le visioni di futuro.
Con le risorse disponibili e quelle impegnate, sono stati realizzati lavori di ripristino del corpo centrale e della scala di accesso ma ci si trova dinnanzi ad un’impresa veramente difficile rispetto alle capacità che esprimono gli enti locali anche se il programma della città dei giovani è uno dei grandi progetti che dovranno essere cofinanziati con i fondi strutturali.
Va detto che in alcune sue parti il complesso non è mai stato svuotato e vi si svolgono funzioni importanti: a parte le ottanta famiglie che vi abitano, vi è il centro sportivo Kodocan che accoglie molti ragazzi e giovani delle zone popolari, una antica falegnameria, alcuni garage ed eventi occasionali organizzati dalle amministrazioni pubbliche. E’ evidente che per questa come per strutture analoghe si tratta di saper ideare e realizzare iniziative per fasi, con compresenza di utilizzazioni virtuose e cantieri di lavoro
Ma accanto a questo straordinario monumento ve ne sono altre decine, più piccoli ma egualmente molto importanti, che aspettano di essere recuperati e rifunzionalizzati. L’impressione è che le politiche pubbliche per questi casi esprimono un approccio occasionale, molto contingente, poco convinto e convincente. Basti ricordare le vicende dell’ex ospedale militare, l’ex ospedale psichiatrico Bianchi, il tribunale di Castel Captano, i tanti conventi chiusi o del tutto sottoutilizzati del nucleo antico del centro storico.
Con la collaborazione delle Sovrintendenze che dovrebbero assumere una prospettiva meno vincolistica, il recupero e la rivitalizzazione di questi impianti potrebbe essere l’occasione di un new deal napoletano, con uno straordinario rilancio di occasioni di sviluppo. La programmazione dei fondi strutturali propone un impegno forte per il centro antico di Napoli, sarà un buon inizio ?