IL TERRIBILE E’ GIA’ ACCADUTO. ITALIA: L’ANIMA VENDUTA E LA PAROLA - RUBATA. A "REGIME LEGGERO", FINO ALLA CATASTROFE ...
DOMANDE AGLI STORICI (CATTOLICI E NON) DI DAVID BIDUSSA. DOPO 14 ANNI DI BERLUSCONISMO SOSTENUTO DAL VATICANO, DALLA CEI E DAGLI ORGANI DI STAMPA CATTOLICA, SIAMO ARRIVATI ALLE IMPRONTE AI ROM. NON E’ IL CASO DI SVEGLIARSI DAL SONNO DOGMATICO E RISPONDERE "SENZA FARE LE SPALLUCCE"?!
a cura di Federico La Sala giovedì 10 luglio 2008.
David Bidussa Impronte ai Rom. La lezione della storia
in "il Secolo XIX", 9 luglio 2008, p. 23
Perché, a proposito delle impronte digitali all’accusa di razzismo, nessuno
risponde, come se fosse un dettaglio irrilevante? Eppure chi esprime
quest’opinione, quando interviene su altre questioni suscita attenzione e
rispetto. Chi infatti usa il termine razzismo non è un esaltato estremista, sono:
la Conferenza Episcopale Italiana, il settimanale "Famiglia cristiana", il
quotidiano "Avvenire", infine la Comunità di Sant’Egidio. Tutti a sottolineare
come il vocabolario politico, le espressioni usate, l’ambiguità e la doppiezza
del linguaggio ripropongano gli stessi dati presenti nell’Italia del 1938
all’avvio della campagna per il varo delle leggi razziali.
Perché nessuno si prende la briga di smentire o di replicare e allo stesso
tempo perché nessuno si scandalizza? Perché il paragone con il 1938 non fa
problema?. E che cosa significa riflettere sui diritti oggi in Italia?
Me lo chiedo da storico, perché vorrei capire e riflettere sulla realtà culturale del Paese in
cui viviamo. E da storico mi sembra che il fenomeno più rilevante che ci
troviamo di fronte in questi giorni non sia il provvedimento annunciato dal
ministro, ma la sostanziale indifferenza che lo accompagna.
Mi sembra che
ciò avvenga per quattro ragioni, due specifiche e due generali. Quelle
specifiche riguardano la memoria del 1938, mentre quelle generali chiamano
in causa la natura della politica nell’Italia attuale.
Ovvero:
1) Se è vero che il linguaggio è lo stesso nel 1938, l’opinione pubblica ritiene
che allora furono espulsi cittadini appartenenti e riconosciuti nella nazione
italiana, mentre oggi non sarebbe così. Così quando si parla dei Rom, che
pure anche allora come gli ebrei subirono la stessa discriminazione ed
esclusione, si ha la sensazione non di escludere qualcuno che c’è, ma di fare
barriera nei confronti di qualcuno che vuole godere diritti di cui non ha diritto.
2) E’ probabile che il 1938 oggi non sia più una data collettiva, ma ne
rappresenti una archeologica: ovvero rinvii a una questione non di diritti
violati, ma di nazione divisa oggi percepita invece come ricomposta. Da
questo lato alle orecchie di molti l’esempio 1938 probabilmente è una realtà
considerata non solo chiusa ma sanata, perché percepita solo come un
conflitto tra due attori specifici: il fascismo e gli ebrei con gli italiani alla
finestra a guardare il match. E dunque è probabile che per molti il paragone
1938 risulti non solo sproporzionato, ma anche improprio e pretestuoso. Il
senso comune ragiona così: parla forse Roberto Maroni di ebrei? E allora
perché agitare il paragone con le leggi razziali?
3) la fine dei partiti politici come organi collettivi della rappresentanza, ha fatto
emergere il primato delle identità primarie e di appartenenza. L’effetto è
l’eclisse di un’idea di interesse generale sostituito da uno comunitario, oggi
prevalente e decisivo. Una modalità di pensiero trasversale sull’asse
destra-sinistra. E’ uno dei motivi che spiegano come il consenso al
provvedimento Maroni non arrivi solo dall’elettorato che ha votato Pdl e
Lega, ma anche coinvolga anche settori non marginali di chi il 13 aprile ha
votato per l’attuale opposizione;
4) La politica dei diritti e la cultura dei diritti nella storia italiana non riguarda
i diritti generali, ma quelli specifici, sociali, o di settore lavorativo, corporativi si
potrebbe dire.
Porre il problema dei diritti dei rom è percepito non come una
battaglia sui diritti, ma come un contenzioso che riguarda solo loro. In breve
sulla questione dei diritti noi siamo un Paese che si chiede: A chi giova? E
non se lo Stato di diritto, quale noi crediamo di essere e vogliamo essere, è in
contraddizione con l’idea di diritto che abbiamo.
Qual è l’idea di politica che sta prevalendo? Quale uso politico del passato
sta diffondendosi in Italia? E soprattutto: serve la storia? E infine: qualcuno
risponderà, senza fare spallucce?