Traduzioni

23 giugno 2009

Un ricordo

LA STORIA MANCATA
di Maria Antonietta Mattei

Il primo piano di un volto di donna… L’immagine di una foto sfocata…
La voce metallica, di circostanza, della giornalista di turno per una notizia per lei non sconvolgente... una come tante... e poi Gaeta... mare...
Paola non realizza, cerca di porre attenzione. E ancora: << scrittrice, Fabrizia Ramondino… colpita da malore>> e subito dopo continua, con aria maliziosa, <<...gli italiani... cibi afrodisiaci>>
Paola non segue, rimane alle prime parole.
Si affretta a prendere il telecomando per intercettare qualche altro notiziario, vuole conferma, come se la notizia di una morte si potesse inventare, pensa tra sé, o come se si trattasse di una calamità naturale, con tante vittime per cui potrebbero esservi dubbi sulla identificazione.
Ci sono delle morti che prendono ancor di più di sorpresa, e la cosa strana, anzi stranissima, è che la propria morte, per queste persone, molto probabilmente non avrebbe alcun significato, perché non << ti conoscono, perché non sei stata percepita, intercettata>>, dice a sé stessa.
Prosegue nei suoi cupi pensieri, nel mentre continua a sfaccendare e a cucinare più del necessario. Non si risparmia, come se i figli fossero ancora piccoli e come se la casa fosse frequentata come quando era viva sua madre e accorrevano i suoi fratelli con le rispettive famiglie e si riunivano per grandi tavolate.
Lei colma i suoi vuoti in cucina, ma molte volte la cosa non funziona e rimane con le sue angosce.
Si ritrova con gli occhi umidi, come le capita spesso in questi ultimi tempi, e cerca l’abbraccio del suo Hobbes, che inaspettatamente, come per un richiamo telepatico, si stira le zampe, sbadiglia e ancora sonnacchioso abbandona le lunghe lanose orecchie e il muso sulla gonna e si stropiccia ad essa, quasi a trovar riparo.
<< Lorenzo, è morta Fabrizia Ramondino, la scrittrice, all’improvviso, ma come può succedere? Come è possibile...?>>
<< Succede…, si muore…devi rassegnarti, ci sentiamo dopo >>.
E’ finita la comunicazione con il marito, è finito il tempo accordatole.
Riprendere il discorso le sarà difficile. Le emozioni non possono essere a puntate...!
Quella immagine di donna, scolpita nella roccia, nel mentre sale lentamente i gradini di ciottoli levigati dal tempo, scivolosi e tondeggianti, non lavorati dagli uomini, ma quasi fuoriusciti da quella terra aspra, non le si toglie dagli occhi.
Con il pensiero corre all’ultima estate, alla casa in campagna, al paese…
Dalla viuzza sottostante il castello aveva più volte percepito quella figura e ne era rimasta colpita. La rivede avviarsi verso la parte alta del centro storico, che conduce al castello, con passi lenti, solenni, di chi non è stanco, ma dà significato ai propri gesti.
Una veste lunga, come un saio, così le era apparsa, ogni volta, pur nella discreta lontananza dalla sua postazione.
La donna è diversa dalle altre, quelle che Paola abitualmente incontra nei “suoi giri”.
Le anziane del posto sono tutte uguali con la gonna corta a metà ginocchio, la maglietta di cotone ritorto e con il golfino di lana attorcigliato sulle spalle, nelle sere d’estate. Unico cedimento al rigore dell’inverno grandi scialli colorati, di quelli lavorati in tondo all’uncinetto con i residui di lana di maglie in disuso.
Capelli corti, resi ancora più corti dalle permanenti oramai sorpassate e colorate di un nero tizzone che contrasta sui loro visi resi ancor più grinzosi dal tanto sole accumulato nel corso degli anni per le lunghe ore trascorse a lavorare in campagna.
La donna che “sale al cielo”, Paola la chiama così perché da quel posto, oltre la scalinata non vedeva altro che uno sperone isolato di montagna brulla, ha la figura esile con i capelli corti, lisci, argentei.
Un giorno in piazza, se le era ritrovata quasi di fronte con la lunga sigaretta fra le dita, più di un quotidiano sotto braccio, impegnata a parlare presumibilmente con persone amiche, vista l’aria rilassata e confidenziale.
Paola è sorpresa dal fatto di essere rimasta ancor di più incuriosita, dopo averla vista così da vicino e sente ancor di più il desiderio di rivolgerle la parola.
L’appuntamento estivo dell’assemblea cittadina in piazza è un occasione di incontro e di appartenenza alla quale Paola, di solito, non manca.
Lei, la Signora, è lì con i suoi giornali e interviene sulla questione del piano regolatore e sul moltiplicarsi delle costruzioni nelle campagne circostanti il centro abitato.
Paola non sempre condivide le cose dette, perché a lei le case non creano problemi, quando si sposano bene con i colori e le curve del verde su cui sorgono: sembrano far parte del paesaggio e d’altronde significano vita e continuità, “convivenza pacifica” tra quelle montagne non sempre lussureggianti, per la natura rocciosa del posto, e la gente che spazia nei posti isolati e sventola la propria presenza con la biancheria colorata distesa al sole ad asciugare.
La discussione è appassionata, e l’intervento della “donna che sale al cielo” è chiaro, asciutto e lei ne è coinvolta.
Vorrebbe scambiare qualche idea, vorrebbe avere elementi in più per capire, vorrebbe raggiungerla, ma è intimidita dal fatto che è attorniata da un gruppo di persone e parlano vivacemente.
Le occasioni di incontrarla da vicino non tardano a mancare: con il mese di agosto iniziano le manifestazioni su al castello, in gran parte restaurato e fiore all’occhiello della Giunta Comunale.
Le iniziative non sono molto numerose, ma interessanti, e poi non c’è che da sostenerle perché non si può fare sempre e solo la critica delle cose.
Paola è un’assidua frequentatrice e trascina con sé le amiche dell’estate e poi la passeggiata serale è un modo per riappropriarsi del silenzio, degli odori e delle visioni della notte, e di quelle stradine antiche dove i gatti la fanno da padroni e la luna illumina squarci inaspettati tra le viuzze imbiancate di calce che si inerpicano verso l’alto.
E’il momento di guardare il cielo per scrutarne i messaggi e guardare il gioco delle nuvole che si rincorrono e si disegnano a seconda se l’indomani sarà pioggia o sereno e ci si potrà consentire un’altra bella giornata di sole in campagna o sul lungomare di Sperlonga.
Una sera, mentre ancora riecheggiavano le note di un suggestivo Piazzolla avvenne l’incontro.
Nel vederla, sulla strada del ritorno a casa, scendere cautamente su quei ciottoli sconnessi di roccia, Paola sussurra alle amiche << E’ lei… lei..>> e affretta il passo per favorire la casualità dell’incontro.
Si danno la buona sera.
Non è come in città, dove pur guardandosi negli occhi o incontrandosi gomito a gomito nelle strade dello schopping, ci si ignora diventando cose inanimate.
Incominciano con qualche parola di cortesia, alternata a momenti di silenzio, per poi iniziare a parlare della bella serata, della musica che le accompagna ancora, rendendole leggere e svolazzanti al di là degli anni, a dir vero, non più giovanili per nessuna di loro.
Gli incontri si ripetono e diventano una piacevole abitudine e Paola vorrebbe osare.., invitarla a casa sua e incomincia a fantasticare con le amiche su che cosa vorrebbe proporle.
Marisa è la più tenace nel tentativo di farla desistere dalle fantasticherie e con il suo << Ma goditi le vacanze e sta un po’ buona… Rilassati...>> riesce a intimidirla e ancor di più a zittirla.
Vorrebbe utilizzare quel vano sottostante la sua casa e immagina già tutta la scena: la roccia imbiancata che accarezza le pareti della stanza come una barriera corallina che contrasta con il cotto antico, usurato dal tempo, e le volte a vela che fanno un gioco sinuoso di curve che si abbracciano tra loro, per fare di quel luogo un‘”isola non felice”, ma di incontri, di incontri fra persone che comunicano, si trasmettono emozioni, raccontando di percorsi compiuti nella propria vita, di fatiche e soprattutto della voglia di voler ancora dire, in tanto rumore di notizie... di provocazioni.
Un luogo di fantasie e di progetti concreti.
La Signora potrebbe dar vita con lei a questa cosa e il solo pensiero di progettarla già le fa bene e le dà carica, cosa della quale avverte la necessità.
E immagina ancora che lei finalmente in tale atmosfera calda e stimolante potrebbe offrire, a piene mani, golosi ciambelloni, crostate e torte al formaggio di pecora con fichi e liquore di lauro, tutte cose che rimangono lì tristemente sul tavolo di casa per le diete, la fretta d’andar via, gli spuntini negli snack.
Il pensiero di Paola corre a queste storie, quando grandi temporali sopraggiungono prima che termini il mese di agosto e così gli spettacoli, programmati per l’estate dal Comune, e così gli incontri che finiscono prima del previsto.
Paola, ancora una volta, non ha colto l’opportunità di parlare, sopraffatta dalla timidezza e dalla paura di non saper fare, ed è rimasta con i suoi progetti che ora le sembrano sciocchi e privi di senso.
Nel fine settimana successivo alla tragica notizia, si reca in paese e rimane impietrita davanti alle scarne parole dei necrologi.
Non ha mai amato le parole formali, come il “Serenamente”, molte volte usato a sproposito, ma immaginava che l’irrimediabile addio avesse preso la forma di un dolore comune e palese e non di parole di circostanza, riferibili a uno qualsiasi.
Si appresta a leggere l’ultimo libro della “Signora che sale al cielo” con profonda commozione, ma non può non sorridere di continuo alla malizia delle descrizioni dei suoi personaggi, chiaramente individuabili nelle persone e nei luoghi di comune conoscenza.
Si convince sempre di più che LEI, di certo, aveva presagito che non sarebbe sopravvissuta e perciò la immagina a descrivere con aria sorniona e impertinente le creature del suo libro, le storie, gli intrecci, le circostanze, ridendosela un mondo per lo sconcerto che avrebbe creato senza che potessero raggiungerla, come succede nei giochi quando si è bambini scherzosi, sognanti e tremendamente veri.