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23 febbraio 2009

Buon lavoro (in breve)

Buon lavoro non è come dire buon giorno o arrivederci, è tutta un’altra cosa. Lo diciamo e ce lo sentiamo dire in genere con un sorriso o un gesto di intensità e di attenzione quando c’è in ballo qualcosa di importante, bella o brutta che sia: fai bene, piuttosto che stai bene, mi sta a cuore quello che fai, quello che fai è importante.
Buon lavoro è il lavoro di cui ci sentiamo protagonisti. E'quello nel quale siamo e ci sentiamo riconosciuti nella dignità e nella sicurezza. Buon lavoro è quello verso il quale siamo indirizzati dalle nostre spinte e aspettative, oltre che dal nostro bisogno. E' quello in cui siamo in condizione di dare il nostro meglio.
Buon lavoro è un lavoro ben fatto, che dà soddisfazione e produce l’utile, il bello.

Se ci guardiamo intorno, dentro le nostre economie locali fino a fuori dai confini delle economie avanzate, le difficoltà appaiono evidenti e crescenti, le condizioni del lavoro segnalano una divaricazione sempre più ampia tra le aree forti e quelle deboli con peggioramenti relativi generalizzati nelle aree deboli del mondo, nelle regioni e nelle città deboli d’Italia, nelle fasce deboli di popolazione. Dirsi buon lavoro, prendere a cuore quello che si fa, avere qualcosa di utile o bello da fare, e persino il semplice e crudo lavorare per vivere sono cose sempre più difficili e rare.

Le scelte delle politiche nelle democrazie di mercato sembrano allontanare il lavoro dai valori e dagli obiettivi di benessere comune che ne sono l’estrema ratio. La crisi del lavoro, la sua fine tecnologica e la sua "liberazione" postindustriale coesistono in un processo che distrugge buon lavoro più rapidamente di quanto non ne crei e allarga le differenze tra pochi che lavorano liberi, liberi dal bisogno e appagati, e tanti che sopravvivono ai margini del benessere. Il potere dei governi, della finanza, della burocrazia, delle classi dirigenti asseconda questi processi e usa il crescente malessere a proprio vantaggio, laddove c’è arretratezza economica e socialem come qui a Napoli e in Campania, anche speculando senza pudore sulla disoccupazione, con una assoluta e irresponsabile miopia e un cinismo destinati a generale solo miseria, degrado e violenza.

Di questi aspetti del lavoro vogliamo discutere a Napoli in un Cantiere dedicato che si chiamerà “Buon lavoro”, che non parlerà se non marginalmente delle convenzionali grandezze e dei desiderabili funzionamenti del mercato del lavoro, nè delle politiche di destra e di sinistra, ma si concentrerà sul valore identitario, sociale e culturale del bene lavoro nella esistenza delle nostre vite e delle nostre comunità. Napoli fa da sfondo richiamando una partiolare attenzione sugli aspetti più critici della malaoccupazione, della disoccupazione e della povertà nei Sud del mondo.

Il Cantiere si articolerà in tre sezioni:

  • Una sezione generale sui cambiamenti e la crisi del lavoro, che approfondisca e documenti gli aspetti generali e specifici della questione e i suoi legami con la crisi del modello di sviluppo, un modello che non può assumere il lavoro come un bene comune e il mercato del lavoro come un'istituzione sociale
  • Una sezione sul buon lavoro che c'è e sugli equilibristi del lavoro, che raccolga e intepreti le esperienze di lavoro "resistente" di imprenditori impegnati nel risparmio energentico, nel riuso dei materiali, nell'economia cooperativa e solidale, di operatori impegnati sull'educazione, nell'arte e sulla cultura, della comunità degli operatori sociali, di artigiani, commercianti, operai e impiegati resistenti, soprattutto qui a Napoli e in Campania, e soprattuto nel confronto con i vincoli delle politiche e dell’agire pubblico.
  • Una sezione sul buon lavoro "sostenibile" che discuta e delinei le strategie di ricerca e di produzione sociale, culturale, tecnologica e politica che possono difendere e e fare crescere, per quanto è possibile, il lavoro che vogliamo, quello del benessere comune.