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28 settembre 2008

Il grido d'accusa dello scrittore dopo la strage di Castel Volturno


"Davvero pensate che nulla di ciò che accade dipenda dal vostro impegno?"


Saviano, lettera a Gomorra tra killer e omertà


di ROBERTO SAVIANO 22 settembre 2008


I RESPONSABILI hanno dei nomi. Hanno dei volti. Hanno persino un'anima. O forse no. Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo, Giovanni Letizia, Emilio di Caterino, Pietro Vargas stanno portando avanti una strategia militare violentissima. Sono autorizzati dal boss latitante Michele Zagaria e si nascondono intorno a Lago Patria. Tra di loro si sentiranno combattenti solitari, guerrieri che cercano di farla pagare a tutti, ultimi vendicatori di una delle più sventurate e feroci terre d'Europa. Se la racconteranno così.


Ma Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo, Giovanni Letizia, Emilio di Caterino e Pietro Vargas sono vigliacchi, in realtà: assassini senza alcun tipo di abilità militare. Per ammazzare svuotano caricatori all'impazzata, per caricarsi si strafanno di cocaina e si gonfiano di Fernet Branca e vodka. Sparano a persone disarmate, colte all'improvviso o prese alle spalle. Non si sono mai confrontati con altri uomini armati. Dinnanzi a questi tremerebbero, e invece si sentono forti e sicuri uccidendo inermi, spesso anziani o ragazzi giovani. Ingannandoli e prendendoli alle spalle.


E io mi chiedo: nella vostra terra, nella nostra terra sono ormai mesi e mesi che un manipolo di killer si aggira indisturbato massacrando soprattutto persone innocenti. Cinque, sei persone, sempre le stesse. Com'è possibile? Mi chiedo: ma questa terra come si vede, come si rappresenta a se stessa, come si immagina? Come ve la immaginate voi la vostra terra, il vostro paese? Come vi sentite quando andate al lavoro, passeggiate, fate l'amore? Vi ponete il problema, o vi basta dire, "così è sempre stato e sempre sarà così"?


Davvero vi basta credere che nulla di ciò che accade dipende dal vostro impegno o dalla vostra indignazione? Che in fondo tutti hanno di che campare e quindi tanto vale vivere la propria vita quotidiana e nient'altro. Vi bastano queste risposte per farvi andare avanti? Vi basta dire "non faccio niente di male, sono una persona onesta" per farvi sentire innocenti? Lasciarvi passare le notizie sulla pelle e sull'anima. Tanto è sempre stato così, o no? O delegare ad associazioni, chiesa, militanti, giornalisti e altri il compito di denunciare vi rende tranquilli? Di una tranquillità che vi fa andare a letto magari non felici ma in pace? Vi basta veramente?


Questo gruppo di fuoco ha ucciso soprattutto innocenti. In qualsiasi altro paese la libertà d'azione di un simile branco di assassini avrebbe generato dibattiti, scontri politici, riflessioni. Invece qui si tratta solo di crimini connaturati a un territorio considerato una delle province del buco del culo d'Italia. E quindi gli inquirenti, i carabinieri e poliziotti, i quattro cronisti che seguono le vicende, restano soli. Neanche chi nel resto del paese legge un giornale, sa che questi killer usano sempre la stessa strategia: si fingono poliziotti. Hanno lampeggiante e paletta, dicono di essere della Dia o di dover fare un controllo di documenti. Ricorrono a un trucco da due soldi per ammazzare con più facilità. E vivono come bestie: tra masserie di bufale, case di periferia, garage.


Hanno ucciso sedici persone. La mattanza comincia il 2 maggio verso le sei del mattino in una masseria di bufale a Cancello Arnone. Ammazzano il padre del pentito Domenico Bidognetti, cugino ed ex fedelissimo di Cicciotto e' mezzanotte.


Umberto Bidognetti aveva 69 anni e in genere era accompagnato pure dal figlio di Mimì, che giusto quella mattina non era riuscito a tirarsi su dal letto per aiutare il nonno. Il 15 maggio uccidono a Baia Verde, frazione di Castel Volturno, il sessantacinquenne Domenico Noviello, titolare di una scuola guida. Domenico Noviello si era opposto al racket otto anni prima. Era stato sotto scorta, ma poi il ciclo di protezione era finito. Non sapeva di essere nel mirino, non se l'aspettava. Gli scaricano addosso 20 colpi mentre con la sua Panda sta andando a fare una sosta al bar prima di aprire l'autoscuola. La sua esecuzione era anche un messaggio alla Polizia che stava per celebrare la sua festa proprio a Casal di Principe, tre giorni dopo, e ancor più una chiara dichiarazione: può passare quasi un decennio ma i Casalesi non dimenticano.


Prima ancora, il 13 maggio, distruggono con un incendio la fabbrica di materassi di Pietro Russo a Santa Maria Capua Vetere. È l'unico dei loro bersagli ad avere una scorta. Perché è stato l'unico che, con Tano Grasso, tentò di organizzare un fronte contro il racket in terra casalese. Poi, il 30 maggio, a Villaricca colpiscono alla pancia Francesca Carrino, una ragazza, venticinque anni, nipote di Anna Carrino, la ex compagna di Francesco Bidognetti, pentita. Era in casa con la madre e con la nonna, ma era stata lei ad aprire la porta ai killer che si spacciavano per agenti della Dia.


Non passa nemmeno un giorno che a Casal di Principe, mentre dopo pranzo sta per andare al "Roxy bar", uccidono Michele Orsi, imprenditore dei rifiuti vicino al clan che, arrestato l'anno prima, aveva cominciato a collaborare con la magistratura svelando gli intrighi rifiuti-politica-camorra. È un omicidio eccellente che fa clamore, solleva polemiche, fa alzare la voce ai rappresentanti dello Stato. Ma non fa fermare i killer.


L'11 luglio uccidono al Lido "La Fiorente" di Varcaturo Raffaele Granata, 70 anni, gestore dello stabilimento balneare e padre del sindaco di Calvizzano. Anche lui paga per non avere anni prima ceduto alle volontà del clan. Il 4 agosto massacrano a Castel Volturno Ziber Dani e Arthur Kazani che stavano seduti ai tavoli all'aperto del "Bar Kubana" e, probabilmente, il 21 agosto Ramis Doda, venticinque anni, davanti al "Bar Freedom" di San Marcellino. Le vittime sono albanesi che arrotondavano con lo spaccio, ma avevano il permesso di soggiorno e lavoravano nei cantieri come muratori e imbianchini.


Poi il 18 agosto aprono un fuoco indiscriminato contro la villetta di Teddy Egonwman, presidente dei nigeriani in Campania, che si batte da anni contro la prostituzione delle sue connazionali, ferendo gravemente lui, sua moglie Alice e altri tre amici.


Tornano a San Marcellino il 12 settembre per uccidere Antonio Ciardullo ed Ernesto Fabozzi, massacrati mentre stavano facendo manutenzione ai camion della ditta di trasporti di cui il primo era titolare. Anche lui non aveva obbedito, e chi gli era accanto è stato ucciso perché testimone.


Infine, il 18 settembre, trivellano prima Antonio Celiento, titolare di una sala giochi a Baia Verde, e un quarto d'ora dopo aprono un fuoco di 130 proiettili di pistole e kalashnikov contro gli africani riuniti dentro e davanti la sartoria "Ob Ob Exotic Fashion" di Castel Volturno. Muoiono Samuel Kwaku, 26 anni, e Alaj Ababa, del Togo; Cristopher Adams e Alex Geemes, 28 anni, liberiani; Kwame Yulius Francis, 31 anni, e Eric Yeboah, 25, ghanesi, mentre viene ricoverato con ferite gravi Joseph Ayimbora, 34 anni, anche lui del Ghana. Solo uno o due di loro avevano forse a che fare con la droga, gli altri erano lì per caso, lavoravano duro nei cantieri o dove capitava, e pure nella sartoria.


Sedici vittime in meno di sei mesi. Qualsiasi paese democratico con una situazione del genere avrebbe vacillato. Qui da noi, nonostante tutto, neanche se n'è parlato. Neanche si era a conoscenza da Roma in su di questa scia di sangue e di questo terrorismo, che non parla arabo, che non ha stelle a cinque punte, ma comanda e domina senza contrasto.


Ammazzano chiunque si opponga. Ammazzano chiunque capiti sotto tiro, senza riguardi per nessuno. La lista dei morti potrebbe essere più lunga, molto più lunga. E per tutti questi mesi nessuno ha informato l'opinione pubblica che girava questa "paranza di fuoco". Paranza, come le barche che escono a pescare insieme in alto mare. Nessuno ne ha rivelato i nomi sino a quando non hanno fatto strage a Castel Volturno.


Ma sono sempre gli stessi, usano sempre le stesse armi, anche se cercano di modificarle per trarre in inganno la scientifica, segno che ne hanno a disposizione poche. Non entrano in contatto con le famiglie, stanno rigorosamente fra di loro. Ogni tanto qualcuno li intravede nei bar di qualche paesone, dove si fermano per riempirsi d'alcol. E da sei mesi nessuno riesce ad acciuffarli.


Castel Volturno, territorio dove è avvenuta la maggior parte dei delitti, non è un luogo qualsiasi. Non è un quartiere degradato, un ghetto per reietti e sfruttati come se ne possono trovare anche altrove, anche se ormai certe sue zone somigliano più alle hometown dell'Africa che al luogo di turismo balneare per il quale erano state costruite le sue villette. Castel Volturno è il luogo dove i Coppola edificarono la più grande cittadella abusiva del mondo, il celebre Villaggio Coppola.


Ottocentosessantatremila metri quadrati occupati col cemento. Che abusivamente presero il posto di una delle più grandi pinete marittime del Mediterraneo. Abusivo l'ospedale, abusiva la caserma dei carabinieri, abusive le poste. Tutto abusivo. Ci andarono ad abitare le famiglie dei soldati della Nato. Quando se ne andarono, il territorio cadde nell'abbandono più totale e divenne tutto feudo di Francesco Bidognetti e al tempo stesso territorio della mafia nigeriana.


I nigeriani hanno una mafia potente con la quale ai Casalesi conveniva allearsi, il loro paese è diventato uno snodo nel traffico internazionale di cocaina e le organizzazioni nigeriane sono potentissime, capaci di investire soprattutto nei money transfer, i punti attraverso i quali tutti gli immigrati del mondo inviano i soldi a casa. Attraverso questi, i nigeriani controllano soldi e persone. Da Castel Volturno transita la coca africana diretta soprattutto in Inghilterra. Le tasse sul traffico che quindi il clan impone non sono soltanto il pizzo sullo spaccio al minuto, ma accordi di una sorta di joint venture. Ora però i nigeriani sono potenti, potentissimi. Così come lo è la mafia albanese, con la quale i Casalesi sono in affari.


E il clan si sta slabbrando, teme di non essere più riconosciuto come chi comanda per primo e per ultimo sul territorio. Ed ecco che nei vuoti si insinuano gli uomini della paranza. Uccidono dei pesci piccoli albanesi come azione dimostrativa, fanno strage di africani - e fra questi nessuno viene dalla Nigeria - colpiscono gli ultimi anelli della catena di gerarchie etniche e criminali. Muoiono ragazzi onesti, ma come sempre, in questa terra, per morire non dev'esserci una ragione. E basta poco per essere diffamati.


I ragazzi africani uccisi erano immediatamente tutti "trafficanti" come furono "camorristi" Giuseppe Rovescio e Vincenzo Natale, ammazzati a Villa Literno il 23 settembre 2003 perché erano fermi a prendere una birra vicino a Francesco Galoppo, affiliato del clan Bidognetti. Anche loro furono subito battezzati come criminali.


Non è la prima volta che si compie da quelle parti una mattanza di immigrati. Nel 1990 Augusto La Torre, boss di Mondragone, partì con i suoi fedelissimi alla volta di un bar che, pur gestito da italiani, era diventato un punto di incontro per lo spaccio degli africani. Tutto avveniva sempre lungo la statale Domitiana, a Pescopagano, pochi chilometri a nord di Castel Volturno, però già in territorio mondragonese. Uccisero sei persone, fra cui il gestore, e ne ferirono molte altre. Anche quello era stato il culmine di una serie di azioni contro gli stranieri, ma i Casalesi che pure approvavano le intimidazioni non gradirono la strage. La Torre dovette incassare critiche pesanti da parte di Francesco "Sandokan" Schiavone. Ma ora i tempi sono cambiati e permettono di lasciar esercitare una violenza indiscriminata a un gruppo di cocainomani armati.


Chiedo di nuovo alla mia terra che immagine abbia di sé. Lo chiedo anche a tutte quelle associazioni di donne e uomini che in grande silenzio qui lavorano e si impegnano. A quei pochi politici che riescono a rimanere credibili, che resistono alle tentazioni della collusione o della rinuncia a combattere il potere dei clan. A tutti coloro che fanno bene il loro lavoro, a tutti coloro che cercano di vivere onestamente, come in qualsiasi altra parte del mondo. A tutte queste persone. Che sono sempre di più, ma sono sempre più sole.


Come vi immaginate questa terra? Se è vero, come disse Danilo Dolci, che ciascuno cresce solo se è sognato, voi come ve li sognate questi luoghi? Non c'è stata mai così tanta attenzione rivolta alle vostre terre e quel che vi è avvenuto e vi avviene. Eppure non sembra cambiato molto. I due boss che comandano continuano a comandare e ad essere liberi. Antonio Iovine e Michele Zagaria. Dodici anni di latitanza. Anche di loro si sa dove sono. Il primo è a San Cipriano d'Aversa, il secondo a Casapesenna. In un territorio grande come un fazzoletto di terra, possibile che non si riesca a scovarli?


È storia antica quella dei latitanti ricercati in tutto il mondo e poi trovati proprio a casa loro. Ma è storia nuova che ormai ne abbiano parlato più e più volte giornali e tv, che politici di ogni colore abbiano promesso che li faranno arrestare. Ma intanto il tempo passa e nulla accade. E sono lì. Passeggiano, parlano, incontrano persone.


Ho visto che nella mia terra sono comparse scritte contro di me. Saviano merda. Saviano verme. E un'enorme bara con il mio nome. E poi insulti, continue denigrazioni a partire dalla più ricorrente e banale: "Quello s'è fatto i soldi". Col mio lavoro di scrittore adesso riesco a vivere e, per fortuna, pagarmi gli avvocati. E loro? Loro che comandano imperi economici e si fanno costruire ville faraoniche in paesi dove non ci sono nemmeno le strade asfaltate?


Loro che per lo smaltimento di rifiuti tossici sono riusciti in una sola operazione a incassare sino a 500 milioni di euro e hanno imbottito la nostra terra di veleni al punto tale di far lievitare fino al 24% certi tumori, e le malformazioni congenite fino all'84% per cento? Soldi veri che generano, secondo l'Osservatorio epidemiologico campano, una media di 7.172,5 morti per tumore all'anno in Campania. E ad arricchirsi sulle disgrazie di questa terra sarei io con le mie parole, o i carabinieri e i magistrati, i cronisti e tutti gli altri che con libri o film o in ogni altro modo continuano a denunciare? Com'è possibile che si crei un tale capovolgimento di prospettive? Com'è possibile che anche persone oneste si uniscano a questo coro? Pur conoscendo la mia terra, di fronte a tutto questo io rimango incredulo e sgomento e anche ferito al punto che fatico a trovare la mia voce.


Perché il dolore porta ad ammutolire, perché l'ostilità porta a non sapere a chi parlare. E allora a chi devo rivolgermi, che cosa dico? Come faccio a dire alla mia terra di smettere di essere schiacciata tra l'arroganza dei forti e la codardia dei deboli? Oggi qui in questa stanza dove sono, ospite di chi mi protegge, è il mio compleanno. Penso a tutti i compleanni passati così, da quando ho la scorta, un po' nervoso, un po' triste e soprattutto solo.


Penso che non potrò mai più passarne uno normale nella mia terra, che non potrò mai più metterci piede. Rimpiango come un malato senza speranze tutti i compleanni trascurati, snobbati perché è solo una data qualsiasi, e un altro anno ce ne sarà uno uguale. Ormai si è aperta una voragine nel tempo e nello spazio, una ferita che non potrà mai rimarginarsi. E penso pure e soprattutto a chi vive la mia stessa condizione e non ha come me il privilegio di scriverne e parlare a molti.


Penso ad altri amici sotto scorta, Raffaele, Rosaria, Lirio, Tano, penso a Carmelina, la maestra di Mondragone che aveva denunciato il killer di un camorrista e che da allora vive sotto protezione, lontana, sola. Lasciata dal fidanzato che doveva sposare, giudicata dagli amici che si sentono schiacciati dal suo coraggio e dalla loro mediocrità. Perché non c'era stata solidarietà per il suo gesto, anzi, ci sono state critiche e abbandono. Lei ha solo seguito un richiamo della sua coscienza e ha dovuto barcamenarsi con il magro stipendio che le dà lo stato.


Cos'ha fatto Carmelina, cos'hanno fatto altri come lei per avere la vita distrutta e sradicata, mentre i boss latitanti continuano a poter vivere protetti e rispettati nelle loro terre? E chiedo alla mia terra: che cosa ci rimane? Ditemelo. Galleggiare? Far finta di niente? Calpestare scale di ospedali lavate da cooperative di pulizie loro, ricevere nei serbatoi la benzina spillata da pompe di benzina loro? Vivere in case costruite da loro, bere il caffè della marca imposta da loro (ogni marca di caffè per essere venduta nei bar deve avere l'autorizzazione dei clan), cucinare nelle loro pentole (il clan Tavoletta gestiva produzione e vendita delle marche più prestigiose di pentole)?


Mangiare il loro pane, la loro mozzarella, i loro ortaggi? Votare i loro politici che riescono, come dichiarano i pentiti, ad arrivare alle più alte cariche nazionali? Lavorare nei loro centri commerciali, costruiti per creare posti di lavoro e sudditanza dovuta al posto di lavoro, ma intanto non c'è perdita, perché gran parte dei negozi sono loro? Siete fieri di vivere nel territorio con i più grandi centri commerciali del mondo e insieme uno dei più alti tassi di povertà? Passare il tempo nei locali gestiti o autorizzati da loro? Sedervi al bar vicino ai loro figli, i figli dei loro avvocati, dei loro colletti bianchi? E trovarli simpatici e innocenti, tutto sommato persone gradevoli, perché loro in fondo sono solo ragazzi, che colpa hanno dei loro padri.





E infatti non si tratta di stabilire colpe, ma di smettere di accettare e di subire sempre, smettere di pensare che almeno c'è ordine, che almeno c'è lavoro, e che basta non grattare, non alzare il velo, continuare ad andare avanti per la propria strada. Che basta fare questo e nella nostra terra si è già nel migliore dei mondi possibili, o magari no, ma nell'unico mondo possibile sicuramente.


Quanto ancora dobbiamo aspettare? Quanto ancora dobbiamo vedere i migliori emigrare e i rassegnati rimanere? Siete davvero sicuri che vada bene così? Che le serate che passate a corteggiarvi, a ridere, a litigare, a maledire il puzzo dei rifiuti bruciati, a scambiarvi quattro chiacchiere, possano bastare? Voi volete una vita semplice, normale, fatta di piccole cose, mentre intorno a voi c'è una guerra vera, mentre chi non subisce e denuncia e parla perde ogni cosa. Come abbiamo fatto a divenire così ciechi? Così asserviti e rassegnati, così piegati? Come è possibile che solo gli ultimi degli ultimi, gli africani di Castel Volturno che subiscono lo sfruttamento e la violenza dei clan italiani e di altri africani, abbiano saputo una volta tirare fuori più rabbia che paura e rassegnazione? Non posso credere che un sud così ricco di talenti e forze possa davvero accontentarsi solo di questo.


La Calabria ha il Pil più basso d'Italia ma "Cosa Nuova", ossia la ?ndrangheta, fattura quanto e più di una intera manovra finanziaria italiana. Alitalia sarà in crisi, ma a Grazzanise, in un territorio marcio di camorra, si sta per costruire il più grande aeroporto italiano, il più vasto del Mediterraneo. Una terra condannata a far circolare enormi capitali senza avere uno straccio di sviluppo vero, e invece ha danaro, profitto, cemento che ha il sapore del saccheggio, non della crescita.


Non posso credere che riescano a resistere soltanto pochi individui eccezionali. Che la denuncia sia ormai solo il compito dei pochi singoli, preti, maestri, medici, i pochi politici onesti e gruppi che interpretano il ruolo della società civile. E il resto? Gli altri se ne stanno buoni e zitti, tramortiti dalla paura? La paura. L'alibi maggiore. Fa sentire tutti a posto perché è in suo nome che si tutelano la famiglia, gli affetti, la propria vita innocente, il proprio sacrosanto diritto a viverla e costruirla.


Ma non avere più paura non sarebbe difficile. Basterebbe agire, ma non da soli. La paura va a braccetto con l'isolamento. Ogni volta che qualcuno si tira indietro crea altra paura, che crea ancora altra paura, in un crescendo esponenziale che immobilizza, erode, lentamente manda in rovina.


"Si può edificare la felicità del mondo sulle spalle di un unico bambino maltrattato?", domanda Ivan Karamazov a suo fratello Aljo?a. Ma voi non volete un mondo perfetto, volete solo una vita tranquilla e semplice, una quotidianità accettabile, il calore di una famiglia. Accontentarvi di questo pensate che vi metta al riparo da ansie e dolori. E forse ci riuscite, riuscite a trovare una dimensione in cui trovate serenità. Ma a che prezzo?


Se i vostri figli dovessero nascere malati o ammalarsi, se un'altra volta dovreste rivolgervi a un politico che in cambio di un voto vi darà un lavoro senza il quale anche i vostri piccoli sogni e progetti finirebbero nel vuoto, quando faticherete ad ottenere un mutuo per la vostra casa mentre i direttori delle stesse banche saranno sempre disponibili con chi comanda, quando vedrete tutto questo forse vi renderete conto che non c'è riparo, che non esiste nessun ambito protetto, e che l'atteggiamento che pensavate realistico e saggiamente disincantato vi ha appestato l'anima di un risentimento e rancore che toglie ogni gusto alla vostra vita.


Perché se tutto ciò è triste la cosa ancora più triste è l'abitudine. Abituarsi che non ci sia null'altro da fare che rassegnarsi, arrangiarsi o andare via. Chiedo alla mia terra se riesce ancora ad immaginare di poter scegliere. Le chiedo se è in grado di compiere almeno quel primo gesto di libertà che sta nel riuscire a pensarsi diversa, pensarsi libera. Non rassegnarsi ad accettare come un destino naturale quel che è invece opera degli uomini.


Quegli uomini possono strapparti alla tua terra e al tuo passato, portarti via la serenità, impedirti di trovare una casa, scriverti insulti sulle pareti del tuo paese, possono fare il deserto intorno a te. Ma non possono estirpare quel che resta una certezza e, per questo, rimane pure una speranza. Che non è giusto, non è per niente naturale, far sottostare un territorio al dominio della violenza e dello sfruttamento senza limiti. E che non deve andare avanti così perché così è sempre stato. Anche perché non è vero che tutto è sempre uguale, ma è sempre peggio.


Perché la devastazione cresce proporzionalmente con i loro affari, perché è irreversibile come la terra una volta per tutte appestata, perché non conosce limiti. Perché là fuori si aggirano sei killer abbrutiti e strafatti, con licenza di uccidere e non mandato, che non si fermano di fronte a nessuno. Perché sono loro l'immagine e somiglianza di ciò che regna oggi su queste terre e di quel che le attende domani, dopodomani, nel futuro. Bisogna trovare la forza di cambiare. Ora, o mai più.


La miseria. La guerra di camorra. Gli immigrati "che rubano il lavoro"
Gli italiani tra Napoli e Caserta si sentono assediati, e scappano: 120.000 "i pendolari della fame"
2008, fuga dalla Campania. Ma lo Stato fa finta di nulla

GIAMPAOLO VISETTI www.repubblica.it 27 settembre 2008

CASERTA - I nove furgoni bianchi, senza sedili posteriori, accendono le luci alle undici di sera. Gli uomini, accovacciati sulla lamiera, ora ci sono tutti. Nel piazzale, fuori dal casello dell'autostrada a Caserta Nord, le donne finiscono di distribuire nel buio il bagaglio per la settimana. Una sporta verde a testa: birre e sette panini con la pancetta, scottata perché si conservi. Sembra tutto pronto e invece la carovana dei nuovi emigranti aspetta sotto la pioggia calda. Non tutti ottantacinque hanno soldi. I bambini che portano le sigarette li vogliono subito. Poi il primo Ducato, senza che qualcuno saluti, si muove. I poveri che ogni notte partono dalla Campania, a centinaia, leggono i biglietti con l'indirizzo di fabbriche e cantieri del Nord.
Venti euro al giorno, in nero. Meno degli immigrati africani, o dell'Est, che cuciono pellami e stoffe nei capannoni abusivi di Casal di Principe. Se non c'è lavoro, niente. "Salire" però è un lusso. Chi "va via", chi "lavora su", acquista il diritto di credere in un imprevisto. "Il sottoproletariato marginale - dice Giovanni Laino, dell'Associazione Quartieri spagnoli di Napoli - è ormai un destino collettivo. Non ci sono più casi di riscatto: la povertà è diventata patrimonio ed eredità tra generazioni". Il fallimento della politica, locale e nazionale, è questa esplosiva paralisi sociale.
Impensabile, per i nuovi emigranti italiani, pagare un affitto, o spostare la famiglia. Mangiano e dormono nei furgoni. Una settimana di fatica e una giornata di sonno, l'unica a casa, prima di tornare al casello. Gli altri, migliaia, fuggono dalla miseria in treno. I vagoni della notte, senza cuccetta, finiscono di riempirsi a Napoli. I giovani, carichi di valige di plastica e di neonati, raggiungono parenti a Bologna, Padova, o Milano. Oltre i quarant'anni invece sono pendolari. Camerieri, braccianti, autisti, operai, soldati: dall'alba alla notte fino a Roma, Firenze, Bologna, nelle Marche.
Il Meridione, per sopravvivere, dopo mezzo secolo si rimette in marcia. Il "rinascimento campano" è finito. In un anno, dal Sud al Nord, sono emigrati in 120 mila. Cinquantamila solo dalla Campania, più 65 mila emigrati pendolari e 26 mila finiti all'estero. Napoli nel 2007 ha perso il 14 per cento degli abitanti. Nel resto del Paese pochi se ne accorgono. Nessuno ne parla. Ma la massa impressionante dei poveri, in maggioranza invisibili alle statistiche, cresce e fa paura. "Più dei rifiuti - dice il sociologo Giovanni Sgritta - più dei tifosi violenti, dei rom o degli immigrati".
Chi resta non ha alternative. Concetta, a Giugliano, alleva sei figli in una stanza di dodici metri quadrati, senza pavimento e priva di intonaco. Ha ventidue anni ed è riuscita a finire le elementari. Quando tutti sono a letto, per qualche ora, fa entrare chi la paga. Antonio, in giugno, ha perduto la pizzeria di Mondragone. Strozzato dal mutuo, non ha pagato le rate all'usuraio cui lo ha indirizzato la sua banca. "Era un amico - dice - per punirmi mi ha fatto violentare la moglie, di cinquant'anni".
È in questo deserto che lo Stato consegna la Campania al "Sistema". La camorra si nutre di vuoto. Ad Acerra, per dare una lezione ai bambini che non volevano diventare "pali", in una notte ha fatto segare panchine, alberi e lampioni. A Benevento ferma i vecchi che rubano scatolette al supermercato. O pagano la metà, o il cibo viene sequestrato. "Ormai - dice Gaetano Romano, direttore della Caritas campana - solo la criminalità ha soldi da investire e lavoro da offrire. La regione si trasforma in una holding camorristica. Migliaia di genitori, in questi giorni, hanno potuto comprare i libri di scuola grazie agli spacciatori. Per la prima volta la stanchezza dei poveri, la rabbia degli immigrati e la concentrazione dei criminali, generano una spinta inarginabile. Così, Napoli e la Campania, precipitano nell'abisso del razzismo".
Non è, purtroppo, un'emergenza. Lo è però la novità generata: i poveri del Sud, in crescita vertiginosa, in Italia non sono più un argomento pubblico e nessuno si muove davanti allo scoppio della loro disperazione. Decenni di allarmi, ingigantiti per battere cassa: e ora che la marea sale davvero, marcita nel razzismo, nessuno che ci badi. "I poveri sono anonimi e faticosi - dice padre Antonio Valletti nel centro Hurtado di Scampia - e ci fanno vergognare. Per il Paese non sono più una voce di spesa. Riconoscerli imporrebbe un intervento. Alla pubblicità, signora dell'opinione pubblica, non piacciono: in tivù, non esistono. Così la politica non ha interesse ad allargare lo spazio dei loro diritti. Dobbiamo prendere atto che siamo l'Africa dell'Europa: con più violenza e meno dignità".
I numeri confermano. La Campania è ormai la regione europea con la concentrazione più alta di famiglie povere, di disoccupati, di donne che non lavorano e di minorenni in miseria. Poco meno di 2 milioni in regione, 240 mila solo a Napoli. Quasi uno su tre non ha il necessario per sopravvivere. Due su dieci non mangiano più di tre volte alla settimana. Otto su dieci non possono pagare l'affitto. I disoccupati sfiorano il 40 per cento. Tra chi lavora, due su dieci guadagna meno di mille euro al mese, uno su dieci meno di 500. Oltre la metà dei residenti accumula almeno 200 euro di debiti al mese. Il pil pro capite è di 16 mila euro all'anno, contro i 33 mila della Lombardia. Un contratto su due è a termine. La dispersione scolastica è del 45 per cento.
Tra le 80 regioni europee più arretrate, occupa la posizione numero 68. I poveri, nel Meridione, sono ormai poco meno di 6 milioni. "L'agghiacciante verità taciuta - dice Luigi Tamburro, presidente del banco alimentare di Caserta, il più grande d'Italia - è che migliaia di persone e di bambini ormai fanno la fame. La società della competitività, fondata sul consumo, ha esaurito il proprio serbatoio di umanità. Siamo soli davanti ad una tragedia italiana di cui si ignora la pericolosità". Centinaia di dibattiti, politici, storici e letterari: retorica sulla "questione meridionale", nessun aiuto concreto. L'Italia, con la Grecia, è l'unica nazione europea a non avere un piano di lotta contro la povertà. L'unica ad aver cancellato ogni sostegno.
Finiti i soldi anche per l'assegno, 350 euro al mese, della Regione Campania. Il rapporto annuale della Commissione contro l'esclusione sociale, è ignorato.
Il nuovo governo non l'ha mai nemmeno riunita. Per questo nel giorno di San Gennaro, patrono di Napoli, la mensa di piazza del Carmine scoppia. In fila, tra anziani e immigrati, anche genitori e figli. Parlano della strage degli africani, nella notte, a Castelvolturno. Condannano la rivolta degli immigrati contro gli omicidi. "Questa volta - dice Gaetano, disoccupato con due bambine in braccio - i Casalesi hanno fatto bene. I negri andavano puniti: rubano i lavori e noi finiamo a mangiare dai preti".
Una guerra nuova: non solo tra i poveri, ma tra questi e la criminalità che, sconfitto lo Stato, deve difendersi dalla rivolta dei propri sicari, o di nuovi concorrenti. "La Campania - dice Alex Zanotelli, missionario alla Sanità - non è più un serbatoio significativo di schiavi per il Nord. Il Paese ha scelto: musulmani e neri, per pagare ancora meno la mano d'opera clandestina e ammorbidire l'islam. Lo scontro esplode qui: italiani poveri contro stranieri poveri. Vincono i secondi, perché la Campania ormai è la piattaforma logistica per le scorie non smaltibili dell'Europa. Solo un africano accetta di vivere in una discarica e riconosce l'affare spietato tra politica e criminalità, il patto massone per la "somalizzazione" del Sud. Lo Stato ci mette terra, uomini e miseria, la camorra soldi e controllo. Non si capisce che siamo prossimi all'esplosione. Chi può scappa: nelle strade si agita una massa di disperati che non ha più nulla da perdere".
Dopo trent'anni di rifiuti tossici che hanno distrutto l'agricoltura, qui si aspettavano i soldati per bonificare i terreni. Invece i militari arrivano per presidiare nuove discariche e nuovi inceneritori. "L'immagine-simbolo - dice Maurizio Braucci, tra gli sceneggiatori di "Gomorra" - è quella di Ponticelli. Una folla di poveri, stracciati e sporchi, nascosti dietro montagne di immondizia, che prende a sassate famiglie di zingari in fuga. È il simbolo della Campania, ma pure del Paese che ha scelto la militarizzazione sociale. Indifferenti all'evidenza dello scandalo: perché i mediatori della miseria vivono di paura, perché chi ha voce e potere appartiene al sistema che trasforma l'emergenza cronica in povertà".
Eppure l'Italia in recessione, che nega o minimizza, con questa miseria che straripa deve fare i conti. L'abisso non è più costruito di casi estremi, ma di normalità. Lucia, a Sant'Angelo dei Lombardi, ritira ogni mese una pensione di 580 euro. Ne spende 360 d'affitto e 100 per aiutare il figlio disoccupato. "Per cibo, bollette, medicine e vestiti - dice - mi restano 4 euro al giorno". Ad Aversa decine di bambini vanno a scuola lunedì, mercoledì e venerdì. Martedì, giovedì e sabato lavorano per la criminalità: 50 euro al giorno, per pagarsi vitto e alloggio in famiglia.
"Il Paese - dice don Luigi Merola, ex parroco a Forcella, costretto a lasciare per le minacce di morte e oggi sotto scorta - alla povertà si è arreso. Taglia i fondi all'istruzione, finge che l'occupazione sia una questione del mercato, condanna i poveri alla delinquenza. L'accelerazione della deriva di Campania e Meridione nella miseria, sotto gli occhi di tutti, è spaventosa. Se non diventa il problema centrale del Paese, il federalismo si tradurrà in una scissione nordista di fatto. L'unico esercito che al Sud faceva paura era quello degli insegnanti: toglierli significa ammettere di mirare al consenso attraverso il controllo della camorra".
La gente, resa apatica da una storia di prepotenze e umiliazioni, è scossa da una paura nuova. "Anche la solidarietà - dice la sociologa Enrica Morlicchio - è allo stremo. Città e paesi sono in mano agli usurai, che riciclano denaro sporco ricattando i poveri. Le case della Campania sono depositi di armi e droga: unica fonte di sostentamento anche per le famiglie oneste".
Nei salotti ci si consola ricordando la miseria del dopoguerra. Ma lo spettro ormai ha un profilo preciso: "l'assalto ai forni", la rivolta dei poveri contro lo Stato assente che li ignora. "Il governo - dice Antonio Mattone della comunità di Sant'Egidio - non lotta più contro la povertà, ma contro i poveri. La violenza di quest'anno a Napoli, contro le discariche, contro i rom e contro gli immigrati, è stata premiata. La lezione è semplice: se è filmata dalle tivù, in base alle opportunità elettorali, la violenza della piazza decide. Un cortocircuito civile che in Campania può travolgere tutti. I poveri ormai sono la maggioranza, non rispondono più a nessuno, cominciano a unirsi. Il Sud in miseria, fondato su emigranti, immigrati e criminali, sta spazzando via la politica ostaggio della finanza: l'Italia rischia di smarrire la fiducia non nella ripresa, ma nella democrazia".
Come Marina. Da trent'anni vive in un sottoscala a Villa Literno grazie ai 600 euro concessi alla figlia colpita da un'encefalite. È mezzogiorno e il figlio più grande, disoccupato, dorme davanti al focolare spento. L'altra figlia, separata, oggi non ha cibo per i tre bambini. Questa notte l'hanno presa mentre stava per tuffarsi dal balcone nel vicolo. "Se l'assisto - dice - non posso lavorare. Se lavoro, perdo il diritto al suo assegno".
Una frattura storica, la rottura del vincolo tra miserabile, favore e potere. Migliaia di fantasmi, in Campania, si chiedono cosa significhi, se ancora abbia una valore, essere liberi. "La scure che sta tagliando il Paese - dice Marco Rossi Doria, maestro di strada - è la fine dell'interesse della politica per chi ha bisogno di giustizia. La vigliaccheria dell'italietta, la rimozione collettiva della povertà, consente alle istituzioni di confrontarsi esclusivamente con l'economia. I tagli alla scuola, che ricacciano i bambini del Sud nelle strade, sono il simbolo di una condanna definitiva alle mafie. Questo accanimento particolare contro i poveri, con l'arma dell'istruzione negata nel nome del rigore, è il via libera pubblico alla criminalità".
Nessuno, in Campania, invoca il fallito assistenzialismo clientelare del passato. In una terra divisa tra fuga e guerra, non ci si vergogna però più di lanciare un "allarme nazionale sui poveri". "Ogni settimana - dice il sociologo Enrico Rebeggiani - se ne vanno centinaia di donne sole. Non era mai accaduto. La regione, come il resto del Sud, si svuota di giovani intraprendenti. La politica è ridotta a reclutamento dei leader prepotenti delle moltiplicate ribellioni possibili: solitamente accade quando i regimi autoritari sono al tramonto".
Per questo, affrontare il cambiamento con l'emergenza che mobilita esercito, polizia e ronde, alimenta la ritirata. "Il Paese - dice Andrea Morniroli della cooperativa Dedalus - deve riconoscere una responsabilità nuova verso i poveri. Sacrificare la Campania e il Meridione alla paranoia della sinistra contro Berlusconi, non legittima solo la corruzione del potere: distrae una coscienza civile e trascina l'Italia dalla povertà regionale alla cultura nazionale dell'arretratezza armata". In via S. Maria Ante Saecula 109, rione Sanità a Napoli la casa grigia di Totò, chiusa e quasi introvabile, è abbandonata. Sembra crollare. Nel "basso" hanno aperto un'officina abusiva. Il Comune aveva promesso al mondo un museo. È stata venduta a un anonimo privato. Un vigile tira un lenzuolo blu, steso ad asciugare dalla casa di fronte. Copre anche la targa, sporca e illeggibile. Forse vuol cancellare chi, anticipando una tragedia, faceva ridere. Ed è stato confuso con un comico.

24 settembre 2008

Il rischio oltre il marciapiede

da "La Voce"

IL RISCHIO OLTRE IL MARCIAPIEDE

di
Francesca Bettio Daniela Del Boca e Maria Laura Di Tommaso

23.09.2008


Non è chiara la logica economica del disegno di legge Maroni-Carfagna, ma è abbastanza prevedibile quali saranno i risultati: non una riduzione della prostituzione ma un suo semplice spostamento dalla strada ai luoghi chiusi. La formulazione della norma ignora l'evidenza empirica sui rischi di questa scelta, così come emerge dall'esperienza di altri paesi. Contenere e indirizzare il mercato attraverso strumenti economici piuttosto che affrontarlo con soli strumenti penali darebbe in Italia risultati certamente migliori.

Nel disegno di legge Maroni-Carfagna si introduce il reato di esercizio della prostituzione in strada e, più in generale, “in luogo pubblico” e si prevede la punizione sia dei clienti che delle prostitute con l'arresto da 5 a 15 giorni e l'ammenda da 200 fino a 3000 euro. Per chi sfrutta la prostituzione minorile da 6 a 12 anni, sono previste multe da 15mila a 150mila euro. Dopo cinquanta anni cambia così la legge Merlin, la norma che decideva la regolamentazione della prostituzione in Italia e la chiusura delle cosiddette “case chiuse”.

I DATI DELL'OIM

Se il disegno avrà una qualche efficacia, finirà soprattutto con l’indirizzare la prostituzione di strada verso luoghi chiusi. Tuttavia, la formulazione di una legge seria non può ignorare l’evidenza scientifica sui rischi che il semplice spostamento in luogo chiuso può comportare nelle condizioni attuali.
Da qualche tempo, la Organizzazione internazionale per la migrazione gestisce un programma di assistenza delle persone coinvolte nel cosiddetto traffico a scopo di prostituzione e
raccoglie dati individuali. Anche se il traffico coinvolge solo una parte dell’offerta straniera di prostituzione che opera nel nostro paese, l’analisi di questi dati è sufficientemente eloquente sui rischi che il disegno di legge comporta.
L'Italia figura fra i più importanti paesi ospiti del traffico a scopo di sfruttamento sessuale, con il 5 per cento del totale nella base dati Oim al 2006. Per circa 2600 delle donne ammesse dall’Iom al proprio programma di assistenza tra il 2000 e il 2006 si conoscono il luogo di lavoro e, quindi, il segmento del mercato in cui operavano al momento del contatto con l'Organizzazione: circa la metà è collocabile in un segmento medio alto che comprende bar, night-club e servizi di 'scorta'; l'altra metà comprende il lavoro in strada, in appartamenti privati, in massage-parlour e in hotel o motel, soprattutto i primi due.
Se si considera il segmento più esposto a sfruttamenti e abusi, quello medio basso, e si confronta quanto riportato da chi si prostituiva per strada e da chi operava in appartamenti, massage-parlour, hotel o motel nel lasso di tempo considerato, se ne ricava che il luogo chiuso, e specialmente l'appartamento privato, favorisce un aumento degli episodi di violenza, riduce la libertà di movimento, la possibilità di usare il preservativo e la possibilità di accedere a cure mediche in caso di bisogno. In particolare, i dati registrano un aumento di 3 punti percentuali dell’incidenza di episodi di violenza fisica e di stupro perpetrati sulle prostitute nei luoghi chiusi rispetto a quanto succede in strada, ma lo scarto sale a più 10 punti percentuali se il confronto è con i soli appartamenti privati. Inoltre, i casi di diniego totale di libertà di movimento aumentano del 33 per cento; quelli in cui l'uso del preservativo è regolarmente permesso scendono del 32 per cento; infine, i casi in cui l'accesso a cure mediche è sistematicamente negato salgono del 18 per cento.

L'ESPERIENZA DI ALTRI PAESI

Il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro per la prostituzione al chiuso controllata da reti più o meno criminose è confermato non solo da analisi statistiche più sofisticate di questi stessi dati Oim, ma anche da una lunga tradizione di altri studi e rapporti. Per esempio, la legge del 1998 sulla criminalizzazione dei clienti in Svezia ha avuto effetti perversi e non previsti dal legislatore: la prostituzione non solo è diventata più invisibile con un aumento di quella esercitata nelle case e attraverso internet, ma soprattutto è diventato più difficile combattere il traffico di esseri umani e lo sfruttamento perché i clienti non collaborano con le autorità. Un’altra conseguenza non prevista è la diminuzione dell’uso dei preservativi perché sono ritenuti prove della colpevolezza dei clienti.
Una ricerca su Parigi, Stoccolma, Amsterdam e Madrid, che hanno problemi simili a quelli creatisi nelle città italiane per l’afflusso di donne straniere da paesi poveri, mostra come le diverse politiche convergano verso pratiche comuni: ondate di repressione anti-straniere, con conseguente riorganizzazione in condizioni peggiori al chiuso e soprattutto difficoltà di contatto con le vittime di tratta.
Il disegno di legge Maroni-Carfagna ammicca proprio alle soluzioni abolizioniste della Svezia e della Norvegia, dove la sanzione è imposta al cliente, per raccogliere anche le simpatie di benpensanti e di una parte delle donne. Ma se la soluzione svedese è nota, è meno noto che gli esiti sono abbastanza insoddisfacenti. I clienti multati sono stati pochi, in parte perché la domanda si è spostata altrove - al chiuso e appena oltre confine. In parte perché il cliente tipo è un maschio del tutto normale, come testimoniato da varie ricerche e quindi lo si può individuare solo se si ostina ad ‘adescare’ in modo abbastanza plateale.
La variante norvegese invece riconosce che, per chi esercita, la prostituzione è una fonte di reddito, non sempre di facile rimpiazzo. Così la legge recentemente approvata criminalizza i clienti, ma riconosce al contempo che per molte donne coinvolte si elimina una fonte di reddito. Pertanto, lo stesso governo eroga trasferimenti a quelle organizzazioni che offrono a queste donne soluzioni alternative. Alcune aziende, tra le quali l’Ikea, si sono impegnate ad assumere ex prostitute. L’esempio della Norvegia ci suggerisce che, in realtà, l’efficacia di un qualsiasi provvedimento sulla prostituzione non può prescindere dalla considerazione che per molte delle donne coinvolte si tratta pur sempre di un'opportunità di lavoro, che, a seconda del contesto economico e normativo, si traduce in pesanti condizioni di sfruttamento piuttosto che in laute opportunità di guadagno.

UN LAVORO COME UN ALTRO

In Italia, sarebbe anche auspicabile rafforzare uno strumento legislativo che già esiste ed è per molti versi avanzato nel contesto europeo, l’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione (1998) che sancisce per le vittime della tratta il diritto alla protezione e all’assistenza. Negli anni passati, ha permesso di proteggere le persone sfruttate o vittime di tratta che decidono di uscire dal racket, assicurando l’anonimità e proponendo percorsi di formazione e inserimento sociale e lavorativo. Al tempo stesso, ha favorito la denuncia degli sfruttatori e ha rafforzato la collaborazione tra enti locali, associazioni, magistratura e forze dell’ordine .
Se il luogo in cui viene esercitata la prostituzione è importante per la comunità, si inizi a trattarla come altri lavori, così da poter influire anche sul dove la si può esercitare, se necessario. Una possibile soluzione, seguendo la linea tracciata dall'Olanda, è mettere a disposizione delle aree, come ha già fatto il comune di Venezia. Ma è soprattutto l’esempio della Germania che potrebbe aiutare a disegnare una politica di regolamentazione del mercato. La prostituzione è legale, ma regolamentata. In alcune zone è proibito prostituirsi per strada. Chi esercita la prostituzione deve pagare le tasse e rispettare alcune norme di sicurezza se si svolge in luoghi chiusi. Se inoltre esistono intermediari, si applica la normativa sui contratti tra lavoratore e datore di lavoro.
Contenere e indirizzare il mercato attraverso strumenti economici piuttosto che affrontarlo con soli strumenti penali avrebbe alcune conseguenze positive in un contesto come quello italiano: toglierebbe linfa vitale alle organizzazioni criminali che sfruttano situazioni di oppressione, aumenterebbe il gettito fiscale e permetterebbe una regolamentazione consona a esigenze di ordine pubblico.

PER SAPERNE DI PIÙ

- BettioF. e Nandi T.K. 2008 “Evidence on Women Trafficked for Sexual Exploitation. A Rights Based Approach”, di prossima pubblicazione su European Journal of Law and Economics.
- Carchedi F.,
Stridbeck U., Tola V. (2008) “Lo Zoning possibile. Governance della prostituzione e della tratta delle donne. Il caso di Venezia, Stoccolma ed Amsterdam”, Franco Angeli, Milano.
- Danna D. (2006) “Prostituzione e vita pubblica in quattro capitali europee” Carrocci, Roma.
- Della Giusta M:, Di Tommaso M.L., Shima, A. Strøm “What money buys: clients of street sex workers” in the US Applied Economics, 2007 vol. 9:1, p 1-17.
- Di Tommaso M.L., Shima, A. Strøm, S. Bettio F. (2007), “As bad as it gets. Well being deprivation of sexually exploited trafficked women”, Dept. of Economics, University of Oslo, Memorandum, 09/07, ISSN 0809-8786.


23 settembre 2008

Prostituzione e tratta. Un contributo alla riflessione e alcune proposte


Prostituzione e tratta.
diritti – cittadinanza – sicurezza
Un contributo alla riflessione e alcune proposte


Premessa


Il Comune di Napoli, prima in qualità di soggetto proponente, oggi come co-attore e co-finanziatore di un progetto a scala regionale, da anni attiva e promuove con altri enti, sia del pubblico che del privato sociale, interventi e servizi tesi a governare a livello locale il fenomeno della prostituzione e a tutelare le vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale.
Interventi che cercano di coniugare le azioni di contrasto alla tratta (accompagnando le persone sfruttate, spesso in collaborazione con le forze dell’ordine, nel difficile percorso che va dalla fuga e dalla denuncia fino al completo reinserimento socio-lavorativo), con quelle di riduzione dei rischi, di educazione e informazione sanitaria, di costruzione di alternative concrete alla strada per le donne e uomini prostitute/i non coinvolte nel fenomeno di sfruttamento.
Inoltre, negli ultimi due anni, attraverso i progetti si è avviato, nelle Municipalità più caratterizzate dalla presenza di prostituzione, un’attività di mediazione sociale e dei conflitti, tesa a far confrontare in un luogo paritario e mediato i diritti delle persone coinvolte nella prostituzione con quelli dei cittadini e delle cittadine che abitano i territori dove tale attività si svolge e si concentra.
Insomma un lavoro integrato e multidimensionale che, partendo dalla consapevolezza della complessità e articolazione del fenomeno prostituzione cerca di coniugare più ambiti di intervento, evitando approcci superficiali o tentazioni ideologico-strumentali, provando a stabilizzare modelli e modalità operative capaci di calibrarsi di volta in volta alle continue evoluzioni che caratterizzano la prostituzione e le problematiche ad essa connesse

Un lavoro che in otto anni ha:

  • portato più di 100 donne a fuggire dalla loro condizione di sfruttamento;
  • aiutato 63 vittime a trovare il coraggio di denunciare i loro sfruttatori, facendo scattare tra le più importanti azioni di contrasto e repressione del traffico di esseri umani a livello nazionale;
  • costruito alternative lavorative e di inclusione alla strada per 50 donne e persone transessuali che prima si prostituivano;
  • realizzato quasi mille accompagnamenti ai servizi socio-sanitari, rendendo così concreto e continuo il rapporto tra persone prostitute/ite e servizi, per altro togliendo risorse al mercato parallelo e illegale della salute
  • abbassato i conflitti a livello territoriale, spesso convincendo le donne e gli uomini coinvolti nella prostituzione ad evitare quei comportamenti che generano “rabbia” e allarme sociale (non sporcare la strada, evitare schiamazzi, comportamenti osceni in luoghi frequentati o in ore diurne, ecc.)

Proprio a partire da tale tradizione di intervento, che per altro viene ormai riconosciuta al Comune di Napoli anche a livello nazionale, i sottoscrittori del presente documento chiedono all’Amministrazione di non inserire il tema prostituzione nel pacchetto sicurezza che verrà discusso martedì in Consiglio Comunale, ma di avviare un “Tavolo di concertazione” che veda coinvolti tutti gli attori che direttamente e indirettamente hanno a che fare con il fenomeno prostituzione (soggetti istituzionali, rappresentanti delle forze dell’orine, associazioni e cooperazione sociale, associazioni di auto-organizzazione delle persone prostitute, comitati di cittadini).
Un Tavolo di confronto e programmazione capace di costruire soluzioni e politiche di governo che tengano conto, parallelamente, delle esigenze di sicurezza della popolazione, dei diritti delle persone prostitute, della necessità di rafforzare da un lato il sistema di welfare locale rivolto a tale ambito, d’altra parte a rendere più incisive le azioni di contrasto al traffico di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale.
Scivolare in esclusive logiche sicuritarie, sbilanciate sulla repressione e sui divieti, sarebbe non solo in contrasto con la sensibilità e l’impegno fin qui dimostrato dal Comune di Napoli, ma fondamentalmente inutile e dannoso, in quanto non servirebbe a eliminare il problema ma solo a spingerlo in luoghi più nascosti o periferici, rendendo così difficile il contatto con i servizi e, soprattutto, rendendo ancora più deboli e fragili le donne e gli uomini vittime di tratta. Insomma, tale approccio, in fin dei conti, aumenterebbe le condizioni di insicurezza anziché ridurle.

Alcune prime proposte:

Costruire e sperimentare un progetto di zoning – migliorare l’offerta dei servizi
A Napoli, al contrario di quanto avviene in altre città, la prostituzione in strada viene esercitata, anche se con alcune eccezioni (via Marina), in luoghi non centrali, a bassa densità abitativa, non caratterizzati da elevati flussi di traffico urbano.
Ed inoltre, nelle vicinanze dei luoghi dove già oggi si concentra la prostituzione, vi sono zone completamente disabitate e prive di altre attività di interesse pubblico, che potrebbero diventare, con pochi interventi strutturali, contesti territoriali oggetto di sperimentazioni di zoning, così come già realizzato in altre città italiane ed europee. Una proposta che sembra condivisa già oggi da buona parte delle persone che esercitano la prostituzione o sono costrette a farlo, e in parte anche da gruppi di cittadini che ne colgono l’utilità di allontanare il fenomeno dalle vicinanze delle loro abitazioni o, più in generale, dai loro luoghi di vita e relazione
E’ evidente che la proposta non è quella semplicistica di individuare un contesto e di obbligare le donne e gli uomini ad esercitare solo li. Come già detto, gli interventi a mero carattere coattivo, che non tengono conto della complessità, non servono e non risolvono. Si tratta invece di avviare un percorso per fasi e patti sociali successivi, che veda coinvolti tutti gli attori interessati, finalizzato ad individuare delle aree a bassa conflittualità sociale dove l’esercizio della prostituzione possa essere esercitato nella massima sicurezza, sia per le persone prostitute che per i loro clienti, senza che tale esercizio si configuri come dannoso, fastidioso, di allarme sociale per la popolazione
Come dimostrato dalle altre esperienze realizzate lo zoning, oltre ad abbassare i livelli di conflitto, consente di:

migliorare gli interventi di educazione sanitaria (fondamentali per la tutela della salute non solo delle donne e degli uomini che esercitano la prostituzione ma per l’intera comunità. Infatti, i clienti sono nella quasi totalità dei casi mariti e fidanzati e, purtroppo, come emerge con chiarezza dalle ricerche degli operatori di settore, sono spesso disposti a pagare anche tre volte in più il prezzo della prestazione pur di “fare sesso non protetto”. Quindi tutelare le donne da questo punto di vista, insegnare loro a rifiutare rapporti di tale tipo, significa non solo proteggere la loro salute – già cosa fondamentale e necessaria – ma anche quella delle mogli e delle fidanzate italiane, che, come emerge dalle ricerche di settore, hanno spesso rapporti non protetti con i loro compagni. Se si continuerà a proporre soluzioni che mirano solo a nascondere il fenomeno e non a risolvere il problema ad iniziare dalla riduzione dei rischi, si renderanno impossibili anche tali fondamentali interventi a carattere socio-sanitario);
  • mantenere costante la conoscenza sul fenomeno e sulle reti di sfruttamento;
  • attivare interventi di mediazione sociale tesi a ridurre l’allarme sociale che può determinare l’esercizio della prostituzione;
  • migliora i livelli di sicurezza delle persone prostitute/uite che, nelle attuali zone di prostituzione, sono sempre più vittime di violenze, rapine, forme di discriminazione violenta
  • Insomma, lo zoning può essere definito come un insieme di interventi, tra cui quello dell’individuazione di aree dedicate, tesi al governo delle attività di prostituzione, attraverso attività integrate ed equilibrate tra l’aiuto alla persona, la lotta allo sfruttamento, la promozione di sicurezza diffusa, l’abbassamento della conflittualità sociale
    Lo zoning NON E’ un progetto di “quartiere a luci rosse”, ma un dispositivo complesso mirato da un lato a migliorare la convivenza tra sex workers e gli altri cittadini, d’altra parte ad aumentare i livelli di sicurezza per tutti e tutte.
    Lo zoning non si inventa ma va costruito, attraverso una serie di passaggi e attenzioni e specificatamente:

    • individuare le possibili aree con un processo di ricerca/azione che garantisca:
    1. l’analisi dei contesti e dei luoghi;
    2. l’elaborazione dei dati statistici e qualitativi;
    3. la definizione e comprensione dei bisogni e delle aspettative di tutti gli attori coinvolti;
    4. la realizzazione di focus group con pezzi dei gruppi di destinatari interessati;
    • contattare e far partecipare tutti gli attori interessati e tutte le parti sociali coinvolte
    • scegliere in modo condiviso le aree su cui avviare la sperimentazione;
    • condividere e coordinare il progetto con le forze dell’ordine;
    • fornire informazioni certe e corrette sul progetto e sulle fasi della sua sperimentazione;
    • far partecipare le persone coinvolte nei circuiti prostituzionali alle fasi di promozione, produzione dei materiali, definizione degli strumenti e dei linguaggi, progettazione delle aree

    Oltre al percorso di zoning, vanno definiti:

    • stabilizzazione degli interventi atti a contrastare il traffico di essere umani e di tutela/supporto all’uscita e all’inclusione delle vittime di tratta;
    • potenziamento delle opportunità di accoglienza territoriali;
    • avviare politiche attive del lavoro rivolte alle sex workers per offrire loro reali alternative alla strada;
    • campagne di educazione sessuale nelle scuole ma anche diffuse sul territorio, particolarmente rivolte alla componente maschile che essendo responsabile del continuo aumento della domanda certo non favorisce la diminuzione dell’offerta;
    • potenziamento delle politiche mirate alle pari opportunità e di contrasto alle violenze di genere

    Siamo sicuri, che il Comune di Napoli, vorrà essere coerente con la sua tradizione di accoglienza è intervento integrato sui fenomeni sociali complessi, senza correre il rischio di scivolare in quelle derive sicuritarie che non solo non risolvono, ma favoriscono il sommerso, l’aumento dell’illegalità e dei rischi e conseguentemente, nei fatti, finiscono per alimentare insicurezza sociale

    Napoli, 21 settembre 2008

    Cooperativa sociale Dedalus
    Associazione Transessuali Napoli
    Consorzio GESCO
    Movimento Identità Transessuale – Napoli
    Cooperativa sociale EVA
    Associazione Priscilla
    Associazione Giuristi Democratici
    Cantieri sociali
    Arci



    Prostituzione
    e tratta



    diritti
    – cittadinanza – sicurezza



    Un contributo alla
    riflessione e alcune proposte







    Premessa



    Il
    Comune di Napoli, prima in qualità di soggetto proponente,
    oggi come co-attore e co-finanziatore di un progetto a scala
    regionale, da anni attiva e promuove con altri enti, sia del pubblico
    che del privato sociale, interventi e servizi tesi a governare a
    livello locale il fenomeno della prostituzione e a tutelare le
    vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale.



    Interventi
    che cercano di coniugare le azioni di contrasto alla tratta
    (accompagnando le persone sfruttate, spesso in collaborazione con le
    forze dell’ordine, nel difficile percorso che va dalla fuga e
    dalla denuncia fino al completo reinserimento socio-lavorativo), con
    quelle di riduzione dei rischi, di educazione e informazione
    sanitaria, di costruzione di alternative concrete alla strada per le
    donne e uomini prostitute/i non coinvolte nel fenomeno di
    sfruttamento.



    Inoltre,
    negli ultimi due anni, attraverso i progetti si è avviato,
    nelle Municipalità più caratterizzate dalla presenza di
    prostituzione, un’attività di mediazione sociale e dei
    conflitti, tesa a far confrontare in un luogo paritario e mediato i
    diritti delle persone coinvolte nella prostituzione con quelli dei
    cittadini e delle cittadine che abitano i territori dove tale
    attività si svolge e si concentra.



    Insomma
    un lavoro integrato e multidimensionale che, partendo dalla
    consapevolezza della complessità e articolazione del fenomeno
    prostituzione cerca di coniugare più ambiti di intervento,
    evitando approcci superficiali o tentazioni ideologico-strumentali,
    provando a stabilizzare modelli e modalità operative capaci di
    calibrarsi di volta in volta alle continue evoluzioni che
    caratterizzano la prostituzione e le problematiche ad essa connesse



    Un
    lavoro che in otto anni ha:




    • portato
      più di 100 donne a fuggire dalla loro condizione di
      sfruttamento;



    • aiutato
      63 vittime a trovare il coraggio di denunciare i loro sfruttatori,
      facendo scattare tra le più importanti azioni di contrasto e
      repressione del traffico di esseri umani a livello nazionale;



    • costruito
      alternative lavorative e di inclusione alla strada per 50 donne e
      persone transessuali che prima si prostituivano;



    • realizzato
      quasi mille accompagnamenti ai servizi socio-sanitari, rendendo così
      concreto e continuo il rapporto tra persone prostitute/ite e
      servizi, per altro togliendo risorse al mercato parallelo e illegale
      della salute



    • abbassato
      i conflitti a livello territoriale, spesso convincendo le donne e
      gli uomini coinvolti nella prostituzione ad evitare quei
      comportamenti che generano “rabbia” e allarme sociale
      (non sporcare la strada, evitare schiamazzi, comportamenti osceni in
      luoghi frequentati o in ore diurne, ecc.)




    Proprio
    a partire da tale tradizione di intervento, che per altro viene ormai
    riconosciuta al Comune di Napoli anche a livello nazionale, i
    sottoscrittori del presente documento chiedono all’Amministrazione
    di non inserire il tema prostituzione nel pacchetto sicurezza che
    verrà discusso martedì in Consiglio Comunale, ma di
    avviare un “Tavolo di concertazione” che veda coinvolti
    tutti gli attori che direttamente e indirettamente hanno a che fare
    con il fenomeno prostituzione
    (soggetti istituzionali,
    rappresentanti delle forze dell’orine, associazioni e
    cooperazione sociale, associazioni di auto-organizzazione delle
    persone prostitute, comitati di cittadini).



    Un
    Tavolo di confronto e programmazione capace di costruire soluzioni e
    politiche di governo che tengano conto, parallelamente, delle
    esigenze di sicurezza della popolazione, dei diritti delle persone
    prostitute, della necessità di rafforzare da un lato il
    sistema di welfare locale rivolto a tale ambito, d’altra parte
    a rendere più incisive le azioni di contrasto al traffico di
    esseri umani a fini di sfruttamento sessuale.



    Scivolare
    in esclusive logiche sicuritarie, sbilanciate sulla repressione e sui
    divieti, sarebbe non solo in contrasto con la sensibilità e
    l’impegno fin qui dimostrato dal Comune di Napoli, ma
    fondamentalmente inutile e dannoso, in quanto non servirebbe a
    eliminare il problema ma solo a spingerlo in luoghi più
    nascosti o periferici, rendendo così difficile il contatto con
    i servizi e, soprattutto, rendendo ancora più deboli e fragili
    le donne e gli uomini vittime di tratta. Insomma, tale approccio, in
    fin dei conti, aumenterebbe le condizioni di insicurezza anziché
    ridurle.











    Alcune
    prime proposte:: costruire e sperimentare un progetto di zoning –
    migliorare l’offerta dei servizi



    A
    Napoli, al contrario di quanto avviene in altre città, la
    prostituzione in strada viene esercitata, anche se con alcune
    eccezioni (via Marina), in luoghi non centrali, a bassa densità
    abitativa, non caratterizzati da elevati flussi di traffico urbano



    Ed
    inoltre, nelle vicinanze dei luoghi dove già oggi si concentra
    la prostituzione, vi sono zone completamente disabitate e prive di
    altre attività di interesse pubblico, che potrebbero
    diventare, con pochi interventi strutturali, contesti territoriali
    oggetto di sperimentazioni di zoning, così come
    già realizzato in altre città italiane ed europee. Una
    proposta che sembra condivisa già oggi da buona parte delle
    persone che esercitano la prostituzione o sono costrette a farlo, e
    in parte anche da gruppi di cittadini che ne colgono l’utilità
    di allontanare il fenomeno dalle vicinanze delle loro abitazioni o,
    più in generale, dai loro luoghi di vita e relazione



    E’
    evidente che la proposta non è quella semplicistica di
    individuare un contesto e di obbligare le donne e gli uomini ad
    esercitare solo li. Come già detto, gli interventi a mero
    carattere coattivo, che non tengono conto della complessità,
    non servono e non risolvono. Si tratta invece di avviare un percorso
    per fasi e patti sociali successivi, che veda coinvolti tutti gli
    attori interessati, finalizzato ad individuare delle aree a bassa
    conflittualità sociale dove l’esercizio della
    prostituzione possa essere esercitato nella massima sicurezza, sia
    per le persone prostitute che per i loro clienti, senza che tale
    esercizio si configuri come dannoso, fastidioso, di allarme sociale
    per la popolazione



    Come
    dimostrato dalle altre esperienze realizzate lo zoning, oltre ad
    abbassare i livelli di conflitto, consente di:




    • migliorare
      gli interventi di educazione sanitaria (fondamentali per la tutela
      della salute non solo delle donne e degli uomini che esercitano la
      prostituzione ma per l’intera comunità. Infatti, i
      clienti sono nella quasi totalità dei casi mariti e fidanzati
      e, purtroppo, come emerge con chiarezza dalle ricerche degli
      operatori di settore, sono spesso disposti a pagare anche tre volte
      in più il prezzo della prestazione pur di “fare sesso
      non protetto”. Quindi tutelare le donne da questo punto di
      vista, insegnare loro a rifiutare rapporti di tale tipo, significa
      non solo proteggere la loro salute – già cosa
      fondamentale e necessaria – ma anche quella delle mogli e
      delle fidanzate italiane, che, come emerge dalle ricerche di
      settore, hanno spesso rapporti non protetti con i loro compagni. Se
      si continuerà a proporre soluzioni che mirano solo a
      nascondere il fenomeno e non a risolvere il problema ad iniziare
      dalla riduzione dei rischi, si renderanno impossibili anche tali
      fondamentali interventi a carattere socio-sanitario);



    • mantenere
      costante la conoscenza sul fenomeno e sulle reti di sfruttamento;



    • attivare
      interventi di mediazione sociale tesi a ridurre l’allarme
      sociale che può determinare l’esercizio della
      prostituzione;



    • migliora
      i livelli di sicurezza delle persone prostitute/uite che, nelle
      attuali zone di prostituzione, sono sempre più vittime di
      violenze, rapine, forme di discriminazione violenta




    Insomma,
    lo zoning può essere definito come un
    insieme di interventi, tra cui quello dell’individuazione di
    aree dedicate, tesi al governo delle attività di
    prostituzione, attraverso attività integrate ed equilibrate
    tra l’aiuto alla persona, la lotta allo sfruttamento, la
    promozione di sicurezza diffusa, l’abbassamento della
    conflittualità sociale



    Lo
    zoning NON E’ un progetto di “quartiere a luci rosse”
    ,
    ma un dispositivo complesso mirato da un lato a migliorare la
    convivenza tra sex workers e gli altri cittadini, d’altra
    parte ad aumentare i livelli di sicurezza per tutti e tutte.



    Lo
    zoning non si inventa ma va costruito, attraverso una serie di
    passaggi e attenzioni e specificatamente:




    • individuare
      le possibili aree con un processo di ricerca/azione che garantisca:
      l’analisi dei contesti e dei luoghi; l’elaborazione dei
      dati statistici e qualitativi; la definizione e comprensione dei
      bisogni e delle aspettative di tutti gli attori coinvolti; la
      realizzazione di focus group con pezzi dei gruppi di destinatari
      interessati;



    • contattare
      e far partecipare tutti gli attori interessati e tutte le parti
      sociali coinvolte



    • scegliere
      in modo condiviso le aree su cui avviare la sperimentazione;



    • condividere
      e coordinare il progetto con le forze dell’ordine;



    • fornire
      informazioni certe e corrette sul progetto e sulle fasi della sua
      sperimentazione;



    • far
      partecipare le persone coinvolte nei circuiti prostituzionali alle
      fasi di promozione, produzione dei materiali, definizione degli
      strumenti e dei linguaggi, progettazione delle aree








    Oltre
    al percorso di zoning, vanno definiti:




    • stabilizzazione
      degli interventi atti a contrastare il traffico di essere umani e di
      tutela/supporto all’uscita e all’inclusione delle
      vittime di tratta;



    • potenziamento
      delle opportunità di accoglienza territoriali;



    • avviare
      politiche attive del lavoro rivolte alle sex workers per offrire
      loro reali alternative alla strada;



    • campagne
      di educazione sessuale nelle scuole ma anche diffuse sul territorio,
      particolarmente rivolte alla componente maschile che essendo
      responsabile del continuo aumento della domanda certo non favorisce
      la diminuzione dell’offerta;



    • potenziamento
      delle politiche mirate alle pari opportunità e di contrasto
      alle violenze di genere




    Siamo
    sicuri, che il Comune di Napoli, vorrà essere coerente con la
    sua tradizione di accoglienza è intervento integrato sui
    fenomeni sociali complessi, senza correre il rischio di scivolare in
    quelle derive sicuritarie che non solo non risolvono, ma favoriscono
    il sommerso, l’aumento dell’illegalità e dei
    rischi e conseguentemente, nei fatti, finiscono per alimentare
    insicurezza sociale



    Napoli,
    21 settembre 2008



    Cooperativa
    sociale Dedalus



    Associazione
    Transessuali Napoli



    Consorzio
    GESCO



    Movimento
    Identità Transessuale – Napoli



    Cooperativa
    sociale EVA



    Associazione
    Priscilla



    Associazione
    Giuristi Democratici



    Cantieri
    sociali



    Arci



    22 settembre 2008



    CRISI DELLO STATO SOCIALE E TUTELA DEI NUOVI
    DIRITTI







    L’assalto ai campi Rom a Ponticelli, l’omicidio
    di Abdul Salam Giubre a Milano, le violenze ai danni di gay e
    lesbiche a Napoli e a Roma, rappresentano l’impressionante
    sequenza di episodi di razzismo e violenza xenofoba ed omofobica che
    sta funestando la cronaca di queste settimane.



    Tutto questo è accompagnato dal silenzio o dalla
    minimizzazione dei maggiori organi di informazione, alimentato dalle
    politiche demagogiche e discriminatorie del Governo ed è
    sostenuto da campagne di disinformazione messe in campo dalle destre.
    Si impone quindi con urgenza un’azione ed una mobilitazione
    dell’Italia democratica a difesa dei principi di civile
    convivenza sanciti dalla nostra Carta Costituzionale.



    Con questo spirito, contro ogni forma di razzismo,
    omofobia, xenofobia e discriminazione di genere; per la tutela dei
    nuovi diritti alla sessualità, alla cittadinanza e
    all’autodeterminazione del proprio corpo, i Giuristi
    Democratici di Napoli promuovono un incontro pubblico:







    invitando a discuterne:



    Elena Coccia,
    Direzione Nazionale Giuristi Democratici



    Mario Coppeto,
    Presidente V Municipalità del Comune di Napoli



    Salvatore Simioli,
    Presidente Arcigay Napoli



    Carlo Cremona,
    Presidente i-Ken



    Giordana Curati,
    Presidente Arcilesbica napoli



    Stefania Cantatore,
    Presidente UDI napoli



    Aboubakar Soumahoro,
    Comitato Immigrati di Napoli



    Pino de Stasio, Cons. Prc
    II Municipalità del Comune di Napoli



    Francesco Fabozzi, Cons.
    Prc V Municipalità del Comune di Napoli.







    Con il contributo del Segretario
    del Partito della Rifondazione Comunista:


    Paolo
    Ferrero





    25
    Settembre a Napoli – piazza del Gesù, Sala Santa Chiara
    h. 16:30








    Associazione Giuristi Democratici Napoli.





    SENZA DIMORA



    UN NUOVO APPELLO ALLA CITTA’
    DI NAPOLI











    Il Comitato per l’Albergo dei Poveri e
    Psichiatria Democratica denunciano come pericolosamente repressive le
    proposte avanzate dall’Amministrazione comunale di Napoli nei
    confronti dei cittadini senza fissa dimora. Il comitato e PD si
    dicono esterrefatti nell’apprendere dai quotidiani le
    indicazioni degli Assessori comunali che sarebbero impegnati a dare
    ”ordine e dignità ad edifici e monumenti, piazze
    stazioni ad evitare che siano un permanente accampamento…”invece
    di mantenere gli impegni più volte assunti, nei mesi addietro,
    e puntualmente disattesi. Impegni per l’apertura imminente di
    Centri di prima accoglienza, di interventi multiformi e concreti a
    favore delle persone in disagio.



    Ci auguravamo che invece di vederli tesi a
    mostrare i muscoli nei confronti di persone inermi, ponessero
    finalmente mano nel costruire una città accogliente e
    solidale, dove invece cresce il numero di cittadini che vivono in
    condizioni di estrema povertà.



    A queste persone non vengono garantite,
    nella maggioranza dei casi, da parte delle autorità nemmeno le
    più elementari risposte ai loro bisogni: un posto dove
    lavarsi, dove poter dormire, dove poter ricevere un minimo di
    assistenza sanitaria o l’accesso ai servizi sociali, tantomeno
    il poter ricevere sussidi, pensioni od altro.



    Una città - la sua classe politica,
    intellettuale ed industriale - che vuole riscattarsi veramente, deve
    partire da queste persone se vuole essere credibile, se vuole
    ricostruire un rapporto vero con la cittadinanza, con i giovani, il
    mondo del volontariato e dell’associazionismo e quanti in
    maniera disinteressata, si impegnano per contrastare tutti quei tanti
    fenomeni di degrado che si registrano in maniera esponenziale nella
    nostra metropoli.



    Il Comitato e Psichiatria Democratica hanno
    già posto con forza all’attenzione degli amministratori
    locali, negli anni passati, come siano necessarie

    ed
    urgenti
    concrete iniziative
    in questo settore, ricevendo di
    contro - nel tempo - solo risposte generiche ed approssimative che -
    nella pratica - hanno lasciato i senza fissa dimora
    nel più totale isolamento.



    Le uniche risorse attivate sono state esclusivamente quelle che il
    movimento associativo aveva conquistato negli anni addietro
    allorquando - insieme ad Amministratori sensibili ed operativi,
    presenti nella scorsa consiliatura comunale - avevamo lavorato fianco
    a fianco per fare nascere un Centro di Coordinamento, capace di
    recepire le risposte che provenivano dal basso attraverso la voce e
    le proposte delle associazioni che - a qualsiasi titolo e di
    qualsivoglia dimensione – vivono tutti i giorni a fianco di
    cittadini in difficoltà di vivere. Il risultato finale è
    stato quello di dover amaramente registrare l’occupazione del
    coordinamento, il suo depotenziamento, la burocratizzazione dei
    programmi da attuare e l’esproprio del suo ruolo originario.



    La logica quanto triste conseguenza - come si diceva - è
    stata la crescita del numero delle persone in difficoltà per
    il permanere di un vuoto programmatico e operativo.



    Ecco perché ribadiamo la necessità inderogabile di
    promuovere alcuni








    PROVEDIMENTI
    URGENTI















    1. Apertura di nuovi centri
      di prima accoglienza notturna
      in grado di offrire la
      possibilità di dormire, lavarsi ed avere un cambio
      ad
      almeno 200 persone
      . I centri dovranno accogliere un massimo di
      15 persone ed essere ubicati in luoghi facilmente raggiungibili
      utilizzando la rete dei trasporti pubblici;









    1. Nuovi centri di prima
      accoglienza diurna
      attrezzati con: docce, lavanderia, punto
      di distribuzione di generi di vestiario e di prima necessità,
      punto di consulenza legale e casella postale;









    1. Possibilità di
      fornire un servizio di primo soccorso sanitario ,
      attraverso
      un protocollo d’intesa da sottoscrivere con l’Azienda
      Sanitaria Napoli1 che sia in grado di garantire – in tempi
      brevi – una prima risposta ai bisogni di salute dei cittadini
      sfd;









    1. Realizzazione nell’ex Albergo dei Poveri di una prima
      struttura che possa ospitare cittadini senza fissa dimora ed una
      mensa di quartiere;









    1. Attivazione in ogni Municipalità di almeno Una Mensa;








    6 Rilancio del Centro di Coordinamento di via Pavia,
    dove si possano svolgere tutti i compiti concordati con la precedente
    Amministrazione comunale, nel pieno rispetto del protocollo
    concordato all’epoca.










    Il Comitato per l’Albergo dei Poveri




    Psichiatria Democratica, Napoli



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