Laboratori sociali
Format
Centri attrezzati per lavorare, che raccolgono come associati quelle e quelli che per lavorare gli manca qualcosa, soprattutto luoghi, attrezzature, vicinanza a casa, tempo, relazioni sociali, raccomandazioni, registrazioni, autorizzazioni, piccole somme per iniziare (giovani, donne, disoccupati, occupate con carichi speciali, cassintegrati, studenti, creativi etc...)
locali unici o contigui attrezzati per una capienza complessiva di circa 50 postazioni di lavoro, insediati in zone centrali di quartieri/municipalità facilmente raggiungibili e accessibili (con almeno un accesso principale fronte strada).
finanziamento in parte pubblico in parte affidato alla partecipazione e alla buona volontà di imprese e cittadini.
Ambiti di azione a scelta:
il telelavoro (con gli innumerevoli impieghi dell'informatica, telematica, multimedialità ecc) anche per chi un lavoro ce l'ha già o ce l'avrebbe se non fosse per la distanza e l'attrezzatura; l'artigianato di servizio (lavanderia stireria sartoria piccole riparazioni cura dell'estetica, cura del benessere ecc.); i servizi collettivi (cultura, informazione, comunicazioni, turismo, eventi, intermediazioni ecc).; altri servizi (lezioni, servizi di assistenza legale, amministrativa ecc.); le produzioni grafiche e artistiche (fotografia, musica, letteratura, poesia, canto, danza, arti visive, teatro, spettacolo etc.); le manifatture artigianali della moda - gastronomia - legno - ceramica - vetro - bijoutteria - carta (preferibilmente con riuso di materiali riciclati, salvo per la gastroniomia); l'rganizzazione in rete dei servizi a domicilio (escluso collaboratori domestici) per artigiani riparatori e manutentori, lezioni e didattica, assistenza-compagnia-accompanamento persone ecc.; la logistica e il supporto organizzativo di servizi collettivi di trasporto o territoriali (scuolabus, accompagnamenti, consegne, presidi, vigilanza ecc.).
Servizi
Nei laboratori ci sono (o possono esserci) anche i seguenti servizi:
Servizi di promozione, e-commerce. televendita, esposizione, vendita e servizi di assistenza - con il contributo volontario di imprese, ordini e collegi professionali, associazioni di rappresentanza imprenditoriale e sindacale, associalzioni sociali e culturali o di singoli cittadini;
Servizi di impiego. orientamento e formazione con il contributo volontario della rete delle agenzie private di somministrazione, intermediazione ecc.. di lavoro, delle agenzie formative, e con il contributo publico
Ci sono invece per forza:
Servizi di segreteria, tecnici e di supporto forniti da pubblica amministrazione (comune o altra)
Microcredito
I laboratori gestiscono un fondo di microcredito in favore degli associati per la concessione di piccoli prestiti eventualente necessari allo svolgimento delle attività, e in fase di uscita dal laboratorio.
Attrezzature
I laboratori sociali sono attrezzati con l'acquisto, l'affitto, l'acquisizione in dono o il riuso di impianti e strumenti organizzati in postazioni che ciascun utilizzatore può integrare con attrezzi propri occasionalmente o in modo permanente (con magazzini e depositi allestiti ad hoc). Le attrezzature acquistate o noleggiate con budget di risorse pubbliche sono individuate con manifestazioni di interesse degli associati in base al numeri di richieste; le altre attrezzature sono acquisite in dono o in riuso o con contributi e donazioni volontarie.
Postazioni
Ogni laboratorio ha la seguente tipologia di postazioni:
postazioni di telelavoro, informatiche, multimediali presenti in tutti i laboratori (possibile riuso di impianti dismessi);
postazioni di servizi in presenza (servizi prestati nella sede a singoli o gruppi di clienti)
postazioni di produzione (di manufatti, opere e altri servizi non in accolgienza)
Regole
Le postazioni sono in funzione a orario pieno dalle ore 6 alle ore 22 di tutti i giorni feriali e sono fruite da associati singoli o in gruppi a rotazione su prenotazione, con rotazioni scadenzate per max quattro ore al giorno e per max 15 giorni consecutivi, salvo che restino disponibili per assenza di richieste.
Ciascun associato può fruire gratuitamente dei servizi del laboratorio per non più di tre anni, scaduti i quali potrà continuare solo se dimostrerà di avere in corso un progetto di avvio lavoro o attività fuori dal laboratorio, per il tempo necessario a realizzarlo e comunque non superiore a sei mesi.
I servizi sono gratuiti e richiedono solo che i fruitori dichiarino fiscalmente e professionalmente la propria attività (un passo nella legalità e di lotta al sommerso).
Il laboratorio sociale, tramite l'adozione di un apposito regolamento e di specifici atti di regolamentazione per mestieri e professioni che ne richiedano l'adozione, si fa garante del rispetto da parte degli associati delle norme e dei vincoli fondamentali di deontologia delle singole professioni e dei mestieri. Il laboratorio garantisce che nell'ambiente comune di lavoro e da parte di ogni singolo associato sia rispettata la normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Al fine di favorire le contribuzioni fiscali, assicurative e previdenziali riguardanti le attività e le prestazioni svolte nei laboratori e i relativi proventi, chi è ammesso ad associarsi al laboratorio può pertanto, in qualità di associato, e sulla base dei requisiti eventualmente richiesti per l'esercizio delle attività, esercitare la propria attività a titolo personale, con iscrizione speciale (provvisoria e gratuita) al registro Iva e in deroga alle disposizioni relative alle iscrizioni ad albi e registri che abilitano all'esercizio di mestieri e professioni, nonchè con iscrizione senza oneri iniziali (ma versando i contributi però) ad Inps e Inail (liberalizzazione delle professioni).
L'ideale sarebbe che i laboratori fossero allocati in prossimità di altri luoghi collettivi come scuole, municipalità, mercati rionali, e in zone comunque centrali e facilmente raggiungibili dalla maggior parte dei residenti. E che fossero anche luoghi di aggreazione per il tempo libero e le attività cultrali e ricreative, e anche in questo caso l'ideale sarebbe che fossero dotati di servizi di ristorazione e intrattenimento.
Vi piace?
Traduzioni
27 febbraio 2009
Buon lavoro e dintorni: come si potrebbe spendere (pubblico) e lavorare (privato) in trasparenza e compagnia
23 febbraio 2009
i video del Carnevale di Scampia
eccoci qui a ballare, a suonare tamburi, in visita al Lotto B, e ancora per le strade di Scampia....
certo, come al solito molti di meno di quelli che sarebbe stato giusto e bello essere, senza TV nè luci della ribalta, ostinatamente speranzosi che un altro modo è possibile.
gda
Buon lavoro (in breve)
Buon lavoro non è come dire buon giorno o arrivederci, è tutta un’altra cosa. Lo diciamo e ce lo sentiamo dire in genere con un sorriso o un gesto di intensità e di attenzione quando c’è in ballo qualcosa di importante, bella o brutta che sia: fai bene, piuttosto che stai bene, mi sta a cuore quello che fai, quello che fai è importante.
Buon lavoro è il lavoro di cui ci sentiamo protagonisti. E'quello nel quale siamo e ci sentiamo riconosciuti nella dignità e nella sicurezza. Buon lavoro è quello verso il quale siamo indirizzati dalle nostre spinte e aspettative, oltre che dal nostro bisogno. E' quello in cui siamo in condizione di dare il nostro meglio.
Buon lavoro è un lavoro ben fatto, che dà soddisfazione e produce l’utile, il bello.
Se ci guardiamo intorno, dentro le nostre economie locali fino a fuori dai confini delle economie avanzate, le difficoltà appaiono evidenti e crescenti, le condizioni del lavoro segnalano una divaricazione sempre più ampia tra le aree forti e quelle deboli con peggioramenti relativi generalizzati nelle aree deboli del mondo, nelle regioni e nelle città deboli d’Italia, nelle fasce deboli di popolazione. Dirsi buon lavoro, prendere a cuore quello che si fa, avere qualcosa di utile o bello da fare, e persino il semplice e crudo lavorare per vivere sono cose sempre più difficili e rare.
Le scelte delle politiche nelle democrazie di mercato sembrano allontanare il lavoro dai valori e dagli obiettivi di benessere comune che ne sono l’estrema ratio. La crisi del lavoro, la sua fine tecnologica e la sua "liberazione" postindustriale coesistono in un processo che distrugge buon lavoro più rapidamente di quanto non ne crei e allarga le differenze tra pochi che lavorano liberi, liberi dal bisogno e appagati, e tanti che sopravvivono ai margini del benessere. Il potere dei governi, della finanza, della burocrazia, delle classi dirigenti asseconda questi processi e usa il crescente malessere a proprio vantaggio, laddove c’è arretratezza economica e socialem come qui a Napoli e in Campania, anche speculando senza pudore sulla disoccupazione, con una assoluta e irresponsabile miopia e un cinismo destinati a generale solo miseria, degrado e violenza.
Di questi aspetti del lavoro vogliamo discutere a Napoli in un Cantiere dedicato che si chiamerà “Buon lavoro”, che non parlerà se non marginalmente delle convenzionali grandezze e dei desiderabili funzionamenti del mercato del lavoro, nè delle politiche di destra e di sinistra, ma si concentrerà sul valore identitario, sociale e culturale del bene lavoro nella esistenza delle nostre vite e delle nostre comunità. Napoli fa da sfondo richiamando una partiolare attenzione sugli aspetti più critici della malaoccupazione, della disoccupazione e della povertà nei Sud del mondo.
Il Cantiere si articolerà in tre sezioni:
- Una sezione generale sui cambiamenti e la crisi del lavoro, che approfondisca e documenti gli aspetti generali e specifici della questione e i suoi legami con la crisi del modello di sviluppo, un modello che non può assumere il lavoro come un bene comune e il mercato del lavoro come un'istituzione sociale
- Una sezione sul buon lavoro che c'è e sugli equilibristi del lavoro, che raccolga e intepreti le esperienze di lavoro "resistente" di imprenditori impegnati nel risparmio energentico, nel riuso dei materiali, nell'economia cooperativa e solidale, di operatori impegnati sull'educazione, nell'arte e sulla cultura, della comunità degli operatori sociali, di artigiani, commercianti, operai e impiegati resistenti, soprattutto qui a Napoli e in Campania, e soprattuto nel confronto con i vincoli delle politiche e dell’agire pubblico.
- Una sezione sul buon lavoro "sostenibile" che discuta e delinei le strategie di ricerca e di produzione sociale, culturale, tecnologica e politica che possono difendere e e fare crescere, per quanto è possibile, il lavoro che vogliamo, quello del benessere comune.
19 febbraio 2009
Lavoro
Il lavoro nella nostra regione è in ostaggio, chi lo vuole cercare o impiegare onestamente deve stare attento a non perdere tempo e a non farsi notare nè dai potenti che impongono il passaggio dalle loro mani e spesso lo mettono in congelatore fino a quando serve al loro potere, nè dai clienti che stanno in attesa di lavoro, segnati in elenchi di partito, di assessorato, di categoria, di impresa, di cantiere, di lotta; anche loro in congelatore, attenti a non uscire dall'elenco più ancora che a risolvere il loro problema. L'influenza della camorra sulle imprese, la politica, il territorio aggrava il tutto, allarga questa cappa di controllo e di asservimento persino al lavoro nero e illegale, ma non credo ne sia l'origine, forse è solo l'altra faccia di una stessa cosa. A questo mostro sfugge ancora soltanto il circuito dei legani deboli (familiari, parenti e amici intimi), il lavoro che passa tra chi ha una qualsiasi piccola attività economica o professionale e a un parente-amico non può e non vuole dire di no, e chi cerca un lavoro non avendo potenti a cui iscriversi, solo parenti e amici, e non se ne va a lavorare altrove. L'accesso al lavoro ma anche tutto il seguito di quel lavoro è schiavo di questa doppia rete di arretratezza, inefficienza e oppressione, alla faccia della competitività, della fluidità e della qualità nel moderno mercato del lavoro.
A creare il mostro che ingessa la vita economica e sociale, la democrazia, la dignità e la speranza, il mostro che ruba il lavoro, è l'affare disoccupazione in mano alla nostra malata classe dirigente. Ne è un esempio il dibattito sucitato dalla cronaca nera sul progetto Isola e a questo proposito avrei qualcosa da chiedere apertamente a Corrado Gabriele, visto che questa nostra classe dirigente non sembra affatto terminale.
sv
18 febbraio 2009
Lettera aperta a Corrado Gabriele,
Lettera aperta a Corrado Gabriele,
1. Non trovi che sarebbe stato arduo per D‘Antonio discutere, come dici, nel merito dei provvedimenti, solo con la criptica documentazione che il tuo assessorato ha per essi predisposto? E non ti sembra il caso di entrare tu stesso nel merito, rassicurando i lettori sull’utilizzo dei 90 e oltre milioni stanziati per fronteggiare la crisi, spiegando meglio cosa ne farai e precisando che, com’è ovvio, non potranno riguardare, in alcun caso, il progetto Isola? E non pensi che sarebbe stato più utile a tutti, viste le notizie di cronaca nera, informare e rassicurare l’opinione pubblica spiegando per filo e per segno tutto del progetto Isola?, mostrando finalmente gli atti mai pubblicati, le procedure di selezione, i rendiconti sugli impieghi, le spese, i risultati di questo progetto? Tanto per irradiare fiducia tra i cittadini verso le istituzioni? E a proposito, ci spieghi anche come né il Ministero, né altre istituzioni di controllo abbiano mai chiesto conto dell’iter, dei bilanci e dei risultati di questo progetto, almeno fino a quando, la guardia di finanza non ci è inciampata dentro?
2.Non pensi che la questione teorica posta da D’Antonio, per la verità affatto intrisa di alcun contenuto antistatalista, sia piuttosto fondata e che l’approccio demonizzante non è verso le politiche pubbliche in sé, ma si basa sulle notizie di cronaca nera e aggredisce il modo in cui le politiche pubbliche di contrasto alla disoccupazione sono state (da te e dai tuoi partner istituzionali nei progetti sui disoccupati organizzati, Prefetti, Ministri degli interni e del lavoro, colleghi di Comune e Provincia), discrezionalmente e irresponsabilmente pensate e gestite sin dal 2004, quando per motivi di ordine pubblico è iniziata la vicenda poi approdata a Isola, con un intervento pubblico in risposta non al disagio e alla camorra, ma alle liste di lotta organizzate, quelle che vendevano e vendono i moduli e le tessere di iscrizione fuori al collocamento (fino al 1999) e fuori ai centri per l’impiego (dal 2000 in poi) ?
3. Non ricordi o non sai che la demonizzazione dell’intervento pubblico fu fatta nel post terremoto, quando con la distribuzione di tutto quel denaro arrivammo a contare migliaia di morti all’anno di camorra? Non ricordi o non sai che le delocalizzazione e le dismissioni hanno riguardato le partecipazioni statali e le multinazionali ben prima che nascesse la lega e si imponesse il pensiero unico neoliberista, per vincoli imposti dall’unione europea (italsider) e dal mercato? E non ricordi o non sai nemmeno che l’espulsione dal mercato, alla faccia del liberismo e dell’antistatalismo, ha significato per tutti quei lavoratori (un bacino totale di 42 mila unità tra operai e tecnici delle grandi e medie imprese, edili, e anche qualche disoccupato al tempo già organizzato in liste-cooperative molto simili a quelle oggi in primo piano nelle cronache su Isola) la costruzione di una rete protettiva particolare che non li lasciasse, nessuno e mai, senza reddito? Non lo sai che già allora, nei primi anni ‘90, alla Campania e alle altre regione del Sud fu vietato il percorso del prepensionamento tout court, abbondantemente utilizzato al Nord, e che, al tempo stesso, a quei pazzi sconsiderati dell’agenzia del lavoro che volevano fare i gagliardi e da intellettuali non avevano i piedi per terra, fu interdetto qualsiasi intervento per la ricollocazione di quei lavoratori nel mercato, perchè gli accordi politici e l'arroccamento del sindacato impovenano che il blocco rimanesse compatto, e che non vi fossero sbocchi alternativi (nemmeno garantiti dal contratto a tempo indeterminato) a quelli dell’assistenza e del pubblico impiego? Non sai che il compromesso finale su quel "blocco" furono nientemeno i lavori socialmente utili, quelli di cui ancora ci occupiamo, per tutti i 42 mila, impiegati nella Regione e in altri enti territoriali della Campania, trascinati in tutti questi anni fino ad approdare alla pensione, all’uscita incentivata, alle società miste, alla stabilizzazione negli enti con impiego fisso o a lungo termine? Non sai che questa esperienza miope e punitiva verso tutti quei lavoratori espulsi, scellerata e obbligata solo da una scellerata pratica di intervento pubblico, ha minato e compromesso per tutti questi anni qualsiasi altra politica di sostegno alla creazione di lavoro nel campo dei nuovi bacini di impiego, a metà strada tra mercato e pubblico, come l’ambiente, i giacimenti culturali, la cura della persona, i servizi collettivi specializzati etc..? Proprio come oggi, la tua Isola mette un oceano mare tra sé e altri possibili progetti sui disoccupati di Napoli, quelli a te più cari, più sfigati e a rischio criminalità. Immagina quanti centri veramente sociali potevano nascere da una mobilitazione di risorse e di relazioni tra persone in questi bacini di vero lavoro? Immagina che visioni dello Stato per i cittadini di Napoli e di Acerra si poteva suscitare, quanti anticorpi contro la camorra e il degrado si sarebbero disseminati?
4. Non pensi che la “percezione che i cittadini hanno dello Stato” che tu evochi come “una macchina che li osserva, li spia, li persegue, chiede loro denaro senza fornire corrispettivi tangibili” non aveva e non ha alcun bisogno, a Napoli e ad Acerra, di arricchirsi anche dell’esperienza di un faccia a faccia tra Stato e disoccupati basato sulla legge del più forte? Non ti sembra che se la ragione che nobilita Isola è l’alternativa alla camorra, questa alternativa non possa basarsi su un ombrello pubblico che copre quei rapporti basati sulla violenza e sulla minaccia, copre procedure non trasparenti, scopre pratiche illegittime solo mentre scorrono i titoli finali? Non pensi che la disillusione e lo scoraggiamento dei più deboli tra i senza lavoro meriterebbe che si spiegasse loro perché si è mantenuto per quattro anni e si intende mantenere in assistenza-formazione il disoccupato della lista di lotta, quello che ha occupato i centri per l’impiego quando si facevano i colloqui di selezione, quello che rifiuta qualsiasi offerta di lavoro che lo escluderebbe dal progetto, quello che è assente ai corsi, quello che se lo cacci incendia l’autobus. Per allontanare lui dalla camorra, ammesso che questo sia il fine e il mezzo, non ti sembra che si finisca con l’avvicinare alla sponda della malavita molti tra gli altri? Non ti sembra anche questa tua concezione e pratica dell’intervento pubblico null’altro che un ennesimo torbido terreno di coltura di quelle piazze di spaccio che ti fanno stare tanto male?
susi veneziano
17 febbraio 2009
Segnali di fumo
E' nato il sito di segnali di fumo
e la mailing list di cui potete sapere tutto qui
Il Cantiere pubblica i Segnali di fumo arrivati da:
Alex Zanotelli, Aldo Policastro e Andrea Morniroli
Giovanni Laino
Giovanna D'Alonzo
Enrica Morlicchio
Susi Veneziano
Massimo Lampa
Paola Clarizia
Carla Orilia e Salvatore Lauria
Sottoscrivono questa Osservazione le associazioni
Sottoscrivono questa Osservazione le
associazioni, i comitati e i gruppi qui elencati:
Ambiente Venezia | Luciano Mazzolin |
|
|
Associazione Naturalistica | Michele Zanetti | Via Martiri 127, 30024, Musile di |
|
Associazione per il parco della | Paolo Presotto | Via Isola d’Elba 18/c, 30021 |
|
Cantieri sociali | Eliana Caramelli | Cannaregio 2954, 30121 Venezia |
|
Comitato "18 luglio" di | Alberto Voltolina | via Ravenna, 5 CONA (VE) |
|
Comitato ambiente Sviluppo | Cinzia Frezzato |
|
|
Comitato Difesa Territorio | Toni Boldarin | Via Rosselli 1, 30028, San Michele |
|
Comitato Difesa Territorio | Loris Colusso | Via Rosselli 1, 30028, San Michele |
|
Comitato Difesa del Territorio di | Marco Gusso | Campo Sponzetta 30021 Caorle (VE) |
|
Forum 11 ottobre | Salvatore Lihard | Calle della Madonna 3, Malamocco |
|
Italia Nostra Venezia | Cristiano Gasparetto | Dorsoduro 2602, 30123 Venezia |
|
La Salsola | Carmine Liguori |
|
|
Laboratorio Mirano Condivisa | Angelo Nordio | via Palazzone 19, 30035 Mirano |
|
Rete NO autostrada Romea | Bortolato Andrea | via Caleselle Oriago 128, 30034 |
|
Rete NO autostrada Romea | Glaide Leo | via Aldo Moro 37 Campagna Lupia |
|
Verde Ambiente Società | Gianandrea Mencini | Cannaregio 472, 30121 Venezia |
|
Ecoistituto Veneto Alex Langer | Michele Boato | Viale stazione 7 Mestre Venezia |
|
| Armando Barp | IUAV 30135 Venezia |
|
| Stefano Boato | IUAV 30135 |
|
| Ilaria Boniburini | Dorsoduro 1046, 30123 Venezia |
|
| Paolo Cacciari | via Ettore Tito 37, 30031 Dolo |
|
| Carlo Costantini | Via Filippo Turati 3/a, Cavarzere |
|
| Andrea Dapporto | Borgo Ruga 2, Ponzano Veneto (TV) |
|
| Carlo Giacomini | IUAV 30135 Venezia |
|
| Oscar Mancini | Via delle Azalee 2/P, Mogliano |
|
| Nino Marguccio | IUAV 30135 Venezia |
|
| Giampietro Pizzo | Cannaregio 3017, 30121 Venezia |
|
| Domenico Patassini | IUAV 30135 Venezia |
|
| Edoardo Salzano | Dorsoduro 1046, 30123 Venezia |
|
| Pino Sartori | Via |
|
| Luciano Vettoretto | IUAV 30135 Venezia |
|
Venezia, 16 febbraio 2009
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Osservazioni ultima versione
Premessa
“Costruire insieme le scelte”: questo è il
motto che campeggia nel logo del Piano territoriale di coordinamento
provinciale di Venezia. Il riscontro che il Consiglio provinciale ha
riservato al documento che abbiamo inviato, sebbene solo il 3
dicembre scorso, al Presidente e ai consiglieri tutti, e alle precise
proposte di modifica (emendamenti) che in quel documento erano
espresse, ha contraddetto quel motto. Speriamo che questo documento,
presentato in sede di osservazioni al PTCP adottato, abbia miglior
fortuna. Dovrebbe aiutare in questo senso il tempo che è
passato, e qualcuna delle novità che sono intercorse.
Si sgombri subito il campo dall’attenuante, ripetutamente
enunciata nelle premesse del Piano, riferita alle esigenze di
condivisione, flessibilità, confronto da applicare nei
rapporti con enti sovra e sotto ordinati, Regione e Comuni. Con
questa sostanziale indeterminatezza la Provincia ha dato il destro a
chi, da più parti, sostiene l’inutilità della sua
stessa sopravvivenza; tanto che, leggendo il Piano, ci si interroga
più volte sul motivo di spendere tanto tempo e risorse per
ottenere un documento di blando indirizzo, che lascia spazio a
qualsiasi scelta attuativa in ordine alla gestione del territorio.
Un piano deve essere un piano
La critica fondamentale che avanziamo al PTCP di Venezia è
quella di non avere una sua autonoma strategia territoriale, di non
esprimere una sua propria scelta per ciò che diventerà
il territorio della provincia di Venezia, di non indicare agli
abitanti in che modo essi vivranno meglio sul territorio, di
rinunciare perfino a esercitare poteri e le competenze che gli
assegnano la legislazione nazionale e quella regionale.
Come abbiamo scritto nel nostro documento del 3 dicembre scorso, noi
attribuiamo un grande ruolo alla pianificazione provinciale, che è
forse l’unica ragione seria del mantenimento di questo livello
di governo. Noi riteniamo che la pianificazione territoriale
provinciale sia uno strumento decisivo per contribuire al
miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti nelle città,
paesi, territori della provincia. Molti di noi ricordano i lunghi e
positivi dibattiti che individuarono nella Provincia l’istituzione
repubblicane idonea ad affrontare efficacemente i numerosi problemi
territoriali dalla “area vasta”, e le ragioni per le
quali, con la legge 142/1990, si pervenne a questa decisione.
Ma il PTCP, per essere uno strumento utile a questo fine, deve
costituire un sistema di regole e di azioni rivolte a risolvere quei
problemi di organizzazione del territorio che i singoli comuni non
possono efficacemente affrontare, in particolare per quanto riguarda
le grandi infrastrutture e attrezzature a servizio di più
paesi, città e comuni e le nuove urbanizzazioni d’interesse
sovracomunale; la tutela sui beni ambientali, paesaggistici, storici
e culturali presenti nel territorio della provincia, la prevenzione
dei rischi derivanti dal cattivo uso del territorio e i vincoli che
ne derivano; le regole che i comuni devono adottare per assicurare a
tutti gli abitanti (cittadini ed emigrati, ricchi e poveri, quali
siano le rispettive condizioni sociali, appartenenze etniche,
religiose, ecc.) uguale diritto nell’accesso ai beni essenziali
(casa, servizi, mobilità sul territorio); la definizione dei
principi e dei procedimenti che garantiscano la riduzione del consumo
di suolo all’essenziale per le esigenze degli abitanti e la
piena partecipazione alle decisioni sulle trasformazioni del
territorio.
Questi contenuti non possono essere espressi da semplici
dichiarazioni d’intenzioni, magari appoggiate a profondi studi.
Essi devono essere rappresentati in documenti che abbiano valore di
prescrizione chiara e non oppugnabile nei confronti di tutti gli
attori, pubblici e privati, che operano trasformazioni del
territorio, a partire dai comuni e dai loro piani urbanistici.
Tutto questo nel PTCP non lo abbiamo trovato, ne “a monte”
né “a valle”: né nel momento delle scelte
sul territorio, e neppure nel momento della precettività del
piano.
Critica delle scelte
Secondo il nostro giudizio Il PTCP si limita a raccogliere e
assemblare le grandi scelte di trasformazione del territorio che i
poteri forti, legati all’accrescimento e alla valorizzazione
privata della rendita immobiliare, hanno già deciso, quasi
sempre in aperto contrasto con la pianificazione comunale vigente.
Prova ne sia che il PTCP non fornisce nessun ragionato e perentorio
limite al dimensionamento dei piani comunali, non prescrive in
termini sufficientemente tassativi l’obbligo, per i comuni, di
non ricorrere a nuove urbanizzazioni finché non abbiano
inoppugnabilmente dimostrato non esservi altri modi di soddisfare
accertati fabbisogni socialmente rilevanti.
Testimonianza particolarmente vistosa di questo atteggiamento, e
della sua nocività, è la copertura che il PTCP offre
(la prima copertura fornita da una istituzione della Repubblica) alle
più micidiali proposte di stravolgimento del territorio
provinciale che gruppi di interessi economici privati hanno
recentemente proposto. Ci riferiamo, come è evidente, alle
nuove polarità di rango provinciale e sovraprovinciale, e in
particolare a quelle che appaiono chiaramente come un avallo ad
alcune operazioni motivate esclusivamente da moventi di
valorizzazione immobiliare (vulgo: speculazione urbanistica),
denominate “Veneto city”, “Città della
moda”, “Marco Polo city”.
Questa nostra critica aveva un senso già in sé, perché
è dissennato ogni consumo di suolo che non sia giustificato da
inoppugnabili necessità sociali. Oggi, la crisi mondiale della
“economia della carta”, poi rapidamente prolungata nella
crisi dell’economia reale, ha dimostrato l’assoluta
aleatorietà della spinta immobiliaristica che ha devastato
gran parte del territorio italiano. Non è vero che
l’immissione sul mercato di nuove consistenti aree edificabili
svolga un qualche effetto positivo sull’economia: anzi, è
vero il contrario. Non è vero che
l’immissione sul mercato di nuove consistenti aree edificabili
svolga un qualche effetto positivo sull’economia sia di
calmiere per i prezzi degli immobili; anzi, è vero il
contrario.
Infine, non è detto che lo
“sviluppo” trovi beneficio dalla sottrazione di nuove
aree alla naturalità: anzi, è vero il contrario, se per
“sviluppo” non consideriamo l’aumento di
quell’indicatore, notoriamente imbecille, che si chiama il PIL,
ma il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti e
l’utilizzazione saggia e lungimirante dei patrimoni comuni che
i nostri padri ci hanno lasciato.
Sia la ragionevolezza, sia (a parole) il PTRC e il PTCP danno
priorità alla riconversione e al riuso delle aree industriali
dismesse e in via di dismissione, in primis, quindi, nello specifico
del territorio provinciale, a Porto Marghera: riconversione che,
richiedendo ingenti investimenti per le bonifiche, sarebbe nettamente
penalizzata, o addirittura paralizzata, dall’avvio di nuove
cospicue aree destinate a funzioni analoghe, del terziario e
terziario avanzato.
Critica all’inefficacia
Un piano che voglia effettivamente indurre trasformazioni
significative nell’assetto del territorio deve esprimere
prescrizioni che effettivamente inducano i soggetti attuatori a
compiere le scelte che il piano decide. O la Provincia ha l’autorità
di decidere sulle questioni d’interesse sovra comunale, oppure
non l’ha. Nel primo caso, vi deve essere la ragionevole
aspettativa che comuni, altri operatori pubblici e gli operatori
privati abilitati a produrre trasformazioni del territorio si
adeguino effettivamente ai precetti del piano. Se la Provincia di
Venezia non ritiene di avere questa autorità, allora è
inutile che investa risorse ingenti per produrre un ennesimo volume
per la ormai ricchissima Biblioteca della pianificazione presunta.
Basta scorrere le norme del PTCP per rendersi conto che si esprimono
in grande abbondanza indirizzi e direttive che i comuni possono
tranquillamente disattendere, e troppo spesso le stesse norme che
vengono definite “prescrizioni” sono semplici
suggerimenti o auspici, privi d’incidenza diretta sui beni che
si vogliono preservare dall’urbanizzazione.
Analogamente, per quanto riguarda infrastrutture di grande incidenza
sul territorio provinciale e sul suo assetto futuro, ci si limita a
delegare sostanzialmente alla Regione e alle aziende concessionarie
l’individuazione del tracciato e la progettazione.
La rinuncia ad un ruolo del PTCP nella definizione di un progetto
strategico intermodale della mobilità appare l’ennesima
subalternità al sistema dei poteri forti costituiti dalle
società autostradali: la Regione, facendosi espressione di
questi poteri, sta progressivamente “autostradalizzando”,
ovvero cedendo alle società e alle cordate all’uopo
costituite, la realizzazione e la gestione di tutte le maggiori reti
stradali del Veneto; Veneto Strade finisce per essere lo strumento di
tale strategia, associandosi essa stessa e dando copertura pubblica a
operazioni privatistiche.
Nei successivi capitoli illustreremo innanzitutto la nostra critica
sull’indeterminatezza, inefficacia e subalternità del
piano commentando alcune delle affermazioni testuali dei documenti,
poi passeremo ad esporre e argomentare le nostre critiche di merito
agli specifici argomenti trattati dal piano, proponendo anche
specifici emendamenti alle norme.
Leggiamo i documenti del PTCP
Non intaccare interessi
Alcuni stralci dalla Relazione illustrativa testimonieranno i
giudizi che abbiamo finora espresso (nostre sottolineature).
a pag. 7 si afferma che il Quadro Strategico è
stato formulato “.. tenendo conto di scenari e visioni che solo
in minima parte dipendono da scelte dirette ed indipendenti dalla
Provincia”
a pag. 9 “.. la nascita delle nuove attività
avviene per lo più sulla spinta di progetti imprenditoriali
che esprimono esigenze di immediatezza e flessibilità
difficilmente negoziabili”. Seppur nella difficoltà,
sembra logico pensare – e sarebbe stato auspicabile venisse
precisato – che l’interesse privato debba sottostare alle
esigenze della comunità tutta, e che gli enti di governo del
territorio su questo debbano attentamente vigilare.
a pag. 31 e 32, dopo aver illustrato con enfasi gli
elementi di unicità ambientale e storica, universalmente
riconosciuti, di alcuni caratteri strutturali del territorio, il
Piano afferma che essi sono “.. già soggetti ad una
serie di attenzioni specifiche della pianificazione, anche se non
sempre capaci di garantire e di attivare politiche di tutela e messa
in valore”, e anche in questo caso “Su questi caratteri
strutturali il piano non vuole (sic!) agire tanto con misure
prescrittive ma piuttosto con direttive per la formazione dei piani
comunali e con iniziative e azioni che la Provincia si candida a
promuovere: prima fra tutte la Rete Ecologica” (si legga: libro
dei sogni)
É fortemente probabile che la prossima scadenza elettorale
abbia influito sull’approccio scelto. Non intaccare interessi,
non esprimere fermezze, non dichiarare apertamente una prospettiva di
priorità, è sembrato forse “politicamente più
conveniente”, trovandosi alle soglie di questo appuntamento.
Dal nostro punto di vista niente poteva essere, oltre che eticamente
discutibile, strategicamente più sbagliato, anche alla luce
delle ripetute “batoste” ricevute da un centro-sinistra
incapace di esprimere e sostenere visioni e volontà proprie, e
ormai allineato su una politica trasversalmente suddita agli
interessi economici e di potere. Un piano territoriale non può
essere “neutro”: esige una visione strettamente politica
nella determinazione delle scelte, tanto più efficace quanto
più fortemente e autorevolmente espressa.
Timidezza sulle scelte ambientali
Leggiamo ancora:
a pag. 34. Nel capitolo sul Quadro strategico
“Ricordiamo che queste visioni guida, che non dipendono da
scelte autonome ed esclusive della Provincia,: servono da guida per
il confronto nella arena della governance; orientano, senza vincolo
ma senza contraddizioni, le scelte cogenti del PTCP. Le proposte
strategiche del PTCP non avranno validità direttamente
normativa.” Le visioni guida propongono “..convergenze e
alleanze che devono essere ancora consolidate fuori scala:
segnatamente con la Regione, con le Città capoluogo e le
Province di Padova e Treviso, nonché con gli altri Comuni,
ambito per ambito.”
a pag 36, sulla Rete Ecologica Provinciale (REP) “Il
progetto della REP precede il PTCP ed è da questo assunto,
compatibilmente con le indicazioni sovraordinate del PTRC e con le
altre assunzioni condivise per il Piano.”
a pag. 37. “La visione infrastrutturale, di scala
vasta, non dipende né direttamente né esclusivamente
dalla Provincia: è perciò una visione guida, proposta e
promossa verso altri interlocutori”.
Se la Provincia avesse voluto davvero esprimere una propria volontà,
dimostrandosi consapevole dei vincoli esterni ma non dichiarandosi
apertamente succube di interessi sovraordinati, avrebbe potuto
esprimere sostanzialmente gli stessi contenuti in un modo
radicalmente diverso; per esempio, avrebbe potuto e potrebbe
scrivere:
“Nonostante la visione infrastrutturale di scala
vasta non dipenda né direttamente né esclusivamente
dalla Provincia, la stessa, in virtù dell’ambito
territoriale di competenza, intende essere interlocutore privilegiato
e autorevole della Regione per le scelte strategiche in questo campo,
portavoce ed interlocutore più diretto delle Amministrazioni
comunali, anche in ragione delle priorità e degli obiettivi
individuati attraverso il percorso di partecipazione.”
Ma, evidentemente, non è questa la volontà politica che
ispira il Piano che ammette la sostanziale rinuncia ad assumere un
ruolo decisivo nelle scelte di pianificazione e lasciando amplissimo
margine di stravolgimento degli indirizzi e delle direttive suggerite
dal PTCP.
a pag. 40. “In gran parte si tratta di assumere
scelte consapevolmente parziali”.. “..inquadrandole con
coerenza nelle prospettive più ampie disegnate dal Quadro
Strategico complessivo. Ovviamente tali scelte sono state e saranno
ancora valutate tenendo conto anche dell’ipotesi che queste
prospettive più ampie non si realizzino e anzi vengano
contraddette da orientamenti strategici diversi, oggi non
prevedibili.”.. “.. le regole del Piano esprimono nei
confronti dei Comuni e dei loro Piani essenzialmente delle
indicazioni aperte e sufficientemente flessibili da consentire loro
di esercitare la propria autonomia, traducendole in disposizioni
operative.”
Le grandi operazioni di
trasformazione
Questo approccio viene ulteriormente ribadito in riferimento alle
grandi operazioni trasformative di scala regionale, che potrebbero
avere un impatto determinante sulla fragilità ambientale del
territorio provinciale, più volte richiamata nelle premesse e
nei singoli capitoli del Piano:
- a pag. 47. “La constatazione è che tali
operazioni, frutto generalmente di accordi sovra-provinciali,
sfuggono in larga misura alla diretta previsione del Piano in ordine
ai caratteri quantitativi e qualitativi e alla loro stessa
fattibilità e localizzazione”
Ci si chiede perché, se si ritiene che le normative su molti
settori di pianificazione siano così limitanti per la
Provincia, il Piano non abbia fatto leva almeno sulle poche ma
determinanti competenze alle quali può fare riferimento, come,
ad esempio, la possibilità di istituire aree protette
regionali di interesse locale. Eppure tale possibilità non è
presa in considerazione, nemmeno per aree di enorme importanza e
fragilità, come la Laguna di Venezia, la Laguna di Caorle e
Bibione e la Centuriazione Romana del Miranese.
L’esito di questa sostanziale e conclamata rinuncia alla
pianificazione, della resa di fronte alle decisioni dei poteri forti,
della delega ad essi e alla Regione, dell’acritica accettazione
delle istanze dei Comuni (o più probabilmente e spesso dei
sindaci, anche di centrodestra, talvolta senza alcun confronto con la
società civile) che, nelle intenzioni doveva evitare
conflitti, tanto più in un periodo pre-elettorale, finisce per
sortire l’effetto opposto: presta al fianco a chi rifiuta sic
et simpliciter qualsiasi “vincolo” e a chi
strumentalmente se ne fa paladino (il centro-destra) e, nel contempo,
delude coloro (cittadini, comitati, associazioni, alcune
amministrazioni locali) che - viceversa - rifiutano la logica della
“deregulation” e del “ma anche”, giustamente
preoccupati per le sorti del proprio territorio, per la vivibilità,
per la salute e l’ambiente.
Ambiente
“Priorità assolute”
dichiarate…
Il Piano individua “l’adeguamento al cambio
climatico globale come priorità assoluta e generale(allargando
e rendendo pienamente trasversale l’ottica della valutazione
ambientale strategica come processo di piano)” (pag. 6 della
Relazione illustrativa). Inoltre la “questione
ambientale” viene riconosciuta come principale asse sul quale
si regge il Piano. Il capitolo 4.3 della Relazione illustrativa in
questo senso è particolarmente chiaro e sembrerebbe dare
assicurazioni sufficienti per una concreta e duratura salvaguardia
del territorio.
Nelle Relazione illustrativa (p. 35) si afferma: “Il
Piano rovescia le priorità tra interventi relativi al cambio
climatico e visioni di sviluppo. Infatti, mentre in questo capitolo
vengono proposte visioni guida che non hanno immediato valore
normativo nelle disposizioni di Piano, gli orientamenti relativi agli
adattamenti ambientali vengono tradotti in un corpo cospicuo e
preciso delle NTA, con valore direttivo e prescrittivo nei confronti
dei Comuni, attuatori del PTCP. Con questa scelta il PTCP attribuisce
agli interventi sulle variabili ambientali, climatiche e di tutela
del territorio e dell’ambiente, ruolo non solo precauzionale e
cautelativo, ma prioritario e preventivo rispetto alle indicazioni di
sviluppo del costruito e delle economia”.
…contraddette e tradotte in
regole inefficaci
Questa affermazione, che sembra il manifesto di un gruppo
ambientalista d’assalto, merita alcune precisazioni. Sebbene
gli articoli delle NTA sui temi ambientali costituiscano una parte
cospicua del Piano, essi non sono affatto tradotti in efficaci
regole.
Ad esempio, l’articolo 14 delle NTA dedicato al cambio
climatico non prevede indirizzi, direttive o prescrizioni, ma
sottolinea che, nelle valutazioni di opportunità e di
alternative degli interventi, debba essere sempre preso in
considerazione il principio di precauzione, di per sè
insufficiente a sostenere politiche di tutela.
Se fosse davvero un elemento “di priorità assoluta”,
il principio di precauzione dovrebbe di per sé dissuadere
dalla realizzazione di interventi di particolare impatto. quali il
Polo Porta ovest/Veneto City e il Polo di Marcon-Dese-Tessera/Tessera
City, la cui attuazione invaliderebbe qualunque direttiva di tutela
ambientale.
Ancora. Il Piano recepisce e assume il progetto di Rete Ecologica,
pur sempre senza specifiche prescrizioni. Ma i Poli previsti in aree
attualmente non edificate e ammessi dal Piano costituirebbero
barriere infrastrutturali di tale entità da compromettere in
modo grave l’efficacia della REP, in un contesto territoriale
dove l’impronta ecologica è già enormemente
superiore ai livelli accettabili.
Il Piano individua aree di particolare valore ambientale e/o
culturale, per le quali vengono – blandamente – indicate
direttive di tutela. La protezione di queste zone, e la conseguente
limitazione di interventi, viene intesa in riferimento allo specifico
perimetro delle stesse o al massimo nel raggio allargato di poche
centinaia di metri (prevedendo anche delle “deroghe”), e
non vengono invece presi in considerazione gli interventi che,
seppure non strettamente prossimi all’area, ne possono
irrimediabilmente compromettere l’assetto, la funzionalità,
l’attrattiva. Questo approccio rivela una pericolosa
inadeguatezza delle competenze relative alla valutazione dei processi
ecologici e delle metodologie e soluzioni da adottare in termini di
conservazione ambientale. Preoccupante, in questo senso, anche una
affermazione “buttata là” fra le righe della
Relazione introduttiva che sottolinea (pag. 33)
“l’intendimento attivo del piano, che vuole superare la
logica vincolistica del non-agire”, come se le prescrizioni di
un vincolo di tuutela, opportunamente motivate da valutazioni
tecniche e scientifiche, fossero sinonimo del “non agire”;
interpretazione di basso livello, tanto quanto quella che relega
frettolosamente e inopportunamente le espressioni critiche di
associazioni e di comitati per la difesa del territorio al “partito
dei no” o alla sindrome Nimby.
Sempre a proposito delle contraddizioni del piano tra obiettivi di
tutela e altre opzioni del piano (in particolare i Poli
economico-produttivi) due esempi sono particolarmente significativi.
La Centuriazione romana viene più volte citata come elemento
strutturale di valore. L’art. 44 delle NTA, dedicato a questo
argomento, individua fra gli obiettivi la necessità di
“limitare le modificazioni delle infrastrutture stradali
a quelle necessarie per finalità funzionali e di sicurezza;”
e di “eliminare i fattori di degrado ambientale”. Le
prescrizioni ammettono solo interventi “limitati a quelli di
manutenzione.., di restauro e di risanamento conservativo”.
Come si può pensare che la realizzazione del Polo Porta Ovest
(si legga: Veneto City), con i suoi 70.500 veicoli previsti al
giorno, possa non stravolgere la fragile e già ampiamente
compromessa viabilità del Graticolato Miranese ed in generale
della Riviera?
L’art. 25 delle NTA (Fasce di tutela dei corsi d’acqua e
bacini idrici e “segni ordinatori”) inserisce una
direttiva tesa a tutelare i caratteri ambientali del sistema
lagunare, promuovendo anche “la valorizzazione del ring
perilagunare costituito dalle aree di gronda”. Si pensa
forse che il Polo di Marcon-Dese-Tessera, con i suoi faraonici
insediamenti, possa essere elemento coerente alla – tardiva –
tutela della gronda lagunare e degna porta di ingresso alla Laguna? E
come vi si colloca la Ferrovia ad alta velocità/capacità?
Proposte di modifica
Le proposte di emendamento che seguono, riferite alle norme tecniche
di attuazione e, in taluni casi, alle tavole del PTCP, hanno
sostanzialmente l’intento di rendere un po’ più
efficaci le intenzioni espresse in materia di ambiente e a colmare
alcune lacune. In corsivo le brevi note esplicative.
Art. 8, comma 2. : Sostituire con il
seguente:
“ Fatti salvi eventuali diversi termini previsti da specifiche
disposizioni legislative o da organismi sovraordinati, l’adeguamento
degli strumenti urbanistici locali (Piani Regolatori, PAT/PATI) alle
direttive del presente PTCP deve avvenire in occasione della prima
Variante ad essi e comunque entro 12 mesi dall’approvazione del
PTCP medesimo.”
Art. 8, comma 3. punto c, sostituire
con il seguente:
” Recepire le aree vincolate, precisandone la delimitazione di
dettaglio, con eventuali scostamenti rispetto alle tavole del PTCP
che dovranno essere giustificati mediante opportuna documentazione
tecnica che ne dimostri la necessità e proponga soluzioni
equivalenti.”
Art. 9, comma 4. : Aggiungere, alla
fine :
“Ai fini di una applicazione dei suddetti strumenti di
perequazione e compensazione urbanistica e di credito edilizio
coerente con i criteri d’impostazione del presente Piano
Territoriale di Coordinamento Provinciale e di evitare situazioni di
eccessivo squilibrio applicativo tali da generare artificiosi
meccanismi di ”concorrenza sleale” e di spostamento degli
investimenti speculativi sul territorio e, viceversa, di perseguire
gli obbiettivi di miglioramento della dotazione di aree e servizi
pubblici, pur nel rispetto dell’autonomia dei Comuni il PTCP
stabilisce le “Linee guida per l’applicazione ai Piani
Regolatori (PAT/PATI e PI) dei criteri di perequazione urbanistica e
ambientale” inserite in Appendice “
Art. 10, comma 2, 12° a-linea,
aggiungere:
“– tracce archeologiche, anche ricavate da documenti e
foto-interpretazioni aeree, di insediamenti, infrastrutture,
centuriazioni, da preservare in quanto segni sul territorio anche
prescindere da eventuali rinvenimenti materiali”
La ratio della norma proposta sta nel valore culturale che nella
più moderna archeologia viene attribuito a tali siti, non
tanto quali possibili giacimenti materiali quanto come segni sul
territorio (identificati con la foto-interpretazione aerea e
satellitare e ricerche sul campo) degli antichi insediamenti, dei
tracciati delle vie consolari e della centuriazione romana, da
conservare in quanto tali.
Art. 10, comma 3.
“In sede di PAT/PATI, i suddetti elementi e altri eventualmente
già individuati dai PRG previgenti o da diversi strumenti
conoscitivi e programmatori, devono essere tutelati e valorizzati nel
ruolo territoriale, paesistico e storico-culturale, nelle relazioni
reciproche e nella loro complessiva identità”
Art. 14. Contenimento e contrasto
degli effetti del mutamento climatico. Comma 1.
“1. Il PTCP, anche in attuazione di politiche generali a scala
regionale, interregionale ed europea, da applicare alle specifiche
caratteristiche del territorio provinciale, persegue l’obiettivo
di adattare il territorio provinciale ai cambiamenti climatici e di
contrastarne gli effetti negativi, nonché di ridurre i livelli
di inquinamento atmosferico, dei terreni e delle acque, incidenti
sulla salute, sull’equilibrio ambientale ed insediativo,
applicando il principio di precauzione, compensazione e riduzione
degli impatti, mediante misure ed azioni di cui al presente titolo“.
“Prescrizioni: Tutti gli interventi di carattere insediativo e
infrastrutturale devono adottare le soluzioni tecnologiche più
avanzate in abbattimento delle emissioni inquinanti e climalteranti.
Gli stessi interventi devono essere progettati e realizzati in modo
da garantire nel corso delle fasi di realizzazione e successiva
gestione un impatto nullo per quanto riguarda il bilancio delle
emissioni climalteranti, facendo ricorso anche a opportune opere di
compensazione”.
Art.15, comma 3, aggiungere la
seguente frase:
“La Provincia collabora con la Regione per l’
individuazione degli interventi strutturali prioritari per la
rimozione o il controllo del rischio idraulico e l’acquisizione
delle aree destinabili alla laminazione delle piene”.
Art. 15, punto 13., aggiungere al
termine il seguente alinea:
“ - nell’individuare i nuovi insediamenti, i PAT/PATI e i
conseguenti PI dovranno obbligatoriamente, anche mediante la VAS e/o
apposita relazione idrogeologica, da sottoporsi ai competenti
Consorzi o Enti di bonifica, dimostrare la fattibilità tecnica
e la sostenibilità economico-gestionale delle opere idrauliche
conseguenti, privilegiando – a parità di altre
considerazioni - le aree di minor rischio idraulico ; mentre i PUA
dovranno dimostrare di adottare le soluzioni tecniche più
idonee in relazione alla minimizzazione del rischio idraulico
(mantenimento ovunque possibile del sistema della rete scolante, dei
fossati, adozione di sistemi di raccolta e smaltimento della acque
meteoriche che consentano la massima dispersione ed assorbimento al
suolo (bacini di raccolta delle acque di prima pioggia; sistemi
fognari tipo “trincea drenante”, sia a lato delle strade
che nei grandi parcheggi, ecc.) ) “
Art. 18 Aggiungere alle
“prescrizioni” il seguente comma:
“18. Nel Bacino Scolante in laguna, fino all’approvazione
da parte della Regione del PAI, nelle aree a elevato rischio di
allagamento (come evidenziate dalle cartografie della Provincia,
dalle documentazioni storiche e dei Consorzi di Bonifica ) è
sospesa l’urbanizzazione sino alla eliminazione o riduzione del
rischio idraulico.”
Art. 17, punto 12, di seguito
aggiungere :
“ I comuni interessati dovranno in ogni caso garantire la
massima e trasparente informazione alla popolazione sugli eventuali
rischi ed inconvenienti derivanti da tali impianti, sia sotto il
profilo ambientale che igienico-sanitario e adottare piani
d’intervento attivo da recepire nei piani comunali o
intercomunali di protezione civile”.
Dopo l’art.18 introdurre un
nuovo articolo:
In generale il PTCP non fa mai cenno ai problemi di inquinamento
atmosferico, dovuti a i diversi fattori (industrie, centrali di
produzione elettrica, riscaldamento domestico, traffico), che
incidono sulla salute umana e sulle produzioni agricole, mentre pone
sempre l’accenno sui cambiamenti climatici (che, come noto,
sono dovuti alla produzione di gas climalteranti, quali in
particolare la CO2, che non hanno effetti immediatamente nocivi sulla
salute.
“ Art.18/bis: Difesa della qualità dell’aria.
“Direttive.
“In generale, nel caso di impianti industriali che producano
rilevanti emissioni in atmosfera, ed in particolare nel caso di
importanti infrastrutture stradali, ferroviarie, energetiche e
analoghe, si prescrive che la Valutazione Ambientale Strategica
(nell’ambito dei PAT/PATI) e la Valutazione d’Impatto
Ambientale ( a corredo dei progetti) verifichino la compatibilità
ambientale mediante un approfondito studio degli effetti sulla
qualità dell’aria del volume e del tipo di
traffico e in generale delle emissioni previste, verificata anche da
ARPAV ed ULS, in rapporto ai centri abitati limitrofi, alle direzioni
dei venti ed alle eventuali previsioni di espansione urbana.
“In particolare, qualora il tracciato definitivo di una nuova
infrastruttura, quale ad es. la Nuova Romea, dovesse risultare
limitrofo a centri abitati (come nel caso del Comune di
Cavarzere e, parzialmente, di Cona) si prescrive che il
progetto preveda misure obbligatorie di mitigazione e compensazione
ambientale (valorizzazione paesaggistica), quali una fascia a
protezione degli insediamenti opportunamente boscata e piantumata
(analoga a quella del Passante di Mestre) di adeguata ampiezza ai
lati della stessa“. (Indicazione da riportare anche
graficamente nnelle tavole del PTCP)
“Prescrizioni. Fino all’adeguamento al PTCP, ai
sensi dell’art 8 delle presenti NTA, qualora sia prevista la
realizzazione di nuove arterie stradali ad alto scorrimento o a
carattere autostradale, si prescrive che il progetto preveda lungo il
tracciato, ed in particolare là dove questo risulti limitrofo
a centri abitati, misure di mitigazione-compensazione ambientale, e
di valorizzazione ambientale, includendo obbligatoriamente tra queste
una fascia tampone boscata di adeguata ampiezza su entrambi i lati
dell’opera”.
Art.20. Parchi e riserve regionali…
. Aggiungere il seguente punto 3:
“ 3. La Provincia promuove iniziative e intese per la
costituzione del Parco Regionale della Laguna di Venezia”.
Art. 22, comma 4; di seguito
aggiungere :
“Le aree destinate ad insediamenti civili, produttivi e
commerciali-direzionali, impianti di produzione energetica,
elettrica, di trattamento dei rifiuti, strade ad alto scorrimento o
autostrade e altre analoghe opere di significativa incidenza
ambientale, ricadenti entro la fascia di 500 metri (area di
transizione), previste dai PRG previgenti ma non ancora attuate né
impegnate da PUA già approvati e convenzionati alla data di
adozione del PTCP, decadono automaticamente e potranno essere
interessate da processi di rilocalizzazione nei PAT/PATI e loro
Varianti anche mediante credito edilizio”.
Art. 22 comma 5, riscrivere:
“Fino al’adeguamento del PTCP, ai sensi dell’Art. 8
delle presenti NTA, fatte salve vigenti disposizioni di maggior
tutela, nei siti di cui al presente articolo, ed entro una fascia di
500 metri dal perimetro degli stessi (area di transizione), non
potranno essere adottate varianti ai vigenti strumenti urbanistici,
né essere realizzate altre opere o infrastrutture, fatta
eccezione per quelle necessarie a garantire la sicurezza del
territorio o la protezione dell’ambiente”
Art. 23, comma 5, primo a-linea,
modificare:
“- massima reversibilità delle opere rispetto alle
tecnologie disponibili “
Art. 23. Aree di tutela
paesaggistica di interesse regionale soggette a competenza degli enti
Locali.
Le previsioni del PTCP relative al sistema della Laguna di Caorle
e Bibione – Foce del Tagliamento non sono efficaci rispetto
agli obiettivi di tutela ambientale e paesaggistica, e non si
prospetta uno scenario di salvaguardia attiva del patrimonio
naturalistico e culturale. Si chiede per questo ambito l’istituzione
di un parco naturale.
Al punto 1. Obiettivi aggiungere, di seguito:
“1. […] Per l’area di cui all’art. 33 delle
NTA del PTRC denominata “Laguna di Caorle, Valle Altanea, Valli
e Pineta di Bibione”, la Provincia promuove iniziative e intese
per l’istituzione del Parco Regionale della Laguna di Caorle e
Bibione – Foce del Tagliamento.”
Art.24, comma 5, primo a-linea,
aggiungere di seguito
“[…] prevedendone la ricollocazione anche mediante
credito edilizio; “
Art 23., comma 7, sostituire:
“Fino al’adeguamento del PTCP, ai sensi dell’Art. 8
delle presenti NTA, fatte salve vigenti disposizioni di maggior
tutela, nei siti di cui al presente articolo, ed entro una fascia di
500 metri dal perimetro degli stessi (area di transizione)
non potranno essere adottate varianti ai vigenti strumenti
urbanistici, né essere realizzate altre opere o
infrastrutture, fatta eccezione per quelle necessarie a garantire la
sicurezza del territorio o la protezione dell’ambiente”
Art 24. comma 5, riscrivere primo
a-linea
“individuano le attività presenti entro una fascia di
200 metri e ne valutano la compatibilità con gli obiettivi di
tutela, prevedendone la ricollocazione anche mediante credito
edilizio”
Art. 24 comma 8, sostituire
“Fino all’adeguamento di cui sopra gli interventi ammessi
su dette componenti naturali e in una fascia di rispetto di 200 metri
dagli stessi sono limitati a quelli di manutenzione ordinaria e
straordinaria e a quelli eventualmente necessari per garantire la
sicurezza del territorio o la protezione dell’ambiente”.
Inoltre aggiungere, dopo il primo a-linea:
“ - le aree destinate ad insediamenti civili e industriali,
impianti di produzione energetica, elettrica, di trattamento dei
rifiuti e altre analoghe di significativa incidenza ambientale,
ricadenti entro la fascia di 200 metri, previste dai PRG previgenti
ma non ancora attuate né impegnate da PUA già approvati
e convenzionati alla data di adozione del PTCP, decadono
automaticamente e potranno essere interessate da processi di
rilocalizzazione nei PAT/PATI e loro Varianti anche mediante credito
edilizio”.
Art.25, comma 2: aggiungere, dopo
Tagliamento
“…Tagliamento, Sile “
Art. 25, aggiungere, dopo comma 12:
“ 13. I PAT/PATI individuano, mediante la VAS e gli studi
agronomici, i requisiti delle attività rurali e della loro
gestione compatibili con le caratteristiche ambientali e gli
obiettivi di valorizzazione naturalistica, anche in rapporto al Piano
di Sviluppo Rurale regionale, incentivando le tecniche che riducano
consumo e smaltimento di acqua, che prevedano l’utilizzo di
concimi naturali (compost), la diversificazione produttiva, il
rimboschimento, ecc. “
Art. 28 comma 14, aggiungere alla
fine la seguente frase:
“I PAT/PATI possono apportare, di concerto con la Provincia,
limitate modifiche ed adattamenti allo schema della Rete ecologica di
area vasta e provinciale, solo per comprovati motivi di forza
maggiore e purchè la soluzione proposta sia altrettanto
rispondente al disegno generale. “
Art. 28, comma 19, modificare :
“ I PAT/PATI recepiscono di norma, salvo giustificate modifiche
derivanti da una più dettagliata analisi dei luoghi che
dovranno essere verificate dalla Provincia, lo schema di Reti
ecologiche […] LR 11/04, inserendo prescrizioni di tutela per
salvaguardare le caratteristiche paesaggistiche ambientali dei luoghi
“.
Art.28, comma 20.
Non è chiaro il significato, potrebbe interpretarsi che i
nuovi insediamenti siano collocabili negli ambiti della rete
ecologica, adattandoli mediante compensazioni
“Le eventuali previsioni di nuovi insediamenti, limitrofi o
parzialmente sovrapposti allo schema delle Rete ecologiche (qualora
ciò sia giustificato ai sensi del precedente comma 19), vanno
coordinate con la realizzazione di connessioni di rete alternative e
il potenziamento di elementi funzionali alla rete stessa, prevedendo
adeguate forme di compensazione ambientale “
Art.28 comma 21. primo a-linea,
sostituire con :
“ – deframmentazione dei nuovi insediamenti (intendendosi
con ciò anche quelli previsti dai Piani Regolatori ma non
ancora attuati) attraverso opere di mitigazione e compensazione
ambientale”
Art. 28, comma 22 modificare
:
“22. Nelle aree Nucleo, nel rispetto delle disposizioni
contenute negli articoli 20 e 22 delle presenti NTA:
Non sono consentiti interventi di nuova edificazione;
I tracciati di nuove infrastrutture viabilistiche e ferroviarie
dovranno evitare l’interferenza con le aree nucleo. Qualora
sia dimostrata l’oggettiva impossibilità di diversa
localizzazione, devono essere previste connessioni di rete
alternative e idonee misure di mitigazione e compensazione
ambientale, che garantiscano il conseguimento di risultati analoghi
a quelli previsti;
I PAT/PATI individuano le trasformazioni non consentite […]
ammesse. “
Art. 28, comma 25 (Direttive per la
Rete ecologica di livello provinciale).
“25. I PAT/PATI verificano e dettagliano le indicazioni di
collegamento dei corridoi ecologici provinciali, eventualmente
proponendo alla Provincia, sulla base di adeguati riscontri analitici
oggettivi, un diverso tracciato purchè nel rispetto della
necessaria connessione tra gli elementi funzionali della rete
ecologica.”
Art. 28, comma 26. Modificare:
“26. I PAT/PATI verificano e dettagliano, sulla base di
adeguati riscontri analitici oggettivi, le componenti integrative dei
corridoi ecologici; “
Art. 28 comma 28 (Prescrizioni)
Modificare:
“28. Fino all’adeguamento al PTCP, le previsioni dei
piani comunali vigenti potranno essere attuate a condizione che si
dimostri, attraverso valutazione d’impatto ambientale e/o
valutazione d’incidenza ambientale, che non vengano compromessi
i caratteri naturalistici delle aree nucleo o delle le aree di
connessione naturalistica.”
Art. 37, comma 6., Modificare, 4°
a-linea:
“– ridurre i fattori inquinanti, favorendo l’utilizzo
di concimi naturali (compost, ecc.) e mitigare e compensare quelli
residui”
Art. 39. Aree urbano rurali.
La tavola 4 individua tali aree, limitrofe alle aree urbane,
esistenti e previste dai PRG; gli Obiettivi sembrano, e forse lo
sono, nelle intenzioni condivisibili. Alcuni sindaci, già al
momento della pubblicazione del “progetto di Piano” del
giugno 2008, avevano alzato grida di protesta contro tale norma che –
a loro dire – impedirebbe l’espansione urbana: poi tali
proteste sono scemate, forse perché hanno verificato che le
Direttive lasciano, al solito, ampi margini di manovra.
Inoltre, si consideri che sovente la “strategia” è
di redigere PAT/PATI (soggetti quanto meno al filtro/approvazione di
Regione e Provincia) estremamente vaghi e indeterminati, in modo da
lasciare mani libere al PI (Piano del sindaco) che non ha alcun
controllo esterno ai Comuni (ciò produrrà ben presto la
più assoluta deregulation e la vanificazione delle stesse
Direttive e degli Obiettivi del PTCP).
Onde evitare che gli “Obiettivi” enunciati,
condivisibili, siano vanificati portando ad un’interpretazione
troppo “elastica” degli interventi possibili, di fatto
“riempiendo” queste aree di nuove grandi lottizzazioni
residenziali, proponiamo la seguente formulazione che ci sembra più
rispondente agli obiettivi proposti e di univoca interpretazione :
“Direttive
“7. I PAT/PATI, in riferimento alle aree periurbane rurali, per
perseguire gli obiettivi sopra indicati, definiscono apposite
disposizioni per favorire processi di riqualificazione tramite
interventi che producano:
“- la ricontestualizzazione e la riorganizzazione del tessuto
edilizio periferico, da integrare, completare e fornire di adeguate
dotazioni di servizi e di accessibilità ai centri e ai poli,
con riferimento alle esigenze di sviluppo e riqualificazione locale,
in ogni caso da riqualificare per gli spazi pubblici, integrando ed
adeguando in primo luogo le dotazioni di aree a parco urbano e
territoriale, anche connesse alle Reti ed ai corridoi ecologici,
“- l’eventuale sviluppo insediativo è
esclusivamente limitato al completamento e alla ricucitura
dell’esistente, contestualmente al riordino della viabilità
di servizio, ed è subordinato alla compensazione della carenza
di aree a standards nelle aree urbane consolidate, all’acquisizione
e realizzazione di aree a parco urbano e rurale, all’adeguamento
dei servizi per la residenzialità – utilizzando i
meccanismi della “perequazione urbanistica”, della
“perequazione ambientale” e del credito edilizio, secondo
le “Linee guida” inserite in Appendice alle presenti NTA
– individuando specifici strumenti di attuazione a garanzia
della qualità paesaggistico-ambientale, urbana ed
architettonica complessiva (progetti unitari).
Art. 42, comma 8, modificare:
“ 8. Le perimetrazioni relative ai centri storici di cui al
precedente comma o ad altri centri storici, già definite nei
vigenti strumenti urbanistici comunali e non inserite […].”
Art. 42. Direttive:
Non è univocamente interpretabile il comma 12, laddove si
propone di limitare la trasformazione a fini turistici degli “edifici
monumentali o di altri edifici di interesse storico o culturale”,
nei centri storici di “notevole importanza” (Venezia, in
particolare): per edifici di interesse storico o culturale si
intendono solo quelli soggetti a vincolo ai sensi del nuovo Codice
dei Beni Culturali (ex L. 1089/1939)? In ogni caso, tale direttiva
per i PAT/PATI non affronta il problema generale della
regolamentazione della trasformazione degli edifici residenziali in
alberghi o residenze alberghiere a Venezia. Probabilmente, tuttavia,
è tema che va affrontato in sede di PAT comunale, secondo le
direttive del PTCP, di cui al comma 11.
Art 44 comma 1 quarto a-linea,
sostituire:
“- contenere i processi insediativi a carattere residenziale e
orientare quelli ammessi secondo specifiche direttrici”
Art 44 comma 1, aggiungere:
“ Limitare i processi insediativi a carattere produttivo e
commerciale alle aree parzialmente già interessate da questo
genere di attività che risultino non completamente utilizzate
o parzialmente dimesse”.
Art. 45, Direttive, aggiungere dopo
il comma 5, il comma 6:
“6. Fino all’adeguamento al PTCP, ai sensi dell’art.8
delle presenti NTA, gli interventi ammessi sugli elementi di cui al
presente articolo sono limitati a quelli di manutenzione ordinaria e
straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo”.
Art.46. Indirizzi.
Come si è detto, il PTCP non fa mai cenno ai problemi di
inquinamento atmosferico, che incidono sulla salute umana e sulle
produzioni agricole, mentre pone sempre l’accenno sui
cambiamenti climatici che, come noto, sono dovuti alla produzione di
gas che non hanno effetti immediatamente nocivi sulla salute.
Modificare comma 2: tra il primo ed il secondo a-linea aggiungere:
“ - tutela della qualità dell’aria e delle acque”
Art.46. Direttive.al comma 3,
introdurre un primo a-linea:
“ - la tutela della qualità dell’aria, con
particolare riferimento alla previsione di nuove infrastrutture
stradali, di insediamenti industriali e di impianti energetici in
rapporto ai centri urbani e ai nuovi insediamenti (distanza,
direzione dei venti, barriere naturali esistenti e di progetto, opere
di mitigazione e compensazione ambientale)“.
Art. 46 Aggiungere comma 10
(prescrizioni):
“Fino all’adeguamento al PTCP, ai sensi dell’art. 8
delle presenti NTA, la realizzazione degli interventi di nuova
edificazione e di trasformazione urbanistica ammessi sono limitati
alle aree contigue e interne al tessuto insediativo esistente, e
comunque in misura non superiore al 5% della superficie
complessivamente già edificata”
Laguna di Venezia, rischio
idraulico, il parco e il porto
Laguna di Venezia.
Non è ammissibile il sostanziale silenzio del PTCP sul tema
della Laguna di Venezia, che di quel piano dovrebbe costituire il
cuore. Gioverà ricordare che la questione della Laguna di
Venezia (l’unica laguna rimasta tale dopo un millennio) eraa
stata considerata dal legislatore nazionale, ancora nel 1973, come un
territorio che richiedeva, per la sua tutela, una pianificazione
d’area vasta. Si tentò con il piano comprensoriale,
che non fu reso efficace dalla decisione della Regione Veneto di non
ricostituirne gli organi decisionali. Successivamente (1990) la
legislazione nazionale, anche in considerazione del fallimento
dell’esperienza dei comprensori nelle aree in cui si erano
sperimentati, assegnò alle province la competenza della
pianificazione d’area vasta.E’ del tutto assurdo e
ingiustificabile il fatto che la Provincia rifiuti di dire alcunché
sulla Laguna di Venezia, a parte il mero rinvio alla pianificazione
regionale.
Oggi più che mai occorre chiarezza nel definire le criticità
e le cause dei gravissimi dissesti e degradi ambientali, in
particolare della laguna (del resto ben identificati nel recente
libro della Provincia: La laguna di Venezia, 2007). Per
l’adeguamento al PALAV (Sistema ambientale lagunare, litoraneo
e della terraferma), atteso dal 1996, occorre in particolare definire
le misure indicate nelle direttive (“innalzamento delle quote
dei canali di navigazione, controllo e mitigazione del moto ondoso,
regolamentazione del traffico, vedi art. 5 delle Norme Tecniche di
Attuazione).
Occorre individuare le finalità e le strategie
generali per un equilibrio sostenibile e la riqualificazione
ambientale definendo le funzioni compatibili e le prospettive a lungo
termine. Le specifiche proposte e le azioni devono essere decise dopo
aver comparato in modo scientifico e trasparente le “ragionevoli
alternative” possibili sulle quali avviare le consultazioni
pubbliche.
Conflitti: la Provincia ha paura
di
esercitare i suoi poteri?
Questo è particolarmente importante in una
situazione lagunare nella quale
l’Autorità Portuale tende a realizzare le profondità
dei canali previste dal Piano per la Terza Zona portuale-industriale
del 1965 abrogato dalla legge speciale del 1973 (a tutt’oggi
il Piano del Porto non è stato ancora adeguato al PALAV),
non è ancora stato portato fuori dalla Laguna il transito
delle petroliere attrezzando una semplice boa in mare come già
fatto in tutto il mondo (anche a Civitavecchia),
il ridimensionamento del Canale dei Petroli previsto dal Piano
Morfologico del Magistrato del 1993 non è stato attuato,
vanno esplicitate, verificate e comparate le alternative per
l’estromissione delle grandi navi crocieristiche dal bacino di
S. Marco: attracchi a Marghera e/o realizzazione di un avamporto
galleggiante nel mare antistante le bocche di porto),
occorre individuare e normare gli specifici spazi acquei per le
imbarcazioni (tipologie diverse per le diverse localizzazioni e i
diversi natanti; relativi standards di servizi connnessi) e fissare
la dimensione complessiva relativa ai posti barca e alle darsene
sostenibili in città e nelle gronde lagunari di competenza
comunale, stabilendo le condizioni limite complessive compatibili
con la tutela ambientale della laguna.
occorre definire chiari criteri ambientali e territoriali per la
gestione delle morfologie (barene e velme) e delle aree delle
concessioni lagunari oggetto di interventi e decisioni molto
discutibili (costruzioni di barene artificiali ambientalmente
insostenibili, coltivazioni di mitili estirpando aree di fanerogame,
ecc. ).
Nessuno dei pur numerosi interventi effettuati nell’ambito
della legislazione speciale per la salvaguardia della laguna di
Venezia, ha realmente affrontato gli obbiettivi principali e
prioritari della legge: l’inversione del processo di degrado e
la rimozione delle cause che lo provocano.
Gli stessi programmi del Magistrato alle Acque di Venezia e del
Consorzio Venezia Nuova del 1993-94, elaborati per poter ottenere i
finanziamenti della Legge speciale (piani-programma che prevedevano
innanzitutto la riduzione della profondità e della portata del
Canale dei petroli e del canale Valleselle), sono rimasti inattuati.
La Laguna sta vivendo un pericoloso processo di erosione sempre più
accentuato, processo che la destina a divenire un braccio di mare,
con la completa eliminazione della morfologia e dell’ecosistema
lagunare.
Ciò che chiediamo
Tutti gli obbiettivi e gli interventi per il riequilibrio
idrogeologico e la riqualificazione ambientale previsti dalle leggi
speciali e nel PALAV (in particolare art. 5 Laguna) vanno riportati e
ulteriormente articolati nelle prescrizioni del PTCP. Il PTCP deve
prescrivere inoltre l’obbligo della verifica della
compatibilità e della sostenibilità ambientale (con
l’obbiettivo del riequilibrio idrogeologico della laguna) per
tutti gli interventi antropici previsti e prevedibili all’interno
della conterminazione lagunare, del bacino scolante e dell’alto
Adriatico contenuti nei programmi di opere e negli strumenti
urbanistici e della mobilità (PRG, PAT, Piano del
Porto, PUT, PUM,, ecc.), verifica da fare con procedure di VIA e con
parere vincolante di appositi organi tecnici ( CNR, Dipartimenti di
scienze ambientali e di Idraulica delle Università,
Commissione per la Salvaguardia, ecc. ).
In particolare vanno introdotte nel PTCP specifiche prescrizioni,
interventi e attività volti a bloccare e/o ridurre il fenomeno
erosivo del bacino lagunare quali:
quote di massima profondità e morfologia dei canali
navigabili, innanzitutto portuali
divieto assoluto di manomissione degli strati di caranto
parametri e rapporti relativi a dislocamento, stazza, velocità,
potenza dei motori per evitare la sospensione dei sedimenti e il
moto ondoso creati dal transito di natanti in laguna nei diversi
flussi di marea.
riduzione (fisse e/o removibili) delle sezioni alle bocche di porto
nei tratti di bocca antistanti le paratoie, anche prevedendo
varianti in corso d’opera del sistema Mo.S.E., per la
riduzione della portate di marea e della dispersione di sedimenti
nella fase di deflusso.
modalità di formazione e apporto di nuovi sedimenti in laguna
prevedendo un aumento dell’afflusso di acque dolci e sedimenti
dal Taglio di Brenta e di Sile, e dal Naviglio Brenta.
revisione delle aree di concessione e del sistema di pesca delle
vongole le cui modalità di esercizio comportano sospensione
di sedimenti.
La grande struttura del piano
Le scelte che il PTCP, assumendole dalle decisioni dei poteri forti e
rinunciando pertanto al suo ruolo istituzionale, costituiscono la
grande struttura del piano sono essenzialmente costituite da alcune
opzioni (non le chiameremmo “scelte”) relative alla
grandi infrastrutture di trasporto e all’individuazione ed
enfatizzazione di alcuni elementi territoriali definiti “Poli
economico-produttivi”. Prima di esaminarli singolarmente
formuliamo alcune osservazioni di carattere generale su questa paarte
del piano: la sue vera e propria “polpa”.
Dopo essersi proposto l’obiettivo della riqualificazione
territoriale, non solo non corrisponde alle attese ma accoglie le
richieste di due devastanti e inutili (salvo che per gli speculatori)
interventi di “Veneto City” e “Tessera City”.
Questa scelta è inquadrata nellì’assunzione come
strategica della concentrazione dei Poli economico-produttivi. Se
fosse davvero tale il PTCP avrebbe dovuto almeno individuarne le
interne correlazioni esistenti, definire le strategie e le normative
capaci di indurne l’integrazione. Nulla di tutto ciò
emerge dalla lettura dei documenti del piano, sicchè l’unica
ragione che rimane è quella della mera copertura istituzionale
di scelte derivanti da altre logiche, estranee alla corretta
pianificazione del territorio.
L’alibi della “città
diffusa”
Uno dei argomenti principali con cui il PTCP motiva la concentrazione
delle attività in Poli, è quello di “mettere
ordine in un territorio sviluppatosi con caratteri diffusi, che,
soprattutto negli anni ottanta hanno smagliato la rete dei centri
storici consolidati – antichi e recenti – e il rapporto
città-campagna, tradizionalmente inteso” (pag. 8
Relazione illustrativa) Poche pagine più avanti (pag. 32) si
afferma invece che “Sia le rappresentazioni cartografiche […]
sia i dati ISTAT sulla superficie agricola […] sono […]
controintuitivi rispetto alla retorica della città diffusa:
villette e capannoni ovunque. I dati ci dicono che la cosiddetta
campagna – coltivata o meno – è ancora un
carattere strutturale: esiste, resiste e qualifica”.
Ovviamente, se si prendono in considerazione dati statistici mediati
sull’intero territorio provinciale, esistono ancora ampi spazi
destinati all’agricoltura: ma la situazione della Riviera del
Brenta o delle aree metropolitane di Mestre e di Padova è
imparagonabile a quella della zona sud, che ha indici demografici
bassissimi ed aree urbanizzate conseguentemente ridotte. Non si
comprende, dunque, quale sia l’elemento strutturale prevalente
che debba essere preso in considerazione: città diffusa o
meno. In realtà i due elementi coesistono, con incidenza
diversa sul territorio.
Del resto, che esista una spinta fisiologica a costruire nuovi
edifici, e che quindi – ove questa spinta venga incanalata
nella messa a disposizione del “mercato” di aree
edificabili in idonee localizzazioni - essa smetta di premere sulla
campagna, è semplicemente una balla. La spinta che si è
manifestata nel passato e continua a manifestarsi è
semplicemente dettata dalla patologia della speculazione:
dalla possibilità di lucrare ingenti quantità di denaro
dalla “commercializzazione” delle aree, anche
indipendentemente dalla effettiva utilizzazione di ciò che
viene indicato come “destinazione d’uso” o
costruito.
Prevedere nuovi grandi insediamenti non basati sul rigoroso calcolo
del fabbisogno socialmente rilevante, motivati solo dalla prospettiva
di lucrare rendita fondiarie ed edilizia, non contrasta certamente lo
sparpagliamento urbano, ma ne diventa una componente.
La preoccupazione riguardo al tema degli insediamenti residenziali e
produttivi, soprattutto in riferimento alla necessità di
contenimento dell’uso del suolo, è una delle quattro
principali problematiche emerse dalla fase di partecipazione, ma
nella Relazione Illustrativa e nelle NTA questa preoccupazione
non viene riportata, né tantomeno presa in considerazione.
I grandi interventi e il contesto
ambientale e paesaggistico
Uno dei principali problemi ambientali della provincia di Venezia, da
tutti riconosciuto, è il consumo di suolo, che già allo
stato attuale ha raggiunto livelli più che preoccupanti ai
quali è legata la fragilità dell’assetto
idrogeologico. Superfluo ricordare, a questo proposito, le emergenze
sempre più frequenti di esondazioni e vere proprie alluvioni.
Nella relazione illustrativa, al cap. 2.4 dedicato allo scenario
economico, si tenta un’operazione rocambolesca di
giustificazione dei Poli economico-produttivi, riportando che
(pag.20) “una vasta letteratura ha da tempo messo in luce la
tendenza alla localizzazione in sistemi produttivi locali o in
cluster di attività specializzate”
Tuttavia nello stesso capitolo si riportano altri indiscutibili
elementi che vanno esattamente nella direzione opposta, in termini di
priorità. Primo fra tutti l’enorme pressione insediativa
registrata negli ultimi 10 anni, determinata, più che da una
reale domanda economico-sociale del territorio, da altri meccanismi
quali: “l’esigenza degli Enti locali di usare la
fiscalità legata all’edilizia per coprire i mancati
trasferimenti, ma soprattutto la tendenza delle economie ricche di
investire quote crescenti del reddito nel settore immobiliare, la cui
domanda presenta una elevata elasticità al reddito. Questo
fenomeno pone evidenti problemi di sostenibilità ambientale in
un’area che presenta elementi di fragilità, ma anche
perché tende a compromettere la disponibilità di una
risorsa strategica per lo sviluppo, in particolare per le attività
collegate al turismo ospitale, all’agricoltura tipica ma anche
agli stessi servizi innovativi, che sempre più richiedono
elevata qualità ambientale come fattore di attrazione degli
investimenti tecnologici e del capitale umano” (pag. 20).
Sembra che i pianificatori abbiano ragionato individualmente e
separatamente ognuno per i propri ambiti di competenza, senza pensare
che stavano facendo i conti con un unico territorio, 2.461 Km2
in una striscia lunga e stretta dove il PTCP
intende insediare 7 poli economico-produttivi, una ferrovia ad alta
velocità, un sistema metropolitano di superficie, 3
autostrade, un numero indefinito di bretelle, tangenziali e altre
strade a largo scorrimento insieme ad una rete ecologica efficiente,
aree protette, agricoltura di qualità e contesti storici
conservati, trascurando il fatto che, fra questi elementi
strutturali, alcuni, per la loro fragilità, sono destinati a
soccombere sotto l’impatto degli altri, e ovviamente si tratta
degli elementi naturali e della cultura locale.
In tale contesto il buon senso porterebbe a privilegiare, o meglio a
scegliere come unica soluzione percorribile, il riuso di aree
dismesse per l’insediamento di nuovi poli. Invece su questo
punto il Piano diventa improvvisamente e inspiegabilmente prudente,
affermando che: “L’ipotesi di favorire un riuso delle
strutture industriali in via di dismissione per accogliere la domanda
di nuove attività produttive e di servizio non è,
infatti, sempre percorribile. Non solo per la rigidità degli
assetti urbanistici esistenti, bensì soprattutto a causa di
condizionamenti strutturali, ambientali e a vincoli di mercato”
(pag. 19 della Relazione introduttiva)
Eppure, sempre per rimanere fedeli alla “filosofia della
contraddizione” che sembra essere la vera linea guida di questo
piano, poche pagine più avanti (pag. 45), nel capitolo
dedicato alle scelte principali del Piano, si sostiene il principio
“fissato a livello regionale, di consentire nuovi
utilizzi edilizi e urbani nel territorio solo quando non vi siano
alternative nel riuso e nella riorganizzazione del patrimonio
insediativo esistente” anche per permettere (poche righe sopra)
“una rivalutazione degli spazi liberi, del verde urbano, dei
varchi e delle pause che segnano le discontinuità
dell’edificato e ne consentono la permeabilità biologica
e paesaggistica”.
Ma non solo. Anche in questo caso le scelte generali sembrano essere
ampiamente supportate dagli obiettivi delle NTA. Pochi esempi fra i
tanti: art. 46 punto 5: “utilizzo di nuove aree o risorse
territoriali qualora si dimostri che non esistono alternative in
termini di riorganizzazione e riqualificazione del tessuto
insediativo esistente; incentivazione del recupero del patrimonio
esistente”; art. 46 punto 6: “In particolare i PAT/PATI
dovranno favorire il recupero delle aree produttive dismesse
favorendone la trasformazione per altre funzioni coerenti con
l’assetto del territorio circostante e prioritariamente per
realizzare integrazione di residenza e servizi, avendo cura di dare
compiutezza all’intervento” ; art.50 punto 1 lettera d):
“ridurre l’impatto e l’incidenza ambientale degli
insediamenti e delle attività, operando prioritariamente
mediante il recupero e la riqualificazione degli insediamenti
esistenti, minimizzando il consumo di suolo agricolo”.
Chi volesse una ulteriore documentazione della contraddittorietà
delle dichiarazioni e decisioni della Provincia potrebbe toccare con
mano il contrasto della previsione di questi poli con gli obiettivi,
indirizzi, direttive espressi dagli articoli delle NTA che ora
elenchiamo: 10, 11, 13, 14, 15, 24, 25, 27, 28, 29, 33, 35, 36, 37,
39, 43, 46, 47, 50, 55, (comma 1, punti a, c, d), 59.
La bugia del Corridoio V
Nonostante ogni considerazione sui valori del territorio da
proteggere, enunciazioni di priorità ambientali, propositi di
sostenibilità “a prescindere”, il Piano conferma
senza appello la necessità dell’insediamento dei Poli
produttivi e terziari in pochissime righe del paragrafo 6.5 della
Relazione introduttiva, nel quale conferma la condivisione
incondizionata su questo punto con il Piano Territoriale Regionale,
basandosi, fra le altre cose, su un assunto che si può
definire senza mezzi termini un falso clamoroso: la concentrazione
degli insediamenti lungo il corridoio V.
In nome del corridoio V e dei collegamenti europei est-ovest la
Regione (e oggi la Provincia) ha ripetutamente giustificato
l’insediamento di infrastrutture pesantissime come il passante
e le altre grandi vie di comunicazione stradali realizzate e in
progetto. Sugli assi viari principali e sugli snodi di primo livello
si concentrano, ovviamente, gli appetiti immobiliari e di conseguenza
l’insediamento dei famosi Poli. Questa tesi è riportata
su ogni documento ufficiale, ci è stata ripetuta in ogni
convegno e seminario sul tema, sempre sottolineando la coerenza di
queste azioni con un piano strategico europeo. Chi si è
espresso in questo senso è perfettamente a conoscenza, e se
non lo fosse la faccenda sarebbe ancora più grave, che
l’Unione Europea non ha nessun progetto strategico sul
corridoio V in termini di infrastrutture stradali, ma solo
ferroviarie e di collegamenti via mare.
In conclusione
Si propone perciò di stralciare dai poli di rilievo
metropolitano regionale il “Polo di Marcon- Dese- Tessera”
(Tessera City) e il “Polo Porta ovest” (Veneto City),
mantenendo solo il “ Polo di Porto Marghera”. Nell’ambito
‘Marcon-Dese-Tessera’ devono restare insediabili solo le
Attività Economiche Varie nell’area di Dese e il nuovo
impianto polifunzionale dello stadio (sportivo e per spettacoli) già
previsti nel Piano Regolatore vigente. Mentre nel caso delle aree
produttive del “Polo di Porta ovest”
(Pianiga-Dolo-Mirano-Mira) possono essere realizzate esclusivamente
le aree e le destinazioni d’uso previste alla data d’adozione
del PTCP.
Si propone inoltre di rivedere l’intero sistema
infrastrutturale tenendo conto delle specifiche indicazioni enunciate
di seguito
infrastrutture per il trasporto
Premessa
Le opere infrastrutturali costituiscono uno dei temi emersi con
maggior forza e frequenza dal processo di partecipazione, come la
stessa Relazione riconosce: “Delle opere infrastrutturali, di
competenza provinciale o non-provinciale, vengono percepiti più
i costi che i benefici: gli interventi infrastrutturali vengono
guardati come un elemento di disturbo del paesaggio e dell’identità
dei luoghi, dannoso per la sicurezza del sistema idrogeologico e per
la qualità dell’aria e per l’impermeabilizzazione
del terreno. Viene richiesta agli enti locali una valutazione
costi/benefici della realizzazione e della gestione dei grandi
progetti (sia infrastrutturali che produttivi) che tenga maggiormente
conto degli aspetti ambientali e sociali”.
Ci si aspetterebbe dunque che, in sede di controdeduzioni alle
osservazioni e di conseguente riadozione del piano modificato, se ne
tenesse ampio conto.
Romea commerciale e camionale
Per la Romea Commerciale (asse autostradale in direzione nord-sud )
il PTCP, prevede indifferentemente due diversi tracciati, a partire
da Codevigo, Ciò significa rinunciare a priori ad esprimere
una valutazione degli effetti sul territorio e sul sistema più
generale della mobilità dell’intera area che implicano
l’una o l’altra soluzione ; tace sul ruolo e la funzione
che assumerebbe in tal caso l’attuale Romea, non indica alcuna
priorità al suo adeguamento e messa in sicurezza, rinuncia
alla scelta e delega le decisioni alle società autostradali e
alla Regione.
In generale, per il sistema della grande viabilità nell’area
tra Venezia e Padova (asse autostradale e stradale est-ovest) :
mancando un quadro d’insieme, a partire da una esauriente
analisi dei flussi, si recepiscono semplicemente le varie proposte
che provengono, anche in questo caso, dalle società
autostradali o da altri soggetti privati.
La delega ai privati che, ovviamente, investono sulle infrastrutture
economicamente più vantaggiose (e tanto più vantaggiose
se co-finanziate e garantite dallo Stato), fa sì che il
problema della mobilità non sia affrontato nella sua globalità
ed intermodalità, né, tanto meno, che sia indirizzato
verso scelte che privilegino il trasporto pubblico, in particolare
quello su rotaia (persone e merci ) e quello acqueo (merci): con ciò
aggravando anche i problemi di inquinamento atmosferico che
influiscono gravemente sulla salute e sulla produzione di gas ad
effetto serra.
Il problema dei collegamenti di scala interregionale, regionale e
provinciale nell’asse nord-sud lungo la costa va considerato in
una visione plurimodale integrata, in ragione dei flussi di traffico
esistenti e previsti e delle ipotesi realizzative (tempi, costi,
modalità gestionali, impatto paesaggistico-ambientale,
inquinamento atmosferico, ecc.).
La nuova struttura autostradale chiusa e a pagamento denominata
“nuova Romea” aggraverebbe i flussi, con enormi impatti
sul territorio anche per la necessità di superare in rilevato
e con ponti numerosi ed importanti fiumi e corsi d’acqua, a
fronte di benefici ininfluenti se si considera che la grande parte di
essi – specie per quanto riguarda le merci - è, nel
tratto veneziano e in generale nel tratto tra Venezia e Ravenna, di
solo attraversamento (il PTCP lascia aperte due soluzioni, in
corrispondenza di Codevigo, senza fare alcuna valutazione né
dare alcun giudizio, rinunciando ad avere un ruolo nelle decisioni
che appaiono essere delegate alle Società autostradali e alla
Regione : la prima mantiene il collegamento diretto con Venezia, in
corrispondenza all’innesto del Passante; la seconda piega verso
ovest dirigendosi verso Piove di Sacco per innestarsi nel GRAP di
Padova. La necessità della Nuova Romea Commerciale appare di
difficile comprensione, se si considera che il trasporto commerciale
su gomma, nel tratto Ravenna-Padova-Venezia potrebbe risolversi
deviando i flussi sull’asse autostradale
Ravenna-Ferrara-Rovigo-Padova (Verona)-Mestre, con la prevista
realizzazione delle terza corsia della A13, servendo direttamente i
principali Interporti) .
Va dato comunque impulso al trasporto merci lungo l’Adriatico
attraverso le c.d. “autostrade del mare” : collegamenti
con i porti commerciali del sud e di Ravenna con Porto Levante,
Chioggia,Venezia, Monfalcone e Trieste. Si considera, infine, che nei
programmi della Regione Emilia Romagna c’è il
ripristino, quasi completato, della ferrovia Ravenna-Codigoro-Ariano
Polesine che, con un breve raccordo da realizzarsi sul sedime della
vecchia tratta, potrebbe arrivare ad Adria e, di qui, collegarsi alle
linee Chioggia-Rovigo e Adria-Piove di Sacco
(Chioggia-Padova)-Mestre. (“Romea ferroviaria”) .
Nella prossima fase a quindi va data assoluta priorità,
assieme al completamento del tratto litoraneo mancante della ferrovia
Adriatica, alla messa in sicurezza dell’attuale Romea
(sottopassi, rotonde, svincoli, ecc).
Passante TAV nell’area di
Tessera
Nel Piano Territoriale adottato l’area di Tessera viene
attraversata da un nuovo tracciato per il cosiddetto passante
ferroviario ‘Alta Velocità’ (per il quale, più
a est, viene poi immaginato un percorso aderente all’autostrada,
o, molto peggio, in aperta pianura tra l’attuale ferrovia e la
linea di costa (?)).
Nel Piano Territoriale adottato l’area di Tessera viene
attraversata da un nuovo tracciato per il cosiddetto passante
ferroviario ‘Alta Velocità’. Il tracciato proposto
per l’area di Tessera è sbagliato e inaccettabile: anche
se sotterraneo creerebbe enormi e sconvolgenti impatti idrogeologici
e di cantierizzazione (oltre che gravi vincoli negli usi e nelle
sistemazioni di superficie) attraverso tutto il territorio della
gronda lagunare (a partire dalle zone di Mestre-S.Marco e S.Giuliano,
dove lambirebbe o addirittura dovrebbe attraversare il Forte Marghera
e/o il nuovo grande parco, attraverso tutto Campalto e Villaggio
Laguna fino a Tessera, e dove è in contrasto con il vincolo
sulla gronda lagunare e il Piano paesaggistico-ambientale
P.A.L.A.V.), e, più in là, nell’ambito
archeologico attorno ad Altino e la via Annia e nella fascia del
Parco fluviale del Fiume Sile.
Quel tracciato inoltre sarebbe inutile per l’importante
traffico merci (se non obbligandolo a passare per il nodo e la
stazione di Mestre) e indurrebbe a tagliare sempre più fuori
dai collegamenti passeggeri nazionali la stazione di S.Lucia, con la
cui linea del Ponte Translagunare quel Passante non è
raccordabile.
La soluzione per l’eventuale potenziamento che risultasse
necessario per il traffico ferroviario verso Trieste anche dopo aver
potenziato/raddoppiato la linea merci Padova-Castelfranco-Portogruaro
va invece collocata (anche per i tratti nel Veneto Orientale)
potenziando e ristrutturando, anche con nuovi tratti di trincea o
galleria superficiale, l’attuale linea ferroviaria
Mestre-Trieste, o, per l’ambito di Mestre, lungo la linea dei
“bivi”. Tale soluzione deve prevedere velocità
certo adeguate ma non per forza estreme (max 220 km/h, come è
stato anche per la nuova linea da Vicenza e Padova a Mestre, velocità
meno impattante e dal tracciato più flessibile e facile da
inserire nel territorio) e
soluzioni tecniche utili anche per il traffico merci e l’ottimale
integrazione con i nodi e i servizi del traffico ferroviario
regionale (e senza dover per forza eliminare, a Mestre o a S. Lucia,
l’inversione di marcia dei -non molti- treni nazionali
‘passanti’ est-ovest, operazione che ormai è
veloce, senza manovre e perditempo perché tutti i treni sono
già stabilmente serviti da doppia cabina di guida, ed entrambi
nodi-stazione sono già in via di notevole potenziamento ed
eliminazione degli attuali conflitti). Il collegamento con
l’aeroporto, in rapporto ai reali flussi di fruizione dello
stesso (attuali e potenziali), va effettuato con una linea del
Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale (come quella, già
progettata e approvata, da Dese lungo il raccordo autostradale) o con
servizi di Bus navetta da una stazione sulla linea ferroviaria per
Trieste (a Dese, o quella nuova di Porta Est, presso i centri
commerciali di Marcon) e dai caselli autostradali dei capoluoghi
(servizio integrabile con funzioni aeroportuali di check-in).
Pertanto si propone di inserire nelle Tavole un (diverso) tracciato
per l’eventuale potenziamento ferroviario per Trieste
(cosiddetto ‘Alta Velocità’, ma da pensare sin
dall’inizio in modo utile per tutto il traffico ferroviario)
solo dopo averne comprovato l’effettiva necessità
funzionale e scegliendo, dopo adeguata comparazione ambientale e di
funzionalità, tra le due alternative possibili (“bivi”
e tracciato attuale in superficie o in trincea).
Il collegamento con l’aeroporto, in rapporto ai reali flussi di
fruizione dello stesso (attuali e potenziali), va effettuato con una
linea del Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale (come quella,
già progettata e approvata, da Dese lungo il raccordo
autostradale), e con servizi di Bus navetta da una stazione sulla
linea ferroviaria per Trieste (a Dese, o quella nuova di Porta Est,
presso i centri commerciali di Marcon) e dai caselli autostradali dei
capoluoghi (servizio integrabile con funzioni aeroportuali di
check-in).
Ulteriori proposte di modifica
in
materia di infrastrutture
Art.55, comma 2, aggiungere un
ulteriore a-linea:
“- In particolare vanno prioritariamente completate le
infrastrutture e i servizi su rotaia in connessione ai massimi flussi
quotidiani, prevedendo innanzitutto l’adeguamento e la
mitigazione ambientale della linea ferroviaria Mestre-Piove di
Sacco-Adria; rispetto al collegamento Chioggia-Venezia-Padova, che si
innesta sulla linea Mestre-Adria nei pressi di Piove di Sacco, va
data priorità esecutiva al tratto verso Chioggia, in ragione
dei maggiori flussi di traffico tra le due città lagunari,
inserendosi nel Sistema Ferroviario Metropolitano di collegamento
costiero Chioggia-Mestre-Tessera-S.Donà-Portogruaro.
“Vanno altresì approfondite e comparate (dal punto di
vista ambientale, tecnologico e di funzionalità) le due
ipotesi per la linea Ferroviaria ad Alta Capacità-Alta
Velocità da Mestre verso Trieste (linea dei Bivi, tracciato
attuale in superficie o in trincea ); il percorso ipotizzato nelle
Tavole, nel tratto in affiancamento all’Autostrada
Venezia-Trieste, dovrà essere parimenti approfondito e
verificato rispetto a diverse ipotesi“.
Alla fine del comma 3, aggiungere,
di seguito :
“Il PTCP considera e privilegia i servizi su rotaia in
connessione ai massimi flussi quotidiani prevedendo l’adeguamento
e la mitigazione ambientale delle linee ferroviarie locali, in
relazione al SFMR, fra cui la linea ferroviaria Venezia-Piove di
Sacco-Adria e il nuovo collegamento diretto
Chioggia-Piove-(Padova)-Venezia. In relazione ai Piani/Programmi
della Regione Emilia Romagna e della Provincia di Ferrara va
sostenuto il completamento dell’asse ferroviario Ravenna-Adria-
(Rovigo-Chioggia)-Piove di Sacco-Venezia anche per il trasporto merci
(Romea Commerciale Ferroviaria)“.
Art. 56. Infrastrutture viarie.
Aggiungere, di seguito al comma 8
“Il problema dell’attuale S.S. Romea (Ravenna-Venezia),
che riveste carattere di particolare gravità ed urgenza, va
affrontato dando assoluta priorità all’adeguamento e
alla messa in sicurezza, in particolare in corrispondenza degli
innesti con le altre strade territoriali e dei centri. Non è
quindi utile né opportuna la realizzazione della “Nuova
Romea”, in particolare nel tratto veneziano; la sua eventuale
realizzazione, in particolare nel tratto veneziano, va subordinata
alla redazione di un “Progetto strategico plurimodale del
Corridoio Adriatico tra Venezia e Ravenna”, di cui la provincia
di Venezia si farà promotrice, di concerto con le regioni e
dalle province interessate, con l’obiettivo di ridurre i
livelli di inquinamento atmosferico e le emissioni di gas
climalteranti, incentivando il trasporto via mare e su ferrovia.
“Analogamente, al fine di evitare il sovrapporsi di iniziative
casuali, spesso promosse da Società al di fuori di una visione
complessiva, la Provincia di Venezia promuoverà un “progetto
strategico plurimodale della mobilità e dei trasporti lungo la
Riviera del Brenta” in assonanza a quanto a suo tempo
programmato con il PRUSST, comprendendovi anche l’asse
idroviario a sud del Naviglio Brenta, il SMFR e la viabilità
complanare lungo l’asse Padova-Passante-Mestre,
che privilegi il trasporto pubblico e le modalità alternative
al trasporto su gomma“.
“16. Qualora, per decisioni di livello superiore, la Nuova
Romea venisse comunque realizzata, il PTCP prescrive che la
valutazione di compatibilità ambientale sia verificata anche
mediante un approfondito studio degli effetti sulla qualità
dell’aria causati dal volume, dal tipo di traffico e in
generale dalle emissioni previste, verificato anche da ARPAV ed ULS.
“In particolare, se il tracciato definitivo della Nuova Romea
dovesse risultare limitrofo a centri abitati (come nel caso del
Comune di Cavarzere e di altri Comuni) prescrive che il progetto
preveda misure obbligatorie di mitigazione e compensazione ambientale
(valorizzazione paesaggistica), quali una fascia a protezione degli
insediamenti opportunamente boscata e piantumata (analoga a quella
del Passante di Mestre, da riportarsi nelle tavole del PTCP) di
adeguata ampiezza ai lati della autostrada, salvo eventuali
attraversamenti in tunnel ove si rendesse necessario. Le VAS dei
PAT/PATI devono valutare gli effetti sul territorio, l’ambiente,
la qualità dell’aria di tale infrastruttura, ove il
tracciato sia già individuato, specie in relazione ai centri
abitati e alle previsioni di espansione; in ogni caso i PAT ed i PI
dei Comuni attraversati dal tracciato ipotizzato devono prevedere
tale fascia alberata a protezione degli insediamenti.
“17. Nell’ambito di riqualificazione lungo l’idrovia
a sud del Naviglio Brenta (Tav. 4.2) non sono realizzabili nuove
infrastrutture chiuse e a pagamento ma potenziamenti, completamenti,
adeguamenti e razionalizzazioni della viabilità a servizio
delle comunità territoriali, progettate nel rispetto delle
caratteristiche ambientali e paesaggistiche dei luoghi“.
Art. 56, comma 8.
Stralciare il punto g “ipotesi di asse plurimodale PRUSST
(connessione viaria o ferroviaria)”.
Art. 59. Progetto strategico
Infrastrutture metropolitane integrate. Aggiungere al penultimo
alinea il seguente testo:
“Relativamente alle attività del Porto del Comune di
Venezia, in attuazione delle leggi speciali e dell’art. 5 del
Palav, dovranno essere determinate le quote dei fondali dei canali
portuali e gli interventi necessari per l’estromissione del
traffico petrolifero e per definire e attuare i limiti di
compatibilità del traffico crocieristico (boa a mare per gli
attacchi delle petroliere, avamporto galleggiante, ecc)”.
Poli economico-produttivi
Veneto city
L’impatto sul paesaggio e
sull’ambiente
Il primo elemento negativo che vogliamo sottolineare, in aggiunta
alle considerazioni generali sopra esposte a proposito dei nuovi
Poli, è l’enorme impatto per il contesto paesaggistico.
Si trascura di approfondire tale argomento anche per l’eventuale
insediamento della “Città della Moda” a Fiesso,
per l’evidenza assoluta del deturpamento della Riviera del
Brenta se esso fosse realizzato in quei modi ed in quelle dimensioni.
Il Piano non ne parla esplicitamente nelle NTA, ma lo inserisce tra
le righe della Relazione introduttiva, quando, a pag. 20, porta ad
esempio proprio la realizzazione di una “città della
moda” come valido supporto allo sviluppo del distretto
calzaturiero del Brenta. Del resto poco più avanti si ammette
che “Altre polarità urbanistiche si stanno
comunque formando […] con ipotesi variamente denominate che
interessano aree già destinate a tali attività dai
piani comunali (Città della Moda, Veneto City ed altre)”
.
Veneto City già approvato dai Comuni? Non ci risulta nulla se
non la destinazione d’uso dei terreni ad uso produttivo. Veneto
City? Quello con 2.500.00 mq di superficie, 1.700.000 metri cubi di
volume? E soprattutto quello con torri alte 30 metri? Dopo la
devastazione dello skyline della costa Jesolana, deturpato da
grattacieli visibili a decine di chilometri di distanza, delirio
post-moderno di una Amministrazione comunale che evidentemente se ne
sbatte della pianificazione coordinata, la Provincia annuncia che è
già in fase di progetto avanzato (ma i Sindaci lo sanno?)
l’insediamento di un nuovo eco-mostro progettato con soluzioni
architettoniche abiurate dalla Soprintendenza per i Beni
Architettonici.
A pag. 16 della Relazione introduttiva il Piano informa che la
Soprintendenza “chiede al PTCP di focalizzare alcune valenze
del paesaggio, inteso nella accezione larga del Codice dei beni
culturali e del paesaggio”. E il capitolo 2.3, dall’inquietante
titolo “Costruire paesaggio”, finisce lì. La
Soprintendenza chiede, ma il PTCP non risponde.
Anche se, a ragion del vero, il tema della verticalizzazione degli
edifici era stato valutato nel capitolo precedente: l’insediamento
dei Poli “dovrà tenere conto delle forti remore, sia
tecniche che culturali, per una verticalizzazione dell’edificato
che utilizzi tipologie edilizie e insediative ancora poco accettate
localmente, come gli edifici a torre. I primi
contributi/raccomandazioni del Ministero per i Beni Culturali,
Soprintendenza per i Beni Architettonici, per il Paesaggio e per il
Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico di Venezia
(blocco alle torri nelle città di costa), sono, in tal senso,
esplicite”. Le “remore”, tecniche e culturali,
ovvero gli ostacoli alle “torri” sparse ovunque, anche
sulle coste e lungo la Riviera, sono quindi di coloro che sono
preposti alla tutela dei beni culturali, non del PTCP che si limita a
prenderne atto (con una malcelata delusione?) senza esprimere –
ancora una volta – una propria posizione.
Ma, del resto, che importa? Visto che nello stesso capitolo il Piano
affronta una ardito parallelismo tra sostenibilità e
paesaggio, affermando che “- qualunque intervento sul
territorio continua ad avere un effetto (positivo o negativo) sui
paesaggi e può però produrre il paesaggio contemporaneo
da lasciare, mutuando un concetto reso celebre dalle teorie sullo
sviluppo sostenibile, alle future generazioni.”
A chi serve Veneto City, chi
danneggia?
Nel capitolo sullo scenario economico della relazione introduttiva,
si precisa che l’espansione insediativa dovrebbe sottostare ad
analisi del fabbisogno, calcolato sulla base delle variazioni attese
nelle attività economiche caratteristiche. “Tuttavia, lo
scenario che si sta prospettando nelle economie ad elevato sviluppo,
come il veneziano, presenta diversi elementi di discontinuità,
che complicano notevolmente il quadro previsionale”. In un
altro punto del capitolo il concetto viene ripreso “risulta
piuttosto difficile usare i consueti modelli di sviluppo per
effettuare, attraverso proiezioni di dati riferiti al passato,
previsioni di medio-lungo periodo”.
Affermazioni del genere lasciano il campo libero al dimensionamento
più ampio ed infondato dei PAT/PATI, che si sta infatti già
verificando, sia per le aree produttive sia per quelle residenziali:
anzi, talvolta un incremento delle aree produttive viene usato a
giustificazione del sovradimensionamento delle aree residenziali!
Quali elementi fondamentali, quindi, inducono a pensare che
operazioni tipo Veneto City possano essere un volano dell’economia?
Senza considerare che è noto che Veneto City è tuttora
un contenitore vuoto, per il quale nessun comparto, tra le economie
emergenti e innovative, ha dato adesione.
E’ noto che l’economia legata ai centri storici,
soprattutto i centri minori e in relazione al piccolo commercio, ha
subito una veloce e inarrestabile crisi dovuta al proliferare di
ipermercati, centri commerciali e outlet. Anche se non espressamente
dichiarato è altrettanto noto che i Poli economico-produttivi
saranno sede di ulteriori quanto inutili centri commerciali. La
preoccupazione è stata più volte sollevata dalle
Associazioni di categoria dei commercianti.
Dal punto di vista sociale, inoltre, un’ampia letteratura mette
in guardia sulla diffusione di questi “non-luoghi”, che
offendono l’identità originaria delle nostre località
e inducono ad una fruizione distorta del tempo libero e della
socialità, sostituendosi alle piazze e ai luoghi di incontro
tradizionali. Questo concetto viene puntualmente ripreso dal Piano,
in diversi punti: “una seconda strategia per la provincia viene
disegnata attraverso […] il riconoscimento dei caratteri
strutturali, caratteristici di lunga durata, il cosiddetto senso dei
luoghi” (Relazione, pag 37); “La Provincia, di concerto
con i Comuni, in attuazione del PTRC (art. 24), provvede altresì
a valorizzare i centri minori al fine del loro recupero tramite
azioni coordinate pubbliche e private” (NTA art. 42 punto 4);
si invitano i Comuni a prendere in considerazione “la
promozione delle attività commerciali e artigianali presenti
nel centro storico” (NTA art. 48 punto 3 lettera C); “Il
PTCP, in riferimento alle previsioni relative al settore terziario,
tradizionale e avanzato, [...] intende perseguire i seguenti
obiettivi: contribuire alla salvaguardia e alla vitalità
sociale, economica e culturale dei centri abitati, della Città
antica di Venezia e degli altri centri storici; favorire e
incentivare il recupero e il rinnovo di funzioni commerciali, rivolte
alla popolazione stabile, e di attività caratteristiche
storiche e tradizionali” (art 49 punto 7).
Tali obiettivi, certamente condivisibili, sarebbero inevitabilmente
vanificati proprio dai nuovi enormi insediamenti commerciali,
direzionali, albeghieri costituiti dai “poli” individuati
(o meglio, ratificati) dal PTCP.
Si propone perciò di stralciare dai poli di rilievo
metropolitano regionale il “Polo Porta ovest” (Veneto
City). Nell’ambito ‘Marcon-Dese-Tessera’ devono
restare insediabili solo le Attività Economiche Varie
nell’area di Dese e il nuovo impianto polifunzionale dello
stadio (sportivo e per spettacoli) già previsti nel Piano
Regolatore vigente. Mentre nel caso delle aree produttive del “Polo
di Porta ovest” (Pianiga-Dolo-Mirano-Mira) possono essere
realizzate esclusivamente le aree e le destinazioni d’uso
attualmente previste.
Marco Polo city
Anche la ulteriore aggiuntiva grandissima operazione immobiliare,
denominata “Quadrante Tessera” o “Tessera City”,
appare giustificata solo dagli interessi economici dei proponenti
(Casinò di Venezia e Marchi presidente Save) per la
pubblicamente dichiarata finalità di “produrre risorse”
(vulgo “fare cassa”); tali proponenti dispongono già
di amplissime aree nel territorio circostante; il Casinò
dispone di quasi 9 ha e nell’ambito aeroportuale vi sono aree
molto ampie per eventuali necessità di strutture di servizio
alle attività.
Tale grandissimo intervento (pubblicamente chiamato “Citè
du loisir” (città del divertimento) e/o “Marco
Polo City” è privo di qualsiasi fondata motivazione
sociale, assolutamente indeterminato nei contenuti reali e nelle
ricadute sui sistemi paesaggistico-ambientale e insediativo-sociale
delle comunità locali, indefinito per quanto riguarda il
prezzo che dovranno pagare gli abitanti delle aree coinvolte
(Tessera, Cà Noghera, Campalto, Favaro, Quarto d’Altino,
San Liberale, Gaggio-Marcon) .
Alternativa alla riqualificazione
di Porto Marghera
Anche esso è di fatto alternativo al riuso e
alla riqualificazione
delle aree di Marghera e all’uso delle amplissime aree (per una
edificabilità di c.a un milione di mc) già previste dal
Piano Regolatore vigente in località Dese per attività
commerciali, direzionali e alberghiere (denominate “Attrezzature
Economiche Varie”, A.E.V.); tali aree sono già
infrastrutturate e in parte urbanizzate ma ancora non utilizzate, e
per lo più già compromesse perché strettamente
adiacenti e/o intercluse tra altre zone produttive e cesure
infrastrutturali. Con “Tessera City” si avvierebbe un
ulteriore larghissimo consumo di suolo assolutamente ingiustificato.
Il Piano Regolatore vigente prevede la localizzazione del “Bosco
di Mestre”, a delimitare e a “chiudere” le aree
insediative verso la laguna; il PTCP ora proposto prevede invece una
enorme urbanizzazione a cavallo della “bretella”
aeroportuale e sposta le nuove aree per il bosco al di là del
nuovo insediamento proposto; questo sarebbe sempre più vicino
alle zone di pregio ambientale e archeologico del fiume Dese e di
Altino, di valenza culturale e anche turistica (e della quale alcuni
giacimenti archeologici marginali, ma comunque importanti, sono già
stati aggrediti dalle più recenti espansioni dell’area
aeroportuale).
Con questo nuovo ‘Polo’ la città vedrebbe espulse
sempre più fuori di sé le sue funzioni commerciali,
direzionali, ricreative, in aree lontane e non integrate che non
produrrebbero alcun effetto città e alcuna riqualificazione
urbana attorno a sé, inaccessibili e invivibili fuori degli
orari di lavoro (vedi le recenti aree commerciali-direzionali tra il
Terraglio e l’Ospedale nuovo). E il drenaggio a Tessera degli
indispensabili ingenti capitali e finanziamenti privati e pubblici
lascerebbe di fatto indietro, per i prossimi vent’anni, la
invece necessaria bonifica, riqualificazione e riutilizzazione delle
aree libere e liberabili (potenzialmente centrali e di pregio urbano)
di Porto Marghera, aree che si trovano in un ambito ambientalmente
già compromesso ma risanabile
e comunque centrale, ben servito e ben integrabile sia al centro
urbano di Mestre come alla città lagunare.
Porto Marghera
Porto Marghera rappresenta uno dei siti industriali e portuali più
estesi e importanti del paese. La sua superficie complessiva è
pari a circa 2000 ettari occupati da insediamenti industriali, canali
e specchi d’acqua, insediamenti del porto commerciale, strade,
ferrovie, servizi e fasce demaniali. Una dotazione infrastrutturale
di grandissimo rilievo non pienamente utilizzata a causa sia di
rilevanti implicazioni di carattere ambientale e di tutela della
salute umana che di mancata riconversione produttiva. Tutti gli
strumenti di programmazione negoziata sottoscritti dalle parti
sociali, da Comune, Provincia, Regione e Governo nazionale convergono
nel prospettare un’idea di sviluppo che fa perno sulla
riqualificazione ambientale e produttiva di Porto
Marghera,considerato polo strategico per la provincia di Venezia, il
Veneto e l’intero paese e assunto come “sito d’interesse
nazionale” ai fini delle “bonifiche” ambientali.
Tali apprezzabili intenti sono stati più volte ribaditi senza
che a ad essi corrispondano azioni e pratiche coerentemente
conseguenti, per preminente responsabilità del governo e della
regione, sia sul versante delle bonifiche che delle politiche
industriali dei grandi gruppi. Le conseguenze sono sotto i nostri
occhi: licenziamenti e cassa integrazione.
Il rischio di una deindustrializzazione di Porto Marghera non solo
avrebbe effetti insostenibili dal punto di vista occupazionale ma
anche ambientale. Infatti solo un processo di riutilizzo produttivo
sostenibile delle aree può consentire la bonifica dei suoli
superando la mera “messa in sicurezza” del sito. Ne
consegue che tutti strumenti di programmazione e di pianificazione
territoriali devono essere coerenti con la priorità
dell’utilizzo delle aree di Porto Marghera.
Viceversa, le scelte del PTCP di porre le premesse istituzionali alla
realizzazione di grandi interventi di nuovi “poli
economico-produttivi”, suscettibili di attrarre risorse
pubbliche e private in impieghi utili solo all’arricchimento
dei patrimoni immobiliari privati, oggettivamente costituisce un
grave colpo alla riqualificazione di Porto Marghera.
Si propone perciò di stralciare dai poli di rilievo
metropolitano regionale il “Polo di Marcon- Dese- Tessera”
(Tessera City) e il “Polo Porta ovest” (Veneto City),
mantenendo solo il “ Polo di Porto Marghera”.
Ulteriori proposte di modifica
a
proposito dei “Poli”
Si propongono le seguenti ulteriori modifiche alle Norme tecniche
d’attuazione.
Art. 50.
In Obiettivi (comma 2) e in Direttive (comma 4 ) stralciare la
dizione “ Polo di Marcon- Dese- Tessera”
In Direttive (comma 4) aggiungere la seguente frase:
“Nell’area Marcon-Dese-Tessera sarà insediabile
solo il nuovo impianto polifunzionale dello stadio (sportivo e per
spettacoli) e eventualmente le strutture del Casino e le attività
strettamente correlate e dimensionalmente proporzionali.
“Nell’area Pianiga-Dolo-Mirano-Mira possono essere
realizzate esclusivamente le aree produttive e le destinazioni d’uso
previste dai PRG vigenti . “
In Obiettivi (comma 2) stralciare da “poli di rilievo
sovracomunale” la dizione: “- Polo Polo Porta Ovest
(Pianiga, Dolo, Mirano, Mira) “
“Prescrizioni.
“5. Le previsioni di intervento nei “poli di rilievo
metropolitano regionale”, nei “poli di rilievo
sovracomunale” e nelle “aree da riqualificare”
andranno coordinate con la Provincia, previo studio condotto a
livello intercomunale concernente la disponibilità delle aree
a ciò destinate anche nei territori dei comuni limitrofi, con
particolare riferimento alla riconversione di Porto Marghera cui il
PTCP e il PTRC danno importanza assolutamente prioritaria rispetto a
nuovi insediamenti.
“Al fine di non compromettere il perseguimento degli obiettivi
generali del PTCP, fra cui quelli di tutela e riqualificazione
ambientale, storico-culturale, paesaggistica, viabilistica, ecc,
della Riviera del Brenta, date le sue eccezionali caratteristiche, i
Piani Regolatori (PAT/PATI ed i PI), in particolare nell’area
Pianiga-Dolo-Mirano-Mira, non possono aggravare ulteriormente le
attuali condizioni ambientali e di traffico attraverso significativi
ampliamenti e/o la modifica delle destinazioni d’uso e di zona
(e sub-zona) delle aree produttive esistenti e/o previste dai PRG
vigenti. Si prevede, con il medesimo fine, che eventuali
trasformazioni delle destinazioni d’uso o di zona (e sub-zona)
da produttivo-artigianale/industriale a terziario (commerciale,
direzionale, alberghiero) non comportino un aumento delle superfici
utili lorde edificate ed una drastica riduzione delle superfici
coperte (considerando i normali parametri delle aree artigianali che
consentono indici di copertura dei lotti non superiori al 50% su
edifici monopiano), in modo che almeno il 50% delle aree variate sia
destinato, quale misura di mitigazione e compensazione ambientale,
alla realizzazione di aree verdi a parco intercomunale“.
Art. 50 comma 6, sostituire:
“In sede di adeguamento al PTCP i PAT/PATI potranno prevedere,
nelle “Aree da riqualificare” di cui all’elenco del
comma 2 eventuali incrementi insediativi entro la soglia massima del
5% della superficiecomplessiva già utilizzata, al netto delle
aree destinate alla rilocalizzazione di attività già
presenti nel territorio comunale e al netto di quelle per le quali si
prevede una riconversione con destinazione residenziale o per
servizi. Dette aree da riqualificare, coerentemente con gli obiettivi
espressi all’Art. 48 delle presenti NTA, dovranno preservare la
residua discontinuità insediativi tra i centri abitati,
evitare processi di ulteriore diffusione di insediamenti a scapito
delle aree rurali e urbano rurali, non prevedere la costruzione a
cortina lungo le direttrici di traffico (esistenti o di progetto) di
interconnessione tra aggregati insediativi”.
Consumo di suolo e razionalizzazione
degli insediamenti
Una serie di norme del PTCP esprimono l’intenzione di
razionalizzare gli insediamenti esistenti, di ridurre il consumo di
suolo, di applicare la perequazione. Tali norme per taluni aspetti
appaiono inadeguate a raggiungere gli obiettivi proposti, per altri
sono addirittura contraddittori con essi, oppure sono ambigue e
consentono interpretazioni di verse. Ci si riferisce in particolare
ai temi che seguono.
Consumo di suolo
Il consumo di suolo caratterizza in modo particolare e grave
l’Italia, dove assume caratteristiche patologiche. Ma a
differenza degli altri paesi europei nel nostro paese non si fa nulla
per contrastarlo – salvo che in pochi casi di comportamenti
virtuosi di comuni lungimiranti e attenti alle risorse comuni e alla
loro deperibilità. Non viene contrastato neppure nelle
regioni, come il Veneto, dove le sue dimensioni sono particolarmente
preoccupanti e lo spreco di risorse essenziali (come il suolo, la
vegetazione, l’acqua, il paesaggio) particolarmente intenso.
Molto deboli appaiono le norme dell PTCP che si propongono di
combatterlo. Oltre a essere contraddette, come si è più
sopra argomentato, dalle scelte di livello sovra comunale.
Sovradimensionamento dei piani
Dopo l’esplosione del dimensionamento dei Piani Regolatori
previgenti, avvenuta negli ultimi anni specie con i PIRUEA in
variante al PRG, si sta già verificando il dimensionamento
incontrollato ed immotivato dei PAT/PATI, sia per le aree produttive
sia per quelle residenziali: anzi, talvolta un incremento delle aree
produttive viene usato, come “prospettiva di sviluppo”, a
giustificazione del sovradimensionamento delle aree residenziali! Il
comma 5, come formulato dal PTCP, detta le condizioni per il
dimensionamento dei PI (la cui approvazione non è soggetta ad
alcuno controllo da parte di Enti sovraordinati), ma non dice niente
sul dimensionamento dei PAT/PATI.
Perequazione urbanistica
La perequazione urbanistica è uno strumento estremamente
rischioso. Essa può condurre a un forte sovradimensionamento
dei piani, con l’alibi di ottenere gratuitamente aree da
destinare a verde e servizi pubblici. Spesso è basata
sull’erroneo presuppostoi che non si possano cancellare
previsioni di edificazione di previgenti piani urbanistici senza
indennizzarne i proprietari. Occorre pertanto condizionarne
fortemente l’impiego.
Poli sportivi di Cavarzere e
Chioggia
Non appare minimamente motivata la previsione di un “polo
sportivo” di rango metropolitano o provinciale a Cavarzere ; il
Comune ha circa 15000 abitanti, su di esso, al massimo, potrebbero
gravitare i Comuni di Cona e Pettorazza G. (non più di 3000
abitanti complessivi), per altro dotati di impianti sportivi
comunali, e non ha alcuna squadra sportiva di rilievo tale da esigere
impianti di particolari dimensioni e capienza. Anzi, in contrasto con
il PRG vigente, il Comune di Cavarzere sta investendo attualmente
notevoli somme per mantenere e consolidare il vecchio Campo Sportivo
Comunale, in pieno centro urbano e privo di aree a parcheggio
(nonostante tale area sia destinata dal PRG ad altre funzioni
pubbliche) anziché completare la “cittadella sportiva
comunale” parzialmente realizzata in un’area idonea (Via
Spalato).
In Comune di Cavarzere, proprio nell’area indicata come “polo
sportivo “ dal PTCP, è già prevista una nuova
Zona Industriale, approvata con Variante settoriale.
In generale, vanno evitati espedienti, come sembrerebbe essere tale
previsione di “polo sportivo”, per eliminare dal centro
urbano (per altro, nel caso di Cavarzere, addirittura ubicato in
oppositus rispetto a tale “polo sportivo”, separato da
Adige ed Gorzone e relative arginature) le aree destinate dal PRG
vigente ad attrezzature sportive comunali e a parco urbano, per
trasformarle in aree edificabili, facendo “quadrare i conti”
(sulla carta) della dotazione di aree a standard. Si propone di
eliminare il “polo sportivo” di rango provinciale di
Cavarzere, in quanto non giustificato, modificandolo in “polo
sportivo” sovracomunale, ammesso se inserito in un PATI (anche
di settore), esteso almeno ai Comuni limitrofi e relazionato alle
effettive esigenze degli stessi.
Il Comune di Chioggia ha, nel proprio PRG, la previsione di una nuova
cittadella sportiva connessa al “parco dei parchi” ed al
“parco degli orti” (l’insieme, date le
caratteristiche e le dimensioni, è certamente di rilievo
sovracomunale).
In generale, i “poli sportivi” metropolitani o di rango
provinciale, per il loro carattere che va oltre ai bisogni comunali,
non possono venire computati ai fini del dimensionamento degli
standard dei Piani Regolatori né sostituire le aree destinate
a Servizi, fra cui per gli impianti sportivi comunali di base;
inoltre, se l’area viene classificata come ZTO “F”,
in essa non possono essere inserite, se non in misura strettamente
correlata alle esigenze ed alle caratteristiche degli impianti,
attività di tipo terziario (commerciali, direzionali,
alberghiere, di servizio), le quali devono trovare comunque
collocazione in aree “D”.
Proposte di modifica
Art. 47. Razionalizzazione degli
sviluppi insediativi. Integrare comma 4, aggiungendo il seguente
punto c)
“c) Nel dimensionamento dei nuovi Piani Regolatori (PAT/PATI e
PI) devono essere computate, per le parti ancora inedificate e non
impegnate da Permessi di Costruire già rilasciati, tutte le
aree e le volumetrie previste nei PRG vigenti, sia nelle zone di
completamento che di espansione. A tal fine, il dimensionamento dei
nuovi Piani Regolatori (PAT/PATI e relativi PI) deve essere
supportato da valutazioni approfondite e numericamente verificate ed
essere corredato da documentazione dettagliata di analisi dello
“stato di attuazione “ dei PRG vigenti (criteri analitici
di calcolo e raffronto documentato tra le volumetrie realizzate negli
ultimi 10 anni, il dimensionamento del PRG vigente e l’andamento
demografico pregresso e previsto)“
Art. 47. Razionalizzazione degli
sviluppi insediativi, integrare il comma 5, aggiungendovi all’inizio
il testo che segue
“5. Ponendo come riferimento la direttiva di cui al comma 4, i
PAT/PATI dovranno privilegiare il consolidamento dei centri urbani
(pieno utilizzo degli ampliamenti volumetrici e delle aree di
completamento); salvo dimostrate necessità in relazione a
forti dinamiche demografiche verificatesi negli ultimi anni, non
potranno prevedere nuove aree urbanizzabili (produttive e/o
residenziali) fino a che non sia utilizzato almeno il 75% di quelle
previste nei PRG vigenti. Il PI, nei limiti di espansione posti dal
PAT e dalla L.R.11/2004, potrà autorizzare nuovi volumi
abitativi quando la disponibilità di volumi abitativi
esistenti ed autorizzati scenda sotto il 12% dei volumi abitativi
utilizzati; in tali casi l’incremento volumetrico che il PI
potrà programmare ed ulteriormente autorizzare, salvo limitata
e motivata eccezione di carattere progettuale e programmatorio che
dovrà essere concertata con la Provincia, dovrà essere
contenuto entro il 12% dei volumi abitativi utilizzati. “
Nota: Per “volumi abitativi utilizzati “ si intendono
quelli “occupati” o quelli già edificati e in
costruzione (cioè impegnati da Permessi di costruire già
rilasciati) ? In alcuni comuni ci può già essere, e
c’è, un gran numero di appartamenti vuoti, oltre il
limite fisiologico.
Art. 47, aggiungere il seguente
comma 6.
“6. La perequazione urbanistica va applicata stabilendo
obbligatoriamente nei PAT/PATI (secondo le “Linee guida”
in appendice alle presenti NTA del PTCP) criteri oggettivi per il
calcolo dei costi/benefici (rapporto tra incremento di valore delle
aree e vantaggi per la comunità), utilizzando le aree di
espansione e le aree“perequate” in primo luogo per
compensare con maggiori standard (aree da cedere al Comune, in
percentuali uguali per zone o “fasce” urbane e periurbane
analoghe), le carenze delle aree limitrofe edificate, in particolare
per il raggiungimento della dotazione di aree a parchi urbani e
giardini secondo i parametri minimi di legge per abitante. Le
zone di espansione in generale e le aree perequate in particolare
devono quanto meno prevedere, al loro interno, le aree a standard
primari e secondari per abitante previsti dalla legge.
“Solo nel caso dimostrato di adeguate aree a standard secondari
realizzate o previste nelle aree urbane residenziali esistenti, i
nuovi PRG ( PAT+PI) possono non stabilire maggiori standards nelle
aree di espansione e nelle aree perequate: in tal caso le relative
convenzioni dovranno obbligatoriamente prevedere la realizzazione da
parte dei privati delle aree e/o delle opere di urbanizzazione
individuate dal Piano Regolatore in aree limitrofe; di norma non è
ammessa la monetizzazione e, qualora sia dimostrata la impossibilità
di realizzazione, la loro monetizzazione (pari al costo di
acquisizione e di realizzazione) deve essere deliberata con la
contestuale localizzazione e previsione di realizzarle da
parte del Comune nel Piano triennale / quinquennale delle OO.UU.
contemporaneo al PI.
“Le aree destinate dai PRG a Servizi, i cui vincoli siano
decaduti e non possano essere riconfermati o non possano essere
acquisite mediante gli strumenti della compensazione urbanistica e
del credito edilizio, saranno riclassificate nei PAT/PATI come “aree
perequate” stabilendo che almeno il 50% della superficie sia
ceduta gratuitamente al Comune per Servizi, in aggiunta ai normali
standards minimi di legge calcolati sugli abitanti insediabili,
secondo le “Linee guida” in appendice. Eventuali
eccezioni dovranno essere adeguatamente motivate e compensate con lì
acquisizione di aree a servizi limitrofe“.
Art. 49, comma 6. Si propone la
seguente modifica
“6. […] polo sportivo : identifica i poli sportivi di
interesse metropolitano (Tessera) o provinciale (Bevazzana,
Cavarzere) centri per il tempo libero e la ricreazione: […]
“Tali attrezzature di rango territoriale non sono computate ai
fini del dimensionamento degli standards dei rispettivi Piani
regolatori (PAT/PATI) né possono sostituire attrezzature
sportive e ricreative di scala comunale e di quartiere.
“Nel caso l’area prevista per tali “poli sportivi”
e “centri per il tempo libero…” venga classificata
come ZTO “F”, in essa non possono essere inserite, se non
in misura strettamente correlata alle esigenze ed alle dimensioni
degli impianti, attività di tipo terziario (commerciali,
direzionali, alberghiere, di servizio), le quali devono trovare
sempre collocazione in aree “D”, anche se contigue“.
Art.49. fattori di centralità
e servizi di livello sovralocale.Ccomma 6 punto D, sostituire:
“Con particolare riferimento ai servizi a supporto
dell’economia locale:- centro innovazione servizi:
individuazione dei poli territoriali strategici per la collocazione
di servizi a supporto dell’asse infrastrutturale Corridoio V
(Portogruaro, Porto Marghera)”.
Efficacia del piano adottato
In base alla legge regionale n.11/2004, art. 29, al piano adottato si
applicano le normali misure di salvaguardia e ed è prevista la
decadenza dei piani sottordinati e dei singoli progetti per le parti
che siano in contrasto con il PTCP (ed il PTRC). Il comma 2
dell’art.29 è esplicito:
“2.Dall'adozione del piano territoriale regionale di
coordinamento (PTRC) e del piano territoriale di coordinamento
provinciale (PTCP), o di loro eventuali varianti e fino alla loro
entrata in vigore, e comunque non oltre cinque anni dalla data di
adozione, il comune è tenuto a sospendere ogni determinazione
sulle domande relative ad interventi di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio che risultino in contrasto con le
prescrizioni e i vincoli contenuti nei piani“
Di più, il comma 3 prevede addirittura:
“3. Il Presidente della giunta regionale e il Presidente della
provincia possono disporre, con provvedimento motivato da notificare
al Sindaco e all'interessato, la sospensione dei lavori che siano in
contrasto rispettivamente con le prescrizioni del piano territoriale
regionale di coordinamento o del piano territoriale di coordinamento
provinciale, e siano tali da comprometterne o renderne più
onerosa l'attuazione“
Non vi è dubbio, quindi, che il PTCP ed il PTRC possano, per
motivi di carattere generale e per perseguire gli obiettivi
prefissati, contenere previsioni in contrasto con i piani regolatori
locali (tanto più quando dette previsioni non abbiano ancora
avuto attuazione al momento dell’adozione del piano
sovraordinato) , comportandone dapprima la sospensione e quindi la
cancellazione o modifica nel momento in cui i piani sovraordinati
siano definitivamente approvati. Come abbiamo già rilevato, la
concertazione con i comuni e gli altri soggetti appare opportuna e
dovuta purchè e finchè non implichi il vanificare le
scelte e le previsioni del PTCP.
Per quanto riguarda l’applicazione delle norme di salvaguardia,
rileviamo che, mentre l’art. 22, comma 3 punto c) prevede che
le NTA del PTCP prescrivano “direttive, prescrizioni e
vincoli”, l’art.29, comma 2. prevede che le misure di
salvaguardia si applichino esclusivamente alle “prescrizioni e
vincoli”. Se quindi non si vuole che il PTCP sia del tutto
vanificato, nelle more della sua (probabilmente non breve)
approvazione regionale, è necessario che tutto ciò che
vi contrasti sia interdetto con “prescrizioni e vincoli”,
mentre osserviamo che ciò nelle NTA adottate avviene molto
raramente. Così come in molti casi le stesse Norme consentono
deroghe anche alle “direttive” , tali da poterle
vanificare (è il caso, assai significativo, della
sovrapposizione tra la rete ecologica e aree edificabili previste dai
PRG, non ancora attuate). Si consideri, poi, che – com’è
ben noto - l’accoglimento delle Osservazioni con la delibera di
“controdeduzioni” non comporta un automatico adeguamento
del Piano, ma rappresenta esclusivamente una proposta che il
Consiglio provinciale formula , delegando la decisione finale alla
Regione.
Si auspica che – viceversa - vi sia, da parte della Provincia,
una chiara ed esplicita manifestazione di volontà politica, e
che non deleghi la decisione alla Regione. Di conseguenza proponiamo
che il PTCP sia riadottato con le modifiche e integrazioni accolte,
in tempo utile prima della scadenza amministrativa. Ciò è
anche necessario per rendere le modifiche accolte immediatamente
efficaci facendo scattare la salvaguardia, in mancanza della quale
verrebbero vanificate dalla corsa all’approvazione,
“concertata” o meno, dei PAT/PATI e di altri progetti in
contrasto con esse.
Si esprime la vivissima speranza che il Consiglio provinciale, o la
sua maggioranza, ritenga le proposte di emendamento qui formulate
coerenti con le sue enunciate intenzioni, condividendone le ragioni,
che pertanto le accolga e che – per rendere efficace il piano –
proceda alla sua formale riadozione con le modifiche apportate.
Sottoscrivono questa Osservazione le
associazioni, i comitati e i gruppi qui elencati:
Ambiente
Venezia (Luciano Mazzolin)
Associazione
Naturalistica Sandonatese (Michele Zanetti)
Associazione
per il parco della laguna di Caorle e Bibione (Paolo Presotto)
Cantieri
sociali (Eliana Caramelli)
Comitato
"18 luglio" di Cona (Alberto Voltolina)
Comitato
ambiente Sviluppo Cavarzere (Cinzia Frezzato)
Comitato
Difesa Territorio Bibione-San Michele al Tagliamento (Toni Boldarin e
Loris Colosso)
Comitato
Difesa del Territorio di Caorle (Marco Gusso)
Ecoistituto
Alex Langer (Michele Boato)
Forum 11
ottobre (Salvatore Lihard)
Italia
Nostra Venezia (Cristiano Gasparetto)
La Salsola
(Carmine Liguori)
Laboratorio
Mirano Condivisa (Angelo Nordio)
Rete NO
autostrada Romea (Glaide Leo e Andrea Bortolato)
Verde
Ambiente Società (VAS) (Gianandrea Mencini)
e inoltre le seguenti persone:
Armando
Barp
Stefano
Boato
Ilaria
Boniburini
Paolo
Cacciari
Carlo
Costantini
Andrea
Dapporto
Ermes
Drigo
Cristiano
Gasparetto
Carlo
Giacomini
Oscar
Mancini
Nino
Marguccio
Giampietro
Pizzo
Domenico
Patassini
Edoardo
Salzano
Pino
Sartori
Luciano
Vettoretto
Venezia, 16 febbraio 2009
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