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8 luglio 2008

Perchè avete fermato solo gli stranieri ?

Roma - C´è pure la televisione, per raccontare come la gioventù romana
si diverte a Trastevere il venerdì sera. L´ora dell´aperitivo. Le vie
attorno a piazza Trilussa gremite di persone. Cinque o sei bancarelle
di
venditori ambulanti. Un ragazzo ha appena regalato un paio di orecchini
alla sua fidanzata. Le sirene della polizia colgono tutti di sorpresa.
Non è un semplice controllo: tre macchine e una camionetta vuota che ha
tutta l´impressione di dover essere riempita. È la prima operazione
contro i venditori ambulanti dopo l´entrata in vigore del decreto
sicurezza, che amplia i poteri per i sindaci in materia di ordine
pubblico. Mi fermo ad osservare, come molti altri.. Non è curiosità, la
mia. È un istinto di controllo..
I poliziotti iniziano a sbaraccare i banchetti. Via la merce, raccolta
sommariamente nei lenzuoli su cui era disposta. Un agente tiene un
indiano stretto per il braccio, mentre dal suo viso trapela tutto, la
paura, la rassegnazione, fuorché l´istinto di scappare. È ammutolito.
Un
donnone africano, del Togo, è invece molto più loquace. Se la prende
quando l´agente raccoglie violentemente i lembi del telo a cui erano
appoggiati gli orecchini e le collane che vendeva. «fammi mettere nella
borsa, almeno!» dice all´agente. «Non scappo, non ti preoccupare, ecco
il mio permesso di soggiorno». «Ma perché tutto questo? - dice - non
stavo facendo nulla di male». All´agente scappa un sorriso, forse un
po´
amaro: «è il mio lavoro». Poi la donna incalza: «conosco la nuova
legge.
Ora mi fate 5.000 euro di multa. Ma perché non ci date un modo di fare
questo lavoro regolarmente?» Nessuna risposta dall´agente, che se ne va
e lascia il
posto ad un collega, molto meno accomodante. «E muoviti, su!», dice
senza accennare ad aiutarla a trasportare le sue cose. Lei, con lo
stesso sorriso sul volto, chiude la valigia arancione e con le mani
occupate dice «dove andiamo, di qua?», mascherando con l´orgoglio la
paura che in fondo in fondo le sta crescendo. Mantiene l´ironia però,
quando mi avvicino e le chiedo da dove viene. «Da Napoli, bella Napoli,
vero?», e intanto, mentre mi svela le sue vere origini africane, si
toglie gli orecchini: «questa bigiotteria non mi serve più, stasera».
Due metri più distante due ragazzini italiani, con il loro banchetto in
tutto e per tutto uguale agli altri. Devono sbaraccare anche loro, ma
gli agenti usano maniere molto più educate. Non li tengono per le
braccia, non gli ammassano la merce. La ragazza raduna le poche cose
che
avevano in vendita. Lui è allibito, terrorizzato, e inizia a parlare
nervosamente: «ve lo giuro, è la prima volta che vengo, lasciatemi
andare». «Se prendiamo loro dobbiamo prendere anche voi», risponde un
agente. Ma alla fine non sarà così. Il ragazzo si dispera, «sono di
Roma, non posso credere che mi trattiate allo stesso modo che a quelli
lì». Evidentemente è un discorso convincente. Si avvicina un signore in
borghese che è lì a dirigere l´intera operazione. «Dottò, Capitano,
Maresciallo, giuro che non lo farò mai più...». Si sbraccia, sembra un
bambino appena messo in punizione dalla mamma. L´uomo in borghese si
mostra irremovibile, ma si capisce
subito che vuole solo dargli una lezione, e appena gli altri fermati -
7
persone, tutte straniere - non sono più a vista, lo lascia andare.
A operazione conclusa vado dal signore in borghese, mi presento, «sono
un giornalista e ho assistito alla scena. Perché avete fermato solo gli
stranieri?», chiedo. La risposta è eloquente. «Portatelo via,
identificatelo, e controllate - aggiunge guardandomi negli occhi -
perché ha l´alito che puzza di birra». Già, la birra che stavo bevendo
prima, e che mi è andata di traverso con tutto quello che succedeva.
Per
fortuna non è ancora reato, comunque.
Mi portano in due verso il ducato dove sono radunati gli stranieri,
tenendomi strette le mani sulle braccia. Non mi era mai successo,
prima,
ed è una sensazione davvero sgradevole. «Questo per adesso è
nell´elenco
dei fermati» dice l´uomo alla mia destra, anche lui in borghese, ad un
collega. Spalle alla camionetta, mani fuori dalle tasche, cellulare
sequestrato. «Perché avete fermato solo gli stranieri?». L´uomo con la
polo rosa, quello che mi stringeva da destra, mi risponde, anche se -
dice - non sarebbe tenuto: «perché questi sono tutti irregolari».
Balle,
ho visto con i miei occhi la donna togolese dare il proprio permesso di
soggiorno al poliziotto, prima. Ma non mi aspettavo certo una risposta
veritiera. «Certo che non avevi proprio nient´altro di meglio da fare»,
dice con sprezzo uno degli agenti. «Ho fatto una domanda, voglio una
risposta». L´uomo in rosa, che ha la mia carta d´identità e sta
scandendo il mio nome
per radio si gira verso di me, «hai finito di parlare?» grida. A quanto
pare anche rispondere alle domande costituisce un grave errore, e
infatti un terzo poliziotto, defilato fino a poco prima si indirizza a
me dicendo «guarda che a fare così peggiori solo la tua situazione».
Chiedo di sapere i loro nomi e gradi, come avevo fatto già con l´uomo
in
borghese al principio, convinto che per legge sia un loro dovere
identificarsi. Un altro poliziotto - ma quanti ne ho attorno, quattro,
cinque? - mi da la sua versione della legge. «Vedi qual è la
differenza,
è che io posso chiederti come ti chiami e tu non puoi chiedermi niente,
chi comanda sono io». Un suo collega aggiunge: «certo, se lo vuoi
mettere per iscritto è diverso, ma non te lo consiglio, la cosa si
farebbe piuttosto scomoda». La minaccia mancava, in effetti. Interrompe
la discussione l´uomo in rosa.. «Luca!», e con la mano mi fa cenno di
andare da lui. «Vuoi andare?»
«Voglio una risposta alla mia domanda», insisto. «Non hai capito - si
spiega - hai voglia di chiuderla qui questa storia o no?». «Non sono
stupido, so quello che mi sta dicendo, ma io voglio la mia risposta».
Mi
accompagna lontano dal furgone, in piazza Trilussa. Davanti a me l´uomo
che comanda l´operazione, quello dell´alito puzzolente. Mi chiedo se
tornare da lui, ma mi rendo conto che nel gioco del muro contro muro il
suo è molto più duro. Aspetto ancora in piazza, osservo l´operazione
concludersi, fino all´istante i cui gli immigrati vengono caricati sul
furgone che si mischia al traffico del lungotevere. Non c´è altro da
fare, questa sera, se non raccontare in giro quello che ho visto.
Questa
triste deriva, quest´inverno italiano che avanza. Oggi inizia l´estate.
Evviva.
(21 giugno 2008)

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