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9 luglio 2008

L’inceneritore a Napoli non serve

L’inceneritore a Napoli non serve
Giovanni Laino

Mi occupo della crisi dei rifiuti da quando nel 2002 ho consigliato una allieva a fare una tesi di dottorato in Urbanistica e Pianificazione, discussa nel 2006. Ho poi approfondito scrivendo sul tema quattro diversi articoli su riviste accademiche. Dico questo solo per evitare di alimentare il clima dell’approssimazione. Senza escludere dubbi e domande ancora aperte, ho maturato una posizione non oltranzista. L’insieme della vicenda rivela dal punto di vista della teoria della pianificazione che è necessario assumere una razionalità plurale, ibrida e contingente, responsabile e accurata.
E’ necessario entrare nel merito e confrontarsi, assumendo bene ciascuno le proprie responsabilità, trattando approfonditamente la questione del come: quale discarica o inceneritore, come gestiti, con quali garanzie ? Sono convinto che deve prevalere la ragionevolezza e quindi non sostenere che in ogni modo la discarica o l’inceneritore siano un male da evitare.
Come è scritto negli atti della Commissione parlamentare di inchiesta, si può sostenere che in quattordici anni a Napoli un vero commissariato non c’è stato. Solo con l’ultimo Decreto, n.90 del 23 Maggio 2008, il Governo ha deciso di forzare la mano, ponendo seriamente il problema che i giuristi definiscono dello “stato di eccezione”, la legittimazione di condotte che superino i normali limiti di legge, costituendo un tempo e un luogo ove, per legge, si può non rispettare la Legge.
Si tratta di una questione molto seria che ha smosso Magistrati oltre che esponenti di rilievo della classe pubblica, non solo locale. Leggendo quel decreto ho avuto la sensazione che fosse stato scritto con la consulenza degli ultimi Commissari che hanno messo in evidenza tutte le fonti di inerzia che avevano impedito prima di risolvere la crisi: catalogazione dei rifiuti da poter sversare nelle discariche, rispetto dei protocolli per la normativa ambientale, concentrazione vera del potere di decidere nelle mani del Governo, cui il Sottosegretario può rivolgersi per scelte definitive.
Quel decreto, come forse inevitabilmente ogni norma, contiene però anche scelte con un carattere più simbolico che effettuale. Se il Legislatore insieme alle autorità locali è convinto di voler e poter completare l’inceneritore di Acerra, che avrà grandi capacità di combustione, realizzando in parallelo quelli localizzati a Salerno e – quello evidentemente più problematico - a Santa Maria La Fossa, l’annuncio di un inceneritore a Napoli ha solo il valore di comunicare alle popolazioni degli altri siti, l’intenzione di ripartire i carichi e i fastidi, dando un segnale che anche la popolazione napoletana si assume il sacrificio dello smaltimento dei rifiuti che produce.
Posso sbagliare ma credo che anche nei responsabili dei vertici istituzionali serpeggia il dubbio sulla fattibilità e sulla realizzazione di un inceneritore in città che, personalmente credo non si farà. La responsabilità dei napoletani va messa a fuoco ma puntando da subito su una credibile e diffusa raccolta differenziata che non è alternativa al ciclo industriale. Per come è fatto il territorio e per come è distribuita la popolazione la scelta della legge regionale di provincializzare per intero il ciclo dei rifiuti è un errore. La giusta ricerca di un governo equo passa per la richiesta alle diverse comunità di fare al massimo quello che possono fare, evitando squilibri ingiusti. E’ ormai evidente che quello che pesa è la sfiducia che le popolazioni hanno verso i vertici istituzionali. Ma anche se i simboli contano, puntare su scelte che hanno effetto nel breve periodo ma non sono credibili e soprattutto ragionevoli risulta poi perdente. Il contributo principale che Napoli e i comuni della Provincia possono e devono dare è quello di ridurre la quantità di rifiuti da sversare in discarica e della parte da incenerire. Proporsi di costruire un piccolo inceneritore modello in città rischia solo di accrescere la lista già lunga di progetti non conclusi, diminuendo la fiducia nelle capacità di governo, che è già molto scarsa.

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