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27 marzo 2009

la bussola del lavoro

INTERVISTA | di Loris Campetti
La bussola del lavoro

Mario Tronti, Crs, lancia un appello agli intellettuali a riprendere la parola partecipando alla manifestazione della Cgil del 4 aprile. «Solo a partire dal lavoro si può ricostruire la sinistra e spezzare l'egemonia culturale della destra»
«Il 4 aprile è un appuntamento importante. La manifestazione della Cgil può facilitare una percezione di massa della gravità della crisi e, dunque, l'assunzione politica della centralità del nodo del lavoro. Che è una precondizione per ricostruire un ostacolo al rischio di un'uscita da destra dalla crisi stessa. Il 4 aprile può segnare una svolta, un inizio della controffensiva e non certo una conclusione». Ne è talmente convinto, Mario Tronti, che sta preparando un appello rivolto agli intellettuali «formati e in formazione perché salutino con simpatia e partecipazione la protesta della Cgil. E siccome siamo nel tempo dei gesti simbolici, ne voglio fare uno anch'io schierando il Crs (Centro per la riforma dello stato, ndr) come promotore di un appello alle forze intellettuali, ai lavoratori della conoscenza, agli studenti a partecipare alla manifestazione dietro uno striscione che reciti: 'la cultura con i lavoratori'». Da questa proposta a rompere il silenzio parte la conversazione con Tronti sulla sinistra, la cultura e il movimento operaio.
Iniziamo con la crisi, la sua natura e le risposte politiche in campo.
Il tema da sollevare con forza è il rapporto crisi-lavoro, e quanto la crisi pesi sui lavoratori in carne e ossa. Vedo una cosa strana: si è parlato molto di ciò che è e ciò che invece viene percepito - pensa solo al tema della sicurezza, a com'è stata gonfiata la paura nei confronti degli immigrati. Ora c'è un rovesciamento, la realtà è molto più drammatica di come viene percepita. E' forte la percezione individuale della crisi da parte di chi vive in vicinanza con il mondo dei semplici. Nessuno sta più sicuro sul suo posto di lavoro, si è scavalcato il problema della precarietà di una parte perché essa conquista l'intero mondo del lavoro. La crisi ricade sulla vita quotidiana, nelle case, nelle famiglie, si vive male. Però manca la percezione pubblica, il tema non viene gridato. Lo schermo dell'informazione, quel che dice e quel che non dice, è decisivo.
Berlusconi dice agli italiani che devono lavorare di più, all'inizio di una crisi che cancella il lavoro si sono defiscalizzati gli straordinari.
È uno sgarbo nei confronti dei lavoratori, chiamati a lavorare e consumare di più. Ma non esplode la denuncia delle parti politiche, il tema non è assunto neanche da chi dovrebbe avere nel lavoro le sue radici. C'è una crisi mondiale del capitalismo ed è la prima volta che una crisi di tale intensità si manifesta senza il movimento operaio e il suo contrasto. È una novità rispetto al '29, quando una crisi magari ancora più profonda trovava in campo il movimento operaio internazionale che ha imposto l'uscita dalla crisi con il compromesso socialdemocratico sui temi classici, dal lavoro al welfare.
Però, mentre gli Usa rispondevano con il new deal e cresceva il conflitto per i diritti collettivi, in un'Europa divisa crescevano i fascismi, fino alla guerra.
Comunque la crisi ha fatto vedere la forza del movimento operaio che andava contrastata, prima con le concessioni e poi con la repressione. Quando la crisi è profonda, nessuno è in grado di contrastarla e c'è il rischio di uscite pericolose. Anche oggi: in mancanza di un'alternativa al sistema capitalistico passa il tentativo di salvataggio individuale, ognuno cerca per sé un'uscita dalla crisi. Un'opinione disorientata sceglie di affidarsi al sicuro, alle forze politiche che danno risposte populiste facili e accattivanti, o si cerca di attaccarsi ai rimedi del potere pubblico aspettando la ricetta miracolosa - si salvano le imprese e così si salva il lavoro.
Ma l'alternativa al modello capitalistico, come dici tu, non si vede...
È un momento delicato, preoccupa il silenzio delle forze di sinistra sulla natura della crisi e i pericolosi smottamenti che produce; con l'eccezione di qualche pezzo di sinistra radicale, il grosso del movimento è incapace di cogliere il momento che viviamo.
Persino nella sinistra radicale c'è la tentazione di assumere l'esistente come immutabile: c'è l'individuo e ci sono le moltitudini, via la classe non resterebbe che ripartire dall'individuo o, al massimo, dal territorio. Non dal lavoro.
Bella osservazione. In altri paesi, va detto, esplode la protesta di massa ma è più spontanea che diretta. Se la crisi pesa innanzitutto dal lavoro, è da lì che bisogna ripartire. O la sinistra ritrova il suo posto naturale al centro del sociale, dov'è il lavoro di uomini e donne, oppure non vedo la possibilità di una sua rinascita politica. Dentro la globalizzazione neoliberista è venuto avanti uno squilibrio pesante nella distribuzione della ricchezza a danno del lavoro dipendente. La sinistra e le forze della cultura ci si sono adagiate come se il processo fosse irreversibile, come se non si potesse fermare ma, al massimo, mitigare. Penso che la crisi del liberismo sia leggibile come crisi da lavoro, su cui certo si sono innestate le note vicende finanziarie. Va messa in discussione l'idea che la crisi nasca da una cattiva gestione del capitale. Con una lettura marxiana si può dire che la crisi è molto più materiale, legata al meccanismo classico produzione-distribuzione-consumo. Un bel tema, questo, da cui ripartire, il tema classico della sinistra che è il lavoro. Naturalmente il lavoro è cambiato, frantumato, difficile da rappresentare e organizzare. C'è bisogno di un di più di conoscenza della sua struttura, e di un di più di iniziativa politica. Se rimettessimo al centro questi temi, invece di scendere in campo armati a ogni parola del papa o alle buffonerie di Berlusconi, la sinistra potrebbe tornare in campo in modo riconoscibile.
Controriforma dei contratti, smantellamento del Testo unico sulla sicurezza, attacco al diritto di sciopero, sono gli addendi di un'operazione pericolosissima, non solo per i lavoratori dipendenti.
Per questo la manifestazione del 4 aprile diventa un passaggio strategico. Dobbiamo stringerci intorno alla Cgil, dimostrare che non è sola. E' in sintonia con i lavoratori e c'è il dovere politico, non etico, delle forze intellettuali di stare dentro la mobilitazione. Fin qui gli intellettuali sono stati assenti, distanti, e questo è il motivo non ultimo della generale deriva culturale.
È la destra, oggi, ad avere l'egemonia culturale.
Il cambio di egemonia inizia negli anni Ottanta, e non è indifferente la responsabilità delle forze politiche e culturali di sinistra.
Inizia dalla sconfitta operaia nei 35 giorni a Mirafiori?
È partito tutto da lì. Sono cambiate le figure intellettuali, ma non sono scomparse in un magma imprecisato. Ci sono state manifestazioni positive nel campo dell'arte penso al cinema, al ritorno sullo schermo del lavoro. Ma si tratta di uno spiraglio nel buio. C'è un paradosso: la cultura è ancora a maggioranza di sinistra ma l'egemonia culturale è della destra. Forse perché spesso l'intellettuale di sinistra assume pulsioni di destra. Non c'è un ancoraggio al mondo del lavoro, senza cui non può esistere una cultura di sinistra. Gli orientamenti che emergono oggi incrociano lo smantellamento dei diritti dei lavoratori con una grave deriva istituzionale. Siamo al passaggio non contrastato al federalismo che è una tappa verso il presidenzialismo, perché più si articola la struttura federativa più si accentra il potere esecutivo. Dunque, le due battaglie, quella istituzionale e quella sul lavoro, vanno legate. Se non si impegneranno le forze culturali della sinistra, le forze politiche saranno travolte dai processi. La controffensiva può partire proprio il 4 aprile.
La crisi è mondiale, l'Italia non è un'isola. È difficile pensare a una battaglia paese per paese, o fabbrica per fabbrica.
Certo, e la crisi conferma la natura mondiale del capitale. La mondializzazione non poteva che creare un effetto a catena in un sistema integrato in cui il volo di una farfalla provoca un uragano dall'altra parte del mondo. In questo contesto è drammatica l'assenza di una forma internazionale del movimento operaio e di una sinistra internazionale, almeno ci fosse un sindacato europeo. È impressionante il silenzio delle forze politiche che hanno cantato i tempi moderni: dov'è, che dice il Partito socialista europeo? Perché si riuniscono i G8 e i G20 senza che prima i partiti di sinistra si siano incontrati per elaborare un orientamento comune sulla risposta da dare alla crisi? E' questo vuoto che rende drammatica la situazione. Non so se è vero che l'Italia e la sua finanza siano più protette come ci si dice, so che la crisi colpisce ovunque, soprattutto il nostro campo, quello del lavoro che siamo chiamati a difendere. So dunque che dal lavoro dobbiamo ripartire.

25 marzo 2009

Lavoro sociale: racconti di esperenze concrete per una "sicurezza" possibile

Vorrei provare ad approcciare il tema della sicurezza, o meglio della deriva politico-culturale che sta provocando l’estremismo securitario, partendo dal mio essere operatore, e per questo iniziando con il racconto di due brevi esperienze di lavoro sociale
La prima storia ha a che fare con il tema delicato della prostituzione e della tratta e delle conflittualità che spesso nascono tra cittadinanza e persone prostitute. Qualche mese fa un comitato di cittadini di Gianturco (quartiere dell’area a nord di Napoli fortemente interessato dal fenomeno prostituzione di strada) propone le “ronde” per “cacciare le prostitute, i transessuali e i froci dalla strada”. Come cooperativa, attiva da tempo nei servizi di tutela e supporto alle persone vittime di tratta e più in generale coinvolte nella prostituzione, chiediamo con urgenza un incontro con i referenti del comitato. Ne nasce una discussione lunga, all’inizio segnata da diffidenze e pregiudizi. Da parte nostra comunichiamo con nettezza la nostra contrarietà alle ronde, ma diamo una disponibilità sincera a collaborare per comprendere e per tentare di risolvere i problemi. Primo passo di tale disponibilità è la decisione di uscire la sera per il quartiere con loro per un osservazione condivisa e ragionata sulle dinamiche e sugli elementi di conflitto. Insomma, chiediamo ai cittadini e alle cittadine di farci vedere il quartiere con i loro occhi visto che noi siamo abituati a guardarlo dal punto di vista degli operatori.
I problemi che emergono sono i soliti. Non è tanto la presenza in strada delle prostitute a dar fastidio, ma alcuni comportamenti loro o comunque connessi al fenomeno: gli schiamazzi fino a tarda notte; i rapporti sessuali consumati in luoghi troppo visibili agli estranei; i preservativi usati gettati a terra in luoghi di passaggio e così via. Ma viene anche fuori che il degrado del quartiere, almeno quello profondo, quello che fa male e rende la vita difficile, non è dovuto alla prostituzione ma alla mancanza di servizi, ai rifiuti diffusi ovunque, alla mancanza di marciapiedi, al traffico assordante, ad una presenza “attenta” e invasiva della criminalità organizzata.
In ogni caso decidiamo con i cittadini di organizzare un incontro con le associazioni di auto-rappresentanza delle persone transessuali e con gli operatori di strada. Dall’incontro escono due proposte: si preparano materiali informativi per chiedere a chi si prostituisce o è costretto a farlo di provare a limitare o eliminare quegli elementi di disturbo per la cittadinanza sopra descritti; si decide di sondare attraverso un tavolo istituzionale di sperimentare uno zoning in strade a bassa conflittualità sociale.
Risultato: le ronde non sono mai partite. I cittadini e le persone prostitute vivono più tranquilli. Nel quartiere si stanno avviando alcuni servizi, grazie al lavoro congiunto di associazioni, cittadinanza, municipalità. Certo, le contraddizioni e le debolezze sono ancora molte, la convivenza pacifica tra differenti continua a muoversi su equilibri precari che hanno bisogno di cure costanti, ma è altrettanto vero che in qualche modo potenziali nemici si sono conosciuti, si sono parlati e hanno provato a fare una piccola alleanza per vivere meglio, confrontandosi in modo paritario e rendendosi disponibili ad abitare insieme un luogo di mediazione .
Seconda storia. L’altra settimana due minori stranieri non accompagnati vengono fermati ad un semaforo dalla polizia municipale e portati in modo coercitivo in una “comunità”. Passano due giorni e i ragazzi scappano, calandosi dalla finestra al primo piano. Appena fuori e recuperato un cellulare telefonano ad un mediatore culturale della cooperativa per chiedere se a causa dell’assenza di due giorni erano stati espulsi dal laboratorio di alfabetizzazione finalizzato all’ottenimento della licenza media. Morale: da un servizio non voluto, obbligato e repressivo si scappa mentre da un altro, scelto, condiviso, ritenuto utile e compatibile con il proprio percorso migratorio si ha paura di essere stati cacciati (per altro e a conferma che solo la condivisione rende utilizzabili i servizi, in questo momento più di 40 minori hanno deciso di abbandonare la strada, di stare in comunità, di seguire percorsi altri di formazione e inserimento lavorativo)
Due brevi storie, ma significative. Storie in cui il confronto tra differenti, tra inclusi ed “esclusi” diventa elemento che alza la qualità del vivere e produce sicurezza; dove le persone, indipendentemente da condizione, volontà e possibilità, sono riconosciute in primo luogo come portatrici di diritti, di bisogni e aspettative; dove il conflitto non viene nascosto ma allo stesso tempo non strumentalmente esasperato nella spasmodica ricerca di consenso ma invece collocato e accompagnato in un ambito di mediazione; dove i servizi sociali, al di là degli elementi più specifici e tecnici, diventano strumenti di proposte e “cambiamento”, capaci di far incontrare i potenziali nemici per provare a trasformarli in alleati o quantomeno in “pacifici e tolleranti vicini di casa”

Come le nostre in Italia ci sono centinaia di altre esperienze di lavoro sociale positive e forti.
Associazioni, cooperative, forme di auto-organizzazione sociale dal basso che dentro ai territori, sporcandosi le mani, hanno provato a lavorare con gli ultimi e i senza voce promuovendo e tutelando diritti, provando a garantire pari opportunità. Esperienze che tra mille difficoltà hanno provato a costruire partecipazione e relazioni solidali nei luoghi del disagio e delle contraddizioni urbane, provando a sostituire convivenza e accoglienza al conflitto e all’esclusione. Pratiche quotidiane che, in molti casi, hanno restituito visibilità e cittadinanza a persone a cui spesso è negato anche il diritto di appartenere all’umanità.
Un universo del “fare” che ha messo insieme saperi, competenze, racconti e memorie che dimostrano come sia possibile costruire sicurezza anche attraverso il riconoscimento dei diritti, la promozione di opportunità, il rafforzamento dei sistemi di welfare, la mediazione sociale e dei conflitti.
Spazi concreti dove si costruiscono identità positive centrate sulla persona. Dove si pratica una dimensione della politica, fondata sullo stretto legame con le pratiche, fortemente radicata nel territorio, capace di farsi carico del quotidiano, coraggiosa perché in grado di non rifiutare il conflitto, l’odore acre e l’umidità che spesso hanno le relazioni tra donne e uomini nelle fatiche di ogni giorno.
C’è il bisogno urgente che tutto questo trovi le forme e i luoghi per poter contare di più, per rispondere in modo adeguato a quella deriva autoritaria e dispotica che da un lato sempre più contamina e annulla la nostra democrazia e, d’altra parte, in nome di una presunta sicurezza, non fa altro che produrre paura, disuguaglianza e disperazione diffusa.

Andrea Morniroli
Cooperativa sociale Dedalus di Napoli

12 marzo 2009

Io curo non denuncio


12 marzo 2009 Repubblica
“Vietato registrare i figli dei clandestini”
Spunta comma nel ddl. Medici in rivolta: no all´obbligo di denuncia. Maroni: rischio banlieue
di Mario Reggio

ROMA - «Non siamo spie, la misura è colma». Insorgono i sindacati dei medici: saremo obbligati - affermano - a denunciare l´immigrato clandestino che si presenterà in una struttura sanitaria per essere curato, e chi di noi non lo farà commetterà un reato penale. Il governo ha sempre sostenuto che l´abrogazione della norma che vietava la denuncia da parte del medico non avrebbe comportato sanzioni, e che in sostanza il medico avrà la facoltà, e non l´obbligo, di denunciare. Ma secondo gli uffici legali dei sindacati ciò è falso: il medico è pubblico ufficiale, l´immigrazione clandestina è reato, ergo - questa è la loro tesi - il medico è passibile di denuncia e condanna penale se non segnala gli irregolari. Tutto ciò come effetto del ddl sulla sicurezza passato al Senato ed ora all´esame delle commissioni alla Camera. Il ministro Maroni replica: «Non c´è alcun obbligo per i medici». E aggiunge che «esiste un rischio di violenza, un rischio banlieue in certe periferie delle città».
Ma da quel testo spunta un altro attacco alla dignità delle persone: stavolta tocca ai neonati figli di immigrati clandestini. In base ad un comma dell´articolo 45, senza la presentazione del permesso di soggiorno i bambini non potranno essere registrati all´anagrafe. L´effetto sarebbe il moltiplicarsi di un esercito di bambini “invisibili”, con genitori che non esistono e nessuna possibilità di essere curati. In più, il rischio del moltiplicarsi dei parti clandestini. Partiamo dal rischio dei “bimbi invisibili”. Attualmente è in vigore la legge del ‘98, primo governo Prodi, che esonera tutti i cittadini stranieri dal presentare il documento di soggiorno per compiere atti di stato civile. La segnalazione della soppressione di questa deroga arriva dall´Associazione dei giuristi per l´immigrazione, che ha scovato il codicillo nelle pieghe del ddl sulla sicurezza. «La norma si configura come una misura che scoraggia la protezione del minore e della maternità - affermano i giuristi - Una norma che appare incostituzionale sotto diversi profili». Le conseguenze sarebbero drammatiche: i bimbi resterebbero senza identità, c´è il rischio nel caso del parto in ospedale che non vengano consegnati ai genitori e siano dichiarati in stato di abbandono. Una situazione che porterebbe al proliferare dei parti clandestini.
Una scelta della maggioranza che fa il paio con l´emendamento, presentato dalla Lega Nord, approvato in commissione ed in aula Senato, che obbliga i 120 mila medici delle strutture pubbliche e convenzionate a denunciare il paziente senza permesso di soggiorno. Una misura che non esiste in nessun Paese europeo (salvo il Germania, dove però non sono previste sanzioni per il medico obiettore e quindi viene ignorata). I medici hanno annunciato che useranno tutti gli strumenti legali, «fino alla Corte di giustizia europea passando per la Corte costituzionale». E´ questa la posizione di tutti i sindacati medici. Massimo Cozza, segretario dei medici Cgil dichiara: «I 120 mila medici che rispetteranno la deontologia e la Costituzione diventeranno loro stessi clandestini».

4 marzo 2009

448

Intervento n° 448
Sesso M
Età 26-30 anni
Professione Quadro
Tipo di contratto Dipendente a termine/a progetto/altro
Settore Sanità e assistenza sociale

La storia
ho fatto l'informatore farmaceutico per un azienda, per 30 mesi senza un solo contrbuto e senza uno steccio di contratto ( lavoravo con la famoa partita d'iva ) ma in realtà non avevo niete del libero professionsta facevo il dipemnde in tutti i sensi ,quando mi sono fatto avnti per regolarizzare la ia posizione . mi e stato detto che l'azienda era in crisi e quindi non avrei potuto piu lvorare !!!! 33 MESI SENZA UN CONTRATTO E SENZA UN O STARCCIO DI AMMORTIZATORE SOCIALE POSSBILE PER ME !!! ECC L'ITALIA DEL LAVOR FLESSIBILE PRECARIO GLOOBALIZZATO !! ERA MEGLIO QUANDO FACEVO IL DISOBBEDIENTE NO GLOBAL !!!!!!

518

Intervento n° 518
Sesso M
Età 35-44 anni
Professione Impiegato
Tipo di contratto Dipendente a tempo indeterminato
Settore Information Technology

La storia




Ero un giovane laureato in Informatica; o meglio, in Scienze dell'Informazione, secondo il vecchio ordinamento universitario. Per un attimo, ma solo per un attimo, vidi realizzato il mio sogno; quell'assuzione presso un'azienda-mito, presso quell'Olivetti che aveva dato tanto all'immagine dell'Italia, era arrivata inattesa, e mi sembrava di aver raggiunto la mia prima importante meta, trampolino di lancio per un futuro luminoso. Oggi sono due lustri meno giovane, con le speranze e i sogni che si sono infranti sul duro marmo della realtà, e non ho neppure quarant'anni. Cessioni di rami d'azienda, scorpori e reintegri, rabbia, inquietudine: questo ha saputo offrirmi il mondo del lavoro. Quell'azienda che ha ereditato di ruderi umani di Olivetti non ci vuole più, non sa più che farsene di professionisti seri e preparati, dopo tante belle parole, tante chiacchiere regalate al vento. E di tutto questo per una volta non è responsabile la CRISI, perché il nostro era un futuro annunciato, che comunque non avrebbe lasciato spazio alle illusioni. Ci resta solo una speranza, la mobilità; e se non arriverà neppure quella, saremo lavoratori allo sbando, uomini e donne pronti a svendersi. OFFERTA SPECIALE Causa cessazione attività aziendale, (ex) dipendente nota compagnia di telecomunicazioni offresi a prezzo scontato, in qualunque settore e per qualsiasi mansione. Caratteristiche dell'offerta Under-40 giovanile, di belle speranze (gli restano solo quelle) e di buona famiglia, eclettico con ottime capacità di lavoro in team...

Grazie alla vita a modo mio

GRAZIE ALLA VITA, A MODO MIO

Se mai esiste una caratteristica che mi contraddistingue e' quella
di non rinnegare niente di cio' che ho fatto nella vita.
Attenzione: non sono contenta di tutto, no, e, se mi fosse dato di
riviverla, questa vita, vorrei cambiare alcune cose. O meglio, in
sostanza, vorrei vivere con un'attenzione piu' vigile per
accorgermi in tempo, per esempio, che a volte la famosa "strada
stretta" di cui parla l'Evangelo (e che esiste per davvero)
puo' essere … un'autostrada, e che, a volte,
l'errore in agguato e' quello di pensare: "Ma e'
troppo facile!". Il resto -l'apertura alle situazioni e alle
persone, con il giusto rispetto e la necessaria passione e tenerezza-
verrebbe da se'. Come da se', prendendo un sentiero aspro e
tortuoso, che spesso riconduceva sempre allo stesso punto, si e'
creata una sorta di rintronamento che, in certe occasioni, mi ha
portato a scambiare l'affermazione di me con la generosita'
dell'impegno o l'intestardimento con la necessita'. Con
tutto cio', non rinnego niente di cio' che ho fatto (e che mi hanno fatto). Non
solo, ma guardo alla vita che ho vissuto, e che e' gia'
abbastanza lunga, con estrema gratitudine perche', davvero, come
dice una canzone famosa, "mi ha dato tanto". E in questo
"tanto", mi piace sottolinearlo di nuovo, e' compreso
tutto, ma proprio tutto cio' che e' stato, anche le cose
(fatte o ricevute) che riconosco sgradevoli, talora perfino
vergognose, perche', se oggi posso vivere finalmente con
consapevolezza, lo devo anche a queste esperienze, anche agli errori
commessi.
E' cosi' che oggi, con questa nuova coscienza di me, che e'
cominciata timidamente una ventina d'anni fa, posso ascoltare con
gioiosa partecipazione Joan Baez che canta Gracias a la vida, la
canzone della poeta e musicista cilena Violeta Parra. Oltre tutto,
riconoscere che la vita finora mi ha dato tanto -compreso il pianto,
s'intende- mi regala fiducia per l'oggi e il domani,
includendo nel domani (e perche' no nell'oggi?)
l'orizzonte ineludibile della mia stessa morte che sento parte
integrante della vita.
Nella canzone Gracias a la vida, che si compone di sei strofe, mi
piacciono in particolare la quarta che descrive l'andare, il
camminare, inteso in senso reale e metaforico; in traduzione italiana
dice: "Grazie alla vita/che mi ha dato tanto/mi ha dato la
marcia/dei miei piedi stanchi,/con loro andai/per citta' e
pozzanghere,/spiagge e deserti,/montagne e piani/…", e
l'ultima che canta: "Grazie alla vita/che mi ha dato
tanto,/mi ha dato il riso/e mi ha dato il pianto,/cosi'
distinguo/gioia e dolore/i due materiali/che formano il mio canto/e il
canto degli altri/che e' lo stesso canto/e il canto di tutti/che
e' il mio proprio canto". Si', perche' anch'io
sono certa che, al di la' di tutte le presunte differenze, su cui
si basano i conflitti di ogni genere ed estensione, in realta',
tutte le persone del mondo sono composte, come ben si vede, della
stessa materia, la stessa carne e lo stesso sangue, gli stessi
sentimenti, le stesse emozioni. Purtroppo, questo fatto sconta
la sorte di tutte le cose evidenti, come ebbe a insegnare Edgar Allan
Poe nella sua "Lettera rubata"; sono talmente sotto gli
occhi di tutti che quasi nessuno le nota. Chissa' perche' il
nostro esimio cervello funziona in tale stupidissima maniera.

Esiste anche una seconda canzone, A modo mio (interpretata da Patty
Pravo), in cui mi riconosco abbastanza. Pure io posso dire, infatti:
"ho avuto, non ho avuto, tutto perfetto, tutto
sbagliato./Pero' io sono io, a modo mio./E anche se ho pianto un
po', quell'esperienza mi ha fatto bene". Un altro
passaggio che parla di "bocconi amari" che pero' sono
stati sputati fuori, rivela invece un'esperienza diversa dalla
mia. I miei bocconi amari per tanto tempo ho fatto vista che non
fossero tali, e da quando ho preso atto che, in realta',
c'erano cose che non avevo digerito da anni e mi pesavano quindi
sullo stomaco (e non parlo solo in senso metaforico), beh, devo dire
che, in parte, esse sono ancora oggetto di una faticosa digestione e
metabolizzazione. Ma sento che ce la faro'. Yes, I can!

Gracias a la vida e A modo mio sono due canzoni che hanno anche altri
punti in comune oltre a quello di piacermi. Sono infatti nate ambedue
alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, nel 1966 Gracias a la
vida, e nel 1967 la canzone francese originale,Comme d'habitude,
scritta da Claude François, che subito dopo, in America,
divento', a opera di Paul Anka, My Way che fu un grande successo
di Frank Sinatra, per poi passare in Italia col titolo che conosciamo
(A modo mio). Ma c'e' un interessante pero', che offre il
secondo punto in comune delle due canzoni: il testo americano di
questa seconda canzone non e' ne' una traduzione ne' un
adattamento di quello francese; dai dispiaceri d'amore narrati in
Comme d'habitude si passa a uno sguardo d'insieme sulla vita,
come puo' darlo solo una persona che ha vissuto abbastanza a lungo
(e del resto Frank Sinatra, pur restando per anni una leggenda
vivente, nel 1969 aveva gia' 54 anni). Lo stesso sguardo sulla
vita vissuta ch
e offre Gracias a la vida che e' l'ultimo disco registrato da
Violeta Parra, anche lei sul confine dei 50 anni, la quale, colpita da
una forte depressione, si suicidera' il 5 febbraio 1967. E la
serenita' di questa canzone in cosi' stretta prossimita'
della morte dell'autrice non deve stupire; gia' in questa
noterelle mi sono occupata di un altro testamento che contiene un inno
alla vita, e precisamente "Forse la mia ultima lettera a
Mehmet" del poeta turco Nazim Hikmet (15.6.2004:
http://www.aduc.it/dyn/pulce/art/singolo.php?id=85514 ).

Prima di concludere fornendo i link ad alcuni video, in cui si possono
ascoltare le due canzoni citate, desidero mettere a fuoco uno degli
ambiti concreti della mia riconoscenza alla vita, che riguarda proprio
queste noterelle che vado scrivendo dal novembre 2000. Infatti, poter
usufruire di questa possibilita' di comunicazione e' per me un
fatto oltremodo importante, perche' mi spinge a scegliere fra le
mie idee e a convogliare l'impegno per delimitare e approfondire
con oggettivita' il relativo argomento, fornendo a chi legge (ma
prima di tutto a me stessa) informazioni corrette e controllabili. Per
me questo e' importante, perche' di natura mi riconosco
piuttosto caotica e dispersiva, un contesto nel quale la capacita'
intuitiva, che pure sento di avere, mi porterebbe a essere
superficiale. Ma tutto cio' non mi piace, perche' vi sento in
agguato il pericolo del pre-giudizio, il che cozza fortemente con il
mio senso della giustizia e dell'onesta'. E grazie, dunque,
alla vit
a, che mi ha dato anche "La pulce nell'orecchio" che mi
obbliga a essere una ricercatrice attenta e rigorosa.

LINK utili:
Per ascoltare A modo mio:
http://www.youtube.com/watch?v=jPqsFfnUKR8 (canta Patty Pravo al Piper
nel 1997)
http://www.youtube.com/watch?v=Wl95eDA_uR4 (My Way, canta Frank Sinatra
nel 1974)
http://www.youtube.com/watch?v=bMoY5rNBjwk (canta Claude
François col testo originale francese, Comme
d'habitude).

Testo della canzone in francese e sua storia:
http://it.wikipedia.org/wiki/My_Way (storia di May Way)
http://www.lexilogos.com/claude_francois/my_way.htm (testo originale
con traduzione in tre lingue e storia della canzone in francese)


Per ascoltare Gracias a la vida:
http://www.youtube.com/watch?v=UW3IgDs-NnA (Canta Violeta Parra)
http://www.youtube.com/watch?v=cTZSmuiIHPs (cantano Mercedes Sosa e una
ancor giovane Joan Baez)
http://www.youtube.com/watch?v=U3EVb58onO8&feature=related (canta
una Joan Baez coi capelli bianchi)
http://www.youtube.com/watch?v=lhGgiyPqlRk (canta Gabriella Ferri con
testo in italiano -versione breve).
http://www.youtube.com/watch?v=9F2mXzQB5YY&NR=1 (canta Gabriella
Ferri in italiano)

Testo della canzone con traduzione a fronte:
http://digilander.libero.it/MrUlisse/gracias_a_la_vida.htm
Su Violeta Parra: http://it.wikipedia.org/wiki/Violeta_Parra


(a cura di Annapaola Laldi)