Traduzioni

29 novembre 2008

Non ne facciamo una bomboniera

Giovanni Laino, La Repubblica Napoli, 28-11-2008

Quando presento Napoli e il suo centro urbano agli stranieri mi trovo sempre dinanzi a un problema: la parola bomboniera non è traducibile. Allora devo spiegarmi meglio per dire che Napoli, che soffre ritardi e degrado, ha la fortuna di non essere stata trasformata in una bomboniera.
In diverse città europee invece, la sintesi fra storia locale e interventi di riqualificazione ha prodotto un effetto bomboniera: un habitat gradevole, con gli spazi pubblici e gli edifici recuperati. Un riuso che ha concentrato la cura sulle pietre, sullo spazio fisico, spesso senza preoccuparsi di trovare una vera rigenerazione degli usi. Ecco quindi tanti luoghi aulici che diventano contenitori di improbabili esposizioni, non sapendo bene cosa farne. Una sorta di museificazione della città, con edifici da contemplare. Parti urbane che sono diventate un grande plastico in scala uno a uno, dove però si evoca solo il passato, suggerendo che il presente può essere solo la rievocazione di quello che è stato.
Il centro urbano di Napoli, invece, è ricco di dinamiche di lenta trasformazione, non è stato gentrificato né monumentalizzato: si tratta di una opportunità da cogliere evitando di farne un presepio in cui proiettare le nostre nostalgie.
Da tempo è provato che gli interventi che non provvedono alle cure per le reti antropiche, alle attività che animano la città determinandone quella grande qualità che è la densa mixité (varietà di popolazioni e usi con una densità quasi caotica), quando vanno bene, producono bomboniere magari belle da vedere ma sostanzialmente impoverite di funzioni e flussi vitali. In diversi casi la bomboniera diventa attrattore di flussi turistici che però possono arrivare a fagocitare le parti urbane facendo arricchire solo alcuni; sostanzialmente deteriorano la città e la qualità della vita di buona parte della popolazione. Anche un certo recupero di attività artigianali e commerciali può rientrare in questa strategia sconsigliabile, con botteghe trasformate in boutique che espongono e commercializzano prodotti presunti tipici che spesso sono identici in ogni dove.
Il documento di orientamento strategico che nei prossimi giorni verrà presentato dal Comune e dalla Regione per gli interventi nel centro storico si concentra sugli interventi sullo spazio fisico, nella convinzione, di cui gli architetti sono ascoltati paladini, che sia l´assetto fisico della città a determinare la qualità della vita e la sua attrattività. Anche la considerazione più comune del patrimonio è schiacciata sull´attenzione allo spazio fisico.
Il recupero e la riqualificazione degli spazi aperti e degli edifici sono certamente rilevanti, in diversi casi improrogabili. È certo però che senza una straordinaria attenzione a un progetto di infrastrutturazione dell´economia e dei servizi culturali e sociali, anche nel centro storico, ogni programma è destinato all´insuccesso. Potranno goderne i settori legati ai lavori edili, i proprietari che vedranno aumentare - ancor più - i valori immobiliari delle loro case e botteghe, ma complessivamente il profilo qualitativo della città non migliorerà. È risibile l´ipocrisia di quelle scelte che mettono un po´ di interventi sociali, con il coinvolgimento di qualche parrocchia e il riuso approssimativo di qualche bene confiscato. Una strategia efficace, realmente competitiva, non può relegare ai margini gli interventi sulle reti immateriali, sui servizi sociali. È una convinzione dei governanti illuminati prima che degli assistenti sociali. Una certezza che in realtà vale anche per le periferie. Un´intenzione che può diventare progetto, rilanciando interventi che, nati nel centro storico della città, sono considerati d´avanguardia nello sfondo delle politiche sociali europee.