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21 luglio 2008

Nuove fragilità sociali

Reggio Emilia - presentato il 14° volume di "Strumenti', dedicato alle nuove fragilità sociali e alle azioni per affrontarle.

La fragilità ‘invisibile’, quella che si nota meno e prende in contropiede, che affiora dove gli stereotipi del senso comune non la prevedono. Una vulnerabilità nuova e sempre più diffusa, quotidiana e sommersa, che va oltre le nuove povertà (dall’emarginazione alla tossicodipendenza) e le vecchie (ma sempre attuali) povertà materiali, è trasversale alle fasce sociali e alle condizioni oggettive di vita. Alimentata dalla frammentazione e dall’instabilità tipiche della società ‘liquida’ di Zygmunt Bauman, è una povertà prima di tutto di relazioni, originata dall’assenza o dalla perdita di legami, di rapporti vitali.

“È emersa una drammatica povertà relazionale, una frantumazione dei legami che diffonde la sensazione di essere nel vuoto. Anche la crescente difficoltà a manifestare i bisogni relazionali, in una realtà sociale divenuta sempre più competitiva, rende difficile riconoscerli e manifestarli: oggi esprimere un dolore è molto difficile (anche quello di chi fa una vita normale e incappa in una delusione)”.

Lo scrivono Vanna Iori, responsabilità dell’Osservatorio permanente sulle famiglie del Comune di Reggio e docente di Pedagogia generale e della famiglia all’Università Cattolica (sede di Piacenza) e Marita Rampazi, docente di Sociologia generale all’Università di Pavia: sono autrici del 14° volume della collana Strumenti dedicato a Nuove fragilità e lavoro di cura, edito dal Comune di Reggio e dall’Osservatorio sulle famiglie.

“Da questo lavoro – ha detto oggi il sindaco Graziano Delrio, presentando il volume alla stampa e agli operatori sociali reggiani – emergono alcune indicazioni assai utili per orientare la nostra azione politica e amministrativa, a cominciare dall’organizzazione dei Servizi sociali. I ricercatori ci dicono quanto sia importante un rapporto empatico e di rete fra operatori e persone, per colmare sempre più le distanze e condividere quelle situazioni di nuova fragilità e solitudine che si delineano, per sviluppare la nostra capacità di orientamento verso giovani, anziani e famiglie. Un lavoro che i Poli territoriali già svolgono ampiamente e possono svolgere ora con sempre maggiore fiducia, grazie a queste indicazioni di ricerca”.

“Lo studio – ha proseguito Delrio – sottolinea fra l’altro l’importanza di creare luoghi di relazione, credo che il nostro impegno nella riqualificazione di Ville, quartieri, spazi pubblici sia una risposta, quanto la collaborazione fra Comune e privato sociale per un tessuto sociale sempre più fondata su valori comuni”.

Per l’assessore alle Pari opportunità e Diritti di cittadinanza, Gina Pedroni, “è evidente il ruolo sempre più accentuato delle comunità come ‘sentinelle’ delle nuove fragilità, un ruolo fondamentale, che fra l’altro può anticipare situazioni di emergenza. Nello sviluppo di questa rete di ascolto, prevenzione e intervento le nostre agenzie, dai Poli territoriali a Fcr, ai Nidi e Scuole d’infanzia, sono fortemente impegnate. Ci troviamo sempre più di fronte a un lavoro di ‘interpretazione’ delle persone, ben delineato in questo numero di Strumenti, che infatti si occupa non di elaborazione di pur importanti dati statistici, ma di riflessioni e indicazioni tratte da storie di vita, storie di persone”.

UTILITA’ PER GLI OPERATORI – in particolare agli operatori sociali si rivolgono Iori e Rampazi, quando suggeriscono un modo sempre più aggiornato di leggere e relazionarsi con la complessità sociale contemporanea. Un metodo fra l’altro già ampiamente seguito e vissuto dai Poli territoriali. “Il contesto delle nuove precarietà e della difficoltà, da parte degli operatori, ad individuare strategie idonee ai grandi cambiamenti in atto nei bisogni e nelle richieste – ha spiegato fra l’altro Vanna Iori – rende necessario lavorare con lo sguardo alla complessità… La complessità richiede che si potenzino forme di collaborazione tra i Servizi: è necessario costruire storie di cooperazione tra i vari componenti della rete. È quindi importante proseguire un percorso con le persone, altrimenti è come se venisse intercettato un segmento e si perdesse l’interezza della storia di una vita e il suo senso... ”.

Si pone quindi “la necessità improrogabile di uscire da una logica puramente assistenzialistica, dovuta al fatto che i poveri oggi sono le famiglie normali. Per individuare quali strategie di lavoro sociale, educativo, sanitario sia possibile attivare, occorre che i servizi abbiano la capacità di affrontare queste sfide con uno sguardo ampio. Saper vedere significa andare oltre le informazioni quantificanti (che pure sono necessarie), e saper superare la barriera dell’ovvietà (…). Davanti alle fragilità latenti sono infatti indispensabili competenze diverse da quelle tradizionali. Un progetto antiesclusione deve quindi muoversi nella prospettiva di apertura al futuro: far leva sul poter essere, ossia sulle possibilità del singolo individuo. Appare evidente che non è pensabile un servizio per intercettare il rischio, ma occorrerà sempre più pensare a figure di operatori sociali (professionisti e volontari, preferibilmente in collaborazione tra loro) per orientare ogni persona in condizione di precarietà esistenziale a trovare una risposta efficace per sé. Nei percorsi di inclusione-esclusione occorre inoltre una nuova consapevolezza dei vissuti, poiché questa è una competenza professionale degli operatori sempre più indispensabile”.

SERVE CREARE RETI E LAVORARE IN RETE – Le testimonianze che si rincorrono tra loro in molte interviste mostrano chiare indicazioni di lavoro: condividere, ascoltare, costruire storie, responsabilità, accompagnamento, cura delle relazioni, tempo, prossimità solidale, corresponsabilità, co¬-progettualità, valorizzazione delle risorse latenti, ristrutturazione della situazione, alleanza paritaria costruttiva, creazione di micro contesti di accoglienza, riacquisizione di autostima e di fiducia, creazioni di servizi ponte con i servizi istituzionali, più strutturati e rigidi”.

SOLITUDINE E ASCOLTO – Un punto centrale emerso dalla ricerca è la solitudine del soggetto di fronte a difficoltà impreviste e a quelle quotidiane. “Il primo supporto relazionale è quello familiare: chi vive al di fuori di una rete relazionale familiare ha una minore possibilità di attivare anche le sue risorse. Se fino a qualche anno fa la famiglia aveva a disposizione molte più reti, oggi i nuclei sono sempre più frammentati, e questo è un aspetto che non può essere ignorato nella formazione e nella progettazione dei Servizi. Una mamma sola che non riesce ad andare alla riunione esprime una situazione di fragilità e viene privata di un’occasione di confronto, di scambio con altri genitori. L’ascolto deve essere capace di cogliere i segnali che rappresentano una dimensione di fragilità (anche nell’apparente normalità) e che si possono manifestare in contesti diversi da quelli dei Servizi, nei luoghi formali e informali, nelle sedi territoriali che già svolgono la funzione di luoghi di incontro. Lì si dovrebbe cominciare a pensare di non lasciare quelle situazioni che possono andare alla deriva”.

RESPONSABILITA’ – “L’ascolto deve accompagnarsi all’assunzione di responsabilità per attivare o costruire relazioni. Esistono problematiche delle singole persone riguardanti più Servizi e che devono essere affrontate con una condivisione. Un esempio: la graduatoria delle case popolari riguarda tutte le persone che hanno una situazione economica difficile; ma quando si esamina il singolo caso si scoprono altre situazioni (chi fa la richiesta può avere anche un problema lavorativo, può essere una madre sola con figli, ecc.); quindi da una situazione specifica si passa a una situazione che deve essere affrontata in modo condiviso; il singolo problema è sempre legato al contesto. Il pronto soccorso, altro esempio, si trova di fronte a richieste che non riguardano più solo l’emergenza sanitaria; per alcune famiglie che non possono contare su altre risorse o aiuti (soprattutto quelle prive di reti relazionali di sostegno) è il luogo in cui rivolgersi per problematiche quotidiane, come quando non si sa come interpretare il pianto di un bambino o un semplice arrossamento della cute viene scambiato per malattia esantematica.
È importante che più Servizi assumano la responsabilità condivisa di individuare la strategia migliore per risolvere il problema non solo a livello individuale ma riconoscendo che ognuno ha una parte di responsabilità. Un problema deve essere socializzato perché possa essere preso in carico da soggetti e servizi sociali, educativi e sanitari. Oggi il lavoro sociale richiede alleanze, è necessario mettere insieme diverse visioni”.

IL QUADRO – Vi sono gli anziani – spiegano Iori e Rampazi – particolarmente esposti a criticità economiche, relazionali, di salute. Abbiamo, poi, gli immigrati, che devono talvolta assoggettarsi a “contratti-capestro” per lavorare, faticare per trovare un alloggio, imparare la lingua, riuscire a convivere con una cultura “altra” e con la nostalgia per la famiglia lontana, facendosi accettare dalla comunità in cui vivono e lavorano. Analogamente, si sa che le donne, quando restano da sole a crescere i figli, devono affrontare difficoltà di ogni genere. Talvolta, le difficoltà sembrano insormontabili, soprattutto se la condizione di madre sola si intreccia con quella di persona lontana dal proprio luogo d’origine, dal sostegno delle famiglie, dalla propria consolidata rete amicale. Sappiamo, altresì, che malati, disabili, tossicodipendenti sono tutti soggetti a rischio, tradizionalmente al centro dell’attenzione dei Servizi”.

Queste categorie sono le maggiormente a rischio. Ma possono essere, per le ricercatrici, solo la punta dell’iceberg, la parte emergente di una zona nascosta della fragilità, molto più estesa di quanto si pensi normalmente. Lo fa, ad esempio, rilevare chi conosce da vicino le difficoltà economiche di molte famiglie “normali”, progressivamente impoverite dalla perdita del potere d’acquisto di salari e stipendi, che spesso non riescono ad affrontare i normali imprevisti del ménage, se non godono di un forte sostegno da parte della rete parentale. Molti rischiano di perdere la propria casa, abbandonare il quartiere, rinunciare ai progetti per il futuro dei figli e all’immagine di decoro, faticosamente costruita negli anni. Indipendentemente dalle ragioni oggettive che giustificano le difficoltà economiche, sembra comunque di cogliere, nei suggerimenti di molti intervistati, un problema più generale: nella nostra società, si profila una criticità crescente nei rapporti delle persone con il denaro. Tendenza a “fare il passo più lungo della gamba”, incapacità di dire di no ai figli, anche quando si tratta di pretese molto onerose, difficoltà nell’adeguare le attese circa il proprio tenore di vita alla reale situazione che si prospetta. Nel lungo periodo, ciò può generare un logoramento delle relazioni familiari, suscettibile di portare, prima o poi, alla disgregazione del nucleo.

Di vulnerabilità diffusa parlano anche coloro che vedono il disagio di quanti – soprattutto giovani – non riescono a trovare un’occupazione stabile e coerente con le proprie capacità, esigenze, aspirazioni; o che suggeriscono di considerare la sofferenza relazionale nel luogo di lavoro, in particolare, le pratiche di mobbing, come un vero e proprio problema sociale.

C’è, poi, un’area di fragilità nascosta che mette a rischio la tenuta delle famiglie, non solo quando accade un evento imprevisto, di particolare gravità – quali morte o malattia di un membro del nucleo, perdita del lavoro da parte del capofamiglia, brusco rialzo del tasso dei mutui sulla casa – ma anche quando si deve affrontare la ridefinizione degli equilibri interni, in coincidenza con i normali passaggi della vita familiare. Nelle giovani famiglie, in particolare, la nascita di un bimbo si configura sempre più come un momento di grande tensione per il legame di coppia. Le madri, soprattutto, rischiano di non riuscire a superare la normale depressione puerperale, alle prese con nuove limitazioni della propria libertà, con familiari troppo invasivi o troppo assenti e con dei partner che sembrano sottovalutare la loro fatica, pretendendo da esse le stesse attenzioni e la stessa presenza di prima.

tratto da bologna2000.com

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