In tante e in tanti ricordiamo cosa volesse dire crescere negli anni settanta. Tra i miei ricordi indelebili c'è un tragitto in autobus, al rettifilo, nel 1972, pensando alla iscrizione all'università. Crescere era lo scopo più nobile del mio essere, e a proposito di crescere, di cosa vuol dire crescere, lì trovai la mia risposta ingenua, infantile, romantica, e indelebile, vuol dire essere felice ed essere utile alla società. In questo sono rimasta ingenua, infantile, romantica, insomma del tutto inadeguata ai miei ruoli, al rapporto con la politica, al rapporto con il potere, e dietro a questo mio simbolico stato di "grazia", mi sono pure nascosta, ho nascosto la mia pigrizia, tante lacune, tanta superficialità, tanto disordine, molta irresponsabilità.
Ma lì, anzi qui, resto; con amarezza, ma resto: crescita economica e crescita della persona dovrebbero essere valori congiunti per dare senso a quel valore immaturo dei miei diciotto anni e a questa amarezza un po' vacua e un po' pigra (malgrado l'apparente attivismo) di oggi.
Crescere nella complessità delle relazioni sociali della vita e del mondo che viviamo è diventato difficile; quasi impossibile, persino averne la voglia.
Penso che è su questo che voglio lavorare, sulla crescita, nel suo senso pieno, che non è fisico-materiale, come crescere in età (e non ce n'è più) in altezza (neanche a parlarne) o in carne (che farei meglio a de-crescere), ma è crescere di struttura dell'io, di equilibrio della personalità, di equilibrio del sentire emozione, passione, di vissuto e di pratica di relazioni con l'altro, l'altra, di pratica di relazione e di partecipazione rispetto al gruppo, alla famiglia, alla comunità, di vissuto del ruolo sociale e del pubblico, di passione costruttiva dell'impegno sociale e politico.
La de-crescita l'ho vissuta già e vorrei tornare alla crescita,a questa crescita.
Ieri se n'è parlato, in un seminario sulla crescita felice, con l'economista Maurizio Pugno nella sede di D&S group sc. Un'analisi interessante, che è partita dall'economia e poi però è finita, nel dibattito, diritta diritta nella politica sociale, anche perchè l'occasione (un progetto Equal) aveva quel filo di orizzonte e non altro. E l'economia, il temi centrali della produzione e del lavoro, sono rimasti a terra, lasciati ad altri, al pensiero che è e che resta "unico", con la crescita felice che si scioglie come un'aspirina nella soluzione della compatibilità e passa con il timbro di garanzia che con essa la competitività ci guadagna.
Per fortuna non è vero che con la crescita felice l'economia liberista ci guadagna, se fosse vero la si praticherebbe, e invece la si usa e surroga ma nessuno la fa proria, se non per cavalcare o speculare sul malessere. Seguendo la teoria della crescita felice l'economia del mercato libero crescerebbe in competitività interna più che in concorrenzialità sui mercati, crescerebbe cioè nel senso etimologico della parola (cum-petere), nell'unire le risorse per "ottenere" (un risultato), nell'aggregazione delle nuove soggettività portatrici e creatrici di benessere e di felicità concrete (risultato), nuove soggettività che esistono ma sono tristemente chiuse nell'individualismo, quasi del tutto incapaci ormai di rapporti felici.
Ci guadagna l'economia solidale non l'economia assoggettata al vincolo finanziario pubblico, all'alta finanza, allo sfruttamento del lavoro, alla potenza militare. Più che di de-crescita dovremmo parlare di economia solidale e assumere le teorie del benessere e della crescita felice come punti di rottura e di conflitto rispetto all'economia libersita di mercato. E non parlare più di de-crescita che mi sembra, ingenuamente parlando, una zappa sui piedi.
Ditemi se sbaglio per favore,
susi
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22 aprile 2008
de-crescita???
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