Socializzazione al lavoro per i ragazzi a Napoli
Giovanni Laino
Pubblicato su Napoli Monitor, Aprile 2008, n.14, pag. 7
A Napoli, sino alla fine degli anni Settanta, per i ragazzi vi erano migliaia di occasioni di formazione al lavoro: molte botteghe, tutti i bar e tanti altri esercizi commerciali facevano lavorare ragazzi e adolescenti più adulti, vittime del lavoro minorile, per insegnargli un mestiere o comunque fargli guadagnare qualche soldo, evitandogli così di restare in strada e nel degradante non far niente. Peppino Girella, il personaggio della novella Lo Schiaffo di Isabella De Filippo, è emblema di questa figura storica del proletariato precario napoletano. Ben poca consistenza invece hanno avuto le scuole professionali: gli oratori salesiani ben organizzati nelle regioni del nord, qui in città non sono mai decollati. La stessa scuola edile è risultata selettiva e poco includente. La formazione professionale è stata tradizionalmente un’area di cattivo uso della spesa pubblica, orientata con criteri sostanzialmente inefficaci. I corsi autofinanziati proposti dagli enti di formazione costituiscono una diversa nicchia di mercato che sostanzialmente non intercetta il target dei drop out.
Qualche istituzione tipo educandato ha prodotto esiti troppo limitati. E pensare che vi era la grande tradizione del serraglio, il mega istituto localizzato nell’Albergo dei poveri ove i ragazzini reclusi, anche se con metodi non proprio montessoriani, venivano addestrati al lavoro artigiano.
Nei primi anni Novanta, dopo un’approfondita conoscenza delle botteghe del centro urbano ove regnava il lavoro nero, maturò in alcuni di noi dell’Associazione Quartieri Spagnoli la convinzione che la socializzazione alla cultura del lavoro era una delle dimensioni del capitale sociale che per i ragazzi poveri andava maggiormente sostenuta. Proprio la diffusa presenza di migliaia di micro imprese artigiane nel centro urbano è stato un punto di partenza per avviare progetti di formazione per ragazzi drop out, limitando al massimo i laboratori in simulata e facendo andare invece i ragazzi direttamente nelle botteghe, nel vivo delle attività. Si partiva da una convinzione ancora oggi molto valida: il contesto lavorativo, pur con limiti ed ambiguità - si pensi ad esempio alle condizioni di sicurezza - è molto più credibile, attraente ed avvincente per i ragazzi che di scuola non ne vogliono proprio più sapere. Molto spesso si è constatato che ragazzi che assumevano comportamenti distruttivi nel contesto d’aula, mostravano responsabilità e capacità di adattamento nelle botteghe.
Negli anni recenti le prime esperienze sono state fatte con alcuni progetti cofinanziati dalla Legge 216/91 e poi con i fondi della L.285 (il progetto officina del Comune di Napoli). Alcune poche organizzazioni hanno realizzato diverse edizioni di progetti di formazione con ampio ricorso a tirocini presso botteghe, grazie soprattutto a progetti cofinanziati con i fondi europei. In diversi quartieri popolari alcune agenzie come pure i Maestri di Strada con il progetto Chance, hanno realizzato esperienze di questo genere, per decine di ragazze/i, riportando talvolta risultati significativi, non tanto in termini di assunzioni dirette (che in qualche caso pure ci sono state), ma con il reale innalzamento del livello di occupabilità dei ragazzi che, oltre a non essere esposti ai rischi del bighellonare fra casa, vicolo e bigliardo con i videogiochi, hanno fatto significative esperienze di socializzazione al lavoro, spesso seguiti da tutor che nei primi anni erano entusiasti e tenaci.
Recentemente è stato avviato un nuovo ciclo. Le pratiche sociali dal basso hanno fecondato le politiche. Gli esperti dell’Isfol e degli uffici regionali hanno pensato di far tesoro dell’apprendimento desumibile da queste pratiche ma hanno proposto interventi spesso troppo schematizzati che disconoscono l’importanza del ruolo svolto dalle associazioni localmente radicate, con il lavoro dei tutor che da anni conoscono gli artigiani e seguono le famiglie. Soprattutto la Regione – entro una prospettiva semplificata – ha assunto queste esperienze come nuova versione dell’apprendistato che nel Sud non ha mai avuto alcun utile esito, mentre si tratta di pratiche potenzialmente molto efficaci di socializzazione alla cultura del lavoro. Come per gli indultati e i diplomati, la Regione Campania, d’intesa con Italia Lavoro che tende a sostituire in blocco gli enti operosi nei territori, ha sostanzialmente bloccato i progetti che gli enti stavano facendo per i ragazzi in dispersione e abbandono formativo, proponendo una serie di iniziative che, almeno per ora, hanno dato esiti poco soddisfacenti, (cfr. progetti On-Off, gli OFI integrati, alcuni PON, i PAS e taluni progetti di Scuole Aperte). Tutte queste iniziative, talvolta improvvisate, sono risultate un po’ calate dall’alto, concepite e implementate entro una logica un po’ burocratica e statalista, assumendo sempre una visione semplificata dei comportamenti dei ragazzi, trattando i gruppi di beneficiari in modo troppo aggregato, disconoscendo l’esistenza di specifiche enclavi territoriali e di gruppi diversi di destinatari, eludendo la necessità di associare in modo intelligente sostegno sociale, patto formativo e inserimento nelle aziende.
Negli ultimi mesi alcuni enti hanno attratto qualche risorsa dalle Fondazioni ma si tratta comunque di investimenti limitati che danno qualche segnale ai Quartieri Spagnoli, a Forcella, Scampia, Rione Traiano. Indubbiamente una reale qualificazione delle politiche pubbliche in favore di giovani non potrà eludere una batteria di interventi, alcuni dei quali da realizzare ormai in forme non più episodiche e/o a ciclo progettuale, per la cura del passaggio dalla formazione scolastica di base alla formazione lavoro, avviando un ciclo di continua alternanza. I modelli ci sono e – forse ancora per poco – anche le competenze dei progettisti, degli orientatori e dei tutor. La questione è se i referenti istituzionali che orienteranno ancora l’uso di una valanga di soldi nei prossimi anni, avranno le capacità per assumere seriamente le esperienze più dense e consolidate, rispettandone la storia ed evitando tentazioni di gestione diretta del mercato.