Traduzioni

8 gennaio 2009

Il rischio di esclusione sociale

È difficile contrastare il meccanismo di difesa di coloro i quali si ostinano a non guardare in faccia alla realtà del declino che la società sta attraversando. Se si sostiene, ad esempio, che
nel nostro paese l’area del rischio di esclusione sociale si sta ampliando, i più generalmente contestano tale affermazione. Alcuni per manifesta volontà di ignorare il problema, molti altri perché non vogliono vederlo, nascondendosi dietro l’impossibilità di dimostrare in
maniera incontrovertibile, dati alla mano, un’ipotesi del genere.

Di recente, e ben prima che la crisi economica mondiale si manifestasse in tutta la sua gravità, ho tentato un calcolo di questa area a partire dai dati sull’occupazione, pensando che un lavoro minuzioso e rigoroso avrebbe potuto sgombrare il campo da qualsiasi contestazione su questa che a me pare da tempo una realtà incontrovertibile. Non è stato affatto facile e soprattutto i dati disponibili non aiutano molto, perché carenti, poco aggiornati e spesso desumibili da fonti molto diverse tra loro che non permettono quindi di colmare le reciproche lacune.

Eppure alcuni di questi dati mi sembrano alquanto illuminanti:
  1. secondoi dati Istat delle indagini campionarie sulle forze di lavoro, nel 2007 la quota dei lavoratori con contratto a termine rappresenta in Italia il 14% di tutti gli occupati dipendenti. Tale quota è in continua ascesa e, per avere un’idea della sua crescita,
    basti dire che nel 1997 rappresentava il 7,8%. Come avviene di solito per le grandezze del mercato del lavoro, il dato medio italiano è il frutto di situazioni alquanto diversificate tra
    Nord e Sud del Paese. Nel Mezzogiorno, infatti, il peso del lavoro a termine è ben più consistente, 17,7% nel 2007 (era del 12% nel 1997);

  2. secondo i dati Inps, le attività di collaborazione a titolo esclusivo in Italia sono aumentate tra il 2001 e il 2006 del 31,9%, nel Mezzogiorno del 109,6%;

  3. i lavoratori interinali, dati Inail-Inps, tra il 2002 e il 2007 sono aumentati del 108,1%;

  4. i disoccupati, secondo l’istat, diminuiscono (sappiamo però che il metodo di calcolo tiene fuori quelli cosiddetti scoraggiati), ma non c’è da rallegrarsi più di tanto visto che il tasso di attività rimane invariato in Italia, ma diminuisce nel Mezzogiorno dove consistente rimane anche la quota di lavoro irregolare.

Questo per dire che oggi come oggi quando si parla di ultimi si parla di persone le cui condizioni economiche e sociali sono sempre più precarie, condizioni che riguarderanno a breve fasce di popolazioneche pensavamo immuni da questo pericolo, allora sarà davvero molto difficile non vederle. E in ogni caso il lavoro di analisi e di ricerca deve andare avanti con tenacia e rigore per impedire che la realtà venga descritta così come fa più comodo, rintuzzando, ogni qualvolta se ne presenta l’occasione, tutte quelle affermazioni che spesso, anche solo perché incomplete, sono fuorvianti (rimando al commento sull’allarme povertà da me inserito qualche tempo fa in Oggi in cantiere).

Il mio segnale di fumo è perciò rivolto innanzitutto all’affermazione della conoscenza e alla diffusione della consapevolezza che credo siano tra le più importanti condizioni capaci di conferire alle persone dignità e libertà di pensiero.

Paola Clarizia