Il pacchetto sicurezza si basa su un’idea che, al di là delle specifiche e gravi ricadute sulla vita dei migranti, sancisce la definitiva acquisizione nel nostro ordinamento di forme di razzismo istituzionale.
L’idea di stato e di società che porta con se è quanto di più lontano si possa immaginare da quella cultura della cura e dell’accoglienza che aveva fatto nel nostro Paese uno dei più avanzati al mondo in termini di legislazione in materia di diritti umani e civili, e allo stesso tempo di riconoscimento e vicinanza con le persone più fragili e differenti.
E’ una deriva che viene da lontano. E’ un’ondata razzista e discriminatoria nei confronti delle persone migranti che in questi anni è stata alimentata da una politica vigliacca e strumentale e che si è diffusa in modo ampio e profondo trovando facile presa nelle paure e nell’ignoranza, nel senso di precarietà e preoccupazione per il futuro che coinvolge milioni di cittadini italiani.
Il reato di immigrazione clandestina, che per la prima volta dopo le leggi razziali, considera reato non un comportamento ma una semplice condizione umana; l’allungamento dei tempi di detenzione nei centri di identificazione ed espulsione di persone che non hanno commesso nessun atto criminoso; l’inaudita violenza della norma che impedisce ad una madre di riconoscere il proprio bambino o la propria bambina solo perché non in regola con la normativa sul soggiorno sono scelte legislative che offendono la nostra storia, la nostra Costituzione, la nostra cultura.
Il pacchetto sicurezza, ancora, è un insieme di norme che sancisce che milioni di persone non avranno nemmeno più il diritto di appartenere all’umanità perché, nei fatti, saranno negate nella loro esistenza e non riconosciute come soggetti di diritto.
Non persone, perché le persone creano problemi in quanto pretendono di essere rispettate, hanno aspettative e sogni, ma solo forza lavoro, necessaria e indispensabile per coltivare i nostri campi, per portare avanti molte nostre imprese, per curare e accudire i nostri anziani
Un processo che, partendo dagli immigrati e dalle immigrate, si è allargato e sta caratterizzando e orientando la configurazione stessa della nostra società. Ha, consolidato, cioè, un’idea di società dove le identità si costruiscono e si riconoscono sul dominio o sull’annullamento delle altre identità differenti; dove la violenza non solo viene “sdoganata” ma assunta, in molti casi, come regolatrice delle relazioni umane, singole o collettive; dove le città diventano luoghi abitati non da cittadini ma da competitori sfrenati, dove gli ultimi, i differenti, i poveri sono spinti o costretti in periferie urbane e sociali senza diritti, senza opportunità, senza la possibilità di incidere sulle decisioni; dove le persone, come il territorio e il sapere, sono sacrificati e rapinati in nome del profitto.
Di fronte a tutto questo, come persona che da anni è impegnata nella tutela e nella promozione dei diritti delle persone migranti penso che nessuno possa più limitarsi alla sola indignazione. Penso che anche il silenzio, il non dire con chiarezze da che parte si sta equivalga in qualche modo ad essere complici. Penso, come dicono gli zapatisti, che sia venuto il momento di esprimere la propria “degna rabbia”. Penso sia urgente che ognuno di noi, nei luoghi del suo impegno, ma anche in quelli di vita e di lavoro debba nel quotidiano e con continuità contrastare l’ondata di inciviltà, cattiveria e razzismo che ci sta sommergendo
Penso sia venuto il momento della denuncia e di dichiarare la propria disobbedienza, civile, democratica e nonviolenta rispetto a norme che colpiscono chi è più fragile, che negano le persone che stravolgono ogni principio di eguaglianza e accoglienza.
Penso che la politica, anche quella più vicina a noi, che oggi giustamente, fuori e dentro il parlamento, prova a contrastare il governo su questi terreni, debba interrogarsi sulle sue responsabilità passate. Su come, in tanti casi, vi sia stata la rincorsa della destra su questi terreni. Su come si sia accettata una visione della politica centrata sui salotti televisivi e sui sondaggi e sull’adeguarsi agli umori, anche a quelli più sbagliati, della popolazione. Su come, anche la sinistra più vicina al mondo dell’antirazzismo in tanti casi abbia sacrificato la propria nettezza sull’altare delle compatibilità e delle mediazioni istituzionali e che, anche a partire dall’attuale campagna elettorale si dica con chiarezza che tali errori non saranno più ripetuti.
Andrea Morniroli – cooperativa sociale dedalus napoli
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