di Giacomo Smarrazzo
La decisione della Giunta regionale della Campania di non finanziare più il reddito di cittadinanza, non sembra aver suscitato forti e significative reazioni. Il dibattito politico e soprattutto le decisioni che si appresta ad adottare il governo regionale rispetto alla cancellazione del reddito di cittadinanza, pare non tener conto del fatto che la previsione di questa misura, era stata il frutto di una scelta coraggiosa e contro tendenza che, pareva volersi avviare verso un sistema di politiche sociali con al centro le persone ed i loro bisogni.
Un misura che, almeno nelle intenzioni, ambiva ad affondare il tema della povertà in maniera articolata e multidimensionale, partendo cioè dalla consapevolezza, che la marginalità e l’esclusione sono prodotti dell'interazione negativa e la concomitanza di più situazioni e fattori insieme. Il tentativo, questo si fallito, era quello di avviare la costruzione di un sistema di politiche che ruotasse intorno alla presa in carico delle persone dei nuclei familiari, intervenendo con l’elargizione monetaria, con lo scopo di equilibrare - o sarebbe meglio dire ridurre – gli scompensi economici, edificando al contempo un sistema complesso in grado di organizzare risposte flessibili, articolate ed integrate: misure di accompagnamento che in realtà, anche quando realizzate, non sono mai state realmente parte di un significativo impianto integrato e coordinato di interventi.
Così come rimane fuori dalla discussione il peggioramento delle condizioni di vita di gran parte delle persone e delle famiglie che abitano il nostro territorio: la povertà aumenta, il disagio si diffonde, il lavoro diventa sempre più una chimera e si diffondono strutturalmente forme di impiego precario.
La sensazione che se ne trae e che, ancora una volta, a determinare le scelte dei decisori pubblici, giochino ragioni di compatibilità di bilancio e di tecnica gestionale, sempre più lontana dai reali bisogni delle persone, in una, quantomeno percepita, assenza di strategie efficaci nella lotta alla povertà. Le persone sono sempre più povere, deprivate di diritti e soprattutto più sole. Sempre più confuse nello scambiare diritti con favori, sempre più chiuse a difesa, ed impegnate a resistere, a competere con il prossimo, senza prospettiva; e questo, senza ombra di dubbio, contribuisce all’arretramento e ad un diffuso impoverimento culturale.
La lotta alla povertà richiede un progetto preciso, energico, in grado di affrontare sistemicamente la mancanza di strumenti efficaci di inserimento lavorativo e delle insufficienze del sistema dei servizi sociali, ancora di più in un momento di crisi economica: la crescita delle comunità si induce anche riconoscendo centralità alle persone, al sistema di relazioni e sostenendo la lotta alle disuguaglianze.
Un tema questo che appartiene a tutti noi, decisori pubblici, operatori ed organizzazioni sociali, persone. Né tantomeno può più bastare di riferirsi, impotenti, al contesto nazionale (ed internazionale) ostile, che produce tagli alla spesa sociale ed ai trasferimenti statali, che induce separazione e conflittualità, si tratta di compiere scelte coraggiose, di mettersi in gioco, e perché questo avvenga è necessaria una mobilitazione delle coscienze: la politica, questa politica, da sola non basta, non garantisce, non risponde ai bisogni generali delle persone.
Non si tratta di decidere come impiegare le sempre più esigue risorse economiche disponibili, o ancora di trovare modalità nuove per gestire vecchi forme di intervento, la questione vera è il rinnovamento delle strategie, in grado di allargare la sfera dei diritti e di costruire nuova cittadinanza.
E in questa ottica una misura come il reddito di cittadinanza, intervento economico importante, può assumere una rinnovata valenza se adeguatamente sostenuta da scelte di respiro generale, che innovino radicalmente il sistema dei servizi, e che facciano della presa in carico, la personalizzazione degli interventi il perno centrale e strategico.
Rinunciarvi, per giunta, senza una chiara alternativa, senza che si palesino strategie sostitutive, sembrerà un appiattimento al pensiero dominante,che vede il sociale come marginale e residuale, e più in generale funzionale allo smantellamento, di un già debole, sistema di welfare.
Un misura che, almeno nelle intenzioni, ambiva ad affondare il tema della povertà in maniera articolata e multidimensionale, partendo cioè dalla consapevolezza, che la marginalità e l’esclusione sono prodotti dell'interazione negativa e la concomitanza di più situazioni e fattori insieme. Il tentativo, questo si fallito, era quello di avviare la costruzione di un sistema di politiche che ruotasse intorno alla presa in carico delle persone dei nuclei familiari, intervenendo con l’elargizione monetaria, con lo scopo di equilibrare - o sarebbe meglio dire ridurre – gli scompensi economici, edificando al contempo un sistema complesso in grado di organizzare risposte flessibili, articolate ed integrate: misure di accompagnamento che in realtà, anche quando realizzate, non sono mai state realmente parte di un significativo impianto integrato e coordinato di interventi.
Così come rimane fuori dalla discussione il peggioramento delle condizioni di vita di gran parte delle persone e delle famiglie che abitano il nostro territorio: la povertà aumenta, il disagio si diffonde, il lavoro diventa sempre più una chimera e si diffondono strutturalmente forme di impiego precario.
La sensazione che se ne trae e che, ancora una volta, a determinare le scelte dei decisori pubblici, giochino ragioni di compatibilità di bilancio e di tecnica gestionale, sempre più lontana dai reali bisogni delle persone, in una, quantomeno percepita, assenza di strategie efficaci nella lotta alla povertà. Le persone sono sempre più povere, deprivate di diritti e soprattutto più sole. Sempre più confuse nello scambiare diritti con favori, sempre più chiuse a difesa, ed impegnate a resistere, a competere con il prossimo, senza prospettiva; e questo, senza ombra di dubbio, contribuisce all’arretramento e ad un diffuso impoverimento culturale.
La lotta alla povertà richiede un progetto preciso, energico, in grado di affrontare sistemicamente la mancanza di strumenti efficaci di inserimento lavorativo e delle insufficienze del sistema dei servizi sociali, ancora di più in un momento di crisi economica: la crescita delle comunità si induce anche riconoscendo centralità alle persone, al sistema di relazioni e sostenendo la lotta alle disuguaglianze.
Un tema questo che appartiene a tutti noi, decisori pubblici, operatori ed organizzazioni sociali, persone. Né tantomeno può più bastare di riferirsi, impotenti, al contesto nazionale (ed internazionale) ostile, che produce tagli alla spesa sociale ed ai trasferimenti statali, che induce separazione e conflittualità, si tratta di compiere scelte coraggiose, di mettersi in gioco, e perché questo avvenga è necessaria una mobilitazione delle coscienze: la politica, questa politica, da sola non basta, non garantisce, non risponde ai bisogni generali delle persone.
Non si tratta di decidere come impiegare le sempre più esigue risorse economiche disponibili, o ancora di trovare modalità nuove per gestire vecchi forme di intervento, la questione vera è il rinnovamento delle strategie, in grado di allargare la sfera dei diritti e di costruire nuova cittadinanza.
E in questa ottica una misura come il reddito di cittadinanza, intervento economico importante, può assumere una rinnovata valenza se adeguatamente sostenuta da scelte di respiro generale, che innovino radicalmente il sistema dei servizi, e che facciano della presa in carico, la personalizzazione degli interventi il perno centrale e strategico.
Rinunciarvi, per giunta, senza una chiara alternativa, senza che si palesino strategie sostitutive, sembrerà un appiattimento al pensiero dominante,che vede il sociale come marginale e residuale, e più in generale funzionale allo smantellamento, di un già debole, sistema di welfare.