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19 giugno 2009

Istat - primo trimestre 2009 - Il sud abbandona il lavoro



Strano paese l’Italia del lavoro, un paese diviso da divari territoriali profondi che producono differenze significative anche nella composizione delle forze di lavoro. La differenza che sta emergendo con più forza in questi anni è che nel Sud le forze di lavoro perdono occupati ma perdono anche disoccupati. Il fenomeno dominante è l’abbandono: fuga, clandestinità, illegalità, assistenza, famiglia, ecc. Un fenomeno che appare molto evidente se scorriamo la sintetica nota statistica dell’Istat sulle forze di lavoro (primo trimestre 2009) e ci soffermiamo sulle variazioni assolute delle principali grandezze (in tabella). I dati confermano le attese della crisi con un forte calo di occupati (-204 mila). La crisi, secondo gli osservatori economici, colpisce soprattutto il Nord, eppure i dati rilevano una perdita di occupati nel Sud (-114 mila) e indicano che le ripartizioni meno colpite sono proprio quelle settentrionali. Ma il dato che più interessa è che fine fanno gli occupati persi: nel Centro Nord alimentano la crescita di disoccupazione, nel Sud sono fuori dal mercato del lavoro.
La disoccupazione cresce di 221 mila unità di cui solo 2 mila nel Sud, dove alla perdita di 114 mila occupati corrisponde la perdita di 113 mila forze di lavoro. Nel Centro-Nord, rispetto a 90 mila occupati persi, si hanno ben 219 mila disoccupati in più con un saldo di +129 mila forze di lavoro. Una situazione così profondamente differenziata dovrebbe avere rilievo per le politiche del lavoro: è evidente che nel Sud sta avvenendo un depauperamento complessivo della struttura sociale ed economica molto preoccupante. Il fatto che il calo di occupazione non si riversi nella crescita della disoccupazione ci indica ad esempio anche che gli ammortizzatori sociali al Sud sono probabilmente meno utilizzati, e che la perdita di lavoro sta investendo in misura maggiore che altrove una popolazione occupata precariamente che non ha maturato i requisiti di accesso alle indennità di disoccupazione. Le regioni del Mezzogiorno fin qui hanno mostrato di tendere ad utilizzare di più gli ammortizzatori sociali tradizionali, (indennità di disoccupazione, cassa integrazione), che non le politiche attive del lavoro (i servizi per l’impiego, i tirocinii e stages, l’autoimpiego, la formazione ecc.) Ciò si deve anche al fatto che, diversamente dagli automatismi degli ammortizzatori tradizionali, gli interventi di politica attiva sono realizzati attraverso meccanismi discrezionali, finanziati spesso con riparti alle regioni proporzionati in base ai dati sulla disoccupazione di cui sopra, affidati alla iniziativa e alla capacità progettuale e realizzativa delle istituzioni locali, indirizzati a obiettivi particolari che nel mare magno della disoccupazione di massa si disperdono e dissolvono le proprie potenzialità ecc. Insomma l’impianto delle politiche del lavoro pende largamente a sfavore della disoccupazione del Sud, sia di quella da perdita di lavoro, sia di quella rivolta ai giovani, ai ragazzi che si diplomano, alle donne, all’offerta scoraggiata, a chi cerca un primo lavoro. Prendiamo ad esempio i servizi offerti dai centri per l’impiego, di orientamento, di promozione, di progettazione, di offerta di percorsi formativi ecc. Qualsiasi siano i valori registrati dalle statistiche, chi è regolarmente iscritto in un centro per l’impiego ha pienamente diritto a questi servizi, secondo la norma che prescrive al centro per l’impiego di offrire a tutti una opportunità di inserimento formativo o lavorativo entro alcuni mesi dalla iscrizione. Ma questa prescrizione resta un enunciato teorico, vanificato dall’assenza di sanzioni (immaginate se ci fosse un risarcimento per l’inesigibilità di questo diritto come affonderebbero le casse del ministero del lavoro in pochissimi mesi), mentre la scarsità di risorse e di opportunità non fa che accentuare le difficoltà e le inefficienze dei servizi, rendendoli nel complesso meno accessibili a tutti, aggravando i rischi di discrezionalità ed esclusione e accrescendo le tensioni sociali.
Si può spiegare in tal modo, anche grazie a questo complesso di lacune e di inadeguatezze, il fatto che a Napoli e a Palermo si accendano, con periodicità ormai ciclica, i riflettori della “emergenza sociale disoccupati” e si adottino progetti “speciali” che riducono i diritti e le politiche del lavoro a meri pacchetti di assistenza-intrattenimento per gruppi di disoccupati organizzati. Generalmente si tratta di poche migliaia di destinatari e di progetti che in tal modo surrogano tutto il nascosto, il non dato e le sofferenze di una diffusa malaoccupazione e disoccupazione destinata solo a peggiorare. Se nulla cambia, questa condizione del Sud che abbandona il lavoro, del Sud che riceve finanziamenti per progetti legati all’ordine pubblico e al malgoverno locale, e ne riceve sempre meno per adeguate politiche di sostegno all’occupazione e di contrasto alla disoccupazione, è destinata solo a peggiorare. Non a caso in agenda in questi giorni, al vaglio del Ministro Sacconi, c’è una proposta dell’Assessore al Lavoro della Campania con cui si sancisce lo stato delle cose: un’agenzia sociale del lavoro nella quale “assorbire” e riprodurre proprio quel tipo di progetti “speciali”; un'agenzia
di cui le uniche notizie disponibili le hanno solo i disoccupati in lotta, e le raccontano così. Prende forma con questa struttura stabile solo la certezza del permanente abbandono.
Susi Veneziano