La foresta vergine
Raffaele La Capria, scrittore che per altro amo molto, chiede: ”Come si fa a non curarsi della gente, a buttarla nelle varie Scampie e favelas, a non creare occasioni di lavoro a una popolazione indigente, a tenerla in condizioni di vita peggiori di quelle in cui si trovano i rom nei loro campi, e poi pretendere la raccolta differenziata, la coscienza civica e tutto il resto. Non può il governo centrale abbandonare la gente così e poi colpevolizzarla. Chi semina vento si sa cosa raccoglie”.Ed ha ragione. Ma il suo interrogativo ne richiama altri: ma è solo il governo centrale a dover essere chiamato in causa, o devono esserlo anche i governi locali, la classe dirigente locale – ceto politico, ceto imprenditoriale, professionisti eccellenti, la stessa intellettualità napoletana, per non dire dell'alto clero? O sono vittime anche loro del governo centrale? Insomma noi napoletani – non tutti, certo, non gli indigenti, i senza potere, ma gli altri, quelli che almeno il potere della parola l'abbiamo – siamo esenti da ogni responsabilità? La Capria afferma ”che Anna Maria aveva individuato bene il punto dolente della questione napoletana, e l'occulta causa della sua irrisolvibilità. Solo che i colpevoli non eravamo noi, (un gruppo di ottimi scrittori, ndr) come lei semplificando mostrava di credere, ma era di quel mistero nascosto cui lei stessa aveva accennato”.Giusto. Ma questo mistero vogliamo provare a svelarlo e contrastarlo? Di esso lo stesso La Capria ha scritto in un romanzo indimenticabile, Ferito a morte, cinquant'anni fa, paragonandolo ad una foresta vergine che avvolgeva, macerava, distruggeva poco alla volta l'intera città. Dopo cinquant'anni la foresta vergine è ancora qui, continua a divorare, a soffocare la città. Per arrestarla nel suo implabile incedere, non possiamo continuare a prendercela solo con il governo centrale. Le radici sono anche qui in mezzo a noi. O la tagliamo noi o non lo farà alcuno
Nino Lisi