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15 dicembre 2008

segnale lavoro

Segnali di fumo sul lavoro

Le politiche del lavoro realizzate in Italia e in Campania negli ultimi anni sono accreditate come politiche coerenti con la strategia europea per l’occupazione. Possiamo essere critici rispetto a tale strategia, apocalittici verso le misure di flessibilità e convinti nel denunciare l’indebolimento delle tutele e dei diritti che proteggono il lavoro; ma risulterebbe alquanto difficile anche ad una critica radicale sostenere che la disoccupazione e le pessime performance del mercato del lavoro nel Mezzogiorno e a Napoli siano legate essenzialmente ai limiti e alle debolezze di tali indirizzi strategici.
Due sono piuttosto, a mio avviso, gli elementi caratterizzanti le politiche del lavoro italiane che hanno probabilmente avuto un peso rilevante nel determinare l’insuccesso complessivo della strategia di Lisbona e l’aggravamento complessivo del problema lavoro: da un lato le politiche non hanno tenuto adeguatamente conto dei vincoli e dei deficit strutturali presenti nei contesti in ritardo di sviluppo e non hanno impostato gli interventi in tali contesti con risorse e strumenti di governo adeguati (e i fondi strutturali fanno relativamente testo in carenza di una strategia che ne indirizzi correttamente l’impiego); dall’altro le politiche non hanno curato, come invece si era iniziato a fare in passato, gli aspetti legati alla gestione, al controllo e alla valutazione, anzi hanno decisamente mollato le redini sul piano dei controlli e della gestione amministrativa, come se la liberalizzazione riguardasse anche questi aspetti e come se il decentramento e lo snellimento amministrativo liberassero le amministrazioni anche dalla responsabilità di realizzare interventi efficienti ed efficaci, trasparenti ed equi.
Questi due elementi di debolezza hanno finito con l’accentuare da un lato i malfunzionamenti nel governo e nella gestione delle politiche, dall’altro con l’aumentare l’esposizione degli interventi di politica del lavoro ai meccanismi di consenso e di controllo politico.
Come è noto, per Napoli, l’esposizione del lavoro alla politica è stata sempre particolarmente alta. La città sul lavoro si è sempre mostrata debole, in difficoltà nel reagire alle crisi, passiva e non propositiva rispetto ai meccanismi spontanei di galleggiamento dell’economia marginale, incapace di contrastare l’illegalità, timorosa quanto opportunista nel rispondere ai conflitti sociali, ambigua in quella conflittualità sociale sul lavoro che si mobilita su “interessi di parte” fragili e duri, come il bisogno di lavorare, e che appare ormai storicamente condannata, già prima di esplodere, a subire la forza del ricatto, la scena dell’ordine pubblico, il gioco dell’intrattenimento, il peso della violenza di questa politica.
La città ha supinamente e opportunisticamente scelto di restare oppressa dentro il circolo vizioso della disoccupazione, di metabolizzare e di declinare il problema del lavoro come una permanente emergenza, fuori da ogni logica che vedrebbe una grande metropoli essere attrattore per eccellenza delle opportunità che il mercato, l’amministrazione e l’organizzazione sociale possono offrire: attrattore di disoccupati perché offre lavoro. Napoli ha scelto supinamente di essere invece attrattore di flussi finanziari pubblici perché ha “i disoccupati”, e di ricavare da questo un consenso e un controllo facile, maledettamente facile.

Abbiamo dunque trascorso quasi trent’anni di espiazione sulle colpe dell’intervento pubblico e delle rigidità del mercato del lavoro e trent’anni di liberalizzazione e di mercificazione del lavoro senza potere avere la soddisfazione di vedere crescere l’occupazione a Napoli, in Campania e nel Mezzogiorno; senza ottenere alcun risultato in termini di riduzione della disoccupazione se non quello di ricacciare indietro la popolazione presente sul mercato del lavoro e relegarla tra la popolazione non attiva. Abbiamo visto anche sparire negli ultimi dieci anni, inghiottita dal liberismo e spazzata via dalla lega, ma soffocata soprattutto dal modo di governare la disoccupazione del nostro ceto politico nazionale, regionale e locale, anche la prospettiva di un nuovo Sistema di Welfare, delle politiche della sussidiarietà, dei lavori concreti, dei nuovi bacini di impiego, del microcredito, della pubblica utilità, tutti strumenti indispensabili per una nuova idea di welfare solidale. Tutto sparito, al momento introvabile, forse persino improponibile giacchè quegli strumenti sono stati in alcuni casi rinnegati, in altri trasfigurati in forbici e messi nelle mani cattive che dovrebbero tagliare i viveri a chi prende un sussidio senza mettersi doverosamente a disposizione dello stato sociale, in altri termini sono diventati strumenti di risparmio piuttosto che strumenti di intervento per la spesa pubblica, strumenti di selezione, invece che di coesione e di inclusione; ed anche in questo caso si tratta di strumenti di controllo e di potere, esposti come sono all’arbitrio di istituzioni e di amministrazioni sottratte ad ogni controllo di trasparenza e di legalità.

Vorremmo dunque dare alle cose una direzione diversa:

- inviare un segnale di fumo a tutti i lavoratori, cassintegrati, disoccupati, maleoccupati ecc.: smettetela di pensare che la colpa dei vostri guai sia vostra o che siete maledetti perché non avete una raccomandazione.
- prendere atto che da nessuna istanza, anche la più democratica e radicale presente in città è mai venuta un denuncia, una testimonianza o una voce di attenzione e di allarme sull’uso anomalo e illegittimo dell’emergenza lavoro, una voce contro gli abusi che si compiono all’ombra di questa emergenza, una voce a tutela di chi da questi abusi è colpito e non ha strumenti per difendersi perché non è niente, non è nessuno. Abbiamo sulle spalle una storia di debolezza civile e democratica di cui vogliamo liberarci, contro la quale vogliamo reagire, ragionare, confrontarci, assumerci responsabilità, dare battaglia.
- impegnarci per costruire una alleanza della cittadinanza responsabile che faccia massa critica a sostegno di una politica trasparente, efficace ed equa di contrasto alla disoccupazione e per ottenere un corretto impiego degli strumenti e delle risorse che alimentano il mercato del lavoro. Un’alleanza radicalmente e saldamente indisponibile al potere - così come nei confronti dei partiti e dei loro esponenti ai vertici delle istituzioni - impegnata a presidiare democraticamente i luoghi e gli strumenti in cui e con cui il mercato e l’intervento pubblico danno lavoro, formazione, incentivi, aiuti.
- rivendicare una politica di sostegno all’occupazione impostata sullo sviluppo sostenibile e sull’equità sociale, una politica che non è stata ancora fatta e che invece si può fare, chiamando in causa tutte le risorse del mercato, della collettività e della solidarietà sociale che una metropoli come Napoli non può non avere e non produrre.
- sentirci parte di una città che ha bisogno delle nostre intelligenze, del nostro tempo, delle nostre braccia, delle nostre relazioni, dei nostri sentimenti, della nostra creatività, di una città che ha bisogno del nostro lavoro così come noi abbiamo bisogno di una città che premi il lavoro.
Susi Veneziano