Traduzioni

31 maggio 2008

SUBURB, il nuovo

Esce Venerdì 30 maggio 2008 il nuovo disco degli 'A67: SUBURB, il nuovo
suono delle periferie del mondo.
Il disco, prodotto dalla Polosud, sarà presentato ufficialmente Giovedì 12
Giugno 2008, ore 18:00, presso La Feltrinelli di Napoli con gli 'A67, la
scrittrice Valeria Parrella e altri ospiti che hanno collaborato al disco.
Sul disco è contenuto anche il brano "Felice" scritto dagli 'A67 e eseguito
con Francesco Di Bella (24 grana), qui il testo del brano:
http://www.felicepignataro.org/home.php?mod=bio&sub=e_015_ita
Il brano è preceduto dall'Inno dei muralisti cantato direttamente da Felice
e estratto dal documentario "Felice!".

Buon ascolto a tutti!

Il GRIDAS

***************** Segue comunicato stampa degli 'A67: ********************

Esce questo venerdì 30 maggio SUBURB: un possibile e vitale manifesto, il
mappamondo sonoro della nuova generazione del pianeta - che sta crescendo
meticcia di culture, desideri, orizzonti, esplodendo un caleidoscopio di
suoni ritmi storie.
L'energia più dirompente e inevitabile del momento: la musica metropolitana,
periferie del mondo che puntano al centro del suono, intese come quartieri
cittadini ma anche come Sud, e giunte nei Duemila al loro primo vero momento
da protagoniste sulla scena, dopo i decenni di sovrapposizione,
immigrazione, mescolanza, digestione e fermentazione, dense della "rabbia"
presente e della futuribile creatività giovanili.
SUBURB: questo è il nuovo disco degli 'A67, rockband partenopea che dopo
aver fatto parlare di sé in Italia all'estero con il disco d'esordio "'A
camorra song'io" (Polosud 2005), mantiene saldo il rapporto col suo tempo e
con la società, e dal pieno della periferia sud di provenienza (Scampia,
Napoli) alle periferie del mondo si rivolge propriamente, allargando a
raggiera il discorso e coinvolgendo quindi nelle registrazioni artisti
nazionali ed internazionali.
SUBURB: un concept-album in cui matura e si conferma "il sound 'A67",
crossover-rock mediterraneo il cui disegno e impatto la band ha arricchito
con diversi ospiti, lingue, strumenti: illustri nomi italiani (fra cui Mauro
Pagani e gli scrittori Roberto Saviano e Valeria Parrella) e quattro
alterego provenienti dalle periferie dei diversi continenti, ovvero giovani
rockband unite nella forza espressiva e nell'attenzione al sociale, ai temi dell'uguaglianza e della libertà. La nuova generazione del mondo confluita e vibrante in un disco: gli storici crogiuoli del Mediterraneo, Napoli al centro, Marsiglia verso l'Europa e Istanbul verso l'Asia; e con loro India e Brasile, le due più grandi democrazie emergenti e meltin'pot. In dialetto e in italiano, l'antica
lingua indiana Malayalam e il rap delle favelas di San Paolo, la ghironda e
il sitar elettrico, il santur e il flauto prog, la letteratura nelle viscere
del groove...
Un disco che con decisione e personalità - dai protagonisti ai temi -
rinnova la speciale posizione degli 'A67 a favore dei diritti umani e contro
le mafie: una pubblicazione più che mai voluta e significativa ora, in un
periodo che vede l'Italia e il mondo febbrilmente trapassati non solo dalla
criminalità e dalla povertà e loro concatenate cause ed effetti, ma anche da
correnti discriminatorie e xenofobe e da una generale "erosione dei diritti", alla
cui odierna denuncia del rapporto 2008 di Amnesty International gli 'A67 non
possono che unirsi prestando nuovamente la loro voce.
SUBURB: la forza e l'urgenza dell'incontro, dalle periferie del mondo dritti
al centro.


Cartellastampa, biografia, copertina e foto : www.a67.it - sezione
"downloads" - "presskit" scaricabile
Anteprima ascolti : www.myspace.com/sessantasette
Contatti : G.Fazzini - info@sognavento.com - 333.2728553

ARTISTA: 'A67 (Daniele Sanzone - voce; Alfonso Muras - basso; Andrea
Verdicchio - sax e tastiere; Enzo Cangiano - chitarre; Luciano Esposito -
batteria)

FEATURING: Avial (India), Calixto (Brasile), Dupain (Marsiglia), Kara Günes
(Istanbul), Raffaela Siniscalchi, Valeria Parrella, Mauro Pagani, Francesco
Di Bella (24Grana), Mario Arcari, 'O Zulù, Gabriella Pascale, Roberto
Saviano, Marcello Colasurdo.

DIREZIONE ARTISTICA: Giorgia Fazzini
PRODUZIONE ARTISTICA: Simone Chivilò
PRODUZIONE ESECUTIVA: Giorgia Fazzini e Ninni Pascale per Polosud
STUDI: Il Parco / NA (rec), Officine Meccaniche / MI (rec & mix), Fonoprint / BO (master)
LABEL: Edel Italia


Gridas - Gruppo Risveglio dal Sonno

Casa delle Culture "Nuvola Rossa"
via Monterosa 90/b
Scampìa
Napoli

mail: gridas@felicepignataro.org
web: www.felicepignataro.org/gridas

16° congresso nazionale del Biologico a Modena da 16 al 20 giugno

Sabatosera online - l'informazione utile
29 maggio 2008

Presentato il 16° congresso mondiale del biologico, si terrà a Modena
E’ stato presentato a Roma, nella sede dell’Associazione della Stampa estera, il 16° Congresso mondiale Ifoam del biologico, che si svolge a Modena dal 16 al 20 giugno.
Sono intervenuti, tra gli altri, il presidente di Ifoam Gerard A. Herrmann, l’assessore regionale all’Agricoltura Tiberio Rabboni, l’assessore provinciale Graziano Poggioli e i
rappresentanti dei movimenti biologici di oltre cento Paesi, agricoltori e produttori di tutto il mondo, e poi scienziati e attivisti di fama internazionale, insieme con l’obiettivo di costruire un futuro sano, equo e solidale.
Dal 16 al 20 giugno Modena diventa la capitale del bio ospitando il XVI Congresso mondiale Ifoam dell’agricoltura biologica, cinque giornate di conferenze tecniche e iniziative di divulgazione per confrontarsi su salute, ecologia, equità e responsabilità e presentare le più recenti novità sul fronte della ricerca. Organizzato da Ifoam (la Federazione internazionale che riunisce i movimenti per l’agricoltura biologica di 108 Paesi) e da ModenaBio2008, un consorzio creato dalla Provincia di Modena e da Aiab (Associazione italiana per l’agricoltura biologica) dell’Emilia Romagna, il Congresso richiamerà a Modena i protagonisti internazionali dell’agricoltura biologica, dell’economia e della cultura sostenibile.
A dare il titolo all’edizione del 2008 - che segue di tre anni l’ultima di Adelaide in Australia - lo slogan “Coltivare il futuro”, scelto per sottolineare il ruolo che l’agricoltura biologica può giocare nel garantire alle prossime generazioni un ambiente sano e sostenibile.
IL SETTORE DEL BIOLOGICO
Con 30,4 milioni di ettari certificati e un mercato del valore di 26 miliardi di euro, l’agricoltura biologica è in crescita. Secondo il rapporto Ifoam l’Italia è al quinto posto nel mondo con 1,07 milioni di ettari convertiti al biologico (l’Australia rimane sempre in testa con 11,8 milioni di ettari). Il nostro Paese è leader in Europa anche nella produzione di vini bio, con 30 mila ettari di terreno a viticoltura biologica. Modena e l’Emilia-Romagna sono state scelte come sedi del Congresso mondiale Ifoam per i primati che vantano. L’Emilia Romagna rappresenta un’eccellenza internazio-nale con 4.102 imprese certificate e 92 mila ettari di superfici agricole coltivate a biologico. E’ al primo posto in Italia per numero di mense scolastiche (127), quasi il 15% dei pasti bio serviti ogni giorno nelle scuole d’Italia (112 mila su 924 mila).
Numeri e dati parlano chiaro: a partire dalle prime esperienze di agricoltura biologica, avviate a Modena alla metà degli anni ’70, il territorio ha sviluppato attività avanzate e ha contribuito a promuovere la cultura del biologico e di uno stile di vita sano e sostenibile. Negli anni ’80 sono nate le prime “Fattorie didattiche”, molte delle quali biologiche. Oggi sono 53 e ogni anno aprono le porte a chiunque sia interessato a vivere un contatto diretto con la natura e con le tradizioni contadine. Standard altissimi contraddistinguono poi la produzio-ne biologica dei prodotti tipici: dall'aceto balsamico tradizionale al prosciutto, dal Parmigiano Reggiano ai vini Lambruschi. Ma il territorio modenese è all’avanguardia anche nei programmi di educazione alimentare e nell’introduzione di menu bio nelle mense delle scuole. Sono 343 gli asili e le scuole interessate dal servizio di pasti biologici (con oltre 12.700 pasti al giorno) e l’obiettivo a breve termine è di portare al 65% l’utilizzo di prodotti da agri-coltura biologica nella refezione scolastica.
I PROTAGONISTI
A discutere di agricoltura biologica nel mondo e del suo ruolo per garantire un futuro sostenibile al pianeta saranno esperti, tecnici e produttori del nord e del sud del mondo e molte personalità di spicco interna-zionale, come Vandana Shiva e lo scienziato etiope Tewolde Berhan Gebre Egziabher, vincitori del “Right Livelihood Award” (il Premio Nobel alternativo per la pace), il presidente boliviano Juan Evo Morales, già leader del movimento sindacale dei “cocaleros” e sostenitore convinto del bio, e l’enogastronomo Carlo Petrini, il fondatore del movimento “Slow Food”, di recente indicato dal quotidiano The Guardian tra le “50 persone che potrebbero salvare il pianeta”. Saranno presenti al Congresso anche il sociologo Wolfgang Sachs, direttore scientifico del “Wuppertal Institut per il clima, l’ambiente e l’energia”, l’agronomo e genetista Howard-Yana Shapiro, da oltre 35 anni esponente di spicco dell’agricoltura organica, l’attuale direttore generale dello Unep (United Nations Environment Programme) Achim Steiner, l’antropologo ed economista Serge Latouche, tra i massimi sostenitori della decrescita conviviale.
I TEMI
Cuore del Congresso sarà la seconda conferenza Ifoam “Cultivating the future based on science”, tre giornate di studio - dal 18 al 20 giugno - dedicate ad approfondire i quattro principi dell’agricoltura biologica: la salute, l’ecologia, l’equità solidale e la cura.
Le discussioni si svilupperanno seguendo un filone divulgativo (Systems Values Track) per la presentazione e lo scambio di esperienze pratiche, e un filone scientifico (Scientific Research Track), dove saranno illustrate le più importanti ricerche in corso.
Nelle oltre cento sessioni di lavoro, scienziati, agronomi, produttori, sociologi ed economisti di tutto il mondo si confronteranno così su temi che vanno dalle produzioni vegetali alla zootecnia, dalle politiche di sviluppo alle energie rinnovabili, dai diritti umani e la giustizia sociale alla cooperazione internazio-nale. E poi gestione e uso dei fertilizzanti, metodologie di coltivazione organica, biodiversità, sicurezza e qualità dei prodotti biologici, politiche agrarie interna-zionali e il peso dell’agricoltura nei Paesi in via di sviluppo, temi che saranno discussi secondo un approccio interdisciplinare, teso da una parte a valorizzare le esperienze locali e regionali, e dall’altra a promuovere l’innovazione in tutti i campi della produzione biologica e la cooperazione tra i differenti attori. Oltre alle presentazioni dei “paper” scientifici - ne sono arrivati circa 700, tutti valutati da esperti internazionali - saranno organizzati laboratori e visite guidate ai poli di eccellenza dell’agricoltura biologica modenese e dell’Emilia-Romagna.
IL FESTIVAL MERCATO “ECO, BIO, EQUO” E FESTA DELLA MUSICA
Accanto alle giornate di studio, espositori da tutto il mondo si ritroveranno per il Festival mercato del biologico dedicato al commercio equo e solidale. Frutta e verdura da Argentina e Tunisia, spezie dal Madagascar, formaggi, vino, conserve, erbe aromatiche da Trentino, Toscana e Puglia, ma anche cosmetici per la cura della persona e tanti altri prodotti biologici freschi e trasformati prove-nienti da tutto il mondo, insieme ai prodotti tipici del territorio, coloreranno per tre giorni, dal 20 al 22 giugno, le vie e le piazze del centro storico di Modena, dove si riuniranno oltre cento espositori. Infine, secondo la tradizionale ospitalità emiliana, durante il Congresso saranno organizzati appuntamenti culturali e gastronomici aperti a tutti coloro che vogliono condividere il gusto del buon vivere nel rispetto della terra e dei popoli. Dalla musica al teatro, dalla danza all’arte e al cinema, molte saranno le occasioni di svago “sotto il segno del bio”. Il programma di eventi collaterali contraddistinti dal logo dell’iniziativa “E’ bio”, un progetto di sensibilizzazione sui temi del biologico e di uno stile di vita sano e sostenibile, culminerà nella “Festa della Musica”, che sabato 21 giugno animerà il centro storico di Modena.
«Siamo orgogliosi - spiega Graziano Poggioli, assessore provinciale ad Agricoltura e alimentazione - che la scelta, per l’edizione 2008, sia caduta su Modena, territorio di pionieri non solo per quanto riguarda metodi e tecniche di coltivazione sostenibili, ma di una cultura del vivere in armonia con la terra. E i nostri prodotti di eccellenza (molti dei quali Dop, Doc e Igp) sono conosciuti in tutto il mondo. Il Congresso mondiale Ifoam sarà l’occasione per presentare a una platea internazionale il modello emiliano e per promuovere attività ed eventi, anche culturali, per far conoscere qualità e valori del biologico».
«Il Congresso - afferma Tiberio Rabboni, assessore regionale all’Agricoltura - sarà un momento di confronto con esperti provenienti da tutto il mondo, ma anche un’occasione per conoscere il settore del biologico emiliano-romagnolo, eccellenza in Italia e nel mondo che ha consentito a Modena di essere scelta come sede dell’evento. Le nostre aziende sono presenti in tutti settori merceolo-gici, dall'ortofrutta al vino, dalle carni ai prodotti lattiero caseari, dalle paste ai trasformati; le imprese agricole, dopo una contrazione numerica dovuta all'uscita dal comparto di una serie di aziende marginali, si stanno ulteriormente rafforzando e consolidando. Sono emiliano - romagnole anche alcune tra le più importanti realtà europee che operano nel settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti biologici. Dal 2000 ad oggi la Regione Emilia - Romagna ha erogato nell'ambito del proprio Programma di Sviluppo Rurale, quasi 155 milioni di euro, pari al 18% delle risorse pubbliche disponibili, a favore di 3.296 aziende agricole biologiche che rappresentano il 4% del totale delle aziende regionali. Nel periodo di programmazione 2007 - 2013, questo importo potrà ulteriormente aumentare in relazione alla maggiore disponibilità di risorse pubbliche».
L’organizzazione del Congresso mondiale segue una precisa strategia ecologica in linea con i principi dello sviluppo sostenibile promossi dalla Regione Emilia-Romagna, dalla Provincia di Modena e dagli enti locali. Il Consorzio ModenaBio 2008 coinvolge tutti i fornitori e i delegati con l’obiettivo di minimizzare gli impatti negativi legati all’aumento della domanda di risorse naturali come l’acqua e l’energia e alla produzione straordinaria di inquinamento e rifiuti.

Dieci anni con l'euro: un punto di vista liberista

La Stampa 31/05/2008

Dieci anni con l'euro
di Carlo Bastasin

Lunedì in Europa si celebreranno i dieci anni della nascita dell’euro. Gli italiani, che senza l’unione monetaria sarebbero da tempo in stato di fallimento, dovrebbero festeggiare meno distrattamente di chiunque altro. Nel terreno dell’economia l’euro sta irrigando dal basso una silenziosa trasformazione di mentalità, ma le implicazioni politiche dell’euro sono rimaste avvolte nella nebbia della nostra infantile inconsapevolezza. Una buona parte degli errori nella nostra vita pubblica derivano da una politica che è rimasta specchio di se stessa.
Il percorso verso l’unione monetaria aveva denunciato la quantità dei guasti della cattiva politica, a cominciare dal debito pubblico.
Ora l’euro evidenzia la qualità di una pubblica amministrazione inefficiente e mal governata a cui i cittadini, risvegliati dall’ipnosi del debito e delle svalutazioni, sono diventati insofferenti. Reagiscono con severità ai fallimenti dello Stato fin da quando l’introduzione della moneta unica è avvenuta nell’assenza di controllo sugli speculatori che hanno manipolato abusivamente i prezzi. La lezione dell’euro sulla qualità del mercato e dello Stato ha armato i cittadini contro i lussi castali della politica, delle lobby o di imprese fallimentari.
Vi sono però implicazioni politiche più profonde e rivelatrici del solo riconoscimento del mercato. L’euro non ha sostituito la politica, non ha reso cioè meno necessarie le scelte responsabili dei governi, ma ne ha cambiato metodi e contenuti, fino a creare il bisogno a livello europeo di avere più, non meno, politica comune e più, non meno, avanzamento istituzionale in questioni che riguardano gli ambiti tradizionali della politica nazionale: la difesa, la politica estera, il fisco, la giustizia. Oggi però le richieste di maggiore ruolo della politica in Europa, o di governo dell’economia globale, non fanno più leva sugli strumenti del primato della politica: i vertici tra Stati, sempre meno risolutivi, o i patti per l’occupazione, l’ambiente, le pensioni, o i modelli sociali omogenei. Si sono cioè affrancati dal modello della sovranità classica, eppure non mettono più in dubbio che le soluzioni debbano essere comuni. L’euro infatti non ha funzionato gerarchicamente, ma attraverso i principi di competizione tra Paesi e di responsabilità reciproca. La competizione si è svolta nel «con-correre» verso un modello di stabilità economica giudicato fattivamente migliore, non verso un modello politicamente preferito. La responsabilità si è espressa nel controllo reciproco sui risultati materiali, addirittura contabili, della politica.
L’euro ha cioè corrisposto a una metamorfosi della politica che già si manifestava a livello nazionale. La connotazione negativa della politica, propria della dittatura - sotto la quale «si diventa politici quando si comincia a pensare» -, si è estesa nelle democrazie europee nella forma di una diffusa intolleranza al fatto che, in sistemi sociali sempre più complessi, attraverso la politica, pubblico e privato vengano abusivamente schiacciati l’uno sull’altro. Dietro questo disagio si è fatta strada una visione fattuale della politica che in ogni campo favorisce la funzionalità e la solidità di scelte collettive che agevolano l’agire individuale.
Il caso dell’euro che consente e stimola l’integrazione europea, non per volontà della politica - che si accontenta di un ruolo protezionista - ma nel mettere in comunicazione gli individui, in tal senso davvero animali politici, è macroscopico. Ma corrisponde a un sentire che, almeno dalla caduta del Muro, sa riconoscere per esempio che la giustizia politica non è mai giustizia, l’informazione soggetta alla politica non è mai informazione e così via per la cultura, il mercato, i commerci, la finanza, fino alla gestione del risparmio, cioè alla scelta individuale tra consumo presente o futuro. In tutti questi ambiti, per via dell’apertura dei confini nazionali, la politica ha perso capacità di definizione autonoma. Il ruolo che ne viene apprezzato e che funziona è quello di intermediazione. Non nel senso banale di comporre e compensare interessi sociali diversi, bensì in quello di regolare, stimolare e verificare l’interazione tra sfere dell’agire individuale e collettivo che danno forma alla società e al suo futuro con la stessa legittimità della politica. Si tratta di ciò che alcuni costituzionalisti tedeschi chiamano il «federalismo dei fatti», in cui la politica «modera e ottimizza gli sviluppi di altre forme di realizzazione sociale». Così è nel caso della moneta unica, che non determina la libera scelta degli attori sociali, ma tiene aperta a essa la prospettiva del futuro.
È talmente poco ideologica l’avventura dell’euro, che riesce a unire un’Europa priva di ogni strumento indispensabile all’influenza ideologica: né una lingua comune, né un’opinione pubblica europea, né mezzi di comunicazione comuni. Nonostante i progressi degli ultimi anni, mancano in Europa una mentalità comune, una partecipata mediazione degli interessi politici, meccanismi di comunicazione e di legittimazione indispensabili a riempire il «vuoto repubblicano». Nondimeno l’euro, questo medium prosaico - il primo davvero continentale - pur corrispondendo a interessi materiali, continua a creare il bisogno di migliore politica, fino a convertire le opinioni pubbliche scettiche. In questo senso la vicenda dell’euro non si è manifestata con la prevalenza dell’economia sulla politica, bensì di una politica funzionale all’agire individuale anziché su politiche che poggino sull’ideologia sia di partito sia nazionale. Fino a trasformare la sovranità degli Stati, a disarmarla e aprirla, con successo tale però da alimentare nuova domanda di politica europea in aree, come la politica estera, in cui essa sovrasta la capacità d’azione dei singoli Stati.
Nondimeno il lascito del Novecento è ancora fertile nelle nostre teste e per le ragioni sbagliate. Prima dell’euro destra e sinistra combattevano una titanica lotta di fantasmi nella difesa rispettiva di capitale e lavoro, salvo poi rimediare alle cattive allocazioni delle risorse tra i fattori produttivi con svalutazioni (in Italia o Francia) o rivalutazioni (in Germania o Olanda) delle monete nazionali, che aggiustavano gli squilibri delle bilance dei pagamenti. Manovrando le valute, gli Stati pre-euro azzeravano il bilancio dello scontro tra le ideologie: un eccesso di inflazione salariale veniva abbattuta con apprezzamenti recessivi del cambio, o con aumenti dell’inflazione importata che azzeravano gli incrementi salariali reali. Il bilancio tra capitale e lavoro tornava ciclicamente in pareggio. Proprio per la loro inefficacia, destra e sinistra potevano usare una retorica ideologica infuocata, in cui interessi dei lavoratori o dei capitalisti inscenavano la lotta di classe a uso interno.
L’euro e la globalizzazione paradossalmente hanno reso permanenti gli squilibri che la politica di parte induce nelle distribuzioni del reddito. Da dieci anni non è più possibile aggiustare con il cambio gli squilibri tra capitale e lavoro che politiche di destra e di sinistra, prigioniere delle fedeltà di classe, producono. È oggi quindi che la scelta politica di parte è davvero perversamente efficace nel dividere le sorti del capitale e del lavoro, divenuti diversamente mobili. Mai più di oggi le politiche di parte sono influenti nel distribuire ideologicamente il reddito, mai più di oggi dovrebbero essere calibrate, pur diversamente, sull’interesse del Paese intero.
Per scappare dalla trappola delle ideologie, la politica di parte può ora uscire dai confini culturali nazionali, apprendere la lezione di essere corresponsabile senza bisogno di sovranità esclusive. Solo misurandosi sugli effetti della libertà di movimento, sull’interdipendenza e sulla diversità dei popoli, potrà realizzare politiche d’incentivo o sostegno, di stimolo o di solidarietà, che non danneggino il Paese intero. Non è togliendo la libertà agli altri che si diventa più liberi. È l’apertura delle mentalità - tanto in contrasto col linguaggio prevalente della politica nazionale - la lezione dell’euro e degli ultimi dieci anni. Una lezione che l’Italia deve tornare a imparare.


La Repubblica 31 maggio 2008


L'arroccamento del Cavaliere


di Giuseppe D'Avanzo


Magari oggi correggerà in parte le sue parole. Capita spesso. Ma, se si prende sul serio e alla lettera quel che ha detto Silvio Berlusconi a Napoli, non c'è dubbio che l'esecutivo - come già s'era paventato - voglia tirare avanti per la sua strada con un paradigma di governo che "militarizza" la politica e l'applicazione della decisione; un canone che sospende temporaneamente l'esercizio della norma anche in violazione della legge e della Costituzione.
Dinanzi alla catastrofe dei rifiuti non smaltiti di Napoli e della Campania, Berlusconi rivendica il diritto e il dovere di declinare la "governabilità" come decisione assoluta e non partecipata. Il presidente del Consiglio non ha alcuna intenzione - come pure era parso a molti - di mitigare l'"eccedenza autoritaria" del suo piano e del decreto legge che lo sostiene. Al contrario, evocando una "destrutturazione dello Stato" e la minaccia di "un'anarchia", lo irrobustisce, lo "incarognisce" e annuncia il ruolo decisivo - nell'operazione - dell'Esercito.
Saranno i militari del Genio a gestire gli impianti di combustibile da rifiuti (CdR), abbandonati dall'impresa privata (la Fibe) che si è vista decapitare le direzioni dagli arresti della magistratura. I soldati proteggeranno le discariche (e questo si sapeva) e in più - è una novità - "saranno chiamati a garantire anche l'accesso ai siti: non è accettabile alcun divieto di transito alle istituzioni della Repubblica. In gioco ci sono le regole minime per non passare dalla democrazia all'anarchia". "Chiaiano sarà definita zona militare", dice Berlusconi.
Si può immaginare allora che cosa accadrà presto in quella periferia di Napoli. Teatro dei violenti scontri della scorsa settimana, l'"ultimo chilometro" - dalla rotonda della Rosa dei Venti che conduce al Poggio Vallesana e alla Cupa del Cane, dove sono le cave di tufo che ospiteranno la discarica - sarà "militarizzato". L'Esercito, e non più la polizia, ne proteggerà la percorribilità impedita per alcuni giorni dalle barricate dei comitati di protesta.
Berlusconi è stato categorico, forse imprudente, forse consapevole della sua sfida: "Dalle relazioni che abbiamo, siamo sicuri della idoneità di Chiaiano". In realtà, le analisi tecniche del suolo sono in corso soltanto da quattro giorni e, alla vigilia, ne sono stati ritenuti necessari venti per un responso rigoroso. L'anticipo della sentenza non potrà che riaccendere gli animi e in serata, a Chiaiano già si urlava contro "la beffa del governo".
Berlusconi è stato liquidatorio contro ogni ipotesi di correzione del decreto per evitare i profili di incostituzionalità che magistrati e costituzionalisti hanno rilevato nella creazione di un "commissario giudiziario" (titolare di tutte le inchieste ambientali della regione, potrà scegliersi il pubblico ministero più "affidabile", in deroga alle ordinarie regole di assegnazione) e di un "processo penale napoletano" (inedita la figura di un giudice collegiale per le indagini preliminari). Taglia corto Berlusconi: "Un ordine dello Stato non può vivere in un empireo e pensare alle leggi come ad un moloch assoluto. Le leggi devono essere adattate per far vivere meglio i cittadini". Anche questo s'era intravisto.
L'emergenza napoletana si definisce ora compiutamente come "uno stato d'eccezione", come un "vuoto del diritto" che interrompe la norma e trasforma il diritto in una "prassi" dove la decisione "non può essere mai interamente determinata dalla norma". È in questo scarto che nascono le torsioni costituzionali che Berlusconi non riconosce. Il governo si sceglierà allora i magistrati che dovranno controllare le sue iniziative. I campani saranno meno protetti dalla legge. Ciò che è "tossico" altrove, non lo sarà in Campania. Ciò che altrove è considerato "pericoloso", qui non lo sarà. Le regole di tutela ambientale e salvaguardia sanitaria qui non saranno in vigore o lo saranno affievolite.
Come ha scritto Stefano Rodotà "viene aggirato l'articolo102 della Costituzione, che vieta l'istituzione di giudici straordinari o speciali. Vengono creati nuovi reati di ampia interpretazione che finiscono per restringere il diritto di manifestare liberamente. La garanzia dei diritti costituzionalmente garantita è degradata. La legalità costituzionale è complessivamente incrinata". "È un dovere che lo Stato faccia definitivamente lo Stato", conclude il presidente del Consiglio.
Berlusconi agita, dunque, lo spadone intenzionato a tagliare i nodi istituzionali e sociali della catastrofe napoletana con un solo, deciso colpo netto. Senza curarsi (o intenzionalmente approfittandone) degli strappi alla Costituzione, agli ordinamenti, alla partecipazione sociale. Ne nasceranno molte polemiche e conflitti, e se ne parlerà ancora nel minuto.
Quel che in queste ore, però, bisogna chiedersi è se questa incrudelita accelerazione avvantaggi la soluzione della crisi napoletana o costituisce un problema in più alla somma di inestricabili problemi che già ci sono. Nei giorni scorsi, era sembrato che il governo volesse abbassare i toni, accogliere le obiezioni. Le teste d'uovo erano al lavoro in Parlamento per correggere con un maxi-emendamento le "eccedenze" mentre responsabilmente l'Associazione nazionale magistrati dichiarava al ministro della Giustizia la sua disponibilità a trovare le soluzioni più adeguate ad "accompagnare" lo sforzo urgente del governo.
L'annuncio dell'"uso della forza dello Stato" chiude ogni spazio di mediazione. Berlusconi può vantare nel suo arroccamento il beneplacito dell'opposizione, l'intesa delle istituzioni locali e soprattutto la drammaticità della crisi. Nei prossimi giorni, sapremo se sono elementi sufficienti per piegare con "la forza" le popolazioni e far dimenticare le manomissioni costituzionali e lo sbaraglio del potere di controllo di una magistratura indipendente.

Lavoretti... in agricoltura

A prima vista si sente profumo di giovinezza, di libertà e persino di rivincita: fin qui abbiamo visto solo flessibilità per il lavoro regolare, finalmente si vede qualcosa che dia tutela, quasi stabilità, o almeno status, al vasto mondo dei lavoretti, dell'informale, di un sommerso minuto molto piccolo ma molto esteso, che nell'equilibrio economico generale non pesa nulla, ma che negli equilibri redistributivi, negli stili di vita può assumere un rispettabile spessore.
Si tratta del voucher per pagare i lavori occasionali, previsto da un articolo del decreto di delega della Legge 30/03 (nota come "Legge Biagi") finora inattuato. E' rivolto appunto ai lavoretti informali, babi sitteraggi, animatrici, giardinaggio, pieghe ai pantaloni, lezioni private, accompagnamenti, massaggi, ecc... e potrebbe trovare applicazione, con queste prerogative di utilità e di trasparenza, anche in alcune tipologie di transazioni tanto largamente diffuse quanto difficilmente catturabili dall'erario e dal controllo amministrativo, come ad esempio quelle delle case vacanza, delle camere per studenti ecc..
Quello che suscita meraviglia è che il voucher trovi come prima applicazione sperimentale, in Puglia, il bracciantato: un lavoro che di lavoretto ha ben poco, sebbene attragga occasionalmente, in una stagione della vita, giovani e studenti. Questi ragazzi tuttavia difficilmente si trovano o si prestano a fare questo tipo di esperienza in nero e spesso la fanno nelle reti di volontariato che organizzano "campi di lavoro" e il grosso va nelle cooperative del centro nord o all'estero.
Al resto del lavoro bracciantile non proprio "lavoretto" ci si ricorre o in nero con gli immigrati clandestini o con regolare contratto di lavoro a tempo determinato per il quale l'Inps assicura un'indennità di disoccupazione speciale in base al numero di giornate lavorate (minimo 51). Escluso per definizione che il voucher possa andare all'immigrato senza permesso di soggiorno, resterebbe praticabile essenzialmente l'area delle 51 giornate che però costerebbe un po di più (10 euro all'ora) rispetto ai minimi contrattuali. A risparmare sarebbe solo l'Inps, posto che i braccianti regolari ci rimetterebbero soltanto, anche rispetto al rapporto di lavoro in regime di somministrazione. In conclusione come si contrasterebbe il sommerso se il grosso del lavoro al nero lo fanno immigrati che non si possono "dire"? Ma se ci crede il Vicky presidente, che va bene così, non possiamo che crederci pure noi e andare a vedere l'esperimento.
sv

il lavoro occasionale

Debutta il ticket contro il lavoro nero


Blocchetti prepagati per retribuire legalmente gli operai durante la vendemmia


di Piero Ricci


Ora che s´avvicina il periodo dell´acinino, come si chiama la pulitura dei grappoli prima delle vendemmia dell´uva da tavola, per gli studenti che, finita la scuola, vanno per vitigni e tendoni a
racimolare qualche spicciolo, c´è la possibilità di emergere dalla condizione di lavoratore in nero. Per quest´anno, nelle campagne pugliesi, i viticoltori potranno sperimentare il voucher vendemmia.
Funziona più o meno così: l´imprenditore agricolo o il coltivatore diretto può acquistare i ticket agli sportelli dell´Inps o delle Poste: dieci euro all´ora "tutto compreso" di paga, contributi previdenziali e assicurativi da dare al lavoratore occasionale, studente o pensionato, che si sarà iscritto nelle liste dedicate presso l´Inps. Il bracciante occasionale si farà accreditare il corrispettivo dei ticket ricevuti sul suo tesserino avuto al momento dell´iscrizione nelle liste. E sarà il suo bancomat, sul quale si ritroverà la paga netta: per ogni dieci euro, ne incasserà 7,50. Gli altri 2,50 andranno all´Inps, per la copertura contributiva, all´Inail per la copertura assicurativa contro gli infortuni, e all´Inps o alle Poste per il servizio vendita dei voucher.
È una delle misure della legge Biagi che parte come sperimentazione, prima di essere estesa ad altre forme di lavoro occasionale come quello della baby sitter, della badante, della domestica o dello stesso professore di liceo che dà lezioni private: per ogni lavoro, ci sarà un ticket che avrà una diversa paga oraria in base al tipo di lavoro occasionale svolto.
Per ora la sperimentazione riguarda il lavoro in agricoltura e in particolare per la vendemmia e le operazioni imminenti ad essa connesse. La Puglia è tra le prime al Sud a sperimentare questa
forma di lotta al lavoro nero ma anche di tutela nei confronti delle aziende agricole e dei coltivatori diretti che nel voucher possono trovare l´antidoto opportuno alle ispezioni con annesse sanzioni per lo sfruttamento del lavoro a nero.

La convenzione è stata firmata ieri alla Regione, presenti il presidente della giunta pugliese, Nichi Vendola, l´assessore regionale alle Politiche agricole, Enzo Russo, il presidente
regionale dell´Inps Mario Di Corato e il direttore regionale dell´Inail, Alfredo Violante.
L´assessore Russo soppesa più i pro che i contro: «Pensiamo di offrire occasioni di impiego e d´integrazione di reddito a soggetti considerati a rischio di esclusione sociale o non entrati ancora nel mondo del lavoro, o sul punto di uscirne». Ma c´è anche l´obiettivo di far emergere il lavoro nero. I vantaggi per i datori di lavoro non mancano: primo fra tutti quello di non essere più
obbligati a firmare un contratto con i lavoratori occasionali. E anche con un giorno di anticipo. Certo: c´è sempre la possibilità di ricorrere al nero, ma con le ispezioni, non sempre si è sicuri
di farla franca. Per il bracciante occasionale, spesso studente o pensionato, la consolazione di non sentirsi un lavoratore di serie B, di mettere da parte una "paghetta" esentasse che non lo priva
del suo stato di disoccupato o inoccupato, ma ricevendo in cambio una copertura previdenziale e assicurativa.
Il problema, ora, è mettere insieme domanda e offerta con una campagna di informazione che deve riguardare soprattutto il lavoratore. È lui che deve iscriversi in un apposito elenco e
ottenere il badge che gli servirà da bancomat sul quale accreditare i ticket. E poi bisognerà spiegare agli agricoltori che i ticket s´acquistano presso l´Inps o presso gli sportelli della
Posta.
Sarà un comitato di coordinamento regionale, titolato ad adottare tutte le decisioni, anche sanzionatorie, a verificare gli effetti della sperimentazione. Funzionerà? Ieri, all´atto della
sottoscrizione, gli unici presenti erano quelli della Coldiretti. «Tutto nasce - spiega il direttore della Coldiretti pugliese, Antonio De Concilio - per garantire certezze al lavoratore occasionale ed evitare vertenze da parte dell´imprenditore. Se ciò non sarà garantito, tutto sarà stato inutile».

per la città dei deboli

Il terzo settore si ferma 40 mila assistiti a rischio


La cooperazione sociale

che cosa fanno le cooperative per l' assistenza sociale


Abbiamo letto, in questi giorni, la querelle disputata, sulle pagine di questo giornale, tra il professor Laino e il capogruppo di Rifondazione comunista al Comune di Napoli, con grande attenzione ma soprattutto con estrema preoccupazione, visto che si sferra, in modo del tutto gratuito e infondato, un attacco alla cooperazione sociale che opera nella città di Napoli. I toni usati da Raffaele Carotenuto, che tratta il mondo cooperativo come se fosse un coacervo di parassiti privilegiati, sono assolutamente fuori luogo e ingiustificati e ci indignano profondamente. Tanto più in qualità di rappresentanti di decine di migliaia di cooperatori, soci e dipendenti, che lavorano nella massima trasparenza rispettosi delle regole e della legalità dibattendosi nelle tante difficoltà di un mercato concorrenziale e sleale. Giovanni Laino, nel suo articolo, spiega bene le gravi condizioni lavorative e retributive cui sono sottoposte le cooperative che sono chiamate sul banco degli imputati. Intanto ci corre l' obbligo di fare alcune precisazioni circa quanto sostenuto dal consigliere comunale Raffaele Carotenuto sul servizio di assistenza scolastica agli alunni disabili della nostra città. Il servizio è attivo in città dal lontano 1995. Nel periodo 1995-2000 tale servizio era regolarmente erogato attraverso il contributo della Cooperativa Sociale XIX di Roma a seguito di aggiudicazione di gara. Dal 2000 a oggi il servizio è assicurato attraverso l' azione professionale di varie cooperative sociali aggiudicatarie di tre successive gare d' appalto biennali. Al fine di garantire la continuità del servizio, nei periodi intermedi tra una gara e l' altra, l' amministrazione comunale, a causa di propri ritardi nell' espletamento delle gare, è ricorsa a forme di affidamento diretto a seguito di trattativa privata, alle cooperative sociali già aggiudicatarie di gara, come peraltro previsto dalla normativa vigente. Il tutto in otto anni di attività (sei anni in gara e due anni in affidamento diretto). Per quanto riguarda invece il costo per una assistente sociale laureata, che l' amministrazione sostiene, il riferimento alle tabelle stipendiali di cui all' allegato B del "Ccnl del personale non dirigente del comparto regioni e autonomie locali quadriennio normativo 2006-2009 biennio economico 2006-2009" si riferisce al trattamento economico previsto dal 1/2/2007, con «valori in euro per 12 mensilità cui si aggiunge la tredicesima mensilità», conferito al lavoratore al lordo delle quota impositiva, a carico dello stesso, e al netto delle quote previdenziali, assicurative, di liquidazione e indennità varie, a carico dell' ente locale. Pertanto in considerazione di ciò il costo effettivo che l' amministrazione sostiene per un assistente sociale è di gran lunga superiore a quanto affermato dal consigliere Carotenuto. Infine è del tutto evidente che una qualsiasi organizzazione - dunque anche Napoli Sociale - che è chiamata a erogare prestazioni assistenziali, che coinvolgono circa 300 operatori, necessita di una funzione di coordinamento come, del resto, previsto dal disciplinare di gara e che come è ovvio fa lievitare il costo effettivo, anche per la stessa Napoli Sociale. è ingeneroso, quindi, Carotenuto che, pur avendo ricoperto per un lungo periodo il ruolo di presidente della VI commissione al Comune di Napoli, non ha ancora ben chiaro il ruolo fondamentale di quella cooperazione che chiama in causa e che le centrali cooperative non sono enti appaltanti. Un ruolo di ricerca, innovazione e con poche risorse, comunque al servizio del lavoro di inclusione e recupero sociale di donne, migranti, minori, anziani, disabili e quanti altri vivono nel disagio, ruolo che ha svolto, ripetiamo, in condizioni economiche improponibili. Un contributo straordinario che ha dato la cooperazione, e quella sociale in particolare, a un sistema di welfare che da sola la Pubblica amministrazione non avrebbe potuto reggere e garantire. Non ricorda che solo nella città di Napoli sono presenti 120 cooperative sociali, che danno lavoro a ben 4.000 operatori/trici che non meritano di essere criminalizzati/e ma valorizzati/e per l' alto senso di responsabilità che hanno dimostrato in tutti questi anni, sopperendo alle situazioni di difficoltà e di contraddittorietà prodotte dalle inefficienze della stessa Pubblica amministrazione. La cooperazione e quella sociale in essa - non ovviamente quella spuria che danneggia anche noi - ha una rilevanza economica che non va sottovalutata, in special modo perché accanto alla produttività pone i bisogni della persona, soci o dipendenti che siano. Piuttosto, Carotenuto, dovrebbe cominciare a interrogarsi sul sistema produttivo generale di questa città, come suggerisce il buon Laino, e trovare in esso la malerba che sta per soffocare Napoli.

Gli autori sono responsabili rispettivamente di Legacoop Campania, Agci Campania e Confcooperative Campania
VANDA SPOTO, ROSARIO ALTIERI E FERDINANDO FLAGIELLO

replica a laino

rispetto delle leggi non assistenzialismo


28 maggio 2008

Primo giugno a Chiaiano

Appello per la Manifestazione a carattere nazionale di Domenica Primo Giugno a Napoli (Chiaiano)
Dalla selva di Chiaiano, un appello ai movimenti.
Per la salute, per l´ambiente, per la democrazia, per la libertà di movimento!

Chiaiano dopo Pianura, Giugliano Serre, Acerra, Savignano... le lotte ambientali che hanno infiammato tante realtà della Campania non nascono, come racconta la disinformazione mainstream, dagli "egoismi del popolo del no". Queste insorgenze sono la risposta ad un esproprio di democrazia ultradecennale che, come avvenne per la lunga stagione affaristica del Commissariamento post-terremoto, ha consegnato i nostri territori alla speculazione economica e finanziaria, alle ecomafie e agli interessi più indecenti delle burocrazie politiche.

Le strategie della shock-economy campana hanno fatto della "categoria dell´emergenza" un dispositivo di comando e di profitto con cui ricattare continuamente le libertà collettive, censurare il dissenso e le concrete alternative possibili verso una indispensabile strategia Rifiuti-Zero che protegga l´ambiente e la salute collettiva, aprendo anche nuove opportunità lavorative.
Le istituzioni e quell´ampio ceto politico, che oggi strumentalizzano retoricamente "il bene collettivo", hanno lavorato per oltre 14 anni alla frantumazione di questo concetto e alla contrapposizione tra le comunità, oscurando l´esistenza di alternative concrete incentrate sul porta a porta, il riciclo, la riduzione degli imballaggi, il compostaggio e gli impianti a freddo.

Il "decreto-rifiuti" del governo Berlusconi è la consacrazione di questo processo e impone l´apertura di dieci discariche e quattro inceneritori che devasterebbero ampie aree della regione! Proprio mentre in Sassonia ci dicono che riciclano almeno il 70% dei rifiuti campani con dei banalissimi impianti di differenziazione "a valle"...

E´ un modello di profitto sempre più aggressivo verso gli uomini e la natura, che ritiene di sopravvivere alla crisi distruggendo il territorio. Dal rilancio del Ponte sullo Stretto alla TAV ai Rigassificatori fino all´annunciato ritorno del cosiddetto nucleare civile si punta tutto sulle mega opere inutili e dannose e sul rilancio del business a scapito della sicurezza del lavoro, della salute e dell´intera vita.
Le lotte contro le megadiscariche e l´incenerimento hanno invece costituito luoghi di condivisione, spesso autentici "consigli dell´autogoverno", magari ancora confusi e transitori ma capaci di fare rete tra le popolazioni e di ritessere dal basso nuovi modelli di bene comune.

La repressione che si sta scatenando violentemente a Chiaiano e che ha già ferito gravemente alcuni cittadini come quella che si annuncia verso le altre popolazioni coinvolte dai provvedimenti del governo, non è però l´ennesimo remake. E´ molto di più!

E´ la sperimentazione, con consenso pressochè bipartisan (vedi in Campania il forte appoggio di Bassolino), di un modello di relazioni sociali sempre più militarizzato.
Un autentico salto di qualità nei modelli di governance del territorio:
c´è la produzione di norme penali "Just-in-time" per colpire le figure sociali del dissenso, che affianca anche simbolicamente la decisione del sovrano e respinge chi si oppone nell´area della criminalità e dei "comportamenti antinazionali". Lo "stato d´eccezione" - quindi - diventa categoria fondamentale per sostenere la qualità della decisione, rivelando in controluce la sua stessa debolezza, la sua delegittimazione sociale.

La repressione violenta, l´ostentazione di forza militare, la diffusione sul territorio regionale di una infinità di basi e depositi bellici, l´arrogante indifferenza alle sorti di intere popolazioni ne sono un corollario inevitabile. La generalizzazione del collaudato meccanismo della fabbrica della paura con cui provano a ghettizzare interi gruppi sociali, come i migranti e i rom, nei loro intenti deve allargarsi e intimidire ogni forma di conflitto sociale.

Perciò "il destino di Chiaiano" (e poi di Terzigno e Savignano e Ferrandelle...) è così cruciale. Lo sa bene il governo che si prepara a riprodurre lo stesso dispositivo per tutte le altre lotte ambientali (e non solo) ed ha fatto della "discarica a Chiaiano" un proprio manifesto politico. E non lo ignorano certamente i movimenti che in questi anni hanno declinato in autonomia ed indipendenza politica alcune pratiche di decisionalità e di democrazia dal basso che sono sempre più minacciate e represse dalla militarizzazione delle pratiche di governo e dalla limitazione degli spazi di lotta e di autorganizzazione.

Perciò facciamo appello ai cittadini, ai movimenti, alle comunità in lotta, dai No-Tav, ai No-Dal Molin, ai No-Ponte per una manifestazione a carattere nazionale a Napoli, domenica primo giugno. L´urgenza di questa mobilitazione è dettata dall´importanza generale della posta in gioco che in questi giorni si sta palesando in Campania.

Per infrangere la cappa repressiva e l´accerchiamento mediatico e politico contro le lotte sociali. Per fermare la deriva securitaria, la loro arroganza e la loro violenza! Perché la resistenza delle popolazioni di Chiaiano e Marano come quelle di tantissime altre realtà della regione e dell´intero paese sono momenti costituenti di un nuovo spazio pubblico in difesa dei beni comuni. Contro la devastazione dell´ambiente, contro la militarizzazione ed il disciplinamento coatto dei territori.
Per costruire nelle lotte e nella loro socializzazione il Patto di Mutuo Soccorso.

La manifestazione inizierà alle ore 16 di domenica 1 giugno
con concentramento presso la fermata della metropolitana di Chiaiano

Comitati in difesa delle cave di Chiaiano
Reti campane contro la devastazione ambientale

Per info ed adesioni retecampanasaluteambiente@noglobal.org --- www.rifiutizerocampania.org

Scheda intervento per la Rete No Ponte



Come la borghesia mafiosa si organizza in vista dei lavori del Ponte



di Antonio Mazzeo




Da anni vengono lanciati preoccupati allarmi sui tentativi della criminalità organizzata di mettere le mani sull’affare del Ponte sullo Stretto di Messina. Il grande potere criminogeno della mega-opera è stato confermato da numerose indagini che hanno evidenziato, da una parte, come le cosche locali puntino ad inserirsi nei sub-appalti, nelle opere secondarie e nell’imposizione di pizzo; dall’altra, come la grande mafia internazionale abbia provato a finanziare direttamente l’opera, grazie alle enormi disponibilità economiche in suo possesso.



Obiettivo cantieri


Circa il 40 per cento delle opere potrebbe teoricamente alimentare i circuiti mafiosi”1. È lo scenario che emerge da uno studio sull’impatto criminale del Ponte commissionato al Centro Studi Nomos del Gruppo Abele di Torino dall’Advisor della Società Stretto di Messina. Gli interessi mafiosi potrebbero manifestarsi nella fase di scavo e realizzazione delle fondazioni e della movimentazione terra, ed in questo caso imprese mafiose – già esistenti o più probabilmente costituite ad hoc – potrebbero rivendicare una partecipazione diretta ai lavori.

Identico rischio di penetrazione criminale per quanto riguarda le strutture di ancoraggio dei cavi di sospensione, per le quali è previsto un volume di 328.000 metri cubi in Sicilia e di 237.000 in Calabria.

Se si tiene inoltre conto che per la realizzazione del manufatto occorrono in totale circa 860.000 metri cubi di calcestruzzo, il rischio criminalità appare di gran lunga più elevato, data la tradizionale specializzazione dei gruppi mafiosi in Calabria e Sicilia nel cosiddetto “ciclo del cemento”.

Ma è nell’ambito dei lavori per i collegamenti ferroviari e stradali, in buona parte previsti in galleria e nelle rampe di accesso al Ponte, che il rischio criminalità è ancora più alto ed evidente.


Un altro settore particolarmente sensibile alla penetrazione mafiosa è quello relativo all’offerta di servizi necessari per il funzionamento dei cantieri.

Oltre alla tradizionale funzione di guardianìa - secondo il sociologo Rocco Sciarrone - “i mafiosi cercheranno con molta probabilità di inserirsi nelle fasi di installazione e organizzazione dei cantieri, e successivamente anche nella gestione dei loro canali di approvvigionamento.

È dunque ipotizzabile il tentativo di controllare il rifornimento idrico e quello di carburante, la manutenzione di macchine e impianti e la relativa fornitura di pezzi di ricambio, il trasporto di merci e persone”.2

Nelle mani di mafia e ‘ndrangheta, in più, potrebbero finire cemento, ferro, finanche il catering e gli alloggi per gli operai.


Questa è però una visione “minimalista” che non tiene conto delle evoluzioni dell’impresa mafiosa e della sua forza finanziaria e di inserimento nei mercati “legali”.

Nella relazione trasmessa al Parlamento nel novembre 2005, la Direzione Distrettuale Antimafia (Dia), affermava che “la mafia è pronta a investire il denaro del narcotraffico nella costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina”.

Nello specifico, le indagini avrebbero accertato che “ingenti capitali illecitamente acquisiti da un’organizzazione mafiosa a carattere transnazionale sarebbero stati reinvestiti nella realizzazione di importanti opere pubbliche, con particolare riguardo a quelle finalizzate alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina”.3

Il primo allarme degli inquirenti sugli interessi delle organizzazioni mafiose nella realizzazione dell’infrastruttura risale comunque al 1998. Anche allora fu la Dia a denunciare la “grande attenzione” di ‘ndrangheta e Cosa Nostra per il progetto relativo alla realizzazione del Ponte.

La Dia approfondiva il tema nella sua seconda relazione semestrale per l’anno 2000. Soffermandosi sulla ristrutturazione territoriale dei poteri criminali in Calabria e in Sicilia, si segnalava come le indagini avessero evidenziato che “le famiglie di vertice della ‘ndrangheta si sarebbero già da tempo attivate per addivenire ad una composizione degli opposti interessi che, superando le tradizionali rivalità, consenta di poter aggredire con maggiore efficacia le enormi capacità di spesa di cui le amministrazioni calabresi usufruiranno nel corso dei prossimi anni”.


Nel mirino, secondo l’organo investigativo, innanzitutto i progetti di sviluppo da finanziare con i contributi comunitari previsti dal piano Agenda 2000, stimati per la sola provincia di Reggio Calabria in oltre cinque miliardi di euro nel periodo 2000-2006.

Altro terreno fertile ai fini della realizzazione di infiltrazioni mafiose nell’economia legale – aggiungeva il rapporto - è rappresentato dal progetto di realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, al quale sembrerebbero interessate sia le cosche siciliane che calabresi. Sul punto è possibile ipotizzare l’esistenza di intese fra Cosa Nostra e ‘ndrangheta ai fini di una più efficace divisione dei potenziali profitti”4.



Dal Canada allo Stretto di Messina via Arabia Saudita


Intanto alcuni faccendieri lanciavano l’assalto, per conto delle più potenti cosche mafiose d’oltreoceano, alla gara per il general contractor del Ponte di Messina.

L’intrigata ragnatela di interessi è venuta alla luce il 12 febbraio 2005, quando la stampa dava notizia dell’emissione di cinque provvedimenti di custodia cautelare per associazione per delinquere di stampo mafioso e delle perquisizioni in diverse città italiane.


I provvedimenti venivano notificati al boss Vito Rizzuto, capo dell’organizzazione legata ai mafiosi Cuntrera-Caruana e sospettato di rappresentare in Canada la “famiglia” Bonanno di New York, all’ingegnere Giuseppe Zappia (residente in Canada ma arrestato a Roma), al broker Filippo Ranieri (originario di Lanciano in Abruzzo), all’imprenditore cingalese Savilingam Sivabavanandan e all’algerino Hakim Hammoudi.

L’inchiesta (denominata “Brooklin”), coordinata dal capo della Dda di Roma Italo Ormanni e dal pm Adriano Iassillo, sulla base di numerose intercettazioni, individuava un’operazione concepita da Cosa Nostra per riciclare 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga nella realizzazione del Ponte. Ad ordire le trame il boss Vito Rizzuto, originario di Cattolica Eraclea, figlio di Nicola “Nick” Rizzuto, personaggio eminentissimo della mafia internazionale.

Stando alle accuse dei magistrati romani, il mafioso italo-canadese si sarebbe avvalso dell’imprenditore Giuseppe Zappia che aveva capeggiato una cordata partecipante alla gara preliminare per il general contractor, avviata dalla Società Stretto di Messina il 14 aprile 2004. Sei mesi più tardi, tuttavia, la “cordata Zappia” e un non precisato raggruppamento di aziende meridionali venivano escluse nella fase di pre-qualifica, perché non in possesso dei requisiti richiesti5.

Zappia ha negato i contatti con la criminalità italo-canadese e a sua difesa ha prodotto un affidavit, una sorta di accordo sancito con una società, la Tatweer international company for industrial investiments, in mano ad uno dei principi della famiglia reale dell’Arabia Saudita6. I soldi per il Ponte, cioè, dovevano venire dagli immensi profitti del petrolio.


In realtà i faccendieri internazionali avevano fatto la spola tra Canada e Arabia Saudita, intrecciando inquietanti relazioni tra mafiosi e sovrani mediorientali, ed avviando i contatti con i manager delle maggiori società di costruzione in corsa per il Ponte sullo Stretto. La mafia, consapevole delle loro difficoltà a reperire capitali freschi per avviare i lavori, si era offerta a metterceli lei e per intero.


Come ha evidenziato Stefano Lenzi, responsabile dell’Ufficio istituzionale del WWF Italia, “l’attuale salto di qualità vede la holding mafiosa mettere sul tavolo dei suoi rapporti con le imprese il suo ruolo di ‘intermediatore finanziario’, con enormi disponibilità economiche. Un mediatore che non ha nemmeno bisogno di condizionare il general contractor per realizzare l’opera ‘con qualsiasi mezzo’, ma tenta, addirittura, di diventare esso stesso (attraverso le necessarie coperture) l’elemento centrale di garanzia del GC, che dovrà redigere la progettazione definitiva ed esecutiva e realizzare l’infrastruttura”.7


Ma più di tutto, l’establishment criminale aveva colto l’alto valore simbolico del Ponte, comprendendo che con il finanziamento e la realizzazione della megaopera era possibile ottenere nuova legittimazione istituzionale e sociale.

Quando farò il ponte – dirà in una telefonata l’imprenditore Zappia – con il potere politico che avrò io in mano, l’amico (il boss Rizzuto ndr) lo faccio ritornare…”.

Dal 19 marzo 2006 è in corso presso il Tribunale di Roma il processo contro i protagonisti dell’operazione Brooklin. In esso, incomprensibilmente, la Società Stretto di Messina ha scelto di non costituirsi parte civile.8

Indipendentemente da quello che sarà l’esito giudiziario, un verdetto storico è inconfutabile: in vista dei flussi finanziari promessi ad una delle aree più fragili del pianeta, è avvenuta la riorganizzazione di segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Ma non solo.

Dietro tanti dei Padrini del Ponte, infatti, si celano i nomi più o meno noti di mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. Quasi a voler enfatizzare il volto “moderno” del capitale. Saccheggiatore di risorse naturali e dei territori; generatore prima, beneficiario dopo, di ogni conflitto bellico.9



Infiltrazioni criminali sui lavori autostradali


In attesa del Ponte, la criminalità organizzata ha scelto di sedere attivamente al banchetto dei lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria (oltre 1.200 milioni di euro), lavori appaltati proprio ad alcune delle grandi società italiane di costruzione che guidano l’Associazione temporanea d’imprese “Eurolink”, general contractor per la progettazione definitiva e la realizzazione del “Mostro sullo Stretto”.

Per l’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria, mafia e ‘ndrangheta avrebbero riscosso il pizzo da quasi tutte le aziende coinvolte. Lo ricorda l’ultimo rapporto su criminalità e imprenditoria di Sos Impresa/Confesercenti. Impregilo, ad esempio, capofila Eurolink, “aveva insediato nelle società personaggi che, secondo gli inquirenti da sempre avevano avuto a che fare con esponenti della criminalità organizzata e con imprese di riferimento alle cosche”.10 Lo stesso sarebbe accaduto con la Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.a., partner del gruppo di Sesto San Giovanni nella costruzione del Ponte sullo Stretto.


Il modus operandi delle due società è stato delineato dall’inchiesta condotta nel luglio 2007 dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di quindici persone, tra cui gli esponenti di spicco dei clan Piromalli di Gioia Tauro, Pesce di Rosarno, Condello di Reggio Calabria, Longo di Polistena e Mancuso di Vibo Valentia.

Per i lavori autostradali nel tratto compreso tra gli svincoli di Rosarno e Gioia Tauro, le cosche avrebbero imposto ad Impregilo e Condotte l’assegnazione dei lavori e la fornitura di materiali e servizi ad imprese a loro vicine, più una tangente del 3% sul valore delle commesse.


Spiega Confesercenti: “La scelta da parte di entrambe le imprese di investire personaggi discussi della carica di capo aerea della Calabria, secondo gli investigatori non era casuale ed a testimoniarlo vi sarebbero delle conversazioni intercettate e le indagini pregresse che avevano già portato ad inquisire due professionisti. Nelle intercettazioni risalta la piena consapevolezza delle regole mafiose imposte dalle organizzazioni criminali e l’adeguamento ad esse da parte delle grosse imprese, le quali recuperavano il famoso 3% da destinare alle cosche mediante l’alterazione degli importi delle fatture”.


Ogni intervento sui cantieri era già stato attribuito a tavolino alle varie cosche, secondo rigide regole territoriali: ai Mancuso è toccata la competenza nel tratto Pizzo Calabro-Serra San Bruno, ai Pesce quello tra Serre e Rosarno, ai Piromalli l’area tra Rosarno e Gioia Tauro. “Le procedure di subappalto erano state avviate ancor prima dell’autorizzazione dell’ente appaltante, il tutto a scapito delle imprese pulite estromesse dalle gare in quanto non gradite all’ambiente”, conclude Confesercenti.11

La prefettura di Reggio Calabria aveva sempre negato la certificazione antimafia alle ditte sospette, ma puntualmente esse erano riammesse ai subappalti grazie alle benevoli sentenze del Tar della Calabria.


Destino beffardo quello dei lavori autostradali: il 1° aprile 2005 il consorzio Impregilo-Condotte aveva firmato con la Prefettura di Reggio Calabria e l’ANAS, un protocollo d’intesa per la “prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiose durante la realizzazione dell’opera”. Le due società si erano impegnate, in particolare, ad “adottare tutte le misure del caso atte ad evitare affidamenti ad imprese sub-appaltatrici e sub-affidatarie nel caso in cui le informazioni antimafia abbiano dato esito positivo”, e ad effettuare “controlli, verifiche e monitoraggi per scongiurare l'intromissione di imprese irregolari, forme di caporalato o lavoro nero”.

Chissà cosa faranno per il Ponte...



E il certificato antimafia?


Nell’euforia generale post-elezioni dove vincitori e sconfitti preannunciano il riavvio dell’iter progettuale ed esecutivo della megainfrastruttura tra Scilla e Cariddi, è finita nell’oblio una vicenda inquietante che in uno Stato di diritto, perlomeno avrebbe dovuto imporre a forze politiche, imprese, organizzazioni sindacali e sociali, organi giudiziari, una pausa di riflessione sull’intero sistema delle Grandi Opere.


Nella primavera 2008, infatti, è stato negato il certificato antimafia alla società Condotte, terza in Italia per fatturato e in gara – oltre al Ponte – per l’Alta Velocità ferroviaria e il Mose di Venezia.


Il fatto è stato reso noto direttamente dall’allora ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro.

Nei giorni scorsi - ha spiegato il ministro - avevo segnalato al ministero dell’interno come dalle indagini della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria e di altri organi investigativi era emerso uno stretto legame tra la società e la criminalità organizzata calabrese, in particolare in merito alla gestione di alcuni cantieri dell'autostrada Salerno-Reggio Calabra e della nuova strada statale 106 Jonica”.



Alla mia segnalazione - ha proseguito Di Pietro - il ministro Amato ha risposto rendendomi noto che a seguito del parere del comitato per l’alta sorveglianza, attivo presso il dicastero dell’interno, il prefetto di Roma ha adottato, lo scorso 20 marzo un provvedimento di diniego della certificazione antimafia nei confronti della società Condotte”.

Tutto questo ho tempestivamente comunicato all’ANAS - ha concluso il ministro - oltre che agli altri organi competenti, affinché adottino tutti i provvedimenti del caso, in merito ai cantieri della A/3 e della 106, ma anche in relazione ad eventuali altri rapporti contrattuali, gestiti da controllate o dalle concessionarie autostradali”.12


Il nulla osta antimafia è richiesto nelle distinte fasi dell’appalto e non solo all’inizio e serve per ottenere i pagamenti in ogni fase di avanzamento dei lavori. Anche se ogni prefettura è autonoma nella valutazione discrezionale sul provvedimento, buon senso impone che le altre prefetture vi si adeguino, negando la certificazione per gli altri appalti ricadenti nella loro giurisdizione.


Il provvedimento di revoca del certificato antimafia è stato pure commentato dal prefetto Bruno Frattasi, alla guida del Comitato di sorveglianza sulle grandi opere. Frattasi, in particolare, ha fatto riferimento a “numerose verifiche del gruppo interforze di Reggio Calabria, che ha visitato più volte i cantieri trovando un contesto ambientale inquinato”. 13

Si è pure appreso che sempre in data 20 marzo 2008, la stessa Prefettura di Roma ha provveduto ad invitare la capofila Impregilo a “procedere alla estromissione, con eventuale sostituzione, della Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.a. dalla propria compagine sociale” nel termine di trenta giorni, pena il “recesso del contratto ai sensi dell’art. 11, comma tre, del DPR 3.6.1998, n. 252”.


A seguito della comunicazione del ministero delle Infrastrutture, l’ANAS ha provveduto in data 2 aprile alla “revoca di tutti i contratti con Condotte”, ma il diniego è stato poi tamponato con un ricorso della società di fronte al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che l’11 aprile ha concesso la sospensiva del provvedimento, in attesa della causa di merito.


Al colosso delle costruzioni italiane non è comunque mancata la piena solidarietà dell’associazione di categoria dei general contractor, l’AGI (Associazione Grandi Imprese).

Un suo comunicato recita che “la revoca dei contratti avrebbe effetti di devastante gravità per una delle maggiori, più antiche e più qualificate imprese del settore”. Per la cronaca, vicepresidente di AGI è l’ingegnere Duccio Astaldi, vicepresidente di Condotte d’Acqua.


Con la mafia, parole dell’ex ministro delle Infrastrutture Lunardi, si deve pur convivere.

Così, forse, nessuno richiederà più il certificato antimafia a chicchessia. Oggi, di certo, nessuno ritiene tuttavia ingombrante sedere accanto ad un’impresa fortemente censurata dall’autorità giudiziaria e dai ministri di un esecutivo. Nelle isole Eolie, ad esempio, Condotte d’Acqua ha costituito da poco una società mista con il comune di Lipari, la “Porti di Lipari S.p.a.”, per la realizzazione di un devastante programma di porti e porticcioli.

Grande sponsor dell’iniziativa l’intero stato maggiore di Alleanza Nazionale nella provincia di Messina.


L’assedio allo Stretto continua.

1 G. Colussi, “Perché i mafiosi amano tanto il ponte”, Carta, n. 19, 16-22 maggio 2002, pag. 27.

2 R. Sciarrone, “E la mafia, starà a guardare? Il rischio criminalità”, in AA.VV., “Ponte sullo Stretto”, Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali, Donzelli Editore, Roma, 2001, p. 181.

3 A. Mazzeo, “Nuovo allarme Dia sugli interessi della mafia del Ponte”, 4-11-2005, www.terrelibere.org./noponte/oss.php.

4 Dia, Secondo rapporto semestrale anno 2000, Roma, 2001.

5 M. De Bonis, “Un ponte per due mafie”, Limes, 2/2005, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma, pp. 115-120.

6 L’Opinione, 11 febbraio 2006.

7 S. Lenzi, Il Ponte sullo Stretto: la natura è/e Cosa Nostra. Appunti per una riflessione comune, WWF, Roma, 2005.

8 Sull’intera vicenda Rizzuto e sui gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato le gare d’appalto per l’avvio dei lavori del Ponte di Messina si veda: A. Mangano, A. Mazzeo, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte, Edizioni Punto L, Ragusa, 2006.

9 Il filo conduttore Ponte sullo Stretto-mafie-nuovo interventismo militare internazionale è oggetto di una ricerca condotta dall’autore per conto del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo, di prossima pubblicazione.

10 Sos Impresa/Confesercenti, Le mani della criminalità sulle imprese. X Rapporto, Roma, 22 ottobre 2007, p. 22.

11 Ibidem., p. 23.

12 “Anas: A3, Di Pietro segnala rapporti Condotte-‘Ndrangheta”, www.larepubblica.it, 1 aprile 2008.

13 V. Uva, “Antimafia, Condotte si ferma”, Il Sole-24 Ore, 3 aprile 2008.

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Università degli Studi di Napoli Federico II

Facoltà di Architettura

Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica

Associazione

Cantieri Sociali

Napoli




Partecipazione e deliberazione pubblica: mappe e sentieri


Jacob philipp Hackert : La mietitura a san Leucio


Facoltà di Architettura, Via Forno Vecchio 36, Napoli


Venerdì 13 Giugno 2008 Ore 9 – 19



Ore 9.15 Prima parte

Presentazione del seminario e relazioni introduttive

Luigi Pellizzoni: Democrazia deliberativa: di che parliamo ?
Giovanni Laino: La partecipazione come mobilitazione sociale delle - e con le - persone
Annalisa Pecoriello: La partecipazione fra pratiche diffuse e istituzionalizzazione: riflessioni

sull’esperienza toscana.

10.30 Pausa caffè


Ore 10.50 Seconda parte

La democrazia partecipativa: strumenti e pratiche a Napoli. Giornali e blog: testimonianze di promotori e gestori di blog e giornali a Napoli. Coordina Enrico Rebeggiani


Presentazione della rivista Partecipazione e conflitto

Simone Tosi e Fabio De Nardis


Ore 13.30 pasto conviviale in sede

Ore 15 Terza parte

Cantieri sociali per l’equità e l’attivazione

Testimonianze e interventi programmati di attivisti testimoni e riferimenti di micro reti napoletane che, con stili e modalità differenti, praticano la ricerca pertinente.

Dibattito. Coordina Andrea Morniroli


Ore 16.30 Quarta parte

Conclusioni: Judith Allen, Francesca Gelli, Daniela Lepore, Luigi Pellizzoni

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