Qualche mese fa arriva una chiamata alla postazione del numero verde contro la tratta di Napoli. A telefonare è una ragazza nigeriana. Chiede aiuto, vuole scappare dalla “madame”, cioè dalla donna che ne controlla lo sfruttamento. Chiede di essere andata a prendere su una strada provinciale al limite tra la provincia di Napoli e quella Casertana, dove normalmente è obbligata a prostituirsi per ripagare il debito che la famiglia ha contratto in Nigeria (tra quello e i costi del viaggio circa 40.000, di cui quasi 7.000 accumulati in Libia nelle varie traversie che molti migranti sono costretti a vivere in quel paese come ben raccontato dal film "Come un uomo sulla terra")
Decidiamo che fare. La cosa migliore sembra essere quella di andare a prenderla senza unità mobile, con una macchina, diciamo in “borghese”, senza i loghi del progetto, facendo finta di essere clienti. Due ore dopo, la troviamo, sale in macchina. Oggi Joy, così si chiama, è in una casa accoglienza, ha 16 anni, e da una settimana è madre di un piccolo bimbo.
Fin qui la storia, ma quello che mi preme raccontare è quello che abbiamo trovato grazie alla chiamata di Joy. Su quella strada ci lavorano circa 50 ragazze, tutte nigeriane, tutte senza permesso di soggiorno (anche se loro credono di essere in regola perché hanno avuto la striscetta in qualità di richiedenti asilo). L’età media è compresa tra i 15 e i 20 anni. Parlano pochissimo l’italiano, giusto le parole che servono per definire con il cliente prezzo e prestazione. Non sanno quasi nulla delle malattie sessualmente trasmissibili e di come proteggersi. Molte rimangono in cinta (per quello che abbiamo potuto vedere circa il 20% è in tali condizioni) perché sono convinte che mettere due profilattici alla volta le protegga di più mentre così si aumentano i rischi. Altre sono in stato di gravidanza perché hanno avuto rapporti non protetti con i clienti. Clienti che, come è noto a chi lavora sul settore, sono nella maggioranza dei casi disposti a pagare tre volte il prezzo della prestazione per avere sesso senza profilattico e in contesti come quello descritto, dove le ragazze sono molte e tutte insieme, la possibilità contrattuale si abbassa e a volte, pur sapendo i rischi, le ragazze accettano pur di guadagnare qualcosa (ogni euro in più è un pezzettino di emancipazione conquistata). Altre ancora sono in cinta per gli stupri subiti nei lager libici o per la prostituzione esercitata in quel paese per pagarsi l’ultimo pezzo di viaggio.
Essendo in aperta campagna, tra campi coltivati di finocchi, broccoli e piantagioni di meli e peschi (che non provocano nessun romanticismo per l’enorme quantità di rifiuti sparsi un po’ ovunque, per il puzzo delle macchine e dei camion che passano in continuazione sul dedalo di strade, stradine, tangenziali e sopraelevate che sembrano non portare a nulla, per i colori della terra che testimoniano spesso la pericolosa presenza di chissà quali sostanze e rifiuti), le ragazze sono praticamente nude. Portano canotte strette e aperte sul davanti con i seni spesso scoperti; fusò abbassati sotto le natiche, così stretti e aderenti che il telefonino e i preservativi tenuti tra il tessuto e la pelle sembrano protuberanze fisiologiche al loro corpo. Il viso spesso è truccatissimo, imbiancato dalle creme per apparire meno scure. Portano parrucche colorate e ricce insieme a monili e anelli pericolosissimi se incappano in un possibile e assai probabile cliente violento….Sembrano bambole, che si animano a comando nei movimenti finti e meccanici dell’adescamento, della contrattazione, dei rapporti consumati in fretta senza alcuna tendenza a dar corpo alla finzione (mi è capitato, mentre parlavo con alcune di loro e offrivo materiali di riduzione del danno, di essere chiamato da una ragazza che mi chiedeva di aspettarla perché voleva avere delle informazioni sulla legge mentre la stessa stava consumando ancora il rapporto con un cliente un po’ più in la, un po’ nascosta da un muretto e da una pianta)
Da allora, da quando abbiamo incontrato Joy, in quei luoghi ci siamo tornati due volte alle settimana. Adesso, quando ci fermiano, le ragazze ci riconoscono, ci salutano, salgono sul camper. Con loro chiacchieriamo, ascoltiamo le loro storie. Quando lo chiedono le accompagnamo ai servizi sanitari. Offriamo the, biscotti, strumenti informativi e di riduzione del danno. Facciamo educazione sanitaria e tutela legale. Soprattutto offriamo attimi di relazione per cui non viene chiesto nulla in cambio, capaci di saper ascoltare, di non giudicare, di essere il più possibili vicini e di prossimità. Da allora altre quattro ragazze hanno trovato la forza di scappare e in due casi di denunciare il circuito di sfruttamento.
Trovare quelle ragazze è stato un caso. Li non saremmo mai andati con i progetti perché lì fino a qualche mese fa non c’era prostituzione. Le ragazze sono andate in quelle zone, o sono state portate in quei contesti, per nascondersi alle retate, alle azioni repressive, ai controlli sempre più frequenti dovuti all’estremismo securitario e alla violenza degli atteggiamenti e delle politiche nei confronti dei migranti. Quelle ragazze, così piccole, così impotenti, così negate nella loro identità e dignità di persone, fanno parte di quei clandestini con cui il ministro maroni dice che bisogna esser cattivi.
Sono vite clandestine, a cui spesso non viene riconosciuto dalla politica, dai mass media, dal dibattito pubblico, nemmeno il diritto di appartenere all’umanità.
Io, la mia cooperativa, stiamo dalla loro parte, senza se e senza ma, perchè siamo convinti che questo sia il modo giusto per stare dalla parte delle persone, dei diritti, della giustizia, della legalità
Se siamo fuori moda o minoranza ben venga….saremo anche noi, orgogliosi di essere clandestini.
Andrea Morniroli – cooperativa sociale dedalus