Arcipelago Napoli: un cantiere per parlarsi*
Giovanni Laino e Andrea Morniroli
Le condizioni di chi vive a Napoli e nella sua conurbazione sono certamente particolari ma, allo stesso tempo, esemplari di quelle in cui vivono gli abitanti delle grandi città in questi anni. Come dicono noti analisti «siamo in una condizione di frammentazione e molecolarizzazione sociale».
La condizione in cui viviamo può essere rappresentata come una insieme, senza confini, di costellazioni di minoranze, spesso incapaci di parlarsi ma, anzi, diffidenti e astiose l’una con l’altra.
La società tende a polarizzarsi, dando certo più spazio all’individuo che però, sempre più solo e insicuro, se la cava nella misura in cui è garantito, in termini di patrimonio di beni, di relazioni, di istruzione, di opportunità e competenze nell’abitare le reti. In assenza di tali garanzie, la persona immediatamente e cinicamente viene spinta in processi duri di esclusione e marginalità, dove ogni appiglio e opportunità sono negate, con una conseguente produzione e diffusione di povertà vecchie e nuove. Questo senza negare che molti altri stanno meglio dei loro padri, producendo meno di quello che consumano.
Viviamo, in generale, una forte crisi del legame sociale. Fra tensione alla sicurezza e anelito di libertà, cerchiamo ogni giorno mediazioni soddisfacenti ma sempre precarie e contraddittorie. Quelli che scelgono di vivere e di impegnarsi più spesso ambiti pubblici, con ruoli in attività di interesse pubblico – sia quando frequentano organizzazioni tradizionali o associazioni autopromosse – hanno difficoltà non solo rispetto ai responsabili dei diversi livelli di governo ma, anche, rispetto ai propri simili e affini. Anche nelle reti più piccole la coesione prima o poi fa problema. La necessità di porre distinguo, affermare differenze, è più forte del fare massa critica, dell’associare risorse. Certo, il vizio dell’autoreferenzialità è molto diffuso: spesso le persone sono tanto impegnate quanto condizionate dal narcisismo, ma non è solo questo. Siamo protagonisti e testimoni di fenomeni più ampi e radicali come quello che Giddens chiama “decontestualizzazione”. Risultano inidonei luoghi e forme del fare e dello stare in pubblico senza trovarne altri che consentano di vivere le aggregazioni delle quali pure sentiamo il bisogno.
A Napoli serpeggia un qualche spirito individualistico che testimonia inequivocabilmente il fatto che, qui, Napoleone o i capi della Riforma protestante non hanno mai fatto scuola. D’altra parte le spiegazioni che fanno appello solo alle buone intenzioni, auspicando una capacità di mettersi insieme, raccogliendo le reti in un’unica grande rete, magari della “società civile” o dell’antagonismo sociale e politico, non colgono la profondità della dispersione: il trovarsi in una condizione di arcipelago per Napoli non è una situazione solo congiunturale. Si può ipotizzare che, anche in questa frontiera fra Nord e Sud, stiamo facendo esperienza di un nuovo disagio della civiltà. Constatiamo un mutamento che interessa le radici profonde del nostro essere e, senza sfiduciarsi, dobbiamo riconoscere che i saperi che nel Novecento hanno promesso grandi spiegazioni rassicuranti, unitarie e risolutive oggi non sono adeguati.
Naturalmente resta la rilevanza della politica (e delle politiche) che non può proporsi come alternativa ai mondi vitali delle variegate forme di cittadinanza attiva e di autopromozione sociale. Come, d’altra parte, pur ribadendo una distinzione molto profonda, queste tracce di comunità di pratiche non sono, né possono essere, non connesse ai processi decisionali della città. Altrimenti si diffonde un altro grande disagio che già viviamo: una diffusa inconcludenza coperta da frenetico attivismo.
Per ragionare su questi temi e provare a trovare possibili percorsi comuni e condivisi, la rivista Carta e l’Associazione Cantieri Sociali, in collaborazione con un gruppo di persone che abitano e vivono la realtà napoletana, ha promosso e organizzato un cantiere sociale su Napoli per i giorni 9 e 10 febbraio (vedi programma http://cantieresocialenapoli.blogspot.com/).
Il cantiere vuole essere un’opportunità di confronto, aperta a tutte e tutti, non tradizionale dal punto di vista della liturgia convegnistica, che in primis si pone l’obiettivo di costruire ponti tra tanti modi di vivere e pensare a una città diversa. Tutto questo nella consapevolezza che siamo in una condizione costitutivamente plurale; che quotidianamente dobbiamo fare i conti con diverse fonti di conflitto; che, specialmente a Napoli e nella sua provincia, in modo spesso ambiguo, convivono perle e pirati, fiori e letame, esperienze che sono o possono essere di eccellenza accanto a mediocrità che producono sfiducia, generano afasia.
L’ambiguità abita il nostro vivere in modo non occasionale e, quindi, non è possibile operare facili semplificazioni e riduzioni. L’estremismo delle risposte non può essere considerato più un soddisfacente trattamento della radicalità delle domande. In altre parole, occorre avere il coraggio di ammettere che, in molti casi, non basta né è idonea, la scelta fra un si o un no ma è indispensabile documentarsi, discutere, confliggere sul come, dove, quando, ammettendo anche di abitare il dubbio.
Per favorire il confronto e la contaminazione tra approcci e visioni differenti, sono state individuate alcune parole chiave, trasversali a ogni tema: cittadinanza sociale; essere, stare, fare pubblico; lavorare in comune, misurarsi con le solitudini. Gli argomenti dovrebbero essere affrontati a partire dalla propria esperienza, provando a ragionare e far ragionare su come, p.e., le esperienze di Nuovo Municipio, delle lotte per l’acqua pubblica, per la pace, per superare la precarietà del lavoro e dell’abitare, per i diritti individuali e collettivi, possano connettersi, necessarie le une alle altre, nell’immaginare un’altra città. Un approccio trasversale, che utilizzi i saperi e le esperienze di ognuno, in un tentativo di crescita utile a tutte e tutti.
I temi del cantiere sono frutto di un percorso condiviso da un gruppo di persone che ne sono promotori, proponendoli come nodi critici, domande aperte, a cui tutti quelli che parteciperanno potranno contribuire, allargando e approfondendo gli orizzonti. Anche per questo, con gli altri promotori, auspichiamo che il Cantiere si configuri non come la conclusione di un percorso, ma come tappa di un processo per la costruzione di uno spazio di confronto, partecipato e libero.
* La Repubblica Napoli di oggi (7/feb) pubblica un articolo di cui questo testo costituisce una versione più ampia
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18 febbraio 2008
Arcipelago Napoli: un Cantiere per parlarsi
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