Traduzioni

17 febbraio 2008

DOCUMENTAZIONE SUL CASO MAGDI ALLAM a cura di Alfredo Tradardi, Torino, 11 novembre 2007

Indice

  1. No al giornalismo tifoso, Reset Luglio Agosto 2007

  2. «La petizione per mettere un libro all'indice - Firmato Reset», di Pierluigi Battista, Corsera 19 luglio 2007

  3. GAZA VIVRA’ - Appello per la fine di un embargo genocida, ottobre 2007

  4. Il partito degli intellettuali che paragona Israele ai nazisti” di Magdi Allam, Corsera 4 novembre 2007

  5. Se nelle cartine della Polizia non compare Israele», di Magdi Allam, Corsera 6 novembre 2007

  6. Una lettera al Corsera di alcuni dei firmatari dell’appello Gaza Vivrà, Corsera 11 novembre 2007

  7. La risposta di Magdi Allam , Corsera, 11 novembre 2007

  8. Il documento “Facciamo sentire la nostra voce. Una campagna per la verità” e le relative adesioni si possono trovare all’indirizzo http://historiamagistra.entropica.info/news.php


No al giornalismo tifoso

Un documento con centinaia di firme critica Magdi Allam - Tratto e pubblicato dalla rivista Reset Luglio Agosto 2007

Nel suo recente libro Viva Israele (Mondadori) Magdi Allam accusa lo studioso Massimo Campanini di antisemitismo e di fingere di ignorare il pericolo islamista.

Campanini, di cui sono molto conosciuti e apprezzati i saggi che ha pubblicato sul mondo islamico, la filosofia, la cultura e la storia dei paesi arabi, è anche un prezioso collaboratore di questa rivista. Magdi Allam scrive tra l’altro che «il caso del professore Campanini non è l’unico. L’Università italiana pullula di professori cresciuti all’ombra delle moschee dell’Ucoii, simpatizzanti coi Fratelli Musulmani, inconsapevolmente o irresponsabilmente collusi con la loro ideologia di morte».

Abbiamo chiesto a Campanini di replicare personalmente e liberamente a queste accuse di Magdi Allam. E nel frattempo nel mondo universitario è circolato un breve documento di solidarietà per i bersagli delle accuse contenute nel libro e di critica per l’autore. Lo hanno sottoscritto docenti, ricercatori, giornalisti, scrittori ed esponenti a vario titolo del mondo culturale.

Ecco il testo del documento e le adesioni.

Il documento

Senza entrare nel merito delle accuse specifiche rivolte nell’ultimo libro di Magdi Allam a singoli colleghi noti a chiunque si interessi di questioni relative al Medio Oriente e all’islam non solo come ricercatori seri e qualificati, ma persino come persone coinvolte in svariate forme di impegno civile, intendiamo protestare fermamente davanti alla sfrontatezza di chi afferma che le università italiane «pullulano» di docenti «collusi con un’ideologia di morte profondamente ostile ai valori e ai principi della civiltà occidentale e all’essenza stessa della nostra umanità».

Ci pare davvero eccessivo che quanti, in sede di dibattito scientifico e civico, esprimono posizioni differenti da una pretesa unica «verità interpretativa» divengano automaticamente estranei a universali valori di civiltà o, addirittura, alieni dalla comune umanità. Una tale impostazione non solo è lontanissima dallo spirito e dai valori di una democrazia costituzionale – e molto più in linea con ideologie totalitarie – ma si pone anche a siderale distanza dal senso critico che sta alla base della ricerca storica e scientifica e dalla stessa, difficile ma essenziale, missione dell’informazione giornalistica in una società plurale.

Tutto ciò rischia di contribuire, purtroppo, al preoccupante imbarbarimento della informazione in un paese come il nostro che già si trova a pagare un prezzo troppo alto alle varie forme di partigianeria che lo travagliano. Già abbiamo visto sentenze discutibili coinvolgere colleghi noti per la loro serietà ed equilibrio nell’affrontare il tema dell’islam, con addirittura condanne penali che prevedono la pena detentiva.

Il giornalismo rischia di cadere in una logica da tifo calcistico piuttosto che analitica e razionale, soprattutto quando si toccano temi delicati e sensibili come quelli religiosi e, in particolare, relativi all’islam ed alle questioni legate all’area medio-orientale. La libertà di ricerca ne paga il prezzo, schiacciata tra opposti estremismi interpretativi, e non solo. Ci auguriamo che tali tendenze trovino presto voci più equilibrate e meno partigiane a contrastarle, e che queste trovino a loro volta ascolto nel mondo dell’informazione, in quello politico, in quello culturale e in quello religioso.

Le adesioni


Paolo Branca

David Bidussa

Giancarlo Bosetti

Enzo Bianchi

Gadi Luzzatto Voghera

Angelo d’Orsi

Paolo De Benedetti

Nasr Hamid Abu Zayd

Nina zu Fürstenberg

Giovanni Miccoli

Marco Varvello

Alberto Melloni

Agostino Giovagnoli

Ombretta Fumagalli Carulli

Patrizia Valduga

Michelguglielmo Torri

Pippo Ranci Ortigosa

Anna Bozzo

Dario Miccoli

Isabella Camera D’Aff l i t t o

Francesca Corrao

Ugo Fabietti

Brunello Mantelli

Sumaya Abdel Qader

Diego Abenante

Giorgio Acquaviva

Roberta Adesso

Claudia Alberico

Marco Allegra

Massimo Alone

Daniela Amaldi

Maurizio Ambrosini

Sara Amighetti

Lubna Ammoune

Michael Andenna

Giancarlo Andenna

Carlo Annoni

Caterina Arcidiacono

Barbara Armani

Monica Bacis

Pier Luigi Baldi

Anna Baldinetti

Giorgio Banti

Gianpaolo Barbetta

Roberto Baroni

Elena Lea Bartolini

Annalisa Belloni

Giovanni Bensi

Michele Bernardini

Giovanni Bernardini

Francesca Biancani

GiovannaBiffino Galimbert i

Valentino Bobbio

Giuliana Borello

Franco Brambilla

Daniela Bredi

Alberto Burgio

Paola Busnelli

Maria Agostina Cabiddu

Fabio Caiani

Alfredo Canavero

Paolo Cantù

Fanny Cappello

Franco Cardini

Paola Caridi

Lorenzo Casini

Fabrizio Cassinelli

Paolo Ceriani

Maria Vittoria Cerutti

Francesco Cesarini

Michelangelo Chasseur

Antonio Chizzoniti

Franca Ciccolo

Cornelia Cogrossi

Chiara Colombo

Annamaria Colombo

Silvia Maria Colombo

Alessandra Consolaro

Giancarlo Costadoni

Antonio Cuciniello

Giovanni Curatola

Irene Cusmà

Cinzia Dal Maso

Monia D’Amico

Laura Davì

Francesco D’Ayala

Fulvia De Feo

Fulvio De Giorgi

Paolo di Giannatonio

Miriam Di Paola

Rosita Di Peri

Maria Donzelli

Camille Eid

Fabrizio Eva

Guido Federzoni

Alessandro Ferrari

Valeria Ferraro

Nicola Fiorita

Francesca Flores d’Arcais

Filippo Focardi

Daniele Foraboschi

Guido Formigoni

Ersilia Francesca

Annalisa Frisina

Carlo Galimberti

Enrico Galoppini

Laura Galuppo

Antonella Ghersetti

Mauro Giani

Aldo Giannuli

Manuela Giolfo

Fabio Giomi

Emanuele Giordana

Demetrio Giordani

Gianfranco Girando

Elisa Giunghi

Carlo Giunipero

Anna Granata

Francesco Grande

Fabio Grassi

Maria Grazia Grillo

Laura Guazzone

Rachida Hamdi

Abdelkarim Hannachi

Ali Hassoun

Alexander Hobel

Giuseppina Igonetti

Virgilio Ilari

Massimo Jevolella

Massimo Khairallah

Chiara Lainati

Giuliano Lancioni

Filippo Landi

Angela Lano

Clemente Lanzetti

Paolo La Spisa

Raffaele Liucci

Claudio Lojacono

Silvia Lusuardi Siena

Monica Macchi

Paolo Maria Maggiolini

Paolo Magnone

Roberto Maiocchi

Diego Maiorano

Gabriele Mandel Khan

Patrizia Manduchi

Ermete Mariani

Annamaria Martelli

Paola Martino

Elisabetta Matelli

Vincenzo Matera

Gabriella Mazzola Nangeroni

Carlo Maria Mazzucchi

Alessandro Mengozzi

Alvise Merini

Saber Mhadhbi

Ferruccio Milanesi

Stefano Minetti

Marco Mozzati

Vincenzo Mungo

Beniamino Natale

Enrica Neri

Sergio Paiardi

Francesco Pallante

Monica Palmeri

Simona Palmeri

Maria Elena Paniconi

Irene Panozzo

Michele Papasso

Daniela Fernanda Parisi

Antonio Pe

Fausto Pellegrini

Claudia Perassi

Alessio Persic

Marta Petricioli

Martino Pillitteri

Daniela Pioppi

Paola Pizzo

Alessandro Politi

Paola Pontani

Antonietta Porro

Gianluca Potestà

Rossella Prandi

Elena Raponi

Savina Raynaud

Riccardo Redaelli

Giuseppe Restifo

Michele Riccardi

Franco Riva

Marco Rizzi

Maria Adele Roggero

Maria Pia Rossignani

Ornella Rota

Monica Ruocco

Rassmeya Salah

Ruba Salih

Brunetto Salvarani

Giovanni Sambo

Marco Sannazaro

Paolo Santachiara

Milena Santerini

Maria Elena Santomauro

Cinzia Santomauro

Giovanni Sarubbi

Federico Ali Schuetz

Giovanni Scirocco

Deborah Scolart

Lucia Sgueglia

Ritvan Shehi

Rita Sidoli

Stefano Simonetta

Piergiorgio Simonetta

Lucia Sorbera

Carlo Spagnolo

Salvatore Speziale

Stefania Stafutti

Oriella Stamerra

Giovanna Stasolla

Piero Stefani

Alessandra Tarabochia

Dario Tarantini

Maurizio Tarocchi

Andrea Teti

Massimiliano Trentin

Emanuela Trevisan Semi

Lorenzo Trombetta

Michele Vallaro

Marisa Verna

Marco Francesco Veronesi

Fabrizio Vielmini

Edoardo Villata

Franco Zallio

Patrizia Zanelli

Francesco Zappa

Luciano Zappella

Boghhos Levon Zekiyan

Ida Zilio Grandi

Raffaello Zini


Dal CORRIERE della SERA del 19 luglio 2007, un editoriale di Pierluigi Battista

Titolo: «La petizione per mettere un libro all'indice - Firmato Reset»

Cosa mai possono concretamente sperare le (così dicono) «centinaia di firme» apposte a un documento che si scaglia contro un libro, quello di Magdi Allam? Forse indurre l'autore ad abiurare? L'editore a ritirare il volume? I librai a disfarsene? A dichiarare fuori legge un saggio per aver violato chissà quale articolo del codice penale? Oppure, come è più probabile ma non meno inquietante, a rinchiudere il bersaglio di tanta ardente indignazione in un recinto infetto, fare terra bruciata attorno a lui, insomma a procurare un effetto intimidatorio su chi si è macchiato della grave colpa di aver scritto quel libro?

Il documento in questione (un appello, una petizione, un manifesto, o comunque si voglia chiamare questa ennesima testimonianza di un'abitudine molto italiana degli intellettuali ad aggregare le loro firme in vista di qualche sempre commendevole «mobilitazione » e nobile Causa) compare sull'ultimo numero di «Reset», la rivista di Giancarlo Bosetti sempre vivacemente presente negli snodi cruciali del dibattito culturale. Sottoscritto da numerosi studiosi di vaglia tra i quali Paolo Branca e David Bidussa, Angelo d'Orsi e Ombretta Fumagalli Carulli, Patrizia Valduga ed Enzo Bianchi, se la prende con un libro, «Viva Israele» di Magdi Allam, per via della sua «sfrontatezza», per di più «lontanissima dallo spirito e dai valori di una democrazia costituzionale », indice di «un preoccupante imbarbarimento dell'informazione» cagionata, par di capire, dall'attacco molto duro che Allam avrebbe riservato a due docenti universitari italiani. Ma il documento-anatema non si articola come difesa di qualcuno che si ritiene ingiustamente attaccato, bensì come un «no» al libro, un «contro Allam», una «critica» ad personam. Una scomunica collettiva, non una confutazione di una tesi. Una mozione che segnala l'arruolamento a una posizione ideologica, non una critica al merito di un libro.

È difficile comprendere cosa abbia indotto tanti intellettuali a una deroga così grossolana e stupefacente di alcuni princìpi basilari della libera discussione politico-culturale attorno a un libro. La consuetudine vuole infatti che un libro venga criticato, anche ferocemente, ma da un singolo, non da una schiera vociante di «centinaia di firme». Che un libro possa anche essere stroncato, demolito, fatto (intellettualmente) a pezzi, ma solo da chi porta la responsabilità intellettuale in un conflitto di idee modulato su argomenti che si contrappongano aspramente ad argomenti, tesi contro tesi, documenti contro documenti. I firmatari dell'appello contro Allam non fanno nulla di tutto questo. Bersagliano un libro per il solo fatto che esiste e il suo autore perché accusato di «tifare» per le ragioni di Israele (e se anche fosse, dov'è il reato, o il peccato?). Firmano in gruppo credendo di rafforzare la loro credibilità con il numero delle adesioni e non con la vis persuasiva di un argomento. Fossero state migliaia anziché centinaia, le firme, ci sarebbe forse qualche ragione in più per considerare ancor più negativamente il libro mandato simbolicamente al rogo? Da quando in qua la scientificità di un libro viene misurata così brutalmente sui diktat della «dittatura della maggioranza»?

Nella moltitudine di appelli e di manifesti che ha scandito in modo così ripetitivo la vita culturale dell'Italia repubblicana, i firmatari del documento di «Reset» hanno deciso di dar vita a un unicum, non conoscendosi, a memoria, precedenti di una raccolta di firme esplicitamente indirizzate contro un libro e contro un saggista. Ma se questa nuova tipologia di appelli non assomiglia alla (legittima) stroncatura di un libro o al (sacrosanto) dissenso nei confronti di tesi giudicate sbagliate o infondate, resta la sgradevole sensazione che nel tutti contro uno messo in scena da una rivista si produca attorno a un libro il marchio della «pericolosità», del discredito, della delegittimazione preventiva e dunque sleale. Qualcosa che ha il sapore dell'intimazione al silenzio, o comunque di un trattamento speciale che genera allarme sociale attorno a un libro e un effetto di intimidazione su un autore e sul suo editore chiamati, per così dire, a una maggiore prudenza nel futuro. Una deriva di arroganza che, anche se animata dalle migliori intenzioni, nella storia ha sempre condotto alla tentazione censoria e alla messa all'indice. Sempre.

GAZA VIVRA’ - Appello per la fine di un embargo genocida, ottobre 2007


Nel 1996, votando massicciamente al-Fatah, i palestinesi espressero la speranza di una pace giusta con Israele. Questa speranza venne però uccisa sul nascere dalla sistematica violazione israeliana degli accordi. Essi prevedevano che entro il 1999 Israele avrebbe dovuto ritirare le truppe e smantellare gli insediamenti coloniali dal 90% dei Territori occupati.

Giunto al potere dopo la sua provocatoria «passeggiata» nella spianata di Gerusalemme, Sharon congelò il ritiro dell’esercito e accrebbe gli insediamenti coloniali — ovvero città razzialmente segreganti i cui abitanti, armati fino ai denti, agiscono come milizie ausiliarie di Tsahal. Come se non bastasse, violando anche stavolta le risoluzioni O.N.U., diede inizio alla edificazione di un imponente «Muro di sicurezza» la cui costruzione ha implicato l’annessione manu militari di un ulteriore 7% di terra palestinese.

Nel tentativo di schiacciare la seconda Intifada, Israele travolse l’Autorità Nazionale Palestinese e mise a ferro e fuoco i Territori. Migliaia i palestinesi uccisi o feriti dalle incursioni, decine di migliaia quelli rastrellati e arrestati senza alcun processo. Migliaia le case rase al suolo. Decine i dirigenti ammazzati con le cosiddette «operazioni mirate». Lo stesso presidente Arafat, una volta dichiarato «terrorista», venne intrappolato nel palazzo presidenziale della Mukata, poi bombardato e ridotto ad un cumulo di macerie.

Evidenti sono dunque le ragioni per cui Hamas (nel frattempo iscritta da U.S.A. e U.E. nella black list dei movimenti terroristici) ottenne nel gennaio 2006 una straripante vittoria elettorale. Prima ancora che una protesta contro la corruzione endemica tra le file di al-Fatah, i palestinesi gridarono al mondo che non si poteva chiedere loro una «pace» umiliante, imposta col piombo e suggellata col proprio sangue.

Invece di ascoltare questo grido di aiuto del popolo palestinese, le potenze occidentali decisero di castigarlo decretando un embargo totale contro la Cisgiordania e Gaza. Seguendo ancora una volta Israele (che immediatamente dopo la vittoria elettorale di Hamas aveva bloccato unilateralmente i trasferimenti dei proventi di imposte e dazi di cui le Autorità palestinesi erano i legittimi titolari), U.S.A. e U.E. congelarono il flusso di aiuti finanziari causando una vera e propria catastrofe umanitaria, ciò allo scopo di costringere un intero popolo a piegare la schiena e ad abbandonare la resistenza.

Questa politica, proprio come speravano i suoi architetti, ha dato poi il suo frutto più amaro: una fratricida battaglia nel campo palestinese. Coloro che avevano perso le elezioni, con lo sfacciato appoggio di Israele e dei suoi alleati occidentali, hanno rovesciato il governo democraticamente eletto per rimpiazzarlo con un altro abusivo. Hanno poi scatenato, in combutta con le autorità sioniste, la caccia ai loro avversari, annunciando l’illegalizzazione di Hamas col pretesto di una nuova legge per cui solo chi riconosce Israele potrà presentarsi alle elezioni. USA ed UE, una volta giustificato il golpe, sono giunte in soccorso di questo governo illegittimo abolendo le sanzioni verso le zone da esso controllate, e mantenendole invece per Gaza.

Un milione e mezzo di esseri umani restano dunque sotto assedio, accerchiati dal filo spinato, senza possibilità né di uscire né di entrare. Come nei campi di concentramento nazisti essi sopravvivono in condizioni miserabili, senza cibo né acqua, senza elettricità né servizi sanitari essenziali. Come se non bastasse l’esercito israeliano continua a martellare Gaza con bombardamenti e incursioni terrestri pressoché quotidiani in cui periscono quasi sempre cittadini inermi.

Una parola soltanto può descrivere questo macello: genocidio!

Una mobilitazione immediata è necessaria affinché venga posto fine a questa tragedia.

Ci rivolgiamo al governo Prodi affinché:

1. Rompa l’embargo contro Gaza cessando di appoggiare la politica di due pesi e due misure per cui chi sostiene al-Fatah mangia e chi sta con Hamas crepa;

2. si faccia carico in tutte le sedi internazionali sia dell’urgenza di aiutare la popolazione assediata sia di quella di porre fine all’assedio militare di Gaza;

3. annulli la decisione del governo Berlusconi di considerare Hamas un’organizzazione terrorista riconoscendola invece quale parte integrante del popolo palestinese;

4. cancelli il Trattato di cooperazione con Israele sottoscritto dal precedente governo.


PRIMI FIRMATARI (l’elenco completo delle firme nel sito http://www.gazavive.com/)


-Gianni Vattimo – Filosofo ed ex parlamentare europeo

-Danilo Zolo – Università di Firenze

-Margherita Hack – Astrofisica

-Lucio Manisco – Giornalista, già parlamentare europeo

-Giovanni Franzoni – Animatore di Comunità Cristiane di Base

-Mara Malavenda – Slai Cobas, Napoli

-Giulio Girardi – Filosofo e teologo della Liberazione

-Hamza Roberto Piccardo – Editore e direttore del portale www.islam-online.it

-Edoardo Sanguineti – Poeta e docente di Letteratura italiana, Università di Genova

-Costanzo Preve – Filosofo, Torino

-Roberto Massari – Editore, Utopia Rossa

-Domenico Losurdo – Filosofo, Università di Urbino

-Roberto Giammanco – Scrittore e americanista

-Franco Cardini – Istituto Studi Umanistici, Firenze

-Gianfranco La Grassa – Economista

-Leonardo Mazzei – Portavoce Comitati Iraq Libero

-Nella Ginatempo, Roma

-Marco Ferrando – Coord. Naz. Movimento costitutivo del Partito Comunista dei Lavoratori

-Giovanni Bacciardi – Firenze

-Giuseppe Pelazza – Avvocato, Milano

-Fausto Schiavetto – Università di Padova, Soccorso Popolare

-Moreno Pasquinelli – Campo Antimperialista

-Luciano Giannoni – Consigliere provinciale Prc Livorno

-Tusio De Iuliis – Presidente Associazione di Volontariato e Solidarietà “Aiutiamoli a Vivere”

-Cesare Allara – Torino

-Dacia Valent – ex Eurodeputata, dirigente dell’Islamic Anti-Defamation League

-Gilad Atzmon - Musicista

-Angela Lano – Giornalista Infopal

-Marino Badiale – Professore di matematica, Università di Torino

- Aldo Bernardini – Docente di Diritto internazionale, Università di Teramo

-Pietro Vangeli – Segretario nazionale Partito dei Carc

-Ascanio Bernardeschi – Prc Volterra (PI)

-Giovanni Invitto – Preside della facoltà di Scienze dell’educazione, Università di Lecce

-Alessandra Persichetti – Università di Siena

-Fabio Faina – Capogruppo Pdci al Consiglio comunale di Perugia

-Gian Marco Martignoni – Segreteria provinciale Cgil, Varese

-Bruno Antonio Bellerate – già Ordinario di storia della pedagogia, Università Roma tre

-Rodolfo Calpini – Università La Sapienza, Roma

-Stefania Campetti - Archeologa

-Ferruccio Adinolfi – Docente filosofia, Università di Parma

-Carlo Oliva – Pubblicista

-Mary Rizzo – blog Peacepalestine

-Luca Baldelli – Consigliere provinciale Prc Perugia

-Marco Riformetti – Laboratorio Marxista

- Vainer Burani – Avvocato, Reggio Emilia

-Alessandra Kersevan – Ricercatrice storica

-Andrea Lazzaro – Membro collettivo www.islam-online.it, Genova

-Nuccia Pelazza – Insegnante, Milano

- Maria Ingrosso – Colletivo Iqbal Masih, Lecce

-Piero Fumarola – Docente di Sociologia delle Religioni, Università di Lecce

-Antonio Colazzo – L.u.p.o. Osimo (Ancona)

-Ugo Giannangeli – Avvocato, Milano

-Gabriella Solaro – Responsabile Archivio Storico INSMLI (Ist. naz. per la storia del Movimento di Liberazione in Italia)

-Giuseppe Zambon – Editore

-Bruno Caruso – Pittore

-Mara de Paulis – Scrittrice, Premio Calvino

Il partito degli intellettuali che paragona Israele ai nazisti” di Magdi Allam, Corsera 4 novembre 2007


In Italia si è di fatto costituito un partito trasversale pro-Hamas, il gruppo terrorista islamico palestinese bandito dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea. Il sito www.gazavive.com annuncia trionfante che fino al 31 ottobre 2007 sono state raccolte 2.073 firme a un «Appello per la fine di un embargo genocida, Gaza vivrà». Dove si attribuisce a Israele la responsabilità del «genocidio» dei palestinesi, paragonandolo al regime di Hitler perché avrebbe trasformato Gaza in «campi di concentramento nazisti ». Chiedendo a Prodi di «annullare la decisione del governo Berlusconi di considerare Hamas un'organizzazione terrorista, riconoscendola invece quale parte integrante del popolo palestinese». Per aver formulato i medesimi concetti il 19 agosto 2006, il presidente e il segretario dell'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), Mohammed Nour Dachan e Hamza Roberto Piccardo, sono finiti sotto indagine da parte della Procura di Roma per «aver diffuso idee fondate sull' odio razziale e religioso» e per «istigazione alla violenza». Ma a tutt'oggi nessun magistrato si è mosso nei confronti del nuovo aberrante manifesto che paragona Israele al nazismo.

Ci auguriamo che la ragione non sia dovuta alla quantità e, soprattutto, alla qualità dei firmatari. In testa compaiono infatti il filosofo Gianni Vattimo, l'astrofisica Margherita Hack, il poeta Edoardo Sanguineti, il musicista Gilad Atzmon, lo storico Franco Cardini e Giovanni Franzoni della Comunità Cristiane di Base. In un secondo tempo hanno aderito anche l'europarlamentare Giulietto Chiesa e Ornella Terracini (Ebrei contro l'occupazione). Colpisce che tra i 685 nomi resi pubblici, 152 (22%) appartengono al mondo dell'istruzione, di cui 54 sono docenti universitari (8%), 35 sono docenti (5%) e 63 sono studenti (9%). I docenti universitari dominano l'elenco dei primi firmatari. Tra essi spiccano Danilo Zolo, Costanzo Preve, Domenico Losurdo, Marino Badiale, Aldo Bernardini, Piero Fumarola, Giovanni Bacciardi, Giovanni Invitto, Alessandra Persichetti, Bruno Antonio Bellerate, Rodolfo Calpini, Ferruccio Andolfi. Nutrito è anche lo schieramento dei militanti politici, 75 (11%), tutti della sinistra radicale (Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani) e extraparlamentare (Campo Antimperialista e Legittima Difesa). I sindacalisti (molti della Fiom-Cgil) sono 22 (3%), mentre gli avvocati sono 9 (1,3%) e tra essi spiccano Vainer Burani, Ugo Giannangeli e Giuseppe Pelazza.

Quanto ai militanti islamici compaiono i nomi di spicco dell'Ucoii. Dal già citato Piccardo, che si presenta nei panni di direttore di www.islam-online.it, a Aboulkheir Breigheche, che guida la «Alleanza Islamica d'Italia» (sigla che fa riferimento diretto ai Fratelli Musulmani), da Mohammed Hannoun, presidente della ABSPP (Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese) a Abu Yasin Merighi, vice presidente dell'Ucoii e responsabile della moschea El Nour di Bologna.

Proprio a Bologna, la pubblicazione su Il Resto del Carlino il 19 agosto 2006 di un delirante manifesto dal titolo «Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane», in cui si fac eva l'equazione Marzabotto=Gaza=Fosse Ardeatine=Libano, portò alla denuncia del vertice dell'Ucoii e alla messa sotto inchiesta di Piccardo e Dachan. Ebbene tutto ciò, a distanza di un anno, si è ripetuto impunemente. Nel manifesto «Gaza vivrà» si stravolge in modo sconcertante la realtà dei fatti. Attribuendo una natura esclusivamente reattiva al terrorismo di Hamas, nobilitato con l'aureola di «resistenza », come se l'obiettivo di distruggere Israele non fosse l'obiettivo dichiarato nel suo Statuto. Ignorando che Hamas, dopo la vittoria elettorale del 2006, non ha voluto rinunciare al terrorismo e riconoscere il diritto di Israele all'esistenza. Omettendo di ricordare che il terrorismo di Hamas si è intensificato a Gaza dopo la decisione unilaterale di Israele di evacuare le sue forze militari e i coloni ebrei. Facendo finta che Hamas non si sia macchiata del sangue dei propri fratelli palestinesi pur di imporre il proprio Stato teocratico dittatoriale a Gaza, tanto è vero che è lo stesso presidente palestinese Abu Mazen che ha definito Hamas una «banda di terroristi». In definitiva schierandosi dalla parte dei terroristi islamici contro il governo legittimo dell'Autorità Nazionale Palestinese che vuole negoziare la pace con Israele sulla base della soluzione «due stati per due popoli».

Come è possibile che in Italia, in particolar modo in seno alle università, alla sinistra radicale e ai sindacati, possa affermarsi una posizione così netta a favore di un gruppo terrorista islamico, finora sostenuta soltanto dagli estremisti islamici dell'Ucoii legati ai Fratelli Musulmani? Come è possibile che nelle istituzioni nessuno abbia niente da dire ai 2073 che hanno paragonato Israele al nazismo?


Se nelle cartine della Polizia non compare Israele», di Magdi Allam, Corsera 6 novembre 2007


È a pagina 100, l'ultima del neonato «Prontuario di Polizia in lingua araba», che sono rimasto scioccato. La cartina geografica del Medio Oriente indica in inglese e in arabo i nomi di tutti gli Stati, dei territori palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, ma non di Israele.

Che compare solo nella citazione «Gerusalemme occupata da Israele». Mi sono detto: «Possibile che una pubblicazione ufficiale dello Stato italiano ignori la realtà di Israele, così come fanno i Paesi arabi e musulmani nei loro testi scolastici e nei loro atlanti dal momento che ne negano il diritto all'esistenza?». Ed è nel suo insieme che questo opuscolo, ispirato a un relativismo valoriale e all' ideologia del multiculturalismo, che lascia perplessi.

Va bene, come scrive nella comunicazione inviatami Roberto Sgalla — direttore delle Relazioni esterne e Cerimoniale del ministero dell'Interno — che «il prontuario permette all'operatore di polizia di affrontare un dialogo di primo livello e allo straniero di acquisire le informazioni di cui ha bisogno ». Ma non va bene, come si legge a pagina 7 del prontuario, incentivare una strategia che affida al poliziotto non solo le competenze e le attribuzioni di «stretta polizia», ma anche quelle di promotore di un «lavoro sociale» e di «crescita interculturale ». Il ministero dell'Interno dovrebbe limitarsi a far rispettare la legge e l'ordine così come previsto dal diritto e dalle norme operative dello Stato italiano, non trasformarsi invece in mediatore linguistico, culturale e addirittura giuridico, ingegnandosi a conciliare valori, tradizioni, religioni e principi legali diversi a seconda del Paese di provenienza dell'immigrato.

Perché il rischio è che, per non urtare la suscettibilità del clandestino immigrato a cui si sottopone una carta geografica del Medio Oriente per chiedergli da quale Paese provenga, si finisca per sceglierne una che non menzioni Israele. Oppure, come si evince dall'affermazione «Ripresa in matrimonio della moglie ripudiata» (Capitolo 7, Informazioni allo sportello, pagina 75), che si tollera di fatto il diritto islamico poligamico a dispetto della norma del codice penale italiano che vieta e sanziona la bigamia. Come è possibile che lo Stato italiano, da un lato, non riconosca il matrimonio islamico perché si tratta di un contratto privatistico tra due soggetti basato sulla legittimazione della poligamia e in cui il marito ha la facoltà di ripudiare la moglie in qualsiasi momento senza dover renderne conto a nessuno e, dall'altro, possa anche semplicemente prendere in considerazione il fatto che uno si presenta in questura dicendo di aver ripreso in matrimonio la moglie ripudiata, magari chiedendo il suo reinserimento nel permesso di soggiorno dopo essersi risposato con il solo rito islamico?

Ugualmente mi chiedo perplesso e indignato come si possa affidare la formazione linguistica e culturale della polizia di Stato alla Libia di Gheddafi, tramite due sue associazioni («Unione Islamica in Occidente» e «World Islamic Call Society») e «docenti dell'Università di Tripoli e di scuole coraniche italiane», trattandosi di un regime che ha ammesso di essere stato uno sponsor del terrorismo internazionale, che continua a ricattare l'Italia tramite la manipolazione del flusso dei clandestini e la richiesta di miliardi di euro di risarcimento per i danni coloniali, mentre ha deciso di investire 40 milioni di dollari per realizzare un film in cui sostiene la tesi che gli italiani avrebbero commesso un «genocidio» in Libia. O come si possa affidare la gestione dei poliziotti che aspirano a fare dei corsi di lingua e cultura araba all'Università di Rabat a una docente, Claudia Tresso, che nel 2006 ha sottoscritto un appello in cui si afferma che «la politica di Israele si fonda da decenni sulla pulizia etnica e sull'apartheid» e che «il riconoscimento dell'esistenza di Israele da parte di chi finora nella regione non l'ha concesso, è subordinato alla creazione dello Stato palestinese». Possibile che il ministero dell'Interno abbia come partner privilegiato uno sponsor del terrorismo internazionale e come interlocutore chi nutre un pregiudizio nei confronti di Israele fino a mettere in discussione il suo diritto alla vita?

Per tutto ciò credo che sia arrivato il momento di riflettere sulla dilatazione del ruolo e delle mansioni del ministero dell'Interno. Personalmente sono convinto dell'opportunità di scorporare la politica dell'immigrazione e dell'integrazione, creando un apposito dicastero così come è in Francia e Olanda.

Che i poliziotti facciano i poliziotti e si occupino nel miglior modo possibile della sicurezza e dell'ordine pubblico, lasciando ad altri il compito — ed è essenzialmente di natura valoriale, ideale e politica — di definire un modello di convivenza sociale che si fondi sul rispetto e sulla difesa dell' identità nazionale e in cui l'integrazione deve essere un percorso obbligatorio per tutti coloro che vengono in Italia per migliorare le proprie condizioni di vita.


Una lettera al Corsera di alcuni dei firmatari dell’appello Gaza Vivrà, Corsera 11 novembre 2007


Poche righe per comunicare la nostra sorpresa nel leggere sul Corriere del 4 novembre un articolo a firma di Magdi Allam che, ancora una volta, manifesta il suo livore contro chi si permette di criticare la politica dello Stato di Israele nei confronti del popolo palestinese, da decenni sottoposto a una spietata occupazione militare. In questo caso non si tratta di solo livore: Magdi Allam, trasformandosi da giornalista a pubblico inquisitore, sollecita la magistratura italiana a prendere provvedimenti contro gli estensori dell'appello «Gaza vivrà», da lui accusati di odio razziale e di istigazione alla violenza. In realtà Magdi Allam si è reso responsabile di un autentico falso e di una grave calunnia nei confronti dei firmatari dell'appello. Essi avrebbero «paragonato Israele al regime di Hitler perché avrebbe trasformato Gaza in "campi di concentramento nazisti" ». Nel nostro testo si legge semplicemente che a Gaza «un milione e mezzo di esseri umani restano sotto assedio, accerchiati dal filo spinato, senza possibilità né di uscire né di entrare. Come nei campi di concentramento nazisti, essi sopravvivono in condizioni miserabili, senza cibo né acqua, senza elettricità né servizi sanitari essenziali». La nostra era dunque una legittima, energica denuncia non del carattere nazista della politica israeliana — non avrebbe alcun senso affermarlo — ma delle condizioni di vita miserabili della popolazione palestinese di Gaza, che sono sicuramente paragonabili a quelle di un campo di concentramento nazista. Gaza è la striscia di terra più densamente popolata del mondo, dove un milione e mezzo di persone sopravvivono in condizione disperate. La loro condizione meriterebbe comprensione, solidarietà e sostegno, in particolare da chi, come Magdi Allam, è di origine araba.

Danilo Zolo, Gianni Vattimo, Edoardo Sanguineti Franco Cardini, Marino Badiale, Alessandra Persichetti Giovanni Bacciardi, Bruno Bellerate, Rodolfo Calpini Costanzo Preve, Gilad Atzmon, Ferruccio Andolfi, Domenico Losurdo, Ugo Giannangeli Giuseppe Pelazza, Aldo Bernardini Vainer Burani, Piero Fumarola, Ornella Terracini


La risposta di Magdi Allam , Corsera, 11 novembre 2007

A me sorprende la spregiudicatezza con cui si nega un'opinione che è stata affermata in modo manifesto e inequivocabile. Come si può scrivere nell'Appello, cito testualmente, «embargo genocida» e «campi di concentramento nazisti» riferendosi alla situazione di Gaza, chiedere al governo Prodi di legittimare il gruppo terrorista Hamas messo al bando dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti, e poi negare di aver paragonato Israele al nazismo e di essere schierati dalla parte di chi predica e pratica la distruzione di Israele. Questa si chiama mistificazione dei fatti e dissimulazione della verità.

Magdi Allam



1


Archivio blog