Da settimane ne chattano in internet, su un blog dove ciascuno ha messo la sua foto da solo, in coppia o in tre come Daniela, Eleonora e Francesca, universitarie fuorisede. Clicchi e parte il filmato, stile YouTube. Da Milano arriva la nuova tendenza: trovare persone affini, per acquistare l'appartamento e creare una comunità. Grazie al web [di MAURIZIO BONO - La Repubblica]
Da settimane ne chattano in internet, su un blog dove ciascuno ha messo la sua foto da solo, in coppia o in tre come Daniela, Eleonora e Francesca, universitarie fuorisede. Clicchi e parte il filmato, stile YouTube. Storie di chi dalla vita quotidiana in città vorrebbe un po' di più, e non si rassegna.
Le studentesse dividono già casa, e si trovano bene, ma fuori la città è difficile, tenere le distanze è un abito, sarebbe bello stare vicino a gente disponibile, come loro, a dare un aiuto agli altri e chiedere aiuto quando serve. Ruggiero invece vive coi suoi e vorrebbe indipendenza, ma anche una specie di famiglia allargata perché fa più allegria. Enrico, film maker, trova che la metropoli frantuma le esperienze, ci vorrebbe più socialità.
La designer la butta un po' sul tecnico e parla degli spazi condivisi come in Olanda, l'insegnante riflette su quanto si spreca se non si mette in comune almeno l'auto, la spesa, anche il bucato, perché no, con quello che inquinano i detersivi.
Si sono ascoltati l'un l'altro in rete, si sono scritti e-mail, poi il gran passo: mercoledì tutti insieme, in un bar accogliente per l'aperitivo e per capire faccia a faccia, Chiara dice "a pelle", se vivere insieme potrà funzionare. Arrivano in 50 e si parla di sala da pranzo collettiva, e biblioteca. Nicoletta, che è col marito Gaetano, esita un po' - è pieno di single - ma quando entra una coppia trentenne che ha un'etichetta discografica di musica elettronica e un bambino nel passeggino, butta lì: che ne dite di un nido? Tutti d'accordo, come sulla spesa grossa da fare in gruppo e forse anche su un orto, ma di questo si riparlerà.
Una volta si chiamava comune, ed era un terno al lotto (chi si ricorda il film olandese Together?).
Ora si dice cohousing ed è quasi una scienza: scegliersi "prima" i vicini di casa affini, per mettere su insieme una comunità affiatata, con valori condivisi e comodità che non si possono comprare coi soldi. Come farsi prestare lo zucchero, darsi una mano a tenere a turno bambini la sera, mettere a disposizione l'un l'altro le capacità ("Scusate, ma non ci sarebbe un idraulico?"). O anche solo salutarsi in ascensore.
I ragazzi di "Residance" - si chiama così il cohousing in affitto che se tutto va bene costruiranno in un paio d'anni alla Bovisa, periferia innovativa di Milano - sono la punta d'un iceberg. Di progetti con lo stesso spirito ce ne sono in piedi 7 e il primo sarà finito a marzo (una palazzina in condominio in via Ripamonti, "Cosicoh"). I cohousers variano per età, dai ventenni ai formidabili sessantenni che stanno scegliendosi per andare ad abitare in una villa nel verde vicino a Biella (progetto "Acquarius", hanno l'età per ricordarsi il musical): loro condivideranno un campo di golf lì a due passi, tanti salottini per stare in compagnia, miniappartamenti per stare in libertà e un centro medico perché non si sa mai.
Poi ci sono le famiglie sui 40 e i single per vocazione o di ritorno, che ristrutturano una cascina con filanda nel parco del Ticino (hinterland miracolosamente ancora verde) per usare la corte come ludoteca all'aperto e le cantine per gli acquisti solidali di gruppo. Infine gli ecologisti spinti che sognano (molto concretamente) di abitare un palazzo di cinque piani che ha accanto una gigantesca clessidra di tubi d'acciaio e plastica trasparente, collegata con passerelle coperte a ogni piano. Dentro, coltivazioni idoponiche e in terra di alberi da frutto, verdura e fiori da consumare fresca in piena metropoli.
Si chiamerà "Urban farm", il progetto c'è già e l'ha fatto l'architetto Bruno Viganò studiando l'arca che alla Columbia University stanno usando per testare un habitat autosufficiente adatto a Marte.
Milano non è proprio Marte ma può dare gli stessi sintomi: aria poco respirabile e vita sociale a tolleranza zero. Così se chiedi come mai il rinascimento del cohousing oggi sia così massicciamente milanese, ti dicono che qui ce n'è più bisogno, e infatti una ricerca del Politecnico che ha dato inizio a tutto, nel 2005, su 3000 intervistati selezionati per età (media) e cultura (alta) aveva identificato una disponibilità all'impresa di quasi il 50%.
L'altra ragione però è che dietro al movimento delle nuove comuni c'è anche un nuovo stile, che porta l'impronta di una "agenzia per l'innovazione sociale" (Innosence, nata come gestore di fondi etici) e del dipartimento Indaco del Politecnico di Milano (Innovazione per la sostenibilità). Sono loro a fiancheggiare discretamente gli autorganizzati del cohousing fornendo un protocollo apparentemente complicato (dal primo incontro alla carta delle regole di ogni comunità) che finora ha sempre evitato equivoci e liti da comuni d'antan.
Qualcosa, almeno nel caso degli affitti calmierati per Residance, ce lo mette perfino il Comune, anche se quasi nessuno lo sa, la giunta preferisce propagandare la sua faccia feroce dei blitz contro gli immigrati. Ma così piano piano un pezzetto speciale di città si trova, si sceglie e va a vivere insieme. E chissà, anche per la manciata di comuni pioniere sopravvissute e per una dozzina di cohousing solitari potrebbe essere la svolta.
Articolo di MAURIZIO BONO - La Repubblica del 5 Luglio 2008
Tratto da: http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/vicini-di-casa/vicini-di-casa/vicini-di-casa.html