Traduzioni

27 marzo 2008

giugliano fronte popolare attac

Giugliano Fronte Popolare - Attac - fa appello a tutte le realtà e ai singoli che in questi mesi hanno lottato contro lo scempio ambientale perpetrato nella nostra Regione perchè aderiscano e partecipino al forum convocato dalla Rete Campana Salute e Ambiente per il 29 marzo e il 5-6 aprile.
Nei mesi di lotta a Taverna del Re abbiamo avuto modo di conoscere molti di voi, di incontrarci, di confrontarci e sopratutto di ricevere tanta solidarietà concreta senza la quale forse non avremmo avuto la forza di andare avanti fino alla chiusura del sito. Potremmo fare un bilancio negativo di quest’esperienza, dirci che infondo nulla è cambiato e che prima o poi ritorneranno qui da noi a Giugliano per aprire l’ennesimo sito. O potremmo, al contrario, crogiolarci stupidamente per un'esperienza che ci ha visto comunque protagonisti attivi dandoci un pò di visibilità nella nostra città.
In entrambi i casi forse non coglieremmo l'aspetto più importante scaturito da tutte le esperienze di resistenza sorte nella nostra regione in seguito all'ultima emergenza rifiuti, che è quello del crescere, anche qui in Campania, di un movimento che comincia a pensare ad un modo diverso di intendere lo sviluppo della nostra società. Un movimento che non prescinde dalla ricerca di un'alternativa necessaria a questo sistema istituzionale che rappresenta solo il blocco sociale dei poteri forti e criminali, rivendicandone quindi l'autonomia. Le assemblee dei presidi, le manifestazioni regionali, le mille connessioni che si sono create, tutto il lavoro della Rete Campana, come di altre realtà ambientaliste, sono stati elementi embrionali di democrazia che non solo hanno coinvolto tante persone che prima erano assolutamente lontane dalla militanza politica ma hanno anche messo in discussione pratiche e settarismi di chi l'impegno politico lo praticava da tempo, magari ripercorrendo schemi ormai avvizziti.
Le nottate passate nei vari territori intorno ad un fuoco per difendere una discarica hanno rappresentato per molti un “altro modo” di essere protagonisti e partecipi della vita sociale, in un tempo in cui chi ci governa ha tutto l’interesse a tenerci chiusi nelle nostre case aspettando dal televisore la reclame del nuovo prodotto da acquistare. La creazione di una nuova identità collettiva scaturita da quelle lotte, il senso del protagonismo alternativo alla rassegnazione, per la difesa del bene comune, è il tesoro più importante da preservare.
In questa fase deprimente in cui tutto sembra perso, in cui la logica dell'emergenza sembra tornare vincente strappando, come a Marigliano e in altri luoghi, altro territorio per i soliti interessi, in cui, anche culturalmente, è paradossalmente vincente l’opzione inceneritorista portata avanti dagli stessi carnefici dei nostri territori, è assolutamente necessario rilanciare l'iniziativa delle realtà che si sono connesse in questi mesi uscendo, noi tutti, dalla logica che ci vede uniti solo nei momenti di massima realizzazione dei conflitti nei territori per poi tornare ognuno a coltivare il proprio orticello. Si è creata ormai una piattaforma comune che è stata ben individuata nella bozza di documento con cui la Rete convoca le giornate d’incontro:

- autonomia da tutti i soggetti istituzionali, critica del sistema dei partiti, ricerca di nuove forme di democrazia avanzata nel governo pubblico

- promozione di uno sviluppo territoriale socialmente equo ed ambientalmente compatibile, teso al recupero ambientale del territorio, alla difesa dei beni comuni, al perseguimento della piena occupazione

- promozione di una gestione dei rifiuti alternativa all’incenerimento ed ispirata all’opzione rifiuti zero, fondata sulla riduzione di prodotti destinati allo scarto, il riutilizzo degli oggetti, il recupero della materia nei cicli produttivi umani e naturali

Su queste discriminanti è importante riprendere il filo di un discorso comune e costruire spazi di confronto che ci aiutino a declinare queste "parole d'ordine" nelle nostre realtà e nelle nostre pratiche di partecipazione democratica. Come affrontare il tema della democrazia sospesa e della repressione? Come costruire un'alternativa valida alla rappresentanza politica? Quali pratiche da intraprendere? Quale il rapporto con i mezzi di informazione? Quale la transizione concreta, che noi proponiamo, verso un nuovo piano rifiuti non basato sull'incenerimento? Come uscire realmente dalla logica dell'emergenza che inevitabilmente mette i territori gli uni contro gli altri? Come connettere le nostre esperienze a quelle italiane ed europee che già da anni sperimentano forme di resistenza?
Il lavoro da fare è davvero grande, c'è l'urgenza quindi di incontrarsi ed essere molto concreti per dare forza e realismo a quello che in tanti abbiamo professato in questi mesi. Ma è soprattutto importante non perdere le persone incontrate nei presidi e rafforzare un modo diverso di essere nella società.
Facciamo dunque appello a noi come a tutti perchè si esca dalla logica di gruppo e dal settarismo miope che spesso ci divide rendendo sterili le nostre iniziative e perchè non si perda l'occasione di confronto rappresentato dal forum convocato dalla Rete per il 29/3 e il 5-6/4.
Giugliano Fronte Popolare - Attac

Una nuova politica delle risorse territoriali

Una nuova politica delle risorse territoriali per una nuova democrazia

Bozza di appello per la costruzione di una assemblea pubblica regionale

sulla crisi ambientale e democratica in Campania

L’emergenza rifiuti è specchio e causa principale della profonda crisi ambientale e politica della Campania. Attraverso il traffico e lo smaltimento abusivo di rifiuti tossici, cui è seguita la fallimentare gestione privatistica dei rifiuti ordinari, si è determinato l’avvelenamento del suolo e delle acque e realizzata la progressiva compenetrazione di interessi tra organizzazioni criminali, classe politica, apparati istituzionali e gruppi imprenditoriali, locali e nazionali. Questo sistema politico-affaristico, utilizzando le logiche emergenziali, ha violato sistematicamente lo stato di diritto ed eluso ogni forma di partecipazione e controllo dei cittadini al governo del territorio.

Le resistenze civili praticate in questi anni da comitati, associazioni e movimenti hanno più volte denunciato ragioni e responsabilità di questo processo, contrastando ed ostacolando scelte perniciose; non riescono però ancora a divenire forza di scardinamento del blocco sociale responsabile della catastrofe in corso e farsi promotrici di un nuovo progetto di sviluppo per Napoli e la Campania.

La mancanza a tutt’oggi di una legge sui reati ambientali e di un serio piano di bonifiche e messa in sicurezza del territorio; le recenti ordinanze del dimissionario governo Prodi, relative all’estensione dei contributi CIP 6 ai tre inceneritori campani ed alla possibilità di bruciare le balle non a norma nel termodistruttore di Acerra, nonostante per quel luogo sia stato dichiarato dallo stesso governo lo stato di emergenza ambientale; la decisione commissariale di affidare alla FIBE il completamento dell’impianto acerrano; la gestione infine dei siti di discarica, con scelte del tutto inadeguate dal punto di vista idrogeologico ed ambientale, conseguite tramite occupazioni militari e cariche violente contro le popolazioni che si opponevano a tali scelte, delineano la volontà del Governo e di tutti i livelli dello Stato, sostenuti dal complesso delle forze politiche e degli apparati istituzionali, di arrivare ad una “soluzione finale” del problema rifiuti che nulla conceda all’azione dei movimenti ed annichilisca la stessa dialettica democratica.

Riteniamo quindi urgente un confronto concreto e produttivo tra le realtà di base, associazioni, comitati e comunità in lotta, per costruire un’azione comune e condivisa; un confronto che sia ispirato alla massima apertura ed incentrato su poche e semplici discriminanti:

- autonomia da tutti i soggetti istituzionali, critica del sistema dei partiti, ricerca di nuove forme di democrazia avanzata nel governo pubblico

- promozione di uno sviluppo territoriale socialmente equo ed ambientalmente compatibile, teso al recupero ambientale del territorio, alla difesa dei beni comuni, al perseguimento della piena occupazione

- promozione di una gestione dei rifiuti alternativa all’incenerimento ed ispirata all’opzione rifiuti zero, fondata sulla riduzione di prodotti destinati allo scarto, il riutilizzo degli oggetti, il recupero della materia nei cicli produttivi umani e naturali

Invitiamo tutti i soggetti che nella nostra regione s’impegnano per un diverso modello di governo del territorio, fondato sulla partecipazione popolare e la tutela delle risorse locali, nonché le realtà di base nazionali attive nella difesa del territorio e dell’ambiente, ad incontrarsi in due giornate di riflessione e confronto, sabato 29 marzo e sabato 5 aprile (con possibile estensione alla mattina di domenica 6) con le seguenti finalità operative: fare il punto della situazione, confrontare le rispettive esperienze e strategie, verificare la possibilità di un programma di azioni comune.

I principali temi di discussione verteranno su:

- quadro attuale e previsioni sulle politiche istituzionali dei rifiuti a livello locale, nazionale, europeo

- strategie attivabili dal basso per contrastare la crisi della democrazia rappresentativa e dello stato di diritto nel governo del territorio (dalle azioni politiche a quelle giuridiche)

- scelte tecniche ed organizzative necessarie ad avviare immediatamente la transizione ad una diversa gestione dei rifiuti e alla bonifica dei territori inquinati

- definizione di modalità operative e strategie comunicative condivise

La prima giornata sarà caratterizzata da una discussione volta alla conoscenza ed al confronto delle singole esperienze mentre la seconda verterà sulla definizione delle strategie e delle iniziative comuni.

Promuovono: Rete Campana Salute ed Ambiente, Comitato Allarme Rifiuti Tossici, Meetup Napoli, …

Per aderire alla costruzione dell’iniziativa e dell’appello, contattare via mail i seguenti indirizzi: assisebagnoli@libero.it, info@allarmerifiutitossici.org, …


biglietti-scherzetti

tutto nasce da una battuta, più che un'intenzione, a margine di una nota di giovanna che segnalava nella finanziaria una norma sul rimborso fiscale dei biglietti e riprendeva l'invito di non i ricordo quale ente a non gettare i biglietti (il tutto è nell'archivio di oggi in cantiere sul blog).

cara carla,

...Per il resto, ho sperimentato il riuso del biglietto del bus (suggerimento di Susi nel blog). Scendendo dalla Cumana, ho dato il mio biglietto (usato per 10 minuti) ad una ragazza che stava avvicinandosi alla biglietteria per comprarlo. Mi è sembrata la soluzione più pratica. La tipa è rimasta assai perplessa per un attimo, poi ha sorriso e ringraziato. Io mi sono divertita assai. Fino a quando la security della sespa non mi (bip...), mi sembra una bella pratica di “incursione” civile. la proporrei come buona pratica di valorizzazione dei mezzi pubblici e di acquisto condiviso dei biglietti. (bip...).

Saluti
Giovanna

ndr (i bip sono miei omissis d'autorità)

rif da susi a giovanna e carla

anche io e gigi domenica l'abbiamo fatto, fuori alla metro a piazza cavour ce l'hanno chiesto e glielo abbiamo dato. poi non abbiamo trovato posto al concerto che c'era al museo e siamo tornati indietro e abbiamo pagato un altro biglietto, comprendendo che prima di darlo bisogna essere sicuri di non dover tornare prima del tempo. Legalmente non credo che anm o sepsa possano fare nulla, ma mi informerò e in ogni caso è una questione che prenderei davvero volentieri.

da carla a giovanna

cara giovanna,

Per quanto riguarda i biglietti dei servizi di trasporto pubblico è un'iniziativa che non condivido, i biglietti bisogna pagarli perchè le aziende vivono anche di biglietti.
MI sono occupata dell'ANM per 5 anni e ho fatto una battaglia proprio per far pagare i biglietti agli utenti, per risanare l'azienda.

da giovanna a carla e a susi

Cara Carla,
L’iniziativa proposta non è per non pagare il biglietto, ma per farlo “vivere” tutti i 90 minuti, e promuovere il maggiore uso dei mezzi pubblici con biglietto obliterato e valido. Mi rendo conto della tua perplessità. Possiamo trovare una soluzione creativa?
Io uso i mezzi pubblici e pago sempre il biglietto, ma prendo la Cumana per un tragitto di 3 minuti, e poi la riprendo la sera, sempre per 3 minuti. Perché non consentire al mio biglietto di portare qualcuno per un altro pezzo di strada?
Ho avuto un’idea così scorretta? Sono disposta a rifletterci meglio


da susi a carla e giovanna

care carla e giovanna,
dalle prime indagini che sto svolgendo osservo quanto segue:
sul retro del biglietto è scritto: una volta convalidato il biglietto è personale e non può essere ceduto. Non credo che vi siano al riguardo riferimenti giuridici, ma piuttosto si tratta di una regola interna forse legata ad una offerta "a prezzo promozionale". La regola non è chiara perchè c'è promiscuità tra possesso- ceditura nel momento della fruizione del servizio e titolarità del biglietto che richiederebbe la trascrizione dei dati anagrafici (come avviene per l'abbonamento).
Quanto all'impatto economico per capire se vi è danno per il venditore occorrerebbe saper meglio il rapporto medio utenze/tempi e, posto che non sembrano esserci costi di servizio diversi nelle due diverse ipotesi di utilizzo del biglietto (unica per l'intero periodo o plurima per frazioni di periodo) ma solo mancati introiti aggiuntivi, valutare, considerato che il costo del servizio dovrebbe fare riferimento principalmente al mezzo e alla linea percorsa e solo marginalmente al numero di utenti o alla lunghezza delle fruizioni, se all'azienda non converrebbe ponderare il costo considerandolo anche plurimo ovvero se all'utente non converrebbe pagare a percorrenza. Insomma se il prezzo così com'è è giusto (aziendalmente e socialmente).
Sotto il profilo sociale, 1 euro e 10 al dì non mi sembra roba che si possa marginalmente gettare di questi tempi considerato anche che chi usa i mezzi pubblici qui da noi più che altrove non naviga nell'oro, paga più che altrove (a Roma 1 euro) e aspetta-perde più tempo La redistribuzione, da questo punto di vista, mi sembra conventiente ed equa per noi.
I margini di perdita per l'anm, su residui di 90 minuti, sarebbero tanto forti? e non recuperabili con altre efficienze, ad esempio di immagine?. E poi il trasporto pubblico non è co-finanziato ?
comunque tutto questo adesso lo vorrei mettere sul blog che ne dite? è uno spunto, in sè forse anche scemo ma forse significativo dell'intreccio tra "temi" e "quello che ci capita".

da giovanna a susi

Sui biglietti dei bus, si potrebbe partire con l’iniziativa, in parte discutibile, che sfrutta l’interpretazione creativa di una regola, comunque per promuovere mezzi pubblici e biglietti pagati, e indurre nei gestori o negli amministratori la valutazione di inserire nell’offerta dei titoli di viaggio un nuovo titolo utilizzabile in questo modo, e proprio allo scopo di promuovere una mobilità più sostenibile. Io sarei disposta anche ad andarci a parlare.

Ciao Giovanna

da carla a giovanna e susi

Mie care,
non è soltanto una questione giuridica, ma per me sostenziale.
Parliamo di città ecosostenibili, di salvaguardia dei beni comuni (fra i quali anche aria e suolo) e uno dei settori più coinvolti è proprio quello dei trasporti.
Penso siamo tutte d'accordo che bisogna promuovere i trasporti pubblici, per migliorare la qualità dell'aria, per diminuire la congestione da traffico e l'inquinamento visivo dovuto alle macchine in circolazione e in sosta.
Un trasporto pubblico efficiente costa e questi costi sono coperti per il 20% dai biglietti e per l'80% dai contributi pubblici. Questi ultimi, dopo una breve stagione di potenziamento nel primo Governo Prodi, hanno subito con le finanziarie successive un progressivo decremento che ha portato ad una oggettiva contrazione del servizio offerto, ovviamente soprattutto per quanto riguarda il trasporto su gomma.
Secondo me quindi vanno pagati i biglietti se non altro per pretendere un servizio migliore, andrebbe quindi privilegiato l'abbonamento che rimane ad un costo tutto sommato conveniente.

ed infine (per adesso) da giovanna a carla e susi

sono daccordo a pubblicare sul blog, non voglio proporre iniziative scorrette. sono anni che predico di prendere i mezzi e di pagare il bilgietto, i miei figli mi prendono anche in girotrovo interessante la prospettiva di trovare un modo per creare un meccanismo incentivante e divertente per cui da un utente si possa spingere un altro utente ad usare il mezzo pubblico

ps documentazioni su unico campania

25 marzo 2008

Due o tre cose che so di loro (terza parte)

DUE O TRE COSE CHE SO DI LORO.

Capitolo III

I rifiuti prodotti dai termovalorizzatori

Federico Valerio



Nella pubblicità a favore degli inceneritori la termovalorizzazione dei rifiuti, è di solito contrapposta all’uso delle discariche, descritte come inquinanti, spesso gestite da mafia e camorra e, comunque, sempre prossime all’esaurimento.


A seguito di queste campagne mediatiche, la percezione pubblica è che gli inceneritori, “termodistruggendo” i rifiuti, eliminano il problema discariche e che le poche ceneri prodotte dall’inceneritore, grazie all’azione purificatrice del fuoco, siano inerti e quindi stoccabili senza problemi. Addirittura, la percezione dell’apparente innocuità delle ceneri porta a pensare che esse possano essere “riciclate” per fondi stradali, nella produzione di ceramiche e di cemento, come si è fatto in diversi paesi.

Se dalla pubblicità si passa alla realtà, la situazione è un po’ più complessa e meno tranquillizzante.

In sintesi, in base agli studi più recenti, si può affermare che gli inceneritori producono rifiuti in quantità tutt’altro che trascurabile e, in parte, con una tossicità maggiore di quella presente nei rifiuti termovalorizzati.

Gli inceneritori producono rifiuti solidi sotto forma di ceneri, classificabili, in base alla loro densità, in ceneri pesanti e leggere (in inglese si definiscono, rispettivamente, come bottom ash e fly ash).

Nelle ceneri pesanti si trova il residuo incombustibile dei rifiuti trattati (vetro, ceramiche, metalli, sali ed ossidi) che si accumula sul fondo della camera di combustione.

Le ceneri leggere sono formate dalle polveri presenti nei fumi e separate da questi con adeguati sistemi di depurazione, prima di essere immessi in atmosfera

La quantità di ceneri pesanti e leggere che produce un inceneritore dipende ovviamente dalla quantità e dal tipo di rifiuti “termovalorizzati” e dai sistemi di trattamento fumi. In quest’ultimo caso è ovvio che maggiore è l’efficienza dei sistemi di filtrazione e lavaggio fumi, maggiore è la quantità di ceneri leggere prodotte dall’inceneritore.

Per non rimanere nel vago riportiamo la quantità di ceneri pesanti e di ceneri leggere prodotte annualmente dall’inceneritore di Brescia, in base al rapporto della apposita Commissione istituita dal Comune di Brescia (1).

Nel 2003, l’inceneritore di Brescia, portato spesso a modello di moderna gestione integrata dei rifiuti, ha “termovalorizzato” 552.138 tonnellate di rifiuti urbani e ha “prodotto” 124.546 tonnellate di ceneri pesanti e 28.286 tonnellate di ceneri leggere.

Pertanto, il peso di tutte le ceneri prodotte (152.832 tonnellate: ceneri pesanti+leggere) corrisponde al 27,6 % del peso dei rifiuti trattati (22,5 % polveri pesanti; 5,1 % polveri leggere).

Nelle ceneri pesanti c’erano anche 5.730 tonnellate di ferro (non conteggiate nella produzione di ceneri in precedenza citata) che, dopo la combustione, è stato separato dalle ceneri con elettromagneti e riciclato.

Quello che segue è il testo sulla destinazione finale delle ceneri, o meglio dei prodotti residui, come riportato (alla lettera) dal rapporto dell’Osservatorio sul funzionamento del Termovalorizzatore di Brescia (1):

Le scorie (ceneri di fondo caldaia) vengono riutilizzate in discarica, in sostitituzione della ghiaia di copertura.

Le polveri dai filtri di depurazione vengono conferite a ditte specializzate per il trattamento e lo smaltimento di rifiuti pericolosi, secondo le disposizioni di legge.”

Un commento a queste dichiarazioni ci sembra opportuno.

Le ceneri pesanti prodotte dall’inceneritore di Brescia (124.546 tonnellate nel 2003) sono inviate alla discarica di Montichiari che, nel 2003, ha ricevuto anche una quantità molto simile (115.765 tonnellate) di rifiuti urbani (2).

In base a questi dati, affermare che le ceneri sono state utilizzate come copertura dei rifiuti urbani è un chiaro espediente linguistico, per evitare di dire che, in realtà, anche le ceneri prodotte dall’inceneritore sono rifiuti da mettere a discarica in quanto la loro quantità è rilevante e contribuisce significativamente a ridurre le vita operativa della discarica stessa.

Nel 2004 l’inceneritore di Brescia ha attivato una terza linea di trattamento, dedicata alle cosidette biomasse (circa 200.000 tonnellate anno). Con questa scelta, ogni anno nello stesso impianto sono inceneriti complessivamente circa 750.000 tonnellate di rifiuti che portano la produzione annua di rifiuti solidi da incenerimento a 168.750 tonnellate di ceneri pesanti e 38.250 tonnellate di ceneri leggere.

Pertanto la produzione annua di ceneri pesanti prodotte dall’inceneritore di Brescia e messe a discarica, equivale alla totale produzione di rifiuti di 339.537 abitanti della Lombardia (produzione media procapite di rifiuti nel 2003, in Lombardia: 497 chili).

Per quanto riguarda le polveri dai filtri di depurazione (ceneri leggere) il documento della Commissione bresciana giustamente li classifica come rifiuti pericolosi, ma volutamente ignora il luogo dove queste ceneri sono trattate, il tipo di trattamento ed, in particolare, il nome della località dove queste ceneri sono stoccate in modo definitivo e…quali sono i costi di questa operazione.

Costi certamente non trascurabili, in quanto siamo in grado di affermare con certezza che gran parte delle ceneri volanti dell’inceneritore di Brescia, con le dovute cautele, è inviato in una vecchia miniera di salgemma in Germania, dove le favorevoli condizioni geologiche garantiscono uno stoccaggio “ad aeternum” sufficientemente sicuro per rifiuti che, come ora vedremo, sono dei veri e propri rifiuti tossici prodotti dal termovalorizzatore



Ceneri pesanti

Si potrebbe credere che i nostri rifiuti trattati da un inceneritore, dopo essere stati per un’ora ad una temperatura compresa tra 850 e 1200 gradi centigradi, lascino solo ceneri inerti, senza problemi ambientali e sanitari.

Questo era quello che si credeva fino agli anni ’70, ma gli studi sulle discariche di ceneri effettuati negli anni ‘90 smentivano clamorosamente queste credenze.

Questi studi, effettuati in Germania, hanno verificato che le ceneri, durante il loro stoccaggio, sviluppano calore che porta la temperatura delle ceneri stesse fino a 90 gradi (3).

Questo fenomeno avviene anche con le ceneri pesanti di moderni termovalorizzatori, con temperature fino a 70 gradi, raggiunte dopo sette mesi della loro messa a dimora (4-5).

A queste temperature non può essere garantita la tenuta meccanica delle membrane polimeriche e degli strati di argilla, posti sul fondo della discarica con lo scopo di bloccare la diffusione nel terreno circostante di eventuali eluati prodotti dalla discarica.

E gli eluati delle ceneri pesanti sono tutt’altro che inerti.

Uno studio condotto sugli effetti tossici di lisciviati di ceneri pesanti prodotti da inceneritori operanti in Belgio, Francia, Germania, Italia, e Regno Unito (6) ha classificati tutti i loro lisciviati come eco-tossici per gli effetti indotti su batteri, alghe, crostacei e vegetali. E uno studio più recente (7) ha anche evidenziato un effetto genotossico di soluzioni di acqua messa a contatto con ceneri pesanti.

Nelle ceneri pesanti possono essere ancora presenti Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) cancerogeni, a concentrazioni comprese tra 89 e 438 microgrammi per chilo di ceneri(8), valori che, alle concentrazioni più elevate, superano i valori guida stabiliti dal governo svedese per l’uso di terreni sensibili (parchi pubblici, parchi gioco…) e le comuni concentrazioni di IPA nei terreni svedesi.

Misure di IPA nei rifiuti, nelle ceneri pesanti e nelle ceneri leggere di un impianto di incenerimento cinese a letto fluido (9) hanno permesso di verificare che le ceneri leggere avevano una quantità di IPA cancerogeni maggiore di quella che si trova nei rifiuti; in particolare, nelle ceneri più contaminate, la concentrazione di queste sostanze tossiche era circa 8 volte maggiore di quella presente nei rifiuti.

Come vedremo meglio nel prossimo capitolo questa è una caratteristica molto frequente nelle ceneri leggere.



Ceneri leggere

Metalli

Il trattamento termico a cui sono sottoposti i rifiuti “termovalorizzati” non può eliminare i metalli presenti nei rifiuti stessi ma l’incenerimento, a causa delle complesse reazioni che avvengono durante la combustione dei rifiuti, può trasformarli in forma chimica più tossica o più facilmente biodisponibile per organismi viventi che ne venissero a contatto.

Un esempio è quello del cadmio che nei rifiuti può essere presente sotto forma di solfuro, ossido o metallo. In queste forme la tossicità del cadmio è molto ridotta, in quanto il cadmio metallico, il solfuro e l’ossido di cadmio sono poco solubili in acqua e quindi, se inalati o ingeriti non sono assorbiti dall’organismo ospite e quindi non provocano effetti tossici.

Tuttavia, nei fumi di un inceneritore sono presenti elevate quantità di acido cloridrico, ad esempio dai camini dell’inceneritore di Brescia ogni anno escono 21 tonnellate di acido cloridrico (1).

L’acido cloridrico, reagendo con ossido o solfuro di cadmio trasforma questi due composti in cloruro di cadmio, un sale molto volatile e molto solubile in acqua e quindi molto tossico, anche perché soggetto a fenomeni di bio accumulo lungo la catena alimentare.

Uno studio sulla concentrazione di cadmio nell’aria, realizzato tra il 1986 e il 1990 a Genova e a La Spezia (10) in diverse zone delle due città e, a campione, nei centri urbani di altre 16 città italiane, evidenziava la maggiore concentrazione di cadmio (8 nanogrammi per metro cubo) a Genova, nella zona di impatto del termovalorizzatore allora in funzione, il quartiere di Staglieno. La conferma del ruolo dell’inceneritore nell’inquinamento di questa zona della città si ottenne con misure effettuate nella stessa zona, dopo la chiusura dell’inceneritore, che permisero di verificare la drastica diminuzione, solo in questa parte della città, della concentrazione del cadmio (più del 90%).

Oggi, i più efficaci sistemi di trattamento fumi riducono la quantità di metalli e di composti tossici che un inceneritore emette in atmosfera ma, inevitabilmente, aumentano la loro quantità presente nelle ceneri leggere trattenuti dai sistemi di filtrazione.

Ad esempio, nei fumi dell’inceneritore di Brescia nel 2003, in ogni metro cubo di fumi emessi in atmosfera erano presenti da 10 a 120 nanogrammi di cadmio, a seconda del tipo di rifiuto bruciato durante i 60 minuti di campionamento, una concentrazione ampiamente in regola con i limiti di legge (50.000 ng come somma di cadmio e tallio).

Non sappiamo quanto cadmio sia presente nelle ceneri leggere prodotte dall’inceneritore di Brescia e spedite in Germania, ma possiamo riportare le concentrazioni di metalli pesanti (milligrammi per chilo) trovate con maggiore frequenza nelle ceneri leggere prodotte dagli inceneritori inglesi (11) e (in parentesi) il loro fattore di arricchimento, rispetto alle concentrazioni tipiche di questi metalli nel suolo inglese: Cadmio: 271 mg/kg (378); Piombo: 4.337 mg/kg (108).

Come si può vedere, la concentrazione di cadmio e piombo nelle ceneri è molto maggiore di quella che si trova naturalmente nei terreni inglesi, è pertanto evidente che l’immissione di queste ceneri nell’ambiente non può essere effettuata con leggerezza.

Lo stesso studio stimava che l’incenerimento dei rifiuti inglesi mandava ogni anno nelle discariche, sottoforma di ceneri leggere, 15 tonnellate di cadmio e 241 tonnellate di piombo, una situazione da non sottovalutare per il potenziale rischio per l’ambiente e la salute umana in quanto questi metalli, come abbiamo visto, dopo l’incenerimento sono molto più disponibili ad andarsene in giro per terreni, piante commestibili, animali di allevamento, esseri umani.

E se le concentrazioni sulle ceneri degli inceneritori inglesi sono datate (inizio anni ’90), quelle di seguito riportati fanno riferimento a moderni inceneritori operanti in Giappone e Corea (12). Nel 2003, nelle ceneri leggere prodotte dagli inceneritori giapponesi, la concentrazione di cadmio risultava compresa tra 20 a 90 mg/kg; molto più inquinate da cadmio risultavano essere le ceneri coreane, con una concentrazione compresa tra 220 e 410 mg/kg. In generale, molto piombo si è trovato nelle ceneri prodotte dagli inceneritori operanti in entrambi i paesi: da 340 a 3.600 mg/kg.

Le brutte sorprese sono venute con lo studio della bio disponibilità di questi metalli, infatti si è dimostrato che sono entrambi facilmente lisciviabili. Questo significa che se acqua entra nella discarica dove queste ceneri sono stoccate, quest’acqua assorbe dalle ceneri i metalli tossici e uscita dalla discarica può contaminare terreni, corsi d’acqua, coltivazioni.

E il problema di possibili rischi sanitari è reale, in quanto le prove di lisciviazione delle ceneri hanno potuto verificare che le concentrazioni di piombo nell’acqua di lisciviazione sono superiori ai limiti fissati in Corea e Giappone. Invece, solo le ceneri coreane hanno dimostrato di poter liberare per lisciviazione una quantità di cadmio superiore a quella prevista dall’attuale normativa.

Per valutare serenamente questi fatti occorre ricordare che la concentrazione massima di piombo e cadmio nei rifiuti urbani è rispettivamente di circa 100 mg/kg e 30 mg/kg, nettamente inferiore alla concentrazione media di cadmio e piombo nelle ceneri prodotte con il loro incenerimento.

E anche questi dati confermano come con l’incenerimento dei rifiuti urbani si trasformano materiali, nella maggior parte dei casi inerti e non pericolosi, in rifiuti tossici

Diossine

Prima di trattare questo argomento è necessario precisare che, con la denominazione “diossine”, usato nel testo, si fa riferimento alla somma di tutte le policlorodiossine e tutti i policlorofurani presenti nelle diverse matrici considerate (fumi, ceneri, suolo, alimenti). Inoltre le quantità riportate sono state corrette per la diversa tossicità di ciascuno dei componenti di queste due numerose famiglie chimiche.

Si tratta di una procedura standard studiata appositamente per confrontare la tossicità di miscele di questi composti che possono avere composizioni anche molto diverse.

Pertanto tutte le quantità di “diossine” riportate in questo testo, in termini di tossicità, sono confrontabili ad una pari quantità di 2,3,7,8 tetra cloro diossina, quella più tossica; quella di Seveso, tanto per capirci.

Fatta questa premessa è opportuno farne un’altra: tutti gli inceneritori emettono “diossine” in atmosfera.

Nel 2003, in ogni metro cubo di fumi emesso dall’inceneritore di Brescia (1) si sono trovati “diossine” da 1,6 a 7 picogrammi, ampiamente al disotto dei limiti di legge (100 picogrammi).

Detta così sembrerebbe tutto a posto, ma come già sappiamo (Due o tre cose che so di loro. I Capitolo), per dire qualche cosa di serio sui rischi di chi coltiva insalata o alleva polli sottovento ad un impianto di incenerimento occorre calcolare quanta diossina è emessa complessivamente in un determinato tempo, ad esempio, dopo una giornata ininterrotta di funzionamento.

In base alle stime ufficiali dei gestori dell’inceneritore di Brescia (1), nel 2003, prima dell’ulteriore ampiamento, ogni giorno dai suoi camini sono usciti in media 32.870.000 picogrammi di diossine, equivalenti alla dose tollerabile giornaliera di 234.785 persone adulte.

Questa equivalenza vuol dire poco dal punto di vista della valutazione dei rischi, ma senz’altro suggerisce di non liquidare la questione “diossine” con troppa superficialità.

E per avere il quadro completo dell’impatto da “diossine” di un inceneritore, occorre andare a vedere anche quante “diossine” ci sono nelle sue ceneri.

Non siamo riusciti ad avere nessun dato di questo tipo, con riferimento all’inceneritore di Brescia, ma in letteratura esistono numerosi studi che forniscono questa informazione.

Ci è sembrato utile citare i risultati di uno studio (13) realizzato su un moderno impianto di termovalorizzazione dei rifiuti operante in Italia.

L’impianto tratta 400 tonnellate di rifiuti al giorno su due linee e il trattamento dei suoi fumi è molto sofisticato: filtri a manica, lavaggio in contro corrente ed un catalizzatore finale per abbattere ossidi di azoto e “diossine”.

Le campagne di misura, finalizzate a pesare le “diossine” presenti in diversi punti dell’impianto ha potuto verificare che la concentrazione di “diossine” nei fumi, all’uscita del camino, è compresa tra 34 e 5 picogrammi per metro cubo, prestazioni confrontabili con l’inceneritore di Brescia, ampiamente all’interno degli attuali limiti di legge (100 picogrammi per metro cubo).

Come abbiamo già visto per i metalli, se i fumi di un inceneritore sono relativamente puliti, tutto quello che viene tolto dai fumi si ritrova inevitabilmente, sotto forma di rifiuto, in un’altra fase del ciclo produttivo.

In questo particolare studio, “diossine” sono state cercate e trovate anche nelle ceneri e nei fanghi prodotti da questo impianto.

E questi sono i risultati: in ogni chilo di ceneri pesanti c’erano 34.100 picogrammi di “diossine”, in ogni chilo di ceneri leggere della caldaia i picogrammi di “diossine” erano 116.900, in ogni chilo di ceneri leggere trattenute dai filtri (filtri a maniche) si sono trovati 193.800 picogrammi di “diossine” e in ogni chilo di fango prodotto dai trattamenti ad umido dei fumi i picogrammi di diossine trovate sono stati 604.000.

In questo studio è stata stimata la quantità di diossine prodotta per ogni chilo di rifiuto termovalorizzato e che si accumula nei diversi “rifiuti” prodotti dall’inceneritore; il corrispondente valore, espresso in picogrammi, è riportato in parentesi: ceneri pesanti (7.590 pg); ceneri leggere della caldaia (580 pg); ceneri leggere da filtri a manica (1940 pg); fanghi (160 pg); fumi camino (170 pg).

Pertanto, questo termovalorizzatore produce complessivamente, 10.440 picogrammi di “diossine” per ogni chilo di rifiuti incenerito e la maggior parte (70,4%) si trova nelle sue ceneri pesanti.

Ovviamente, correttezza vuole che la quantità di “diossine” prodotto dall’incenerimento si confronti con quella in origine presente nei rifiuti termovalorizzati.

Lo studio di Giugliano et al. (13) non ha misurato la quantità di diossine presenti nel rifiuti inceneriti durante l’esperimento e si è limitato a fare un confronto con la quantità di diossine presenti nei rifiuti riportata in altri studi.

Gli autori affermano che, poiché in numerosi studi la concentrazione media di “diossine” presente nei rifiuti è stata valutata variare da 10.000 a 250.000 picogrammi per chilo, l’inceneritore da loro studiato, che per ogni chilo di rifiuto trattato “produce” da 1.600 a 10.000 picogrammi di “diossine” è, a tutti gli effetti, un impianto di depurazione in quanto le “diossine” nelle sue emissioni sono presenti in quantità inferiore a quella che si trova nei rifiuti.

Affermazioni di questo tipo sono alla base di un nuovo filone nelle campagne di promozione degli inceneritori: gli inceneritori depurano l’ambiente dalle diossine.

Sostenere che gli inceneritori depurano l’ambiente poteva essere vero negli anni ’80, quando la quantità di diossine nei rifiuti era molto maggiore di quella attuale, oggi questa affermazione è, nella maggior parte dei casi, una falsità, l’ennesima Leggenda Metropolitana sorta intorno agli inceneritori, senza fondamento scientifico.

Per nostra fortuna, la quantità di “diossine” nei nostri rifiuti, ed in particolare nei nostri scarti alimentari, sta progressivamente diminuendo a seguito delle drastiche misure che tutto il Mondo ha adottato per ridurre le emissioni di diossine da fonti industriali, a cominciare dagli inceneritori.

E’ grazie a queste misure preventive se nella dieta giornaliera di un inglese nel 1987 si trovavano 125 picogrammi di “diossine”, nettamente inferiori a quelle che si trovavano nella stessa dieta nel 1982: 240 picogrammi di “diossine”.

E nel 1992 la situazione mostrava ulteriori segni di miglioramento, in quanto ogni cittadino britannico trovava mediamente nei propri piatti solo 70 picogrammi di “diossine”.

E le stime europee valutano che mentre nel 1970 l’Europa produceva 25 chili di diossine, nel 2000 la produzione di diossine si riduceva a 5 kg, grazie alla chiusura degli inceneritori più inquinanti, all’incentivazione al riciclaggio dei rifiuti, all’introduzione della marmitta catalittica, alla riduzione delle emissioni nei processi produttivi, in particolare nella produzione dell’acciaio.

Progressive diminuzioni della presenza di diossine negli ultimi venti anni sono confermate anche nei fanghi dei depuratori, nel compost, nei vegetali e per fortuna anche nel latte materno.

Uno studio simile a quello italiano è stato effettuato in Spagna, sull’inceneritore di Tarragona. Anche in questo caso si sono misurate le diossine nei fumi e nelle ceneri, ma, in modo corretto, si è pensato di misurare le “diossine” anche nei rifiuti utilizzati per alimentare questo impianto (14).

Da questo studio, effettuato nel corso del 1999, risulta che in quell’anno, la quantità di “diossine” presente in un normale chilo di rifiuti urbani variava da 2.200 a 7.000 picogrammi, con il valore più frequente pari a 2.700 picogrammi, quindi quantità nettamente più basse di quelle usate nello studio italiano (13) per “assolvere” l’inceneritore dalla accusa di inquinamento da “diossine”.

E’ interessante osservare che lo studio sull’inceneritore spagnolo, con sistemi di abbattimento fumi confrontabili con quello italiano, ha una conclusione diametralmente opposta: se, come oggi è normalmente vero, i rifiuti hanno un contenuto di “diossine” compreso tra 2.300 e 2.700 picogrammi per chilo, il loro incenerimento comportava una significativa produzione netta di nuove “diossine” stimata, per l’inceneritore di Tarragona, in 2,28 grammi all’anno (6,24 miliardi di picogrammi al giorno).

Se si confermasse anche per i rifiuti italiani il contenuto di “diossine” trovato nei rifiuti spagnoli, anche l’inceneritore testato da Giugliano et al. sarebbe un impianto produttore di diossine, ovvero un impianto che immette nell’ambiente una quantità di diossine superiore a quella presente nei rifiuti trattati.

E questo è il motivo per cui il moderno inceneritore italiano, oggetti degli studi sul bilancio di massa delle “diossine”, pur avendo una concentrazione di “diossine” nei fumi nettamente inferiore agli attuali limiti di legge, in Giappone sarebbe considerato fuori legge.

Infatti, la normativa Giapponese sull’incenerimento dei rifiuti, approvata nel 1997, tutela certamente con maggiore rigore scientifico la salute dei cittadini giapponesi rispetto ai cittadini europa.

Infatti la legge Giapponese prescrive che la quantità complessiva di “diossine” prodotte da un inceneritore (nei fumi, nelle ceneri leggere, nelle ceneri pesanti, nei fanghi) deve essere inferiore a 5.000 picogrammi per chilo di rifiuto incenerito, mentre l’inceneritore italiano, nell’esperienza descritta, produceva 10.440 picogrammi di “diossine” per chilo di rifiuto incenerito.

Come si può vedere, il limite di 5.000 picogrammi per chilo fissati dal Giappone, non è molto superiore alla concentrazione media di “diossine” trovata nei rifiuti spagnoli.

Pertanto, rispettando questa norma ci sono sufficienti garanzie che dopo il trattamento di incenerimento, la quantità di “diossine” immesse nell’ambiente, anche sottoforma di ceneri, non sia superiore a quella presente nei rifiuti trattati.

Non escludiamo che i nostri valenti ingegneri riescano a migliorare ancor di più i loro impianti di termovalorizzazione dei rifiuti, mettendoli in grado di rispettare anche la normativa giapponese, ed inertizzando, con ulteriori trattamenti sia le ceneri pesanti che quelle leggere, ma a quali costi? Pagati da chi?

Bibliografia

  1. www.comune.brescia.it/NR/rdonlyres/117DOCDO-098F-4419-87F66E5CC9F4AB1F/0/RapportoOTU2002_2003

  2. http://www.asm.brescia.it/servizi/nettezza/welcome.html

  3. S. Dugenest. MSWI bottom ash: characterization and kinetic studies of organic matter. Environ. Sci. Technol. 33 (1999), 1110-1115

  4. R.Klein et al. Temperature development in a modern municipal solid waste incineration (MSWI) bottom ash landfill with regard to sustainable waste management. J. Hazard. Mater. B83 (2001), 265-280

  5. R.Klein et al. Numerical modelling of the generation and transport of heat in a bottom ash monofill. J. Hazard Mater. (2003) 100(1-3),147-162

  6. N Lapa et al. Ecotoxicological assessment of leachates from MSWI bottom ashes. Waste Management (2002) 22, 583-593.

  7. CM Radetski et all. Evaluation of the genotoxic, mutagenic and oxidant stress potentials of municipal solid waste incinerator bottom ash leachates. Sci. Total Environ. (2004) 333, 209-216

  8. I Johansson, B. van Bavel. Polycyclic aromatic hydrocarbons in weathered bottom ash from incineration of municipal solid waste. Chemosphere (2003) 53 (2), 123-128

  9. HC Zhou et al. Experimental study on the removal of PAHs using in-duct activated carbon injection. Chemosphere (2005) 59 (6), 861-869

  10. F Valerio et al. Exposure to airborne cadmium in some Italian urban areas. Sci Total Environ (1995) 172, 57-63

  11. DJ Mitchell et al. Arrested municipal solid waste incinerator fly ash as a source of heavy metals to the UK environment. Environ Pollut (1992) 76 (1) 79-84

  12. YS Shim et al. Comparison of leaching characteristics of heavy metals from bottom and fly ashes in Korea and Japan. Waste Management (2005) 25, 473-480

  13. M Giugliano et al. PCDD/F mass balance in the flue gas cleaning units of a MSW incinerator plant. Chemosphere (2002) 46, 1321-1328

  14. E Abad et al. Dioxin abatement strategies and mass balance at a municipal waste management plant. Environ Sci Technol (2002) 36, 92-99





Due o tre cose che so di loro (seconda parte)

DUE O TRE COSE CHE SO DI LORO

Parte seconda


Federico Valerio



Diossine, Traffico, Termovalorizzatori.



Inquinano più le automobili che i termovalorizzatori.”


Questo è il ritornello ripetuto in ogni occasione da moltissimi personaggi della politica nostrana: il ministro Matteoli, l’ex ministro Ronchi, il vice Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti della Campania, il Sindaco di Genova Pericu, l’assessore regionale Orsi, il senatore Grillo...


A forza di ripeterlo, il ritornello è ormai diventato verità assoluta, incontestabile e ripresa da radio, televisione e giornali.


Eppure, affermare che le automobili inquinano più dei termovalorizzatori è un falso clamoroso. E questo tipo di confronto è anche metodologicamente scorretto, come sa qualunque scolaretto della scuola media.


La scorrettezza sta nel fatto che gli unici confronti giusti sono quelli si fanno tra insiemi omogenei.


Ad esempio, un insieme omogeneo è quello dei sistemi di trattamento dei rifiuti urbani e sarebbe molto interessante sapere se si inquina di più riciclando una determinata quantità di rifiuti oppure termovalorizzandola.

Stranamente, nessuno sembra interessato ad avere la giusta risposta a questa fondamentale domanda.

Una possibile spiegazione di questo disinteresse è che il riciclaggio produce minore inquinamento della termovalorizzazione.

Ma di questo parleremo più dettagliatamente nella terza parte di questa chiacchierata.


Per dimostrare che è falso affermare che l’inquinamento prodotto dal traffico inquina più di un termovalorizzatore, riporteremo dati desunti dalla letteratura scientifica internazionale e da fonti autorevoli quali l’EPA (Agenzia per la protezione dell’ ambiente degli Stati Uniti) e l’Unione Europea. Altri dati faranno riferimento alle schede tecniche del progetto di termovalorizatore per la Provincia di Genova e ai dati di emissione del termovalorizzatore di Brescia forniti dall’Azienda che gestisce quest’impianto.


Per motivi di praticità faremo riferimento alle emissioni di diossine e di polveri da nella realtà genovese, tuttavia l’approccio metodologico scelto può essere applicato a qualunque altra realtà territoriale.



Quante diossine e polveri emetterà giornalmente il termovalorizzatore di Genova?


Chi pensa che la termovalorizzazione dei rifiuti sia l’unico sistema possibile per risolvere il problema dei rifiuti urbani, propone per la Provincia di Genova (circa 800.000 abitanti) un termovalorizzatore in grado di trattare 800 tonnellate di rifiuti urbani al giorno.

Per bruciare tutta questa quantità di rifiuti occorre l’ossigeno presente in circa cinque milioni di metri cubi d’aria che, immessi nel forno, dopo la combustione, sotto forma di fumi, sono riimmessi in atmosfera attraverso il camino, dopo una adeguata depurazione.

Anche con i sofisticati sistemi di depurazione fumi dei moderni termovalorizzatori, l’aria che esce dal camino è più inquinata di quella che è entrata nel forno del termovalorizzatore.


In particolare, a Genova, la concentrazione media di diossine in ogni metro cubo di aria è presumibilmente di 0,18 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) TEQ (con tossicità equivalente alla 2-3-5-7 tetracloro para diossina, quella di Seveso).


Nel capoluogo ligure la concentrazione media di polveri fini è, attualmente, di circa 50 microgrammi (millesimi di milligrammo) per metro cubo.


Se il termovalorizzatore di Genova avrà le stesse caratteristiche di quello di Brescia, al meglio delle sue prestazioni, in ogni metro cubo di fumi in uscita dal suo camino ci saranno 800 microgrammi di polveri fini e 8 picogrammi di diossine. Pertanto, in base a queste ipotesi, l’aria in uscita dal camino dell’inceneritore avrà un carico di polveri fini maggiore di 16 volte rispetto a quella presente nell’aria immessa nei forni dell’inceneritore. Anche le diossine nei fumi saranno maggiori di quelle presenti “normalmente” nell’aria: 44 volte.


In base alle migliori caratteristiche progettuali, durante 24 ore di attività, con l’immissione in atmosfera di cinque milioni di metri cubi di fumi, il termovalorizzatore genovese produrrà 36 milioni di picogrammi di diossine.


Più realisticamente, la produzione media di diossine degli inceneritori che si vorrebbe realizzare in Italia, si attesterà sui valori medi registrati negli inceneritori tedeschi:

50 picogrammi per metro cubo, la metà del limite alle emissioni stabilito dalla UE (100 picogrammi per metro cubo),

In questo caso, la produzione giornaliera di diossine dell’inceneritore sarà di 250 milioni di picogrammi.



Quante diossine emette giornalmente il traffico veicolare di Genova?


Poiché per stimare le emissioni di diossine da parte di un termovalorizzatore dell’ultima generazione abbiamo utilizzato i migliori fattori di emissione di questo tipo di impianti, ci sembra corretto che il confronto con le emissioni da traffico sia fatto con la migliore tecnologia anti inquinamento attualmente utilizzata nell’autotrasporto: la marmitta catalitica.


E il migliore fattore di emissione riportato in letteratura (http://europa.eu.int/comm/environment/dioxin/download.htm-stage2) per questo tipo di automezzo è 3,5 picogrammi di diossine per litro di benzina consumata.


Per un altro tipo di autovettura molto diffuso, quella con motore diesel, il fattore di emissione minimo di diossine è di 23,6 picogrammi per litro di gasolio.


In base alle statistiche europee, le emissioni medie di diossine da parte di autovetture catalizzate e autovetture diesel sono, rispettivamente, 43 e 48 picogrammi per litro di carburante consumato.


Si può stimare che a Genova, nel 2004, l’intero parco di auto a benzina (240.000 vetture) sia catalizzato, con un consumo giornaliero di benzina verde stimabile a 466.000 litri.


Le autovetture diesel per il trasporto passeggeri, immatricolate nel Comune di Genova sono circa 50.000; nella città si registra un consumo giornaliero di gasolio pari a 137.000 litri, comprensivo dei consumi di camion e autobus.


Pertanto, le emissioni giornaliere di diossine prodotte sul territorio genovese dalla termovalorizzazione e dal traffico autoveicolare, nelle ipotesi che i fattori di emissioni di queste due fonti siano corrispondenti ai valori minimi e ai valori medi riportati in letteratura, sono presentate nella Tabella sequente.


TABELLA. Stima dell’emissione giornaliera di diossine a Genova (picogrammi)



Ipotesi minima

Ipotesi media

Termovalorizzatore rifiuti

(400 t/d)


35.000.000

250.000.000





240.000 auto catalizzate



1.631.000

8.388.000

50.000 auto diesel



3.233.200

4.863.500

Totale autovetture


4.864.200

13.251.500





Rapporto termovalorizzatore/traffico


7,2

18,8




Conclusioni


I dati riportati nella tabella confermano che il termovalorizzatore previsto per il trattamento dei rifiuti prodotti dalla Provincia di Genova produrrà una quantità di diossine nettamente superiore (da 7 a 19 volte) a quella stimata in base agli attuali consumi di combustibili per autotrazione e all’attuale composizione dell’intera flotta autoveicolare genovese (circa 300.000 autovetture).


Questa stima per Genova è confrontabile con le stime sulle emissioni di diossine in Germania per l’anno 1995.


In questo paese, dove nel 1995 già operavano gli inceneritori più moderni, oggetto di visista da parte di numerosi amministratori pubblici italiani e dove, in anticipo di alcuni anni rispetto all’Italia, le nuove autovetture erano catalizzate, l’emissione annuale di diossine da inceneritori di rifiuti urbani ed ospedalieri è stata stimata pari a 157,28 grammi, a fronte di una emissione di diossine, da parte di tutto il traffico su gomma tedesco, stimato pari a 9,14 grammi.

Pertanto, in Germania, la quantità di diossine da incenerimento era stimato 17,2 volte maggiore della quantità di diossine prodotta dal traffico.


Nello stesso periodo (1995), per gli Stati Uniti, le stime dell’EPA, valutavano che i 130 inceneritori in funzione in tutti gli “States”, per incenerire circa 30 milioni di rifiuti all’anno, emettevano in atmosfera 1.758 grammi di diossine, a fronte di solo 39,1 grammi prodotte, annualmente, da tutte le auto catalizzate USA. Una differenza di 45 volte!


Ai fini delle valutazioni del rischio sanitario di queste emissioni è ininfluente il fatto che le emissioni dell’inceneritore sono convogliate in alti camini e fortemente diluite in atmosfera.


Il rischio sanitario delle diossine è dovuto prevalentemente al loro accumulo progressivo nelle zone di impatto, in particolare nel terreno e nei sedimenti marini, lagustri e fluviali e dalla bio concentrazione di questa classe di composti lungo la catena alimentare. Pertanto, nella realtà genovese, sono a rischio di contaminazione le coltivazioni nei numerosi orti urbani, le produzioni orticole in serra (basilico di Pra), la pesca sportiva nelle acque dell’entroterra e nelle acque costiere.


I dati riportati in Tabella smentiscono clamorosamente i dati rassicuranti comunicati dal Sindaco Pericu nella seduta consiliare del 15 novembre del 1999 che avrebbe dovuto benedire la realizzazione di un termovalorizzatore ai piedi della Lanterna di Genova.

In quell’occasione, in uno dei lucidi che qualche solerte funzionario gli aveva preparato, intitolato “ Diossine: emissioni a confronto”, si poteva leggere :


le emissioni di un’ora di un inceneritore corrispondono a quelle di 15 auto catalizzate. Con gli attuali limiti di legge e le odierne tecnologie di controllo dei fumi, l’inceneritore è diventato una sorgente di diffusione delle diossine trascurabile rispetto a molte altre fonti, quali ad esempio il traffico cittadino”.


Nessuno, il Sindaco per primo, ha prestato attenzione al fatto che la fonte di questa informazione era un numero di QUATTRORUOTE, uscito nel 1992!


Nel settembre 2003, questa stessa notizia (le emissioni di un’ora di incerimento equivalgono a quelle di 15 auto catalizzate) era ripresa, pari pari, dal vice commissario straordinario all’emergenza rifiuti in Campania, nella sua conferenza a porte chiuse finalizzata ad illustrare agli amministratori liguri i vantaggi della scelta di termovalorizzare l’80% dei rifiuti campani.


L’unica differenza rispetto alla relazione fatta dal sindaco di Genova, cinque anni prima, era che nel frattempo dal lucido era scomparso il “qualificato” riferimento bibliografico, peraltro, come si è dimostrato, privo di qualunque attendibilità scientifica





Due o tre cose che so di loro (parte prima)

DUE O TRE COSE CHE SO DI LORO.


Federico Valerio



Gli oggetti di questa chiacchierata (“loro”) sono i termovalorizzatori, gli impianti che da qualche tempo si vogliono imporre agli Italiani, con la scusa che risolveranno il problema dello smaltimento dei loro rifiuti e i rifiuti tossici che questi stessi impianti producono (le diossine).

Le “due o tre cose” che so e che, grazie a questa chiacchierata vorrei comunicare ai lettori, sono le informazioni che dispongo su questi temi.

Questo privilegio mi deriva da alcune particolari circostanze: una laurea (in chimica) ed un lavoro (responsabile del Laboratorio di Chimica Ambientale dell’ Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova) che mi permettono l’accesso diretto alla produzione scientifica internazionale. E poiché questa soluzione privilegiata è state resa possibile anche grazie alle tasse di tutti gli Italiani che hanno finanziato l’istruzione e la ricerca pubblica, mi sembra doveroso ricambiare il favore.

Nella campagna promozionale a favore della termovalorizzazione dei rifiuti urbani, le amministrazioni pubbliche e i gestori di questi impianti, per convincere gli elettori-consumatori della bontà di questa tecnologia, immancabilmente negano che le diossine possano essere un problema ambientale e sanitario. E se mai qualche problema ambientale e sanitario ci fosse, questo è nettamente inferiore a quelli creati da altre ineludibili tecnologie moderne come, ad esempio, l’automobile.

Questa chiacchierata cercherà di fornire ai lettori la sintesi di documenti ed informazioni di cui sono venuto a conoscenza, utili per smascherare questi ed altri inganni che, a ragion veduta, si può ritenere siano stati messi in atto in questa singolare campagna pubblicitaria.



I pellegrinaggi del terzo millennio


A partire dagli anni ’90, in Italia si è assistito a singolari nuove forme di pellegrinaggio.

Folle di amministratori pubblici, presidenti e funzionari di aziende per la gestione di rifiuti urbani, giornalisti, rappresentanti di comitati cittadini si sono recati in visita ai nuovi santuari della tecnologia moderna: i termovalorizzatori.

In effetti, a sentire le guide di questi pellegrinaggi, ci troviamo di fronte a dei veri e propri miracoli della tecnologia. Questi impianti, non solo fanno sparire i rifiuti (per un certo tempo, sono stati battezzati con il nome di “termodistruttori”), ma addirittura li trasformano in pregiata energia elettrica. E tutto questo, con inquinamento praticamente nullo.

Ogni qual volta un “pellegrino” chiedeva al gestore del termovalorizzatore di turno quanta diossina esce dai suoi camini, le risposte tipo (in ordine di accuratezza) erano:


  1. Il nostro impianto non emette diossina

  2. Una quantità non misurabile

  3. Una quantità inferiore ai limite di legge


Di solito, queste risposte hanno tranquillizzato gli autorevoli pellegrini che, ritornati nelle loro città, si sentivano autorizzati a tuonare contro gli eco-terroristi che demonizzano questi impianti, diffondendo notizie false e tendenziose sui loro presunti pericoli per la salute pubblica.

In verità, le notizie false o tendenziose o, quantomeno volutamente reticenti, sono quelle elencate in precedenza. E queste bugie o mezze verità erano possibili anche grazie ad una errata formulazione della domanda.



Le domande giuste


Quelle che seguono, sono le domande giuste che, durante le visite ai termovalorizzatori, un buon pubblico amministratore, attento agli interessi dei propri amministrati, avrebbe dovuto formulare:


  1. Quanti picogrammi di diossine emette giornalmente il vostro impianto?

  2. Questo dato è il valore medio o il valore minimo da voi misurato?

  3. Quante misure di diossine effettuate annualmente?

  4. In base a quale criterio sono stati fissati i limiti di legge per le emissioni di diossine?


Prima di spiegare il senso di queste domande, riteniamo doveroso segnalare la singolarità delle procedure adottate in questi pellegrinaggi che, nelle intenzioni dichiarate, dovrebbero fornire una corretta informazione agli amministratori che devono decidere: l’unico interlocutore a cui si fanno domande e dal quale si ricevono le informazioni è quasi sempre il gestore o il progettista dell’impianto!

Ovvero, della serie: “Se vuoi sapere se il vino è buono, chiedi all’oste.” Ricordiamo che persino nei processi di santificazione c’è sempre “l’avvocato del diavolo” che cerca di smontare i miracoli del candidato santo.

Tant’è, questo è il nostro attuale stato della partecipazione democratica alle scelte e con questa sconsolante situazione dobbiamo fare i conti.

Spieghiamo ora per quale motivo le domande da noi suggerite sono quelle giuste.

Innazitutto, avrete notato che nella prima domanda abbiamo utilizzato una singolare unità di misura per valutare la quantità di diossine emesse dal termovalorizzatore: il picogrammo. Si tratta di una unità di misura del peso estremamente piccola: un picogrammo equivale ad un miliardesimo di milligrammo!

In particolare, le attuali normative europee prescrivono che in ogni metro cubo di fumi emesso da un termovalorizzatore ci possano essere al massimo, 100 picogrammi di diossine.

Se si pensa che la quantità ammessa degli altri inquinanti si misura in milligrammi, si spiega l’alibi mentale di chi afferma che da un moderno inceneritore, in pratica, non escono diossine: “Sono talmente poche!”.

Il problema vero è che per misurare le diossine dobbiamo usare un’unità di misura così piccola, perché la loro tossicità è estremamente più elevata, rispetto ai “normali” inquinanti.

Anche la risposta “Le diossine non sono misurabili”, apparentemente rassicurante , si fa velo del fatto che spesso, per ridurre i costi, i laboratori di analisi fissano il livello minimo di rilevabilità del loro metodo, poco al di sotto del valore limite.

Quindi, il gestore di un termovalorizzatore può affermare che le diossine nei fumi del suo impianto, in quanto inferiori al valore minimo determinabile stabilito dal laboratorio di controllo, non sono misurabili. Ma ciò non significa affatto che questi composti siano assenti. Proviamo a fare un esempio.

Il laboratorio d’analisi che effettua i controlli dei fumi dell’inceneritore utilizza un metodo analitico la cui concentrazione minima determinabile di diossine è pari a 50 picogrammi per metro cubo, la metà del valore limite.

Supponiamo che l’impianto da controllare emetta 40 picogrammi di diossine per ogni metro cubo di fumi emesso. Effettuato il prelievo dei fumi e la loro analisi, il laboratorio, correttamente, certifica che la concentrazione di diossine emesso da questo impianto è inferiore al valore minimo determinabile del proprio metodo d’analisi (50 picogrammi per metro cubo). Pertanto, l’impianto controllato rispetta i limiti (100 pg/m3) e può continuare la propria attività.

Ma è lecito ignorare quei 40 picogrammi di diossine che l’inceneritore emette, nel pieno rispetto delle norme vigenti, solo perché le analisi non permettono una loro precisa misura?

Una prima riflessione a riguardo si può fare confrontando la concentrazione di diossine nei fumi (40 pg/m3) di questo ipotetico termovalorizzatore, con quella normalmente presente nell’aria (da 0.05 a 0.5 pg/m3).

Nel nostro esempio, la quantità di diossine nell’aria emessa dal camino sarebbe da 800 a 80 volte superiore a quella presente nell’aria che lo stesso impianto preleva dall’ambiente esterno per bruciare-ossidare i rifiuti.

Insomma, il nostro inceneritore, pur rispettando i limiti di legge, inquina pesantemente l’aria che utilizza e questo inquinamento è trasferito all’ambiente esterno.

Eventuali obiezioni che la concentrazione di diossine presenti nei fumi diminuirà nel tempo e nello spazio per la naturale dispersione e diluizione del pennacchio in uscita dal camino sono, in questo caso, ininfluenti.

Infatti, il pericolo delle diossine per la salute umana deriva in prevalenza dalla contaminazione alimentare, piuttosto che dalla contaminazione dell’aria.

Le diossine sono caratterizzate da una elevata stabilità chimica e da una alta affinità con le sostanze grasse. Grazie a queste caratteristiche le diossine, anche se disperse nell’ambiente si concentrano lungo la catena alimentare, in particolare nel pesce, nella carne, nei latticini, nel latte, compreso quello materno.

Pertanto, le diossine che escono dall’ inceneritore si accumulano progressivamente nell’ambiente e primo o dopo ce le ritroviamo nei nostri alimenti.

Quindi sarebbe più corretto, ai fini della protezione della salute che i limiti riguardassero la quantità di diossine emesse nel tempo e non la loro concentrazione nei fumi.

Un approccio più corretto al problema è quello Belga, forse anche per le “scottature” subite con l’emergenza sanitaria dei suoi polli alla diossina.

Per garantire il rispetto della dose tollerabile giornaliera di diossine stabilita dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità, la quantità di diossine che giornalmente si deposita su di un metro quadrato di terreno dovrebbe essere compresa tra 3,4 e 10 picogrammi.


Quante diossine emette un inceneritore?


Ma quanti picogrammi di diossine emette giornalmente un inceneritore? Ovviamente questa quantità dipende da quanti metri cubi di fumi emette giornalmente l’impianto e questo volume dipende dalla quantità di rifiuti bruciati.

Se la taglia del nostro inceneritore è quella tipica di un moderno termovalorizzatore (800 tonnellate di rifiuti termovalorizzati al giorno), il volume di fumi che produce giornalmente è di 5.040.000 metri cubi!

Abbiamo ipotizzato che ogni metro cubo di fumi di quest’impianto contiene 40 picogrammi di diossine, quindi la quantità giornaliera di diossine immessa nell’ambiente dal nostro termovalorizzatore equivale a 201.600.000 picogrammi.

Abbiamo visto che, attualmente, la dose tollerabile di diossine per un adulto di 70 chilogrammi è pari a 140 picogrammi al giorno.

Pertanto, la quantità di diossina emessa giornalmente dal nostro inceneritore (che rispetta a pieno i limiti di legge) equivale alla dose tollerabile di 1.440.000 persone adulte.

E per rispettare il valore minimo di deposizione al suolo proposto dal Belgio (3.4 pg/m2) questa quantità di diossine dovrebbe essere uniformemente distribuito su circa 60.000.000 di metri quadri (6.000 ettari ovvero 60 chilometri quadrati).

A noi, questi numeri suggeriscono grande prudenza nelle scelte, anche alla luce di nuovi effetti nocivi che le diossine potrebbero produrre. Al contrario, il nostro governo e quasi tutte le amministrazioni locali minimizzano il problema e prevedono almeno un grande inceneritore per ognuna delle 103 province italiane.



Il rispetto dei limiti alle emissioni ci deve tranquillizzare?


A questo punto diventa importante rispondere correttamente alla quarta domanda: “In base a quale criterio sono stati fissati i limiti di legge per le emissioni di diossine?”

Non ricordiamo di aver mai sentito spiegare che i limiti alle emissioni hanno solo un significato tecnico: corrispondono alle concentrazioni più basse raggiungibili con la migliore tecnologia al momento disponibile e, ovviamente, a costi accettabili per l’azienda.

Invece, siamo certi che la maggior parte dei nostri lettori hanno sentito i loro amministratori assicurare che l’inceneritore che volevano realizzare non avrebbe creato nessun problema alla salute, in quanto impianto rispettoso dei limiti di legge.

L’infondatezza di queste affermazioni, è testimoniato proprio dalla lunga storia degli inceneritori di rifiuti, iniziata alla fine del ‘800.

E’ ovvio che ogni tipo d’inceneritore realizzato, da allora ad oggi, fosse rispettoso delle norme in vigore al momento della sua progettazione.

Ma tutte le norme ambientale, di solito, sono arretrate di almeno una decina d’anni rispetto alle conoscenze scientifiche sull’argomento. E queste conoscenze sono tutt’altro che definitive.

E così, dopo decenni d’uso, solo intorno agli anni ‘70 ci si è accorti che gli inceneritori emettono gas acidi pericolosi per la salute umana e dei vegetali. Normato e ridotto questo problema si è scoperto che gli inceneritori emettono anche metalli tossici che si accumulano nell’ambiente, poi si è scoperto che erano anche la maggiore fonte di emissioni di diossine. E mentre si cercava, con varia fortuna e costi crescenti, di ridurre l’emissioni di diossine, si confermava, definitivamente, l’effetto cancerogeno di questi composti per l’uomo.

E mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Unione Europea (UE), di conseguenza, riducevano la quantità tollerata di diossine nella dieta umana, il limite alle emissioni di diossine negli inceneritori è rimasto, stranamente, lo stesso.

La Tabella che segue sintetizza la sequenza temporale di questi eventi.



Cronistoria sugli studi che hanno valutare gli effetti delle diossine e norme per il contenimento di questi effetti.


1976

Incidente SEVESO



1989

Direttiva UE per ridurre le emissioni degli inceneritori.

Diossine: 0,1 ng/m3

1991

L’ OMS fissa la dose giornaliera tollerabile di diossine a 10 pg/kg peso

1993

Il V piano d’ azione della UE prevede di ridurre l’ emissioni di diossine del 90% entro il 2005

1997

La IARC conferma che le diossine sono cancerogene per l’ uomo

1997

Il Governo Giapponese fissa i limiti di rilascio totale di PCDD/F da inceneritori (5 ng I-TEQ /kg MPC trattato)

1998

L’ OMS riduce la dose tollerabile giornaliera per l’ uomo a 1 – 4 pg/kg peso

2000

Nuova direttiva UE su incenerimento. Si conferma il limite alle emissioni di 0,1 ng/m3

2001

Strategia comunitaria sulle diossine:

la dose tollerabile giornaliera è ridotta a: 2 pg/kg peso



A pensar male, la scelta nel 2000 di confermare i limiti delle emissioni di diossine fissate nel 1989, quando ancora non era chiaro l’effetto cancerogeno delle diossine, come pure il loro effetto di “distruzione del sistema endocrino”, nulla ha a che fare con la scienza.

Forse ci avviciamo di più alla verità pensando che questa scelta, sia dovuta al fatto che la maggior parte degli inceneritori realizzati tra gli anni ’80 e ‘90 in Francia, Danimarca, Germania, Italia, (e che non hanno ancora ammortizzato i costi di investimento), non sarebbero in grado di rispettare limiti più restrittivi.

Quanto le norme privilegino gli interessi delle imprese, piuttosto che quelli della comunità, è deducibile anche dalla singolare disposizione della normativa europea che fissa la frequenza di controlli di diossine ad un solo (sic) prelievo all’anno!

La scusa è l’alto costo di queste analisi. Tuttavia è ovvio che, a fronte di un “combustibile” caratterizzato da un’estrema variabilità (umidità, potere calorifico, composizione chimica) un’unica misura annuale non possa essere rappresentativa della quantità di diossine mediamente emessa da un termovalorizzatore. E questo spiega i motivi per i quali sarebbe stato opportuno che durante le visite ai termovalorizzatori qualcuno avesse fatto le domande numero 2 e numero 3.


Danni alla salute provocati dalle diossine.


Per quanto riguarda i meccanismi di accumulo delle diossine lungo la catena alimentare, fino al latte materno e sui rischi di cancro connessi con l’esposizione a questi composti, rinviamo ad un nostro documento già presente in rete (http://www.village.it/italianostra/).

Come già accennato, numerosi dati sperimentali stanno dimostrando come l’esposizione a diossine possa produrre effetti sulla salute umana anche a dosi inferiori a quelle fino ad oggi stimate tollerabili.

La maggior parte degli effetti studiati ed attribuili all’esposizione a diossine, riguardano la delicata sfera sessuale.

L’aspetto più preoccupante di questi studi è che gli effetti indesiderati si verificano a seguito di esposizione croniche di tipo non professionale e a concentrazioni di diossine molto basse.



Effetti dell’esposizione perinatale a diossine.


Nell’arco della vita la dose più elevata di diossine si assume subito dopo la nascita con il latte materno. Si tratta d’una informazione sconcertante che, se non deve far rinunciare ai vantaggi dell’allattamento materno, non può essere ignorata.

Uno studio olandese, effettuato tra il 1990 e il 1992, ha voluto valutare se l’esposizione a diossine durante la gestazione e l’allattamento potesse avere effetti sul comportamento dei bambini. Motivo di questo studio è che le diossine hanno anche un effetto neurotossico e possono interferire con gli effetti degli ormoni che regolano lo sviluppo sessuale.

In base alle misure di diossine effettuato su campioni di sangue delle mamme e del cordone ombelicale e nel latte si sono individuati i soggetti maggiormente esposti a diossina tra 160 bambini e bambine che hanno partecipato allo studio.

L’oggetto di studio è stato il comportamento di questi bambini durante il gioco e il risultato è stato che una maggiore esposizione a diossine produce una maggiore frequenza dei giochi “femminili”, sia nei maschi che nelle femmine.



Esposizione a diossine e sviluppo puberale


Duecento adolescenti residenti in Belgio, in due zone periferiche inquinate ed in una zona rurale di controllo, hanno partecipato a questa indagine che ha controllato l’andamento del loro sviluppo puberale. Analisi del sangue hanno permesso di valutare l’entità della loro esposizione a diossine.

Nel quartiere vicino a due inceneritori lo sviluppo puberale dei maschi è risultato statisticamente più lento. Analogo fenomeno nelle ragazze (ritardato sviluppo del seno) che abitavano questo stesso quartiere.

Il maggior rallentamento nello sviluppo puberale di maschi e femmine si è registrato nei soggetti con più alta concentrazione di diossina nel sangue.


Esposizione a diossine e sesso dei figli.


L’esposizione a diossine di 200 lavoratori russi impiegati nella produzione di erbicidi è stata valutata, misurando la concentrazione di questi composti nel loro sangue.

La loro esposizione a diossine risultava maggiore di 30 volte rispetto al resto della popolazione non esposta professionalmente.

Nella prole dei lavoratori esposti si è constatata una prevalenza di figlie femmine rispetto ai figli maschi, significativamente diversa dal rapporto maschi/femmine nella prole di un gruppo di controllo non esposto a diossine.



I pareri della Commissione Europea sull’incenerimento dei rifiuti.


Con riferimento a questi e altri studi, l’ Unione Europea ha prodotto diversi documenti sull’incenrimento dei rifiuti. Riportiamo alcuni passi significativi.


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO

Strategia comunitaria sulle diossine 2001/C322/02


Sembra che le caratteristiche tossiche delle sostanze (PCDD/F) siano state sottovalutate: recenti dati epidemiologici, tossicologici e sui meccanismi biochimici, riferiti agli effetti sullo sviluppo cerebrale, sulla riproduzione e sul sistema endocrino hanno dimostrato che gli effetti delle diossine e di alcuni PCB sulla salute umana sono molto più gravi di quanto precedentemente supposto, anche a dosi estremamente ridotte.”


La dose giornaliera tollerabile è fissata a: 2 pg/kg peso corporeo”


“I valori medi di diossine assunti giornalmente con la dieta, nell’Unione Europea, sono compresi tra:


1,2 e 3 pg/kg di peso corporeo.”


In una parte considerevole della popolazione europea l’esposizione a diossine e a PCB diossino-simili supera la dose tollerabile settimanale.”



Direttiva 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti.


  • Misure più restrittive dovrebbero ora essere adottate per la prevenzione e la riduzione dell’ inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e le direttive attuali (89/369/CEE) dovrebbero pertanto essere abrogate.


  • I valori limite stabiliti dovrebbero prevenire o limitare, per quanto praticabile, gli effetti dannosi per l’ ambiente e i relativi rischi per la salute umana.




Conclusioni


Se l’esposizione a diossine presenta i problemi segnalati e può essere un reale problema per la nostra salute anche a dosi molto basse, quale senso ha per l’Italia, imbarcarsi in quest’avventura?

Non ha insegnato nulla il disastro economico ed ambientale e forse anche quello sanitario della Francia e del Giappone che hanno dovuto spegnere o ammodernare centinaia d’impianti d’incenerimento incapaci di rispettare limiti di emissione più restrittivi?

Non è una fortuna per il nostro paese non avere privilegiato l’incenerimento per gestire i propri rifiuti e non aver quindi vincoli occupazionali ed economici per intraprendere nuove ed innovative vie per risolvere alla radice il problema rifiuti?

La realizzazione in Italia di un centinaio di nuovi inceneritori, anche se meno inquinanti di quelli che erano “gioielli della tecnica” solo pochi anni or sono, inevitabilmente, aumenterebbe la quantità di diossine prodotte dal nostro paese e la dose giornaliera di diossine assunte dalla nostra gente attraverso gli alimenti.

Che senso ha aggiungere questo ulteriore rischio, quando non siamo assolutamente obbligati ad incenerire i nostri cosidetti rifiuti?

Un modo per evitare di fare quest’errore è anche quello di diffondere al maggior numero possibile di persone queste riflessioni, prima che, con la costruzione dei termovalorizzatori e la sottoscrizione dei contratti ventennali per la loro fornitura di rifiuti, non sarà più possibile tornare indietro.


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